Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 498 del 25 gennaio 2013
Urbanistica. Modalità tecniche da rispettare per l’eliminazione delle barriere architettoniche

La prescrizione di riferimento in ordine alle modalità tecniche da rispettare per l’eliminazione delle barriere architettoniche si rinviene nell’art. 4.2 del d.m. 14 giugno 1989, nr. 236, il cui precedente art. 3, alla lettera f) del comma 1, definisce gli “spazi esterni” come “l’insieme degli spazi aperti, anche se coperti, di pertinenza dell’edificio o di più edifici ed in particolare quelli interposti tra l’edificio o gli edifici e la viabilità pubblica o di uso pubblico”. Tale disciplina regolamentare è attuativa della normativa già contenuta nella legge 9 gennaio 1989, nr. 13, e oggi confluita negli artt. 77 e segg. del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, la quale a sua volta risponde a valori di rango costituzionale riferibili agli artt. 2, 3 e 32 Cost. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00489/2013REG.PROV.COLL.

N. 10539/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 10539 del 2011, proposto da MARKET TRE C s.r.l. e F.L. MARKET s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avv.ti Ernesto Sticchi Damiani, Filippo Scorcucchi e Mauro Vallerga, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Bocca di Leone, 78,

contro

- il COMUNE DI GENOVA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Domenico Masuelli e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale Giulio Cesare 14/4, scala A;
- i signori Sergio RAMASSA, Carla FAEDO, Lino RICCI, Alberto OLIVI, Adele ACETULLI, Emanuela MUSSO, Ugo BALLERINI (in proprio e quale legale rappresentante della ZB s.r.l.), Federica MONICA, Guido CANALE e Marco CHIESURA, rappresentati e difesi dagli avv.ti Piergiorgio Alberti e Andrea Mozzati, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via G. Carducci, 4; 
- il signor Luigi CHIANTELLA, non costituito;

nei confronti di

ASTER S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita,

per l’annullamento e/o la riforma,

previa sospensione dell’efficacia e previa adozione di misure cautelari provvisorie,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, Sezione Prima, nr. 1867 del 2011, resa ex art. 60 cod. proc. amm., depositata in Segreteria in data 16 dicembre 2011, con la quale è stato accolto il ricorso incidentale promosso dai signori Ramassa e altri e con la quale è stato altresì dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo promosso dalle società odierne appellanti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati, nonché i motivi ulteriori di appello successivamente depositati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Genova e degli appellati in epigrafe indicati;

Visto l’appello incidentale proposto dal Comune di Genova;

Viste le memorie proposte dalle appellanti (in date 17 febbraio e 20 e 30 aprile 2012), dal Comune (in data 28 aprile 2012) e dagli appellati (in date 17 febbraio e 20 e 28 aprile 2012) a sostegno delle rispettive difese;

Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 750 del 21 febbraio 2012, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2012, il Consigliere Raffaele Greco:

Uditi gli avv.ti Sticchi Damiani e Scorcucchi per le appellanti, l’avv. Pafundi per il Comune di Genova e l’avv. Mozzati per gli appellati;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Le società Market Tre C s.r.l. e F.L. Market s.r.l. hanno impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. della Liguria, provvedendo sul ricorso proposto dalle medesime società avverso il provvedimento opposto dal Comune di Genova alle S.C.I.A. dalle stesse presentate per l’apertura di tre esercizi commerciali di vicinato, ha accolto il ricorso incidentale proposto da un gruppo di condomini residenti nell’immobile interessato dagli esercizi in questione, per l’effetto annullando gli atti impugnati per altre e diverse motivazioni, e correlativamente ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo.

A sostegno dell’impugnazione, le appellanti hanno dedotto:

1) illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 1, lettera b), della legge regionale della Liguria 2 gennaio 2007, nr. 1 (“Testo unico in materia di commercio”), nonché violazione delle norme di cui al Capo XVII del medesimo Testo unico; carenza, insufficienza e contraddittorietà nella motivazione (con riguardo all’affermazione del T.A.R. in ordine alla sussistenza di elementi idonei a far ritenere la sostanziale unitarietà dei tre esercizi, in violazione della normativa di zona, che non consentiva l’apertura di medie strutture di vendita);

2) illegittimità della sentenza, nella parte in cui rigetta il ricorso principale per pretesa carenza di interesse (stante la persistenza in ogni caso di interesse delle società ricorrenti a censurare le determinazioni comunali sull’accessibilità dei locali e sul rispetto della normativa in materia di barriere architettoniche);

3) illegittimità della sentenza per omessa pronuncia (in relazione al mancato esame dei motivi di ricorso principale);

4) illegittimità e illogicità della sentenza, nella parte in cui condanna le parti ricorrenti alle spese di lite; violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ..

Conseguentemente, le appellanti hanno riproposto come segue i motivi di impugnazione non esaminati dal primo giudice:

I) violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, e s.m.i. e dei principi di buon andamento e del giusto procedimento; violazione e falsa applicazione dell’art. 19, commi 1 e 3, della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i.; violazione e falsa applicazione degli artt. 2, lettera f), 3 e 4 del d.m. 14 giugno 1989, nr. 236; difetto di istruttoria e manifesto travisamento dei fatti (con riguardo alla qualificazione come “spazio esterno” della rampa di accesso agli esercizi per cui è causa, ed al conseguente accollo alle società istanti degli oneri afferenti all’eliminazione delle barriere architettoniche);

II) violazione e falsa applicazione degli artt. 10-bis e 3 della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i.; omessa e insufficiente motivazione (con riguardo alla mancata esplicitazione delle ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a disattendere le osservazioni presentate dalle società istanti);

III) violazione e falsa applicazione degli artt. 97 Cost., 1 della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i. e dei principi di buon andamento e del giusto procedimento; difetto di istruttoria e omessa e insufficiente motivazione (con riferimento all’assenza di ogni motivazione in ordine alla ritenuta pertinenzialità della rampa suindicata);

IV) violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 7 della legge nr. 241 del 1990 e s.m.i.; omessa comunicazione di avvio del procedimento (per quanto concerne la posizione della società F.L. Market S.r.l.);

V) illegittimità in via derivata (con riguardo alla nota prot. 170633 del 25 maggio 2011);

VI) palese carenza di motivazione, contraddittorietà ed evidente travisamento; istruttoria lacunosa e palesemente incompleta (non essendosi tenuto conto del parere del Settore Strade del Comune di Genova, che aveva qualificato la strada in questione come strada “privata aperta al pubblico transito”).

Nel costituirsi, il Comune di Genova ha aderito ai motivi di appello proposti dalle società istanti con riferimento all’accoglimento del ricorso incidentale, mentre ha difeso il proprio operato con riguardo alla questione delle barriere architettoniche (oggetto dei motivi non esaminati dal T.A.R. e riproposti dalle società appellanti).

Inoltre, il Comune ha proposto appello incidentale avverso la medesima sentenza sulla scorta dei seguenti motivi:

i) violazione dell’art. 42 cod. proc. amm.; inammissibilità del ricorso incidentale (avendo quest’ultimo esteso il thema decidendum rispetto a quello definito dall’impugnazione principale);

ii) violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 1, lettera b), della l.r. nr. 1 del 2007 (motivo sovrapponibile a quello articolato dalle appellanti principali e riassunto sub 1).

Si sono altresì costituiti i ricorrenti incidentali in primo grado, signori Sergio Ramassa e altri, i quali, oltre a opporsi con diffuse argomentazioni all’accoglimento di tutte le doglianze di parte appellante, hanno riproposto come segue, ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm., i motivi di ricorso incidentale non esaminati in prime cure:

A) violazione dell’art. 117, comma 3, Cost.; violazione dell’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. 31 maggio 2010, nr. 78, convertito in legge 30 luglio 2010, nr. 122; violazione dell’art. 23 della legge regionale della Liguria 6 giugno 2008, nr. 16; violazione degli artt. 22 e 23 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380; difetto di istruttoria e dei presupposti legittimanti; difetto di motivazione (con riferimento all’ammissibilità della S.C.I.A. in materia edilizia);

B) violazione dell’art. 23 della l.r. nr. 16 del 2008; violazione degli artt. 22 e 23 del d.P.R. nr. 380 del 2001; violazione dei parr. 3 e 8 della deliberazione del Consiglio Regionale nr. 18 del 2007; violazione degli artt. BB-CE1 e BB-CE2, punto 2.6, nonché dell’art. 51 delle N.T.A. del P.U.C. di Genova; difetto di istruttoria e dei presupposti legittimanti; contraddittorietà; illogicità (con riferimento all’omesso accertamento della superficie netta degli esercizi commerciali avviati dalle appellanti);

C) violazione dell’art. 4 della legge 26 luglio 1965, nr. 966, e degli artt. 1 e 2 del d.P.R. 12 gennaio 1998, nr. 37; violazione degli artt. 22 e 23 del d.P.R. nr. 380 del 2001 e dell’art. 23 della l.r. nr. 16 del 2008; violazione dell’articolo unico e dell’allegato del d.m. 16 febbraio 1982 del Ministero dell’Interno; difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, travisamento dei fatti (con riferimento all’omessa acquisizione del parere dei Vigili del Fuoco);

D) violazione dell’art. 19 della legge nr. 241 del 1990; violazione degli artt. 21 e 23 della l.r. nr. 16 del 2008; violazione degli artt. 22 e 23 del d.P.R. nr. 380 del 2001; difetto di istruttoria e dei presupposti legittimanti; difetto di motivazione; illegittimità in via derivata (non avendo il Comune intimato l’immediata sospensione delle attività intraprese dalle società odierne appellanti);

E) violazione dell’art. 19, comma 3, della legge nr. 241 del 1990; difetto di istruttoria e dei presupposti legittimanti (ancora con riguardo al mancato esercizio dei poteri inibitori del Comune).

Di poi, le appellanti principali hanno notificato e depositato un ulteriore motivo di appello con cui deducevano: inammissibilità del ricorso incidentale in parte qua avente ad oggetto la denuncia della pretesa illegittimità e/o non conformità dell’insediamento commerciale alla disciplina regionale e “di piano” e le accedenti prescrizioni in tema di limiti massimi di superficie di vendita; violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ.

Con successiva memoria, gli appellati hanno tra l’altro eccepito l’inammissibilità del menzionato motivo ulteriore di appello.

All’esito della camera di consiglio del 21 febbraio 2012, questa Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione della sentenza impugnata formulata da parte appellante.

All’udienza del 22 maggio 2012, la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

1. Le odierne appellanti, società Market Tre C s.r.l. e F.L. Market s.r.l., hanno intrapreso attività finalizzate all’apertura di tre esercizi commerciali di vicinato all’interno di locali, in proprietà della prima di dette società, al piano terra di un edificio di via Oreste de Gasperi di Genova.

Tali attività si sono articolate nella presentazione di una S.C.I.A. edilizia (poi modificata con successivi atti che prevedevano il frazionamento dell’immobile in tre distinti locali dotati di atrio di accesso comune) e di tre S.C.I.A. “commerciali” relative ai tre singoli esercizi; l’attività di vendita al pubblico presso di essi ha avuto inizio in data 7 aprile 2011.

Tuttavia, a seguito di un esposto presentato da un gruppo di condomini residenti nell’edificio interessato dall’intervento, l’Amministrazione ha avviato una attività di verifica della possibile insussistenza dei requisiti per la S.C.I.A. edilizia, conclusasi con un provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività per ritenuta violazione della normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, non avendo le società istanti eseguito i necessari interventi edilizi su una rampa di collegamento tra la via de Gasperi e gli esercizi in questione.

Le società istanti hanno impugnato tale provvedimento dinanzi al T.A.R. della Liguria, ottenendone la sospensione in via interinale, con richiesta al Comune di approfondimenti istruttori in ordine all’esatta natura e qualificazione della rampa di accesso de qua; nel contempo, si sono costituiti in giudizio i condomini autori dell’esposto suindicato, proponendo ricorso incidentale nel quale lamentavano l’illegittimità dell’operato del Comune nella parte in cui aveva circoscritto le contestazioni sollevate nei confronti delle società istanti al solo profilo delle barriere architettoniche, senza tener conto di ulteriori asserite violazioni evidenziabili negli atti impugnati, e in particolare del fatto che attraverso di essi, in elusione alla normativa vigente che in quella zona la escludeva, veniva ad essere surrettiziamente realizzata una media struttura di vendita mediante il suo artificioso frazionamento in tre esercizi distinti (aspetto, quest’ultimo, su cui l’Amministrazione comunale – pur esaminandolo – non aveva inteso sollevare rilievi).

All’esito degli incombenti istruttori (conclusisi, ancorché in carenza di un formale nuovo provvedimento amministrativo, con la sostanziale conferma dell’avviso del Comune circa la necessità di esecuzione delle opere di abbattimento delle barriere architettoniche), il T.A.R. adito, provvedendo con sentenza in forma semplificata, ha accolto il ricorso incidentale e ha dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso principale.

Avverso tali statuizioni insorgono, con l’appello oggi all’esame della Sezione, le originarie ricorrenti principali.

2. Peraltro, l’appello è stato integrato con la successiva proposizione di un ulteriore motivo di impugnazione della sentenza il quale, afferendo a questioni relative alla legittimazione e all’interesse a ricorrere degli originari ricorrenti incidentali, appare logicamente prioritario nell’ordine di esame delle questioni sottoposte al Collegio.

2.1. Gli originari ricorrenti incidentali, costituitisi nel presente grado, hanno eccepito l’inammissibilità del ridetto motivo ulteriore, invocando il principio di consumazione dell’impugnazione ricavabile dall’art. 101, comma 2, cod. proc. amm., oltre che dagli artt. 329, comma 2, e 346 cod. proc. civ.; si assume, in linea con un diffuso orientamento della Corte di Cassazione a anche di questo Consiglio di Stato, che l’impugnazione solo parziale di una sentenza comporterebbe acquiescenza ai capi non censurati, determinandone l’immediato passaggio in giudicato e precludendo la proposizione di ulteriori motivi di gravame (ancorché, in ipotesi, si sia ancora nei termini per impugnare).

Dalla questione così sollevata ben potrebbe prescindersi, dal momento che analoghe doglianze in ordine alla legittimazione e all’interesse al ricorso incidentale di primo grado sono contenute nel primo motivo dell’appello incidentale qui proposto dal Comune di Genova (in ordine al quale alcuna questione di inammissibilità è stata posta); tuttavia, può ad abundantiam rilevarsi che l’eccezione di inammissibilità è manifestamente infondata.

Ed invero, il richiamato principio di consumazione dell’impugnazione è suscettibile di trovare applicazione laddove la parte appellante abbia omesso di censurare specifici capi della sentenza sui quali il giudice a quo si sia pronunciato, ma non anche qualora si tratti di questioni, rilevabili d’ufficio, che in primo grado non siano state per nulla esaminate.

È quanto avviene nella presente fattispecie, laddove il primo giudice non risulta in alcun modo essersi pronunciato sulla legittimazione e sull’interesse a ricorrere dei ricorrenti incidentali, di modo che – come correttamente rilevato dalle appellanti – la relativa eccezione, afferendo a profilo rilevabile d’ufficio, ben avrebbe potuto essere sollevata per la prima volta in grado d’appello anche con semplice memoria (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 24 giugno 1998, nr. 4; Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2009, nr. 5423; Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2008, nr. 1744).

Ne discende che lo strumento prescelto dalle appellanti per introdurre la questione nel presente grado, e cioè la proposizione di un ulteriore motivo di appello, risulta certamente ultroneo ed eccessivo rispetto allo scopo perseguito, e pertanto rispetto ad esso non può farsi questione di inammissibilità.

2.2. Ciò premesso, e passando all’esame delle specifiche eccezioni sollevate dalle parti appellanti in relazione all’originario ricorso incidentale, le stesse si appalesano tutte infondate.

2.3. Sotto un primo profilo, si assume che indebitamente si sarebbe realizzato, attraverso l’impugnazione incidentale, un ampliamento del thema decidendum rispetto a quello definito dal ricorso principale, dal momento che quest’ultimo aveva a oggetto i soli provvedimenti adottati dal Comune in relazione alla S.C.I.A. edilizia, mentre i ricorrenti incidentali hanno censurato anche atti diversi e ulteriori (e cioè le tre S.C.I.A. commerciali).

Al riguardo, la Sezione ritiene di non doversi discostare dall’insegnamento giurisprudenziale secondo cui il ricorso incidentale, in quanto strumento di difesa della parte controinteressata, può essere rivolto anche avverso provvedimenti diversi da quelli oggetto dell’impugnazione principale, purché correlati alla vicenda sostanziale in contestazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2006, nr. 5082; id., 12 novembre 2002, nr. 6259).

Nel caso che qui occupa, col ricorso incidentale sono stati censurati atti indubbiamente connessi con quello impugnato in via principale, siccome tutti concernenti la complessiva operazione di realizzazione e apertura degli esercizi commerciali de quibus, e che tuttavia le parti ricorrenti principali non avevano impugnato per l’evidente ragione che trattavasi di atti alle stesse favorevoli (infatti il Comune, ancorché in tal senso compulsato dai medesimi controinteressati, non aveva ritenuto di individuare anomalie in relazione alle tre S.C.I.A. commerciali).

2.4. Del pari infondata è l’ulteriore eccezione con la quale si assume il difetto di prova della legittimazione a ricorrere in capo ai condomini autori del ricorso incidentale.

Sul punto, la Sezione condivide l’avviso, conforme alla maggioritaria giurisprudenza richiamata dalle parti appellanti, secondo cui per l’impugnazione di un’autorizzazione commerciale non è sufficiente la mera vicinitas,occorrendo l’allegazione di uno specifico e concreto pregiudizio: con l’importante precisazione che detto pregiudizio non deve necessariamente concretarsi in una lesione alla concorrenza connessa al fatto che il ricorrente sia a sua volta un operatore commerciale, ma ben può consistere in una lesione a beni della vita diversi e ulteriori (e, in definitiva, ben può corrispondere alle “tradizionali” lesioni che il vicino può derivare da qualsiasi opera o intervento che riguardi la proprietà confinante).

Orbene, dalla semplice lettura dell’esposto presentato dai condomini al Comune in data 14 aprile 2011 è dato evincere che la loro contrarietà all’apertura dei nuovi esercizi commerciali era da ricollegarsi non alla loro mera qualità di proprietari di immobili siti nello stesso edificio, ma a specifiche e documentate situazioni di pregiudizio per effetto dell’incrementato traffico di veicoli in zona, del movimento di merci e dei relativi autocarri, dell’aumento dell’inquinamento acustico e del deturpamento della facciata dell’edificio.

È appena il caso di aggiungere, poi, che, determinandosi la legittimazione ad causam sulla base del petitum e dellacausa petendi come affermati dall’attore, sarebbe perfettamente inutile contestare la realtà dei pregiudizi allegati dalla parte ricorrente, costituendo tale questione unicamente materia del successivo accertamento di merito.

2.5. Priva di pregio, infine, è anche l’eccezione di tardività dell’impugnazione incidentale sollevata assumendo quale riferimento, per l’individuazione del dies a quo del termine per impugnare, la data di inizio dell’attività degli esercizi commerciali (che, come già detto, è avvenuto il 7 aprile 2011).

In primo luogo, il ricorso incidentale di primo grado risulta ritualmente notificato entro il sessantesimo giorno dalla notificazione del ricorso principale, come prescritto dall’art. 42 cod. proc. amm.

In secondo luogo, nella specie non può dirsi assolto l’onere di dimostrare la piena conoscenza degli atti impugnati in una data anteriore, che per consolidata giurisprudenza incombe alla parte che eccepisce la tardività dell’impugnazione: infatti, dal mero fatto che i condomini fossero a conoscenza dell’avvio delle attività commerciali, e avessero anche interloquito con il Comune per lamentare gli inconvenienti connessi a tali attività, non può automaticamente desumersi che essi fossero anche a conoscenza dei contenuti dei retrostanti atti amministrativi e dei relativi vizi.

3. Esaurite dunque le questioni preliminari, e passando a esaminare i motivi articolati dalle appellanti nel merito delle statuizioni di primo grado, gli stessi risultano infondati e pertanto meritevoli di reiezione.

4. Con riguardo alle ragioni che hanno indotto il primo giudice all’accoglimento del ricorso incidentale, il punto centrale della controversia attiene all’interpretazione da dare dell’art. 17, comma 1, della legge regionale della Liguria 2 gennaio 2007, nr. 1 (“Testo unico in materia di commercio”), il quale, nel fornire l’elencazione delle diverse tipologie di strutture commerciali, introduce una nozione, per così dire, intermedia fra quella di esercizio singolo di vicinato e quelle di medie e grandi strutture di vendita, individuando la categoria delle “aggregazioni di esercizi singoli”, definite come “un insieme di esercizi che, per opportunità di natura edilizia, sono organizzati in spazi dotati di infrastrutture o servizi comuni, pur mantenendo, ai fini amministrativi, il carattere di esercizi singoli” (lettera b).

Nella specie, il T.A.R. ha ritenuto che il ricorso alla nozione testé richiamata sia stato indotto dalla finalità di eludere la normativa di zona, in virtù della quale era esclusa la possibilità di apertura di medie e grandi strutture di vendita, attraverso l’artificioso frazionamento di un vero e proprio “supermercato” in tre distinti esercizi.

A tale conclusione, oltre al peculiare iter della vicenda amministrativa di che trattasi (laddove, come già accennato, un’originaria S.C.I.A. edilizia unitaria è stata poi oggetto di “precisazioni” con il frazionamento dei locali), ha indotto anche la sostanziale riconducibilità economica dell’intero complesso di esercizi a un unico soggetto, la F.L. Market S.r.l., oltre a una pluralità di altri elementi quali l’unitarietà della gestione delle forniture e dei dipendenti e l’unicità delle casse per i clienti (quest’ultima circostanza, peraltro, è stata poi smentita da una successiva ispezione).

Per converso, le parti appellanti sostengono che il riferimento normativo alla necessità che gli esercizi aggregati restino singoli “ai fini amministrativi” vada inteso stricto jure come un richiamo alla diversità delle autorizzazioni e licenze commerciali (che in questo caso sussiste, essendovi tre diverse e autonome S.C.I.A. commerciali), mentre l’unicità di direzione economica non sarebbe circostanza suscettibile di palesare anche l’unicità dell’esercizio sotto il profilo commerciale.

Tutto ciò premesso, le argomentazioni delle parti appellanti sono tutt’altro che prive di consistenza laddove, anche invocando la necessità di non introdurre limitazioni extra legem all’iniziativa economica privata costituzionalmente garantita ex art. 41 Cost., si sottolinea come l’appartenenza di più esercizi commerciali a un medesimo soggetto non possa essere circostanza ex se suscettibile di incidere sulla qualificazione di essi ai fini dell’applicazione delle norme in tema di attività produttive e commerciali; tale rilievo è coerente con i principi già in altra occasione affermati da questo Consesso con una decisione (sez. V, 29 ottobre 2009, nr. 6686) la quale, ancorché richiamata da tutte le parti del presente giudizio ad adiuvandum delle rispettive tesi, si attaglia fino a un certo punto alla presente fattispecie, essendo stata resa in relazione a una realtà alla quale era ignota una nozione normativa di “aggregazione di esercizi singoli” del tipo che qui viene in rilievo.

Se, dunque, gli argomenti delle appellanti sono meritevoli di attenta considerazione, la Sezione tuttavia reputa che della normativa nazionale e regionale in materia vada data un’interpretazione ispirata a criteri di ragionevolezza, anche al fine di evitare che la stessa possa essere utilizzata in modo elusivo rispetto alla disciplina di zona, che in ipotesi potrebbe consentire l’apertura in loco di determinate tipologie di strutture commerciali, e non di altre.

In tale prospettiva, l’unitarietà della direzione economica ben può costituire un elemento indiziario il quale, in coerenza sinergica con altri, disveli un siffatto intento elusivo. Fra le circostanze che all’uopo possono venire in rilievo vanno richiamate: la contestualità dell’apertura dei diversi esercizi; l’avere essi a oggetto categorie merceologiche omogenee (nella specie, la vendita al dettaglio di alimentari); l’assenza di oggettive ragioni, diverse dalla semplice esistenza di un divieto di apertura di strutture più ampie, che impongano la scomposizione dell’immobile in diversi locali.

A questo complesso indiziario può aggiungersi, nella specie, il richiamo al già evidenziato iter della S.C.I.A. edilizia, tale da rappresentare in modo indiscutibile che l’intento originario delle istanti era quello di aprire un unico esercizio, soltanto in un secondo momento optandosi per la soluzione dei tre locali distinti.

5. Se, pertanto, le considerazioni che precedono inducono a ritenere infondato il primo motivo dell’appello principale (conclusione estensibile anche al secondo motivo dell’appello incidentale proposto dal Comune di Genova), miglior sorte non meritano gli ulteriori motivi di gravame articolati dalle società istanti.

Sul punto, appaiono invero condivisibili i rilievi critici formulati nell’appello avverso la declaratoria di inammissibilità dell’originario ricorso principale, essendo evidente che quest’ultimo era sorretto da autonomo interesse e diretto a contestare determinazioni dell’Amministrazione comunale autonomamente lesive; tuttavia, superando la ridetta pronuncia in rito e scendendo all’esame nel merito dei motivi addotti dalle odierne appellanti a base della propria originaria impugnazione, questi risultano infondati.

6. Al riguardo, le originarie censure di parte ricorrente si indirizzavano avverso le conclusioni del Comune, il quale aveva ritenuto nella specie non rispettata la normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, non avendo le società richiedenti provveduto a eseguire i lavori necessari ad agevolare l’accesso agli esercizi commerciali dei soggetti portatori di handicap mercé una rampa di collegamento fra l’immobile e la via de Gasperi.

Al contrario, le società ricorrenti hanno sempre negato di essere tenute a tale incombente sul rilievo che la “rampa” in questione non costituiva pertinenza esclusiva degli esercizi in questione, trattandosi di una vera e propria strada di pubblico passaggio, come testimoniato da una molteplicità di elementi (presenza di negozi, esistenza di numeri civici agli stessi etc.).

Sul punto, il T.A.R. ha ritenuto di dover sollecitare al Comune un approfondimento istruttorio, concentrandosi il successivo contrasto inter partes sull’esatta qualificazione e sul conseguente regime da riconoscere al tracciato in questione.

La Sezione, nel concludere nel senso della correttezza delle originarie valutazioni dell’Amministrazione comunale, esprime l’avviso che queste ultime si sorreggano su una serie di considerazioni di ordine logico-giuridico che, almeno in parte, prescinde dai profili definitori su cui si è sviluppato il contrasto tra le parti nel presente giudizio.

Ed invero, la prescrizione di riferimento in ordine alle modalità tecniche da rispettare per l’eliminazione delle barriere architettoniche si rinviene nell’art. 4.2 del d.m. 14 giugno 1989, nr. 236, il cui precedente art. 3, alla lettera f) del comma 1, definisce gli “spazi esterni” come “l’insieme degli spazi aperti, anche se coperti, di pertinenza dell’edificio o di più edifici ed in particolare quelli interposti tra l’edificio o gli edifici e la viabilità pubblica o di uso pubblico”.

Tale disciplina regolamentare è attuativa della normativa già contenuta nella legge 9 gennaio 1989, nr. 13, e oggi confluita negli artt. 77 e segg. del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 280, la quale a sua volta, come già altrove rilevato da questo Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 8 marzo 2011, nr. 1437), risponde a valori di rango costituzionale riferibili agli artt. 2, 3 e 32 Cost.

Se questo è vero, se cioè si tratta di norme e disposizioni rispondenti alla ratio di garantire il massimo di tutela a soggetti disagiati e correlativamente a responsabilizzare in tal senso i soggetti pubblici e privati destinati a realizzare interventi incidenti sul territorio, ne consegue che la ricostruzione delle nozioni impiegate dalla normativa de quanon può basarsi sulla meccanicistica trasposizione di categorie e classificazioni ricavate da una disciplina avente finalità del tutto diverse, quale è quella sulla circolazione stradale.

In altre parole, le distinzioni normative tra strade private, pubbliche e di uso pubblico possono invero fornire un utile riferimento per l’individuazione dei contenuti delle nozioni tecniche definite dal citato art. 2 del d.m. nr. 236 del 1989 (ivi compresa quella di “spazio esterno”), ma non possono esaurire certo l’opera dell’interprete che sia chiamato a definire l’ambito di applicabilità della normativa in tema di abbattimento delle barriere architettoniche e dei correlativi obblighi solidaristici.

Si vuol dire, in definitiva, che, dalla ricordata ratio normativa e dalla stessa ampiezza della definizione contenuta nel citato art. 2, lettera f), del d.m. nr. 236 del 1989, discende che, perché uno spazio possa considerarsi rientrante nella nozione di “spazio esterno”, e quindi assoggettato alle prescrizioni tecniche a tutela dei portatori di handicap, è sufficiente che si tratti di un’area avvinta dall’immobile cui si deve accedere da un nesso di stretta pertinenzialità, e correlativamente che si tratti di spazio che occorre necessariamente percorrere per raggiungere l’immobile de quoprovenendo dalla viabilità esterna (pubblica o privata che sia).

La presenza di tali presupposti, non contestata né contestabile nel caso che occupa, rende recessiva ogni considerazione circa il carattere pubblico o privato dell’area in questione, così come rende irrilevante il fatto che essa possa per avventura essere asservita anche ad altri immobili o esercizi; evidentemente il fatto che, fra i vari fruitori dell’area de qua, il legislatore abbia inteso porre gli obblighi di eliminazione delle barriere architettoniche a carico di colui che per primo realizzerà un intervento edilizio sull’immobile è frutto di una scelta ancora una volta ispirata dalla prevalenza dei richiamati obblighi solidaristici (e tale, peraltro, da non escludere che i connessi oneri economici possano essere poi regolati nei rapporti interni con gli altri e diversi soggetti che si trovino a trarre vantaggio dall’intervento posto in essere per eliminare le barriere architettoniche).

7. Del pari privi di pregio sono gli ulteriori motivi di impugnazione di primo grado, sul quali il primo giudice non risulta essersi soffermato e che le appellanti hanno riproposto ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm.

7.1. Innanzi tutto, non risulta dimostrata l’incidenza determinante della ritenuta omessa considerazione degli elementi istruttori apportati dalle società istante con proprie memorie procedimentali, dal momento che queste ultime avevano a oggetto proprio la questione dell’esatta natura e qualificazione della “rampa” di accesso all’immobile, delle quali si è già evidenziata la ridotta rilevanza.

Tale scarsa incidenza, peraltro, risulta confermata anche dall’esito dell’approfondimento istruttorio sollecitato dal T.A.R. adito, attraverso il quale in ogni caso è stato assicurato un adeguato accesso delle prospettazioni delle odierne appellanti alle valutazioni dell’Amministrazione.

7.2. In secondo luogo, non sussiste l’ipotizzato vizio di violazione delle garanzie procedimentali nei confronti della società F.L. Market S.r.l., subentrata nel corso del procedimento alla Market Tre C S.r.l. nella gestione degli esercizi commerciali.

Infatti, tale vicenda sostitutiva non costituisce ragione per derogare al consolidato principio che esclude la necessità di notificare la comunicazione di avvio del procedimento al soggetto che abbia presentato una D.I.A. (ovvero una S.C.I.A.), prima dell’esercizio a lui sfavorevole dei relativi poteri di controllo e inibitori (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 dicembre 2005, nr. 7359; id., 27 settembre 2005, nr. 5052).

8. Infine, non può trovare accoglimento nemmeno l’ultimo motivo di appello, con il quale le istanti censurano la condanna alle spese irrogata loro dal primo giudice.

Al riguardo, è sufficiente richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la statuizione sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale anche quando il soccombente sia stato condannato al relativo pagamento, per cui in sede di appello può essere sindacata la statuizione relativa a tale condanna solo quando essa sia stata posta a carico di una parte non soccombente oppure risulti manifestamente irrazionale (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2012, nr. 2161; id., 16 febbraio 2012, nr. 813; Cons. Stato, sez. III, 27 gennaio 2012, nr. 403; id., 4 novembre 2011, nr. 5866; id., 18 aprile 2011, nr. 2345; Cons. Stato, sez. VI, 19 gennaio 2010, nr. 176).

9. In conclusione, alla luce dei rilievi fin qui svolti gli appelli principale e incidentale vanno respinti e la sentenza impugnata confermata con motivazione parzialmente diversa, dovendosi da un lato ribadire la fondatezza del ricorso incidentale di primo grado e dall’altro respingere nel merito il ricorso principale (ciò che esime il Collegio dall’esame degli ulteriori motivi del ricorso incidentale di primo grado, qui riproposti ex extenso dai condomini interessati e dei quali va ribadito l’assorbimento).

10. In considerazione della complessità e della novità delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale e l’appello incidentale e, per l’effetto, conferma con diversa motivazione la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Fabio Taormina, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 25/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)