Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 406, del 29 gennaio 2015
Urbanistica.Serbatoi e relativa copertura metallica non sono volumi tecnici

In giurisprudenza sono concordemente individuati quali volumi tecnici gli impianti: a) del tutto privi di propria autonomia funzionale, anche potenziale, poiché strumentali di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della stessa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc.; b) che non possono essere ubicati all’interno di questa; c) essendo escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica. In questo quadro il manufatto in questione, composto dai serbatoi e dalla relativa copertura metallica, da un lato, costituisce un nuovo volume su un’area diversa e ulteriore rispetto a quella occupata dal precedente edificio, e comunque presenta dimensioni che, pur se non si vogliano considerare rilevanti rispetto a quelle indicate per il capannone e gli uffici, sono di certo sufficienti ad alterare in modo significativo l’assetto del territorio ovvero a incidere sul carico urbanistico, non configurandosi infine, neppure per tale profilo, come “modesto” volume tecnico. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00406/2015REG.PROV.COLL.

N. 05340/2012 REG.RIC.

N. 09601/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5340 del 2012, proposto da
Ancaro Immobiliare Costruzioni s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Rampioni, Vita Lucrezia Vaccarella, con domicilio eletto presso Fabio Rampioni in Roma, piazza Acilia, 4; 

contro

Comune di Nepi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigia Lazzaro, presso cui è elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Pierluigi da Palestrina, 19; 


sul ricorso numero di registro generale 9601 del 2013, proposto da
Ancaro Immobiliare Costruzioni Industriali s.n.c., Allestimento Veicoli Industriali Tevere (Avit) s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Vita Lucrezia Vaccarella, con domicilio eletto presso Lucrezia Vaccarella in Roma, Via Piave, 52; 

contro

Comune di Nepi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paola Conticiani, Marco Russo, con domicilio eletto presso Paola Conticiani in Roma, largo Messico, 7; 

per la riforma

quanto al ricorso n. 5340 del 2012:

della sentenza breve del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione I quater n. 3613/2012, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 9601 del 2013:

della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione I quater n. 4039/2013, resa tra le parti;

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Nepi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti delle cause;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2014 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Lucrezia Vita Vaccarella, Luigia Lazzaro e Paola Conticiani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. La s.n.c. Ancaro Immobiliare Costruzioni (in seguito “ricorrente”), con il ricorso n. 662 del 2012 proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, ha chiesto l’annullamento dell’ingiunzione n. 830/Ut del 7 novembre 2011 con cui il Comune di Nepi ha ordinato la demolizione delle opere ivi indicate, consistenti nella realizzazione di una struttura in lamiera grecata su intelaiatura in ferro di mt. 3,5 x 5,0 e di mt. 4 di altezza e nel posizionamento al suo interno di alcuni cassoni in plastica per il contenimento dei liquidi con conseguente occupazione di un’area dedicata in origine a parcheggio.

2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione prima quater), con la sentenza n. 3613 del 2012 pronunciata in forma semplificata, ha respinto il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio a favore del Comune di Nepi che ha liquidato nel complesso in € 750,00, oltre gli accessori di legge.

3. Con l’appello in epigrafe, n. 5340 del 2012, è chiesto l’annullamento della detta sentenza di primo grado, n. 3613 del 2012, con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività.

La domanda cautelare è stata accolta con l’ordinanza 1 agosto 2102, n. 3127 “Ritenuto, nell’esame proprio della fase cautelare, di sospendere gli effetti dell’atto impugnato fino al 31 dicembre 2012 purché l’appellante presenti, entro il 30 settembre 2012, un progetto di collocazione degli impianti in questione coerente con la normativa vigente e con la destinazione dell’area”.

A seguire questa ordinanza la ricorrente aveva presentato domanda di permesso di costruire, per la realizzazione di un manufatto collocato in posizione diversa da adibire a locale antincendio; la domanda è stata respinta dall’Amministrazione con provvedimento n. 22954 del 14 dicembre 2012, impugnato dalla ricorrente al Tribunale amministrativo per il Lazio che ha respinto la relativa domanda cautelare con ordinanza (n. 1708 del 2013) oggetto, quindi, di appello cautelare (n. 5434 del 2013) che è stato accolto da questo Consiglio con l’ordinanza n. 3318 del 2013 in considerazione, in sintesi, della prevalenza dell’interesse ad una nuova allocazione dell’impianto antincendio.

4. Nel frattempo erano stati emanati dal Comune di Nepi i seguenti provvedimenti: ordinanza n. 854/UT, Settore I, del 16 luglio 2012, con cui, verificata l’inottemperanza all’ordinanza n. 830/Ut del 7 novembre 2011, è ingiunta la demolizione delle opere in questione; nota del 18 luglio 2012 (prot. n. 13486), pervenuta a mezzo posta alla sola s.n.c. ricorrente Ancaro Immobiliare Costruzioni Industriali di Carlo Pignani & C., in cui si indica che, presumibilmente, in data 26 luglio 2012, si sarebbe proceduto alla demolizione; del provvedimento n. 850/UT 20 giugno 2012, trasmesso con nota n. 11330 di pari data, notificato alla sola s.n.c. ricorrente Ancaro Immobiliare Costruzioni Industriali di Carlo Pignani & C. e ricevuta da questa in data 25 luglio 2012, con cui, accertata l’inottemperanza alla già citata ingiunzione di demolizione n. 830/UT del 2011, è disposta la trascrizione del medesimo provvedimento nei registri immobiliari per l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale di mq 87, pari alla superficie della particella n. 554 già distaccata dall’Amministrazione con apposito frazionamento.

5. La s.n.c. Ancaro Immobiliare Costruzioni di Carlo Pignani & C e la s.r.l. Avit Allestimento Veicoli Industriali (in seguito “ricorrenti”), con il ricorso n. 6518 del 2012 proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, hanno chiesto l’annullamento degli atti elencati nel punto precedente.

6. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione prima quater), con la sentenza n. 4039 del 2013, ha respinto il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio a favore del Comune di Nepi che ha liquidato nel complesso in € 2.000,00, oltre gli accessori di legge.

7. Con l’appello in epigrafe, n. 9601 del 2013, è chiesto l’annullamento della detta sentenza di primo grado, n. 4039 del 2013, con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività.

La domanda cautelare è stata così accolta con l’ordinanza n. 528 del 2014: “Rilevato che l’appello propone questioni che meritano sollecita definizione nel merito, e che devono essere esaminate in connessione con quelle che formano oggetto del ricorso proposto avverso l’ordine di demolizione n. 830 del 7 novembre 2011; Ritenuto che, pertanto, è opportuna la fissazione del merito per tutti gli appelli pendenti tra le parti, in particolare quello rubricato al numero 5340 del 2012, sospendendo, nel frattempo, l’esecuzione della ordinanza impugnata e dei provvedimenti che sono oggetto del ricorso di primo grado”.

8. All’udienza del 2 dicembre 2014 le cause sono state trattenute per la decisione.

DIRITTO

1. Gli appelli in epigrafe vanno riuniti e decisi congiuntamente perché connessi per i profili soggettivo e oggettivo.

2. Nella sentenza di primo grado n. 3613 del 2012 sono respinte le censure per cui il provvedimento impugnato (ingiunzione di demolizione n. 830/UT del 7 novembre 2011) sarebbe viziato nella motivazione quanto alla qualificazione dell’intervento come nuova costruzione o variazione essenziale e per la mancata individuazione dell’intervento stesso quale volume tecnico e, comunque, pertinenza, nonché per essere stato emanato su presupposti erronei come quello dell’occupazione di un’area per parcheggio.

Afferma al riguardo il primo giudice che:

- il provvedimento, in quanto esplicazione di un potere vincolato, è congruamente motivato con il richiamo all’accertata abusività dell’opera;

- l’asserita erroneità dell’omissione della distinzione tra nuova costruzione o variazione essenziale non rileva, essendo stata qualificata la fattispecie quale opera eseguita in assenza del permesso di costruire ai sensi dell’art. 15 della legge regionale n. 15 del 2008, con la conseguente applicazione della sanzione ivi prevista;

- le opere in questione non possono essere individuate come volume tecnico, non essendo stata dimostrata la sussistenza dei necessari requisiti della loro strumentalità all’utilizzo della costruzione principale, dell’assoluta impossibilità di soluzioni progettuali diverse (essendo ipotizzabile la collocazione del manufatto all’interno di quello principale o sottoterra) e della proporzionalità tra volume ed esigenze tecniche comportando le opere un congruo aumento di superficie e volumetria, con rilevante impatto edilizio e urbanistico come provato dalla documentazione fotografica in atti; profilo quest’ultimo che ne esclude la natura di pertinenza e rende inapplicabile l’art. 61 del regolamento edilizio del Comune di Nepi, richiamato dal ricorrente, considerato che per questa norma sono volumi tecnici solo gli impianti tecnologici che non producono aumento di volume e di superficie né compromettono l’ambiente e il paesaggio.

3. Nell’appello n. 5340 del 2012 si deduce che la sentenza è erronea poiché:

- l’impianto in questione, costituito da due cisterne da 10.000 litri e da un gruppo di pressurizzazione, che si è dovuti coprire con una struttura metallica per evitarne la manomissione, non può essere qualificato come nuova costruzione, autorizzabile perciò soltanto con il permesso di costruire; si tratta infatti, all’evidenza, di volumi tecnici ovvero di una pertinenza essendo l’impianto privo di autonomia funzionale poiché al servizio del fabbisogno idrico e antincendio di un capannone industriale di rilevanti dimensioni, pari a mq. 5015 per locali commerciali e mq. 911,75 per uffici e servizi (assentito con permesso di costruire);

- dagli accertamenti eseguiti dal Comandante del Corpo forestale dello Stato e dalla Polizia municipale, perciò facenti fede fino a querela di falso ma trascurati dal primo giudice con difetto d’istruttoria della sentenza impugnata, emerge che la struttura metallica in questione è posta a copertura dei contenitori d’acqua, ivi esistenti dal 2007, dovendosi applicare, di conseguenza, l’articolo 61 del regolamento edilizio del Comune di Nepi che definisce come volumi tecnici quelli necessari per contenere i serbatoi idrici; né l’impianto, situato nel punto più vicino all’acquedotto, poteva essere collocato all’interno dello stesso edificio, laddove l’incendio dovrebbe essere estinto, o altrove, con tubature sotterranee recanti problemi in caso di malfunzionamento, ovvero del tutto sotto terra, dovendo comunque restare libera, in ogni ipotesi, l’area dei parcheggi;

- il provvedimento impugnato è comunque da censurare poiché, pur nella denegata qualificazione dei serbatoi come opere abusive, l’intervento repressivo è intervenuto dopo cinque anni dalla loro installazione senza che, dopo un tale tempo, sia stata motivata la preminenza dell’interesse pubblico al mero ripristino della legalità sull’interesse privato al mantenimento dell’operatività di un impianto essenziale per l’attività economica svolta, la cui rimozione verrebbe invero a privilegiare soltanto il contrapposto interesse privato del confinante;

- così come è errato non considerare il manufatto come pertinenza motivando con l’impatto urbanistico che ne deriverebbe a causa delle dimensioni, laddove le cisterne e l’intelaiatura impegnano una superficie di mt. 3,5 x mt. 5,00 per 4 di altezza rispetto ad un fabbricato di oltre 5.000 mq;

- non si applicano, infine, le norme delle NTA del PRG in ordine al “distacco dai confini” valendo nella specie le prescrizioni dell’art. 888 Cod. civ., in quanto cisterne di plastica, non risultanti, inoltre, nel novero delle costruzioni ai sensi del regolamento del Comune di Nepi.

4. L’appello è infondato per le ragioni che seguono.

4.1. La questione centrale della controversia consiste nell’accertare se le opere di cui si tratta siano volumi tecnici, non comportanti perciò volumetria riconducibile alla nozione di nuova costruzione.

In giurisprudenza sono concordemente individuati quali volumi tecnici gli impianti: a) del tutto privi di propria autonomia funzionale, anche potenziale, poiché strumentali di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della stessa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc.; b) che non possono essere ubicati all’interno di questa; c) essendo escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito “al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica.” (Cons. Stato, Sez. IV, 4 ottobre 2010, n. 2565; vedi anche Cons. Stato, Sez. VI, 4 novembre 2014, n. 5428; Sez IV, 26 agosto 2014, n. 4290; Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3074).

Nel caso in esame, pur se si individui la strumentalità dell’impianto per il servizio antincendio del capannone e degli uffici, non è stata dimostrata dalla ricorrente nel corso del giudizio che sussista la seconda condizione sopra elencata, l’impossibilità cioè di assicurare il servizio ubicandone l’impianto all’interno della costruzione cui sia strumentale.

Le osservazioni dedotte al riguardo dalla ricorrente, in contrasto con le ipotesi progettuali richiamate dal primo giudice (collocazione all’interno del manufatto principale o sottoterra), risultano infatti oggettivamente generiche essendo limitate, in sintesi, all’ipotesi di non specificati malfunzionamenti o dell’altresì non chiarita impossibilità dell’utilizzo dell’area destinata a parcheggi, non essendo state neppure prospettate articolate motivazioni sull’asserita incompatibilità tra la collocazione dell’impianto all’interno, evidentemente con le dovute modalità tecniche, e l’attivazione del servizio quando necessario; conseguendo da ciò, infine, l’effetto di negare rilevanza giuridica a volumi nella specie di certo esistenti nella realtà fisica.

4.2. Non contrastano con queste conclusioni:

- l’asserita esistenza fin dal 2007 dei due serbatoi di cui si tratta, non essendo ciò sufficiente a provarne la non abusività, e non rilevando perciò al riguardo l’allegazione in atti della fattura di acquisto in data 1 giugno 2007 né il richiamo degli accertamenti eseguiti dalla Polizia locale e dalla Guardia Forestale (rispettivamente: prot. n. 11440 del 17 giugno 2011 e prot. n. 721 del 19 giugno successivo), nel primo dei quali soltanto si indicano i contenitori di acqua uso antincendio come “situati in loco da diversi anni”, in quanto così contestualmente asserito, si precisa, dal rappresentante legale della ricorrente;

- l’art. 61 del regolamento edilizio del Comune di Nepi (delibera C.C. n. 63 del 2010), nel cui primo comma si afferma che sono volumi tecnici (inclusi i serbatoi idrici) gli “Impianti che non possono per esigenze tecniche di funzionalità degli stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio nei limiti della normativa.”, venendo così confermata la tematica di cui al punto precedente, oltre quanto già rilevato dal primo giudice sulle prescrizioni del regolamento riguardo gli impianti tecnologici.

4.3. L’impianto non può essere neppure ricondotto alla nozione urbanistica di pertinenza.

Al riguardo la giurisprudenza ha precisato che:

- la pertinenza è configurabile quando vi è un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e quella principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, oltre che una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce (Cons. Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615);

- a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, e anche sfornito di un’autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto carico urbanistico (Cons. Stato, Sez. V, 31 dicembre 2008, n. 6756; Id., 13 giugno 2006, n. 3490)

Non vi è dubbio perciò sulla assenza della natura pertinenziale - ai fini edilizi - quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio essendo ravvisabile la natura pertinenziale solo quando si tratti: a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati; b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume 'tecnico' (Cons. Stato, n. 4290 del 2014, cit.), confermandosi con ciò, in definitiva, che devono essere tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall'interessato (Cons. Stato, Sez. V, 14 ottobre 2013, n. 4997).

In questo quadro il manufatto in questione, composto dai serbatoi e dalla relativa copertura metallica, da un lato, costituisce un nuovo volume su un’area diversa e ulteriore rispetto a quella occupata dal precedente edificio, e comunque presenta dimensioni che, pur se non si vogliano considerare rilevanti rispetto a quelle indicate per il capannone e gli uffici, sono di certo sufficienti ad alterare in modo significativo l’assetto del territorio ovvero a incidere sul carico urbanistico, non configurandosi infine, neppure per tale profilo, come “modesto” volume tecnico.

4.4. Si deve perciò concludere per la correttezza e sufficienza della motivazione del provvedimento impugnato (assorbite altre censure riguardo il richiamo dell’art. 888 Cod.civ. e la ritenuta non difformità rispetto al Regolamento del Comune di Nepi), in quanto basata sull’applicazione dell’art. 15 della legge regionale 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia), trattandosi nella specie di “interventi di nuova costruzione in assenza di permesso di costruire o di denuncia di inizio di attività nei casi previsti dall’art. 22, comma 3, lettere b) e c) del d.p.r. n. 380 del 2001 e successive modifiche o in totale difformità dagli stessi, ovvero con variazioni essenziali … ” (art. 1, comma 1), con la necessità, di conseguenza, della “collocazione degli impianti in questione coerente con la normativa vigente” (ordinanza di questo Consiglio di Stato n. 3127 del 2012, citata).

4.5. Riguardo alla motivazione della preminenza dell’interesse pubblico all’emanazione dei provvedimenti repressivi degli abusi edilizi e all’affidamento eventualmente asserito da parte dei destinatari per il tempo trascorso dall’abuso, la giurisprudenza dominante, da cui non vi è motivo qui di discostarsi, ha chiarito che il provvedimento di repressione degli abusi edilizi costituisce un atto dovuto in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e dalla riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge, circostanza, questa, che comporta che il provvedimento sanzionatorio non richiede particolare motivazione, essendo sufficiente la rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata, né previa espressa comparazione tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’opera, che è in re ipsa, e quello privato alla relativa conservazione, e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso (Cons. Stato, Sez. VI, 28 gennaio 2013, n. 498) non potendosi ammettere l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (Cons. Stato, sez. VI, 4 marzo 2013, n. 1268).

4.6. Per le ragioni esposte l’appello in epigrafe, n. 5340 del 2012, è infondato e non può perciò essere accolto, potendosi di conseguenza prescindere dalla richiesta, presentata dalla s.n.c. Ancaro con la memoria depositata l’11 novembre 2014, di non ammissione al giudizio della documentazione presentata dal Comune di Nepi in data 20 ottobre 2014, peraltro non rilevante ai fini dello stesso.

5. Nella sentenza di primo grado n. 4039 del 2013, richiamati l’ordinanza del Consiglio di Stato n. 3049 del 2012 (rectius: “n. 3127” del 2012) e il rigetto della domanda di permesso di costruire che a seguire era stata proposta, si respinge il ricorso affermando che:

- la censura per cui l’ingiunzione di demolizione n. 830/UT del 7 novembre 2011 non sarebbe stata indirizzata al proprietario dell’immobile di cui al ritenuto abuso, essendo la s.n.c. Ancaro Immobiliare Costruzioni diversa dalla s.r.l. Ancara, è infondata, poiché, afferma il primo giudice, con il ricorso non è stato impugnato il provvedimento n. 830/UT del 2011 ma quello n. 854/UT del 2012 ed essendo stato comunque chiarito nella memoria di replica della controparte che l’effettivo destinatario dell’atto (s.n.c. Ancaro Immobiliare Costruzioni) ne ha avuto conoscenza e lo ha impugnato in termini;

- l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune è automatica e ope legis a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione;

- riguardo la società Avit valgono le considerazioni di cui alla precedente sentenza del medesimo Tribunale n. 6177 del 2012, non essendo inoltre stato provato alcun danno per questa società;

- per cui, in conclusione, il ricorso è da respingere data la legittimità dell’operato dell’Amministrazione, la completezza dell’istruttoria e l’adeguata motivazione del provvedimento impugnato.

6. Nell’appello n. 9601 del 2013 si censura la sentenza:

- in quanto nulla per difetto della potestas iudicandi, perché pronunciata in contrasto con l’ordinanza cautelare 1 settembre 2012, n. 3049, del medesimo Tribunale, con cui i provvedimenti impugnati erano stati sospesi in attesa dell’esito dell’appello relativo al provvedimento n. 830/UT, essendo stato perciò assunto con la pronuncia impugnata un potere decisorio del Consiglio di Stato, in violazione dell’obbligo di sospensione del giudizio di cui all’art. 295 Cod. proc. civ.;

- per difetto d’istruttoria, avendo riprodotto la tesi della controparte sul destinatario del provvedimento senza ulteriori approfondimenti;

- per avere motivato il rigetto sulla base dell’intervenuto diniego del permesso di costruire, nonché sull’automaticitàope legis dell’acquisizione dell’area, trascurando che il detto diniego era stato altresì impugnato e che si sarebbe perciò dovuto attendere il relativo giudizio, tenuto anche conto dell’accoglimento in appello dell’istanza cautelare, in riforma di quella di rigetto in primo grado, con la conferma dell’illegittimità dell’originario provvedimento di demolizione e la definizione dell’indirizzo allo spostamento dell’impianto (ordinanza del Consiglio di Stato n. 3318 del 2013);

- per non essersi pronunciata sulla domanda risarcitoria della s.r.l. Avit, limitandosi il primo giudice a richiamare la sentenza n. 6177 del 2012 del medesimo Tribunale, che pure aveva escluso ogni corresponsabilità nell’abuso da parte della detta società, senza valutare perciò il danno da essa ricevuto per le condotte illegittime dell’Amministrazione, anche con esposizione all’azione penale, e, inoltre, condannando la società al pagamento delle spese di lite nonostante la sua richiamata estraneità alle vicende, anche processuali, di cui si tratta.

7. L’appello non può essere accolto per le ragioni che seguono:

- la potestas iudicandi del primo giudice sul merito della controversia de qua non è nella specie in questione, poiché essa è irrinunciabile, salvo che siano declinate nello specifico la giurisdizione o la competenza, e permane integra quale che sia la pronuncia cautelare resa, per il carattere interinale e precario di questa fino alla definizione del giudizio di merito, per la cui trattazione il primo giudice aveva peraltro fissato, con la stessa ordinanza cautelare n. 3049 del 2012, la data della pubblica udienza (4 aprile 2013), valutando evidentemente a favore dei ricorrenti il bilanciamento degli interessi nell’attesa della pronuncia di questo Consiglio ma per il solo tempo intercorrente fino alla data fissata per l’esame nel merito;

- la valutazione di adesione del giudice alla prospettazione di una delle parti non è opponibile in quanto tale se, come nella specie, non si articolino censure specifiche avverso la tesi cui il giudice ha aderito;

- nella sentenza di primo grado l’intervenuto rigetto della domanda del permesso di costruire è stato evidentemente richiamato dal primo giudice allo scopo di constatare la permanenza, allo stato, dell’interesse della ricorrente al giudizio sui provvedimenti impugnati e non quale motivazione della sentenza stessa, che è basata sulla necessaria consequenzialità di questi provvedimenti all’accertata inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, con riguardo in particolare all’acquisizione dell’area di sedime, come ritenuto concordemente dalla giurisprudenza in materia da cui non vi è qui motivo per discostarsi (per tutte: Cons. Stato, Sez. V, 7 agosto 2014, n. 4213);

- né risultava alcun obbligo per il primo giudice di sospendere il giudizio in attesa della definizione di quello sul rigetto della domanda di permesso di costruire, non dipendendo da ciò la decisione della causa in primo grado di cui qui si tratta, poiché relativa all’impugnazione dei provvedimenti basati sull’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, a sua volta fondata sul presupposto della ritenuta abusività del manufatto che è vicenda amministrativa distinta da quella relativa alla domanda del permesso di costruire, oggetto, questa, dell’ordinanza di questo Consiglio di Stato n. 3318 del 2013 (successiva alla sentenza qui impugnata) in cui nulla è pronunciato sulle ragioni dell’abusività della precedente localizzazione, da cui espressamente si prescinde;

- la sentenza di primo grado deve essere confermata, infine, anche quanto al rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta dalla Avit s.r.l., data la genericità di questa nonché considerato che, come richiamato nella sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio, sezione prima quater, n. 6177 del 2012, redatta in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 Cod. proc. amm., l’annullamento della sanzione pecuniaria nei confronti della Avit, motivata dalla mancata dimostrazione della sua responsabilità nella realizzazione dell’abuso, è intervenuto in tempi brevi ai sensi della medesima sentenza.

8. Per le ragioni che precedono gli appelli, riuniti, sono infondati e devono quindi essere respinti.

Le spese, seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo a carico della s.n.c. Ancaro Immobiliare Costruzioni e a favore del Comune di Nepi; sussistendo giusti motivi per la loro compensazione tra la s.r.l. Avit e il detto Comune alla luce della citata sentenza di primo grado n. 6177 del 2012.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) riuniti gli appelli in epigrafe, n. 5340 del 2012 e n. 9601 del 2013, li respinge.

Condanna la s.n.c. Ancaro Immobiliare Costruzioni al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio a favore del Comune di Nepi, che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila /00) oltre gli accessori di legge se dovuti; le compensa tra la s.r.l Allestimento Veicoli Industriali Tevere (Avit) e il Comune di Nepi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014, con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/01/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)