Cass. Sez. III n. 24254 del 6 giugno 2023 (CC 13 apr 2023)
Pres. Ramacci Rel. Noviello Ric. Cricelli
Urbanistica.Lottizzazione e confisca

Pur nella verifica del rispetto del principio di proporzionalità, non può trascurarsi il dato per cui l’essenza del reato di lottizzazione è individuabile nel pregiudizio alla riserva di programmazione pubblica del territorio effettuata in assenza del previsto piano di lottizzazione o in presenza di un piano contrastante con gli strumenti urbanistici e le previsioni normative. Il portato di tale presupposto, pur esaminato sotto il profilo del rispetto del principio di tutela della proprietà in sede di applicazione della confisca lottizzatoria, si deve identificare nella possibile ablazione, con tale misura, dell’area interessata dall’illecito, non solo in presenza – sulla stessa - di opere abusive concrete (lottizzazione materiale) bensì anche nei casi di mero frazionamento eseguito in attuazione dell’intento lottizzatorio (lottizzazione negoziale) ovvero in casi di realizzazione di entrambe le due attività suindicate (lottizzazione “mista”). Cosicchè, giova osservare, in via generale, come persino in caso di sola lottizzazione negoziale – realizzabile mediante apposita operazione catastale che preceda le vendite o gli atti di disposizione, oppure con ogni altra forma di suddivisione del territorio, da intendersi in modo atecnico, quale  qualsiasi attività giuridica che abbia per effetto la suddivisione in lotti di un'area di più ampia estensione, comunque predisposta od attuata, attribuendone la disponibilità a terzi al fine di realizzare una non consentita trasformazione urbanistica od edilizia del territorio - è astrattamente determinabile la misura della confisca, con riferimento a quelle aree il cui disegno lottizzatorio abbia alterato la potestà pianificatrice del territorio, riconosciuta esclusivamente alla Pubblica Amministrazione.

RITENUTO IN FATTO

    1. Con ordinanza del 9 novembre 2022, la Corte di appello di Catanzaro, adita quale giudice dell’esecuzione da Cricelli Nicola, revocava la confisca disposta con sentenza del tribunale di Vibo Valentia in data 08/07/2014, riformata dalla Corte di Appello con sentenza del 12.1.2016 poi divenuta irrevocabile, limitatamente alle particelle 1530, 1531, 1532, di cui disponeva la restituzione all’avente diritto.

    2.  Avverso tale ordinanza Cricelli Nicola, mediante il proprio difensore, ha proposto ricorso, deducendo un unico motivo di impugnazione.

    3. Deduce il mancato rispetto del principio di proporzionalità per la confisca disposta, non avendo il giudice verificato la sussistenza di tale criterio, indicando, esemplificativamente, taluni casi di ritenuta (dalla difesa) estraneità alla lottizzazione di particelle, invece incluse nella stessa secondo la perizia disposta dalla Corte di appello e condivisa da quest’ultima.
Si aggiunge che la corte, nell’assumere la decisione contestata avrebbe omesso di considerare :
a) la natura del reato di lottizzazione come contestato al Cricelli, atteso che:
- nella sentenza di primo grado emergerebbe la presenza, nell’area dell’intervento, di unità abitative rilevanti per la valutazione degli interventi minimi reputati dalla Corte come ostativi alla restituzione del bene;
- nella stessa sentenza sarebbe stata ritenuta sussistente la lottizzazione per essere stata anticipata la pianificazione dell’ente comunale;
b) se la presenza di un gazebo e di un recinto – insistenti su una piccola porzione di particelle prive di ogni altra trasformazione – potesse integrare, come ritenuto dai giudici, atti idonei a dar corso alla trasformazione del territorio non rientrante nella programmazione urbanistica.
Si osserva, altresì, che la decisione impugnata avrebbe considerato inammissibilmente la confisca quale pena accessoria a carico degli allora imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è inammissibile. Innanzitutto per la mancata indicazione, specifica e puntuale, del vizio dedotto, posto che si lamenta che la corte di appello non avrebbe verificato il rispetto del principio di proporzionalità, senza tuttavia indicare il tipo di vizio in tal modo emerso e quindi dedotto. In proposito, va ribadito che è manifestamente infondato il ricorso connotato da una generica indicazione del vizio, tanto con riguardo alla eventuale violazione di legge, quanto con riferimento al vizio della motivazione, senza alcuna specificazione a tale ultimo riguardo, in termini di carenza, contraddittorietà o illogicità della motivazione. Invero, con riguardo a tale ultimo profilo l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), stabilisce che i provvedimenti sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame».
La disposizione, letta in combinazione con l'art. 581 c.p.p., per cui è onere del ricorrente enunciare tra l’altro i motivi del ricorso, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, evidenzia che non è ammessa l'enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso: consegue che il ricorrente deve specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata. (Sez. 2^, sentenza n. 31811 dell'8 maggio 2012, Rv. n. 254329). Più di recente, la giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente ribadito tale indirizzo, laddove si è precisato che in tema di ricorso per cassazione, la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione, rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, ai sensi degli artt. 581, comma primo, lett. c) e 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio (sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015 Rv. 264535 – 01).
 Si tratta di vizi eterogenei non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento a un medesimo segmento del costrutto motivazionale che sorregge il provvedimento impugnato.
I vizi della motivazione si pongono in rapporto di reciproca esclusione, posto che ove la motivazione manchi, essa non può essere, al tempo stesso, né contraddittoria, né manifestamente illogica; di converso, la motivazione viziata non è mancante; infine, il vizio della contraddittorietà della motivazione (introdotto dall' articolo 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, che ha novellato l'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.) è nettamente connotato rispetto alla manifesta illogicità (cfr. sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015 Rv. 264535).
 Orbene, la sostanziale mescolanza dei motivi di ricorso, cumulati nella indistinta prospettazione di un vizio di motivazione, che si esprime anche sul piano grafico in un unico quanto indistinto motivo sul punto delle censure proposte, connotato dalla progressiva mera elencazione di circostanze di fatto e di argomenti logici mai connessi alla puntuale indicazione del vizio deducibile, rende l’impugnazione “a-specifica”.

    2. In ogni caso e per completezza, il ricorso propone una mera rivalutazione dei fatti - inammissibile per ciò solo in questa sede -, peraltro a tratti destituita dal corretto riferimento a quanto statuito con sentenza ormai irrevocabile, con particolare riguardo alla natura della lottizzazione rinvenuta, di tipo “misto”, piuttosto che meramente negoziale come invece sostenuto dal ricorrente.
Ed è proprio a partire dalla tipologia di reato rinvenuta – connotata dalla realizzazione di opere abusive in uno con atti di asservimento di aree ai distinti lotti e con successivi atti, altresì, di compravendita - che appare coerente e corretta la motivazione con la quale è stata disposta la revoca esclusivamente delle particelle in nessun modo interessate dalla lottizzazione, con inclusione, invece, nell’ambito di operatività della confisca, di quelle aree comunque connotate da una strumentalità rispetto al disegno lottizzatorio abusivo e alla finalizzazione  concreta del medesimo.
In proposito, va ribadito che ai fini del rispetto del principio di protezione della proprietà di cui all'art. 1 del Prot. add. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. il provvedimento ablatorio è legittimo se limitato ai beni immobili direttamente interessati dall'attività lottizzatoria e ad essa funzionali. In tal senso è corretta la scelta della corte di operare una selezione mirata ad applicare la misura non solo alle concrete opere abusive ma anche a quelle stesse aree comunque funzionali alla trasformazione della struttura e dell'area, come del resto citate nello stesso capo di imputazione (cfr. in tal senso Sez. 3 - , n. 14743 del 20/02/2019 Ud.  (dep. 04/04/2019 ) Rv. 275392 - 01
Invero, pur nella verifica del rispetto del principio di proporzionalità, non può trascurarsi il dato per cui l’essenza del reato di lottizzazione è individuabile nel pregiudizio alla riserva di programmazione pubblica del territorio (da ultimo Sez. 3 - n. 23010 del 10/01/2020 Rv. 280338 – 02), effettuata in assenza del previsto piano di lottizzazione o in presenza di un piano contrastante con gli strumenti urbanistici e le previsioni normative.
Il portato di tale presupposto, pur esaminato sotto il profilo del rispetto del principio di tutela della proprietà in sede di applicazione della confisca lottizzatoria, si deve identificare nella possibile ablazione, con tale misura, dell’area interessata dall’illecito, non solo in presenza – sulla stessa - di opere abusive concrete (lottizzazione materiale) bensì anche nei casi di mero frazionamento eseguito in attuazione dell’intento lottizzatorio (lottizzazione negoziale) ovvero in casi di realizzazione di entrambe le due attività suindicate (lottizzazione “mista”).
Cosicchè, giova osservare, in via generale, come persino in caso di sola lottizzazione negoziale – realizzabile mediante apposita operazione catastale che preceda le vendite o gli atti di disposizione, oppure con ogni altra forma di suddivisione del territorio, da intendersi in modo atecnico, quale  qualsiasi attività giuridica che abbia per effetto la suddivisione in lotti di un'area di più ampia estensione, comunque predisposta od attuata, attribuendone la disponibilità a terzi al fine di realizzare una non consentita trasformazione urbanistica od edilizia del territorio (cfr. Sez. 3 - , n. 36397 del 17/04/2019 Rv. 277169 – 01; Sez. 6, n. 48472 del 28/11/2013 Rv. 257457 - 01) - è astrattamente determinabile la misura della confisca, con riferimento a quelle aree il cui disegno lottizzatorio abbia alterato la potestà pianificatrice del territorio, riconosciuta esclusivamente alla Pubblica Amministrazione.
Tale impostazione, del resto, può ritenersi confermata, seppure alla luce di una decisione volta ad escludere la effettuazione della confisca, da questa Suprema Corte, laddove, sebbene con riguardo alla lottizzazione “mista”, ha stabilito che in tema di lottizzazione abusiva, è idonea a rendere superflua la confisca dei terreni, perché misura sproporzionata alla luce dei parametri di valutazione del principio di protezione della proprietà di cui all'art. 1 del Prot. n. 1 della Convenzione EDU, come interpretato dalla pronuncia della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, la effettiva ed integrale eliminazione non solo di  tutte le opere, ma anche dei frazionamenti eseguiti in attuazione dell'intento lottizzatorio, cui sia conseguita, in assenza di definitive trasformazioni del territorio, la ricomposizione fondiaria e catastale dei luoghi nello stato preesistente accertata nel giudizio (Sez. 3 - , n. 12640 del 05/02/2020 Ud.  (dep. 22/04/2020 ) Rv. 278765 – 01). Tale decisione, nella parte in cui consente, in presenza di lottizzazione mista, la esclusione della confisca, purchè si eliminino non solo le opere concrete ma anche le intervenute  alterazioni negoziali della potestà pianificatoria del territorio in capo alla Pubblica Amministrazione, lascia chiaramente intendere, al contrario, la fattibilità della confisca anche solo in presenza di una lottizzazione negoziale e della persistenza delle relative forme di realizzazione, pur diverse dalla concreta alterazione del territorio. Ciò in quanto, posto il bene giuridico tutelato, quale la potestà di programmazione urbanistica del territorio in capo agli enti pubblici competenti, appare assolutamente funzionale a tale tutela, e ben bilanciabile con la tutela del diritto di proprietà, la confisca di aree finchè esse siano comunque organizzate, ancorchè solo sul piano negoziale, in maniera da contrastare ovvero impedire la libera potestà di pianificazione della Pubblica Amministrazione.
Tanto del resto è in linea con quanto già in altre precedenti sentenze sancito da questa Suprema Corte, che ha precisato sia che l'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede la confisca tanto "dei terreni abusivamente lottizzati" quanto "delle opere abusivamente costruite", “cosicché la misura appare contemplata indipendentemente dalla edificazione, essendo terreni lottizzati anche quelli oggetto di lottizzazione meramente negoziale”, sia che “i "terreni lottizzati" ovvero "rientranti nel generale progetto lottizzatorio" vanno identificati in quelli che risultano oggetto di un'operazione di frazionamento preordinata ad agevolarne l'utilizzazione a scopo edilizio. Ove esista, pertanto, un preventivo frazionamento, “va confiscata tutta l'area interessata da tale frazionamento, nonché dalla previsione delle relative infrastrutture ed opere di urbanizzazione, indipendentemente dall'attività di edificazione posta concretamente in essere” (cfr. in motivazione Sez. 3 - n. 14743 del 20/02/2019 Rv. 275392 – 01).
Da tutto ciò discende che, nel caso di specie, inerente, va ribadito, una lottizzazione “mista”, la Corte di appello ha correttamente incluso nella confisca non solo le aree connotate da interventi materiali ma anche quelle asservite strumentalmente al disegno lottizzatorio.
Né, alla luce dei principi esposti, appare possibile una netta quanto esclusiva delimitazione della confisca alla sola area di sedime delle concrete opere realizzate (così da tradire il sopra citato profilo “funzionale” che assumono tanto gli interventi materiali che negoziali e che può giustificare l’estensione della lottizzazione e della sua confisca ben oltre la mera materialità dell’intervento)  - come correttamente ritenuto dalla corte e del resto riconosciuto dallo stesso ricorrente, laddove ha espressamente escluso la possibilità di “frazionare” talune particelle includendole nella confisca solo per la parte ove insista un’opera materiale -.
Né è apprezzabile la richiesta del ricorrente stesso volta, piuttosto, alla  restituzione anche di aree interessate da opere concrete, sul mero personale rilievo del carattere “marginale” delle stesse rispetto all’illecito lottizzatorio.
A tale ultimo riguardo, al di là della intrinseca inammissibilità, in questa sede, di valutazioni meramente fattuali, come quella da ultimo qui riportata (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), osta all’apprezzamento di un giudizio di “marginalità” di opere edili rispetto al disegno lottizzatorio, lo stesso principio di “non frammentarietà” di interventi abusivi, espresso più volte in ordine alla realizzazione di opere edilizie (tra le altre Cass. Pen. Sez. III del 17.11.2011 Rv 252125; Cass. Pen. Sez. III del 6.11.2002 rv. 223365), ma certamente mutuabile anche in tema di lottizzazione, per la sua ratio tesa a consentire la completa valutazione degli interventi e della loro strumentalità rispetto all’illecito finale.
Depone in tal senso anche una seppur rapida considerazione della tipologia, talvolta all’apparenza anche secondaria, degli interventi in grado di definire un illecito lottizzatorio; i quali vanno, come già detto, dal mero frazionamento funzionale alla lottizzazione, fino alla creazione di rilevanti interventi edili e urbanistici, passando tuttavia anche per la realizzazione di interventi all’apparenza meno impattanti di edifici e solo apparentemente secondari, quali  la esecuzione di talune opere di urbanizzazione primaria e secondaria, poiché queste compromettono ulteriormente le scelte di pianificazione dell'assetto urbanistico riservate alla pubblica amministrazione (Sez. 3, n. 42361 del 18/09/2013 Rv. 257731 – 01), oppure ogni altra condotta che tenda a consolidare le trasformazioni già attuate mediante modifiche, migliorie o integrazioni del preesistente (Sez. 3, n. 41479 del 24/09/2013 Rv. 257735 – 01) o anche la materiale suddivisione di un fondo attraverso la realizzazione di muretti e recinzioni per separare i singoli lotti dall'area in cui era stato abusivamente realizzato un edificio (Sez. 3, n. 6180 del 04/11/2014 (dep. 11/02/2015 ) Rv. 262387 – 01) e, più in generale, ogni intervento che si conformi al disegno lottizzatorio.
Ciò in quanto, ai fini lottizzatori, va ribadito, non rileva esclusivamente la ampiezza della consistenza materiale di un intervento, quanto, piuttosto, la sua funzionalità rispetto ad una ridefinizione “privata” dell’assetto organizzativo di un’area.
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, Roma, 13 aprile 2023