Cons.di Stato Sez. VI, n. 3330 del 6 giugno 2012
Urbanistica.Pluralità di istanze di sanatoria per il medesimo complesso edilizio, esame contestuale.

In caso d’istanza di condono, l’intervento realizzato abusivamente deve essere conforme agli strumenti della pianificazione territoriale, agli atti di governo, nonché al regolamento edilizio vigenti, sia al momento della realizzazione dell'opera che al momento della presentazione della domanda. Peraltro, ai fini della razionalità dell’azione amministrativa e del rispetto del principio costituzionale di buon andamento, l’Amministrazione comunale deve esaminare contestualmente l’eventuale pluralità di istanze di sanatoria prodotte in riferimento a un medesimo complesso edilizio, e ciò al fine precipuo di contrastare, ove ne ricorra il caso, artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell’abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può ora essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell’intervento finalizzata all’elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa. La valutazione dell’abuso edilizio presuppone, dunque, una visione complessiva e non atomistica dell’intervento giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento ma dall’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (segnalazione e massima di F. Albanese)

N. 03330/2012REG.PROV.COLL.

N. 01744/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 74 Cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 1744 del 2012, proposto da:

Viccica Onofria, rappresentata e difesa dall'avvocato Guido Giovannelli, con domicilio eletto presso Gian Marco Studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Comune di Piombino, non costituito;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE III n. 201/2012, resa tra le parti;



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2012 il Cons. Claudio Boccia e udito per la parte appellante l’avvocato Buccellato per delega dell'avvocato Giovannelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1.La signora Onofria Vicicca, appellante, espone di essere proprietaria di un annesso agricolo in Piombino, località Fabbriciane, condonato con provvedimento dell’8 novembre 1999, e che aveva presentato il 22 settembre 2008 istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art.140 l.r. Toscana 3 gennaio 2005, n.1 (Norme per il governo del territorio), per la sostituzione di detto annesso con un manufatto in muratura.

Il comune di Piombino, con nota del 3 aprile 2009, aveva comunicato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda, cui aveva fatto seguito il provvedimento del dirigente del settore Programmazione territoriale ed economica del 18 maggio 2009. con cui era stata respinta l’istanza.

Il diniego era motivato sul fatto che l’intervento comportava un incremento volumetrico non ammesso dagli strumenti urbanistici; che la porzione di fabbricato, connessa con l’immobile per cui era stata chiesta sanatoria, non risultava demolita; che il manufatto non risultava conforme, per tipologia costruttiva ed architettonica, all’art.5 Regolamento approvato con delibera del Consiglio comunale n.10 del 16 febbraio 2000.

Seguiva poi il provvedimento del 4 giugno 2009 dello stesso dirigente, contenente l’ordine di demolire sia dell’immobile per cui era stata chiesta la sanatoria sia della struttura connessa.

La Vicicca impugnava entrambi i provvedimenti con il ricorso n.1453 del 2009, che veniva respinto dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana con la sentenza qui appellata.

2. Avverso detta sentenza la Vicicca proponeva l’appello (ricorso n.1174 del 2012) deducendo quattro motivi di impugnazione.

2.1.Con il primo motivo contestava che l’intervento comporti un aumento del volume del fabbricato non ammesso dagli strumenti urbanistici: infatti per calcolare il volume del fabbricato occorre applicare le norme vigenti alla presentazione della domanda di sanatoria, non quelle del regolamento dell’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, con i loro differenti criteri di calcolo della volumetria degli. Inoltre, anche applicando questi criteri la cubatura dell’edificio è inferiore alla volumetria oggetto di condono.

Il motivo è infondato.

Rispetto allo stato del fabbricato risultante agli atti dalla pratica di condono, risulta che il manufatto presenta un incremento di cubatura di circa 7 mc (da mc 88,75 a mc 95,76).

Va anzitutto affrontata la questione della normativa di riferimento nel tempo, considerando che in base ai criteri dell’art.3 del sopravvenuto (rispetto al fatto compiuto, a dire dell’interessata) Regolamento comunale approvato con delibera del 16 febbraio 2000 sono possibili interventi di demolizione e ricostruzione di manufatti in situazioni precarie a condizione che sia mantenuta la cubatura originaria, al netto delle murature esterne per un massimo di trenta centimetri.

E’ dirimente al riguardo il disposto dell’art.140 (accertamento di conformità) l.r. Toscana n.1 del 2005, a tenore del quale“l’intervento realizzato” deve essere “conforme agli strumenti della pianificazione territoriale, agli atti di governo, nonché al regolamento edilizio vigenei, sia al momento della realizzazione dell'opera che al momento della presentazione della domanda”: fattispecie in cui non ricade, per quanto detto, il manufatto in questione.

Legittimamente, dunque, l’Amministrazione comunale ha negato l’accoglimento della domanda in sanatoria presentata dall’appellante ai sensi dell’art. 140 predetto.

2.2. Con il secondo motivo l’appellante lamenta l’illegittimità del diniego di sanatoria nella parte in cui rileva che l’omessa ottemperanza a un precedente ordine di demolizione, relativo ad una parte di fabbricato non oggetto della ’istanza di accertamento di conformità, impedisce la sanatoria. Essa aggiunge di aver presentato nel 2004 al Comune due distinte istanze di condono edilizio, per due autonomi interventi eseguiti in tempi diversi: una riferita al fabbricato oggetto di demolizione e ricostruzione, un’altra ad un ampliamento costituente un appendice, indipendente funzionalmente e strutturalmente, dal predetto fabbricato.

Il rilievo è infondato.

Dagli atti del processo risulta che i due interventi (ricostruzione dell’annesso agricolo e chiusura della tettoia) siano stati contestuali (cfr. ordinanza di ingiunzione a demolire del 10 giugno 2009, prot. n.14712) risultando entrambi ultimati il 30 gennaio 2003 (cfr. relazione dell’Ufficio abusivismo edilizio e paesaggistico dell’11 maggio 2011). Ciò comporta che i due interventi - come correttamente rilevato dall’Amministrazione comunale – non possono qui essere artificiosamente frammentati, per il solo fatto della presentazione di due istanze messa in opera dalla ricorrente, ma vanno ricondotti in realtà ad un unico ed unitario intervento, che è quello che ha nei fatti, dunque nella realtà materiale, portato alla creazione di un organismo edilizio che è diverso per forma e dimensioni da quello preesistente.

Invero, ai fini della razionalità dell’azione amministrativa e del rispetto del principio costituzionale di buon andamento, l’Amministrazione comunale deve esaminare contestualmente l’eventuale pluralità di istanze di sanatoria prodotte in riferimento a un medesimo complesso edilizio, e ciò al fine precipuo di contrastare – ove ne ricorra il caso - artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell’abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può ora essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell’intervento finalizzata all’elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa.

La valutazione dell’abuso edilizio presuppone dunque una visione complessiva e non atomistica dell’intervento giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento ma dall’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio.

Così ha, doverosamente e correttamente, operato il Comune di Piombino.

La censura è dunque senza fondamento.

Per quanto riguarda il requisito della doppia conformità valgono le considerazioni già espresse aul primo motivo di ricorso.

2.3.Con il terzo motivo l’appellante contesta l’illegittimità del diniego di sanatoria nella parte in cui assume che l’intervento non è conforme, per tipologia costruttiva ed architettonica, alle prescrizioni dell’art.5 del Regolamento approvato con delibera del Consiglio comunale n.10 del 16 febbraio 2000.

La censura è infondata.

Le aperture esterne dell’immobile e la loro superficie non sono conformi a quanto previsto dall’art.5 del citato Regolamento n.10 del 2000: ciò non è stato contestato dall’appellante che si è soffermata sull’interpretazione da dare alla disposizione, sostenendo che in base a quanto da quella disposto il rispetto di tali parametri è previsto in via preferenziale.

La considerazione non è condivisibile, posto che l’avverbio “preferibilmente” è collocato - come correttamente ha rilevato il giudice di primo grado - nella prima parte del terzultimo comma, riferita alla distinta prescrizione su forma e ubicazione delle aperture esterne.

Analogamente, priva di pregio è l’osservazione che la domanda di sanatoria va accolta in presenza di lievi difformità eliminabili con correttivi sull’esistente, perché la difformità delle aperture non ha costituito l’unica ragione del diniego opposto dal Comune all’istanza.

2.4. Con il quarto motivo la Vicicca lamenta l’autonoma illegittimità del provvedimento di ingiunzione alla demolizione, per la parte relativa al realizzato ampliamento, in relazione all’insussistenza delle condizioni necessarie per applicare l’art.132 l.r. Toscana 3 gennaio 2005, n.1.

Il motivo è infondato.

L’ordinanza ripristinatoria si riferisce, per le ragioni dette, non solo all’ampliamento realizzato mediante tamponatura della tettoia ma anche al manufatto risultante dalla demolizione e ricostruzione dell’annesso agricolo cui la tettoia è materialmente collegata, bene assoggettando a una valutazione unitaria gli interventi effettuati che hanno determinato una sostituzione della precedente struttura con una nuova, diversa per forma e per dimensioni, con la conseguenza di far si che l’abuso non sia configurabile come intervento sull’esistente o come opera pertinenziale e che ad esso si possano applicare le conseguenze sanzionatorie previste dalla vigente normativa e non quelle richieste dall’appellante.

3.Per quanto sin qui esposto l’appello è da ritenersi infondato e, pertanto, va respinto.

4. Nulla va disposto circa le spese, non essendosi costituito il Comune di Piombino.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Claudio Boccia, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/06/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)