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Sez. 3, Sentenza n. 35843 del 03/09/2004 (Ud. 23/06/2004 n.01434 ) Rv. 229134
Presidente: Dell'Anno P. Estensore: Grillo C. Imputato: Rizzo. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, App. Lecce, 28 novembre 2003).
ACQUE - Tutela dall'inquinamento - Scarichi - Da frantoio - Natura di insediamento produttivo - Assimilabilità agli scarichi di acque domestiche - Condizioni - Assenza - reato di cui all'art. 59 D.Lgs. n. 152 del 1999 - Configurabilità.
CON MOTIVAZIONE
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Massima (Fonte CED Cassazione)
Lo scarico senza autorizzazione delle acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive configura il reato di cui all'art. 59 del D.Lgs. 11 maggio 1999 n. 152, atteso che i frantoi oleari costituiscono installazioni nelle quali si svolgono attività di produzione di beni, con la sola eccezione della possibile assimilazione delle acque di scarico a quelle domestiche in presenza delle condizioni di cui all'art. 28, comma settimo, del citato decreto n. 152.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DELL'ANNO Paolino - Presidente - del 23/06/2004
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere - N. 1434
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere - N. 5795/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RIZZO GIUSEPPE, nato a Francavilla Fontana il 6/3/1969;
avverso la sentenza n. 1171/03 del 28/11-11/12/2003, pronunciata dalla Corte di Appello di Lecce.
- Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
- udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Carlo M. Grillo;
- udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. PASSACANTANDO G., con cui chiede il rigetto del ricorso;
- udito il difensore, avv. P. Annicchiarico, che insiste sui proposti motivi;
la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELIA DECISIONE
Con la sentenza indicati in epigrafe la Corte di Appello di Lecce confermava quella 7/3/2002 del Tribunale di Brindisi-Sezione di Mesagne, in composizione monocratica, con la quale Rizzo Giuseppe - amministratore del frantoio oleario "Antonio Rizzo & figli s.r.l."- era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 2 di arresto per il reato continuato di cui all'art. 59, comma 3, D.L.vo n. 152/1999, accertato il 18/1/2000 (scarico in pubblica fognatura di acque reflue industriali derivante dalla molitura delle olive, in assenza della prescritta autorizzazione e con superamento dei valori limite di emissione relativamente al parametro "fenoli"). Avverso detta sentenza ricorre l'imputato, deducendo: 1) erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. 'b', c.p.p., in relazione agli artt. 59, commi 1 e 3, D.L.vo n. 152/1999 e 52, comma 2, D.L.vo n. 22/1997), essendo la fattispecie in esame regolata da tale ultima norma e non dalla prima, applicata invece dai giudici di merito, trattandosi di rifiuti liquidi e non di acque reflue, giacché, nel caso di specie, manca la prova dell'esistenza di uno scarico diretto delle stesse nel corpo recettore e non esiste alcuna canalizzazione tra le vasche di deposito temporaneo delle acque di vegetazione (derivanti dalla lavorazione delle olive) e la rete fognaria pubblica; 2) erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. 'b', c.p.p., in relazione all'art. 59, commi 1 e 3, D.L.vo n. 152/1999), giacché la contravvenzione in questione si configura come reato "comune", per cui non ne risponde necessariamente il titolare dell'azienda, ma chi concretamente è responsabile dell'immissione, e nel caso in esame manca qualsiasi prova sul punto; 3) erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. 'b', c.p.p., in relazione agli artt. 54 e 59, commi 1 e 3, D.L.vo n. 152/1999), ricorrendo al più, nel caso di specie, la violazione amministrativa prevista dal menzionato art. 54, trattandosi di immissione occasionale; 4) carenza di motivazione della sentenza relativamente alla sussistenza del reato continuato ex art. 81 cpv c.p., contestato nel capo di imputazione (art. 606, comma 1 lett. 'e', c.p.p.), in quanto nulla si dice in ordine alla pluralità di azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso protese alla commissione del reato di cui all'art. 59 D.L.vo n. 152/1999.
All'odierna udienza il P.M. conclude come riportato in epigrafe. Il ricorso è infondato.
Il fatto ascritto all'imputato è di aver continuativamente scaricato, direttamente nella rete pubblica fognaria, senza titolo autorizzativo, le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive prodotte dal suo frantoio. Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (tra tante: Cass. Sez. 3^, 22 gennaio 2003, n. 10626, Zomparelli; 31 maggio 2002, n. 26614, Iannotti; 18 febbraio 2000, n. 4063, Rossi), lo scarico dei reflui derivanti dalla molitura delle olive, effettuato senza l'autorizzazione prevista dal D.L.vo n. 152/1999, configura il reato di cui all'art. 59 del citato decreto, anche in caso di recapito in fognatura, atteso che i frantoi oleari costituiscono installazioni in cui si svolgono attività di produzione di beni, a meno che le acque di scarico possano essere assimilate a quelle "domestiche" - ex art. 28, comma 7 lett. c), del decreto 152 - il che presuppone che esse provengano dalle imprese che esercitano attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente per almeno due terzi esclusivamente dall'attività di coltivazione dei fondi dei quali si abbia a qualsiasi titolo la disponibilità.
Quindi i reflui in questione, non risultando ricorrere le condizioni prescritte dal menzionato art. 28, ipotesi peraltro nemmeno invocata dalla difesa, non possono essere assimilati a quelli domestici, donde la astratta configurabilità del reato.
Con la nuova disciplina, però, il concetto di scarico necessitante la previa autorizzazione è quello delineato dall'art. 2, lett. 'bb', D.L.vo n. 152/1999, limitato a qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue comunque convogliabili; in altri termini, ora lo scarico, da una parte non comprende più le immissioni occasionali, dall'altra presuppone sempre l'esistenza di una condotta, e cioè di un sistema stabile - anche non costituito da una tubazione - con il quale si consente il passaggio o il deflusso delle acque reflue. Senza il tramite di una condotta, o di un sistema di convogliabilità, non è quindi applicabile la normativa sulle acque (D.L.vo n. 152/1999), bensì quella sui rifiuti (D.L.vo n. 22/1997), essendo il refluo considerato alla stregua del rifiuto liquido. Nel caso di specie, la prima doglianza verte proprio sulla disciplina applicabile, che secondo l'imputato deve essere quella del "decreto Ronchi", mancando la prova della immissione diretta dei reflui, derivanti dalla lavorazione delle olive, nella rete fognaria. Alla censura, già proposta in appello, forniscono adeguata risposta sia la sentenza impugnata che quella di primo grado. I giudici di merito, con accertamento "in fatto" incensurabile in questa sede in quanto adeguatamente motivato, hanno escluso - nel caso in esame - qualsiasi interruzione tra "fonte" e "corpo recettore", preso atto della canalizzazione dei reflui provenienti dal frantoio prima attraverso il pozzetto dell'E.A.A.P., di pertinenza esclusiva dello stesso, dove venne effettuato il prelievo, e poi attraverso le condotte della rete fognaria sfocianti nel canale "Reale". Del resto è emerso nel dibattimento, come ricorda la gravata sentenza, che le opere di canalizzazione interne all'azienda (dal frantoio alla vasca di raccolta) vennero ultimate dopo i fatti per cui è processo. Dunque nessun dubbio nutrono i giudici del merito in ordine alla circostanza sopra indicata, evidenziando peraltro come lo stesso imputato abbia ammesso sia che il frantoio aveva "lavorato", pur in difetto di autorizzazione, per non andare incontro a problemi economici, sia che i reflui venivano immessi nella fogna. Si trattava, quindi certamente di scarico non occasionale, ma tutt'al più discontinuo. Basti pensare che, pur essendo stato accertato lo sversamento in questione il 18/1/2000, si è reso necessario - due mesi dopo (il 28/3/2000) - il sequestro preventivo del frantoio perché dalle ispezioni dei funzionari ASL era risultato che continuava ad usare lo stesso sistema di eliminazione dei reflui. Si ricorda in proposito che lo "scarico discontinuo" di reflui è quello che, sia pure qualificato dai requisiti della irregolarità, dell'intermittenza e della saltuarietà, risulta tuttavia collegato ad un determinato ciclo produttivo industriale, ancorché di carattere non continuativo; diversa l'ipotesi dello scarico occasionale, caratterizzato invece dall'effettuazione fortuita ed accidentale.
Del primo, pacificamente, permane la rilevanza penale anche dopo l'entrata in vigore del D.L.vo n. 152/1999, come modificato dal D.L.vo n. 258/2000 (in tal senso, tra tante: Case. Sez. 3^, 7 novembre 2000, n. 12974, Lotti; Sez. 3^, 22 marzo 1989, n. 5673, Dall'Ora), mentre la mancata autorizzazione del secondo ed il superamento dei valori limite, non sono più sanzionati dalla legge, essendo stato espunto il riferimento alle "immissioni occasionali" dagli artt. 54 e 59, ad opera della menzionata novella del 2000 (art. 23, comma 1 lett. 'e')(così: Cass. Sez. 3^, 14 giugno 2002, n. 29651, PG/Paolini).
Per quanto concerne, infine, la doglianza in ordine
all'addebitabilità al Rizzo dei fatti rubricati, si rileva che entrambe le sentenze motivano adeguatamente sul punto, giungendo alla argomentata esclusione che i reflui de quibus potessero avere provenienza diversa da quella del frantoio in questione. Peraltro, come si è detto, ci sono in proposito anche precise ammissioni dell'imputato e non è stato dallo stesso evidenziata alcuna delega di funzioni nell'ambito aziendale.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2004.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2004