Cass. Sez. III n.41845 del 7 novembre 2008 (Ud. 30 set. 2008)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Trozzi
Acque. Reflui da allevamento
Si deve ritenere, pertanto, oramai sanzionato solo in via amministrativa, ai sensi dell\'art. 133, comma 2, del D.Lgs. n. 152/06, lo scarico senza autorizzazione degli effluenti di allevamento e l\'unica eccezione rimane quella - richiamata ad excludendum dal comma 7 dell\'art. 101 - dell\'art. 112 del D.Lgs. n. 152/06, che regola la "utilizzazione agronomica" come definita dall\'art. 74, letto p), dello stesso testo normativo [utilizzazione, quest\'ultima, che continua a mantenere rilevanza penale, ex art. 137, comma 14, nelle ipotesi in cui avvenga al di fuori dei casi e delle procedure previsti). Anche la Tabella 6 dell\' Allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 è stata implicitamente abrogata per effetto della modifica dell\'art. 101, settimo comma, lett. b).
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Trozzi
Acque. Reflui da allevamento
Si deve ritenere, pertanto, oramai sanzionato solo in via amministrativa, ai sensi dell\'art. 133, comma 2, del D.Lgs. n. 152/06, lo scarico senza autorizzazione degli effluenti di allevamento e l\'unica eccezione rimane quella - richiamata ad excludendum dal comma 7 dell\'art. 101 - dell\'art. 112 del D.Lgs. n. 152/06, che regola la "utilizzazione agronomica" come definita dall\'art. 74, letto p), dello stesso testo normativo [utilizzazione, quest\'ultima, che continua a mantenere rilevanza penale, ex art. 137, comma 14, nelle ipotesi in cui avvenga al di fuori dei casi e delle procedure previsti). Anche la Tabella 6 dell\' Allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 è stata implicitamente abrogata per effetto della modifica dell\'art. 101, settimo comma, lett. b).
Il Tribunale monocratico di Sulmona, con sentenza del 17.10.2007, affermava la responsabilità penale di Trozzi Claudio in ordine al reato di cui;
— all’art. 59, 1° comma, D.Lgs. n. 152/1999 (per avere — quale titolare di un allevamento di ovini con annesso laboratorio per la trasformazione del latte — effettuato, attraverso un’unica conduttura, scarichi non autorizzati nel sottosuolo dei reflui prodotti — acc. in agro di Pescocostanzo, il 21.10.2004)
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di euro 4.000,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Trozzi, il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio della motivazione — ha eccepito:
— la erroneità della equiparazione alle c.d. “acque reflue industriali” degli scarichi provenienti dall’impresa agricola da lui gestita, prospettando che sarebbe stata incongruamente esclusa l’assimilabilità di tali scarichi alle “acque reflue domestiche”;
— la insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti di seguito specificati.
1. Per un esatto inquadramento della vicenda deve premettersi che, secondo l’accertamento effettuato in punto di fatto dal giudice del merito:
— il Trozzi gestiva, quale comodatario, un’impresa agricola per l’allevamento di ovini (indicati in 350 capi nell’atto di comodato) con annesso laboratorio per la trasformazione del latte (attività, quest’ultima, esercitata con modalità discontinue);
— tutti gli effluenti liquidi della struttura aziendale (provenienti dall’abitazione dell’imputato, dalla stalla e dal laboratorio caseario) venivano scaricati promiscuamente ed attraverso un’unica conduttura — senza alcuna autorizzazione amministrativa — in una buca sita in un terreno limitrofo.
2. In relazione alla contestata condotta di scarico non autorizzato di reflui provenienti dall’allevamento zootecnico, va evidenziato che:
a) Nella vigenza della legge 10.5. 1976, n. 319— tenuto conto che, in seguito dell’entrata in vigore del D.L. 17.3.1995, n. 79, convertito nella legge 17.5.1995, n. 172, l’apertura o la effettuazione di scarichi civili sul suolo o nel sottosuolo senza la prescritta autorizzazione non costituiva più reato e che, in forza di quanto stabilito dall’ultimo comma dell’art. 1 quater del D.L. 10.8.1976, n. 544, convertito con modificazioni nella legge 8.10.1976, n. 690, le imprese agricole di cui all’art. 2135 cod. civ. erano considerate insediamenti civili — la giurisprudenza di questa Corte Suprema era costantemente orientata nel senso che l’allevamento di bestiame non costituisse espressione dell’impresa agricola (legislativamente considerata insediamento civile) ma rientrasse nella nozione di insediamento produttivo quando nel rapporto terra-animali, con riferimento alla previsione dell’art. 2135, 2° comma, cod. civ., non fosse la prima ad avere ruolo e funzione preponderanti.
Per aversi impresa agricola (e conseguentemente insediamento civile) era ritenuta essenziale, dunque, la “connessione funzionale dell’allevamento con la coltivazione della terra” e, tra i criteri di individuazione di tale connessione, si faceva riferimento a quelli (del rapporto tra spazio disponibile e numero dei capi di bestiame; della proporzione tra il terreno coltivato ed il peso vivo degli animali allevati; della destinazione all’allevamento dei due terzi del prodotto strettamente agricolo del fondo) indicati dalla delibera 8.5.1980 del Comitato interministeriale di cui all’art. 3 della medesima legge n. 319/1976.
Veniva altresì affermato che tali criteri costituivano, comunque, parametri non esclusivi di riferimento, rimanendo fondamentale — per determinare la natura agricola dell’allevamento di bestiame - la prevalenza dell’attività di coltivazione della terra e la complementarietà ad essa funzionale dell’allevamento (che non doveva rappresentare, in sostanza, l’attività principale).
b) Il DLgs. 11.5.1999, n. 152 (che abrogò espressamente le leggi n, 319/1976, n. 690/1976 e n. 172/1995) sostituì — come è noto — la distinzione tra insediamenti produttivi e civili (che presupponeva una diversa qualità delle acque di scarico in relazione alla provenienza) con quella tra:
— “acque reflue industriali”, nozione ricomprendente “qualsiasi tipo di scarico di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali e industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”
— ed “acque reflue domestiche o di reti fognarie” (per le quali è stata esclusa la sanzione penale in mancanza dell’autorizzazione), intendendosi per “acque reflue domestiche” quelle “provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”,
Si passò, dunque, dalla precedente distinzione di disciplina per tipi di insediamento ad una distinzione per tipi di acque di scarico.
Quanto alle imprese agricole, il 7° comma dell’art. 28 del DLgs. n. 152/1999, nella sua formulazione originaria — tutto salvo quanto previsto dal successivo art. 38 (in materia di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento zootecnico) e dalle diverse normative regionali — assimilava alle “acque reflue domestiche” quelle provenienti da “imprese dedite all’allevamento di bestiame che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione” (lett. b).
e) Il 7° comma dell’art. 28 del DLgs. a 152/1999 venne poi sostituito dall’art 9 del Dlgs. 11.8.2000, n. 258 ed in particolare, quanto alla lettera b), venne previsto che il calcolo della misura dei 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento non fosse più da effettuarsi “al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione”, come nel testo originario, bensì relativamente alla quantità prodotta “per un anno da computare secondo le modalità di calcolo stabilite alla Tabella 6 dell’Allegato 5”.
Per gli allevamenti esistenti il nuovo criterio di assimilabilità si applicò a partire dal 13 giugno 2002.
d) La disciplina originariamente posta dall’art. 101, 7° comma — lett. b), del D.L.gs. 3.4.2006, n. 152 (testo normativo che ha espressamente abrogato il DLgs. n. 152/1999, come modificato dal D.Lgs, n. 258/2000), assimilava alle “acque reflue domestiche” quelle provenienti da “imprese dedite ad allevamento di bestiame che, per quanto riguarda gli effluenti dell’allevamento praticano l’utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’art. 212, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto”.
In detta Tabella viene fissato il “peso vivo medio corrispondente ad una produzione di 340 kg. dì azoto per anno, al netto delle perdite di rimozione e stoccaggio” e detto peso, per gli ovicaprini, viene determinato in tonnellate 3,4.
e) La lett. b) dell’art. 101, 7° comma, del D.Lgs. n. 152/2006 è stata modificata dall’art. 2 comma 8, del D.Lgs. 16.1.2008, n. 4 e sono state eliminate le due condizioni che, nella versione originaria, consentivano l’assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque provenienti da imprese di allevamento di bestiame e cioè:
- la pratica, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, dell’utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’art. 112, comma 2;
- la disponibilità di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. n. 152/2006. Detta tabella, però, non è stata espressamente abrogata dal D.Lgs. n. 4/2008.
La modifica normativa va correlata alle finalità di ribadire con chiarezza la netta separazione tra il concetto di utilizzazione agronomica e quello di scarico e di ridurre la possibilità di sottrarre al regime dei rifiuti le acque provenienti da allevamenti di bestiame.
2.1 Alla stregua della disciplina attuale questa Sezione ha già affermato (Cass., Sez. III, 2.7.2008 n. 26532, ric. Calderone) che il D.Lgs. n. 4/2008 — innovando sensibilmente le precedenti disposizioni — parifica oramai automaticamente alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti dall’attività di allevamento del bestiame.
L’ultima modifica normativa, avendo comportato il venire meno della “connessione funzionale dell’allevamento con la coltivazione della terra” e dei criteri di individuazione di tale connessione, ha capovolto sostanzialmente i termini della questione rispetto alla disciplina già posta dal DLgs. n. 152/06. Mentre, infatti, secondo la normativa pregressa, le acque reflue provenienti da una attività di allevamento del bestiame andavano considerate, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, come acque reflue industriali, e solo eccezionalmente potevano essere assimilate, ai detti fini, alle acque reflue domestiche qualora fosse dimostrata la presenza delle condizioni indicate dalla legge; attualmente, per effetto della modifica di più recente introduzione, l’assimilazione (prevista al riformulato comma 7 dell’art. 101) alle acque reflue domestiche di quelle provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame è divenuta la regola.
Si deve ritenere, pertanto, oramai sanzionato solo in via amministrativa, ai sensi dell’art. 133, comma 2, del D.Lgs. n. 152/06, lo scarico senza autorizzazione degli effluenti di allevamento e l’unica eccezione rimane quella — richiamata ad excludendum dal comma 7 dell’art. 101 — dell’art. 112 del D.Lgs. n. 152/06, che regola la “utilizzazione agronomica” come definita dall’art. 74, lett. p), dello stesso testo normativo [utilizzazione, quest’ultima, che continua a mantenere rilevanza penale, ex art. 137, comma 14, nelle ipotesi in cui avvenga al di fuori dei casi e delle procedure previsti.
Questo Collegio condivide e ribadisce le argomentazioni dianzi svolte, ritenendo (pur nella consapevolezza di qualche divergente interpretazione dottrinaria) che anche la Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 è stata implicitamente abrogata per effetto della modifica dell’art. 101, 70 comma - lett. b).
La sentenza impugnata, di conseguenza, deve essere annullata senza rinvio — limitatamente allo scarico non autorizzato di reflui provenienti dall’allevamento zootecnico — perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed in relazione a tale condotta gli atti, ai sensi dell’art. 135 del D.Lgs. n. 152106, vanno trasmessi alla Regione Abruzzo per i profili di competenza.
3. Il ricorso, invece, deve essere rigettato in relazione alla contestata condotta di scarico non autorizzato di reflui provenienti dal laboratorio di trasformazione del latte annesso all’azienda di produzione, che costituiscono senza alcuna incertezza “acque reflue industriali” [i caseifici erano già stati considerati insediamenti produttivi da Cass., Sez. III: 21.6.1994, Scauri; 21.6.1993, Magnani; 17.5.1990, Campana].
Della contravvenzione di cui all’art. 59, 1° comma, D.Lgs. n. 152/1999 [attualmente art. 137, 1° comma, del D.Lgs. n. 152/2006] si risponde anche a titolo colpa. Per la sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente, quindi, che il comportamento illecito sia derivato da imperizia, imprudenza o negligenza.
L’ignoranza della legge penale scusa l’autore dell’illecito soltanto se incolpevole a cagione della sua inevitabilità (Corte Cost., 23.3.1998, n. 364) e, nella fattispecie in esame, correttamente è stato escluso che l’imputato abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al c.d. “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di tutti quegli accertamenti necessari ed utili per conseguire l’esatta conoscenza della normativa vigente.
Né il convincimento della liceità della propria condotta può essere tratto da comportamenti e da atti di organi amministrativi diversi da quelli preposti all’espletamento della procedura autorizzatoria.
4. In seguito all’esclusione della rilevanza penale della condotta di scarico dall’allevamento, va disposto, infine, il rinvio al Tribunale di Sulmona per la determinazione della pena da correlarsi all’illecito residuo.
— all’art. 59, 1° comma, D.Lgs. n. 152/1999 (per avere — quale titolare di un allevamento di ovini con annesso laboratorio per la trasformazione del latte — effettuato, attraverso un’unica conduttura, scarichi non autorizzati nel sottosuolo dei reflui prodotti — acc. in agro di Pescocostanzo, il 21.10.2004)
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di euro 4.000,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Trozzi, il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio della motivazione — ha eccepito:
— la erroneità della equiparazione alle c.d. “acque reflue industriali” degli scarichi provenienti dall’impresa agricola da lui gestita, prospettando che sarebbe stata incongruamente esclusa l’assimilabilità di tali scarichi alle “acque reflue domestiche”;
— la insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti di seguito specificati.
1. Per un esatto inquadramento della vicenda deve premettersi che, secondo l’accertamento effettuato in punto di fatto dal giudice del merito:
— il Trozzi gestiva, quale comodatario, un’impresa agricola per l’allevamento di ovini (indicati in 350 capi nell’atto di comodato) con annesso laboratorio per la trasformazione del latte (attività, quest’ultima, esercitata con modalità discontinue);
— tutti gli effluenti liquidi della struttura aziendale (provenienti dall’abitazione dell’imputato, dalla stalla e dal laboratorio caseario) venivano scaricati promiscuamente ed attraverso un’unica conduttura — senza alcuna autorizzazione amministrativa — in una buca sita in un terreno limitrofo.
2. In relazione alla contestata condotta di scarico non autorizzato di reflui provenienti dall’allevamento zootecnico, va evidenziato che:
a) Nella vigenza della legge 10.5. 1976, n. 319— tenuto conto che, in seguito dell’entrata in vigore del D.L. 17.3.1995, n. 79, convertito nella legge 17.5.1995, n. 172, l’apertura o la effettuazione di scarichi civili sul suolo o nel sottosuolo senza la prescritta autorizzazione non costituiva più reato e che, in forza di quanto stabilito dall’ultimo comma dell’art. 1 quater del D.L. 10.8.1976, n. 544, convertito con modificazioni nella legge 8.10.1976, n. 690, le imprese agricole di cui all’art. 2135 cod. civ. erano considerate insediamenti civili — la giurisprudenza di questa Corte Suprema era costantemente orientata nel senso che l’allevamento di bestiame non costituisse espressione dell’impresa agricola (legislativamente considerata insediamento civile) ma rientrasse nella nozione di insediamento produttivo quando nel rapporto terra-animali, con riferimento alla previsione dell’art. 2135, 2° comma, cod. civ., non fosse la prima ad avere ruolo e funzione preponderanti.
Per aversi impresa agricola (e conseguentemente insediamento civile) era ritenuta essenziale, dunque, la “connessione funzionale dell’allevamento con la coltivazione della terra” e, tra i criteri di individuazione di tale connessione, si faceva riferimento a quelli (del rapporto tra spazio disponibile e numero dei capi di bestiame; della proporzione tra il terreno coltivato ed il peso vivo degli animali allevati; della destinazione all’allevamento dei due terzi del prodotto strettamente agricolo del fondo) indicati dalla delibera 8.5.1980 del Comitato interministeriale di cui all’art. 3 della medesima legge n. 319/1976.
Veniva altresì affermato che tali criteri costituivano, comunque, parametri non esclusivi di riferimento, rimanendo fondamentale — per determinare la natura agricola dell’allevamento di bestiame - la prevalenza dell’attività di coltivazione della terra e la complementarietà ad essa funzionale dell’allevamento (che non doveva rappresentare, in sostanza, l’attività principale).
b) Il DLgs. 11.5.1999, n. 152 (che abrogò espressamente le leggi n, 319/1976, n. 690/1976 e n. 172/1995) sostituì — come è noto — la distinzione tra insediamenti produttivi e civili (che presupponeva una diversa qualità delle acque di scarico in relazione alla provenienza) con quella tra:
— “acque reflue industriali”, nozione ricomprendente “qualsiasi tipo di scarico di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali e industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”
— ed “acque reflue domestiche o di reti fognarie” (per le quali è stata esclusa la sanzione penale in mancanza dell’autorizzazione), intendendosi per “acque reflue domestiche” quelle “provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”,
Si passò, dunque, dalla precedente distinzione di disciplina per tipi di insediamento ad una distinzione per tipi di acque di scarico.
Quanto alle imprese agricole, il 7° comma dell’art. 28 del DLgs. n. 152/1999, nella sua formulazione originaria — tutto salvo quanto previsto dal successivo art. 38 (in materia di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento zootecnico) e dalle diverse normative regionali — assimilava alle “acque reflue domestiche” quelle provenienti da “imprese dedite all’allevamento di bestiame che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione” (lett. b).
e) Il 7° comma dell’art. 28 del DLgs. a 152/1999 venne poi sostituito dall’art 9 del Dlgs. 11.8.2000, n. 258 ed in particolare, quanto alla lettera b), venne previsto che il calcolo della misura dei 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento non fosse più da effettuarsi “al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione”, come nel testo originario, bensì relativamente alla quantità prodotta “per un anno da computare secondo le modalità di calcolo stabilite alla Tabella 6 dell’Allegato 5”.
Per gli allevamenti esistenti il nuovo criterio di assimilabilità si applicò a partire dal 13 giugno 2002.
d) La disciplina originariamente posta dall’art. 101, 7° comma — lett. b), del D.L.gs. 3.4.2006, n. 152 (testo normativo che ha espressamente abrogato il DLgs. n. 152/1999, come modificato dal D.Lgs, n. 258/2000), assimilava alle “acque reflue domestiche” quelle provenienti da “imprese dedite ad allevamento di bestiame che, per quanto riguarda gli effluenti dell’allevamento praticano l’utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’art. 212, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto”.
In detta Tabella viene fissato il “peso vivo medio corrispondente ad una produzione di 340 kg. dì azoto per anno, al netto delle perdite di rimozione e stoccaggio” e detto peso, per gli ovicaprini, viene determinato in tonnellate 3,4.
e) La lett. b) dell’art. 101, 7° comma, del D.Lgs. n. 152/2006 è stata modificata dall’art. 2 comma 8, del D.Lgs. 16.1.2008, n. 4 e sono state eliminate le due condizioni che, nella versione originaria, consentivano l’assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque provenienti da imprese di allevamento di bestiame e cioè:
- la pratica, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, dell’utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’art. 112, comma 2;
- la disponibilità di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. n. 152/2006. Detta tabella, però, non è stata espressamente abrogata dal D.Lgs. n. 4/2008.
La modifica normativa va correlata alle finalità di ribadire con chiarezza la netta separazione tra il concetto di utilizzazione agronomica e quello di scarico e di ridurre la possibilità di sottrarre al regime dei rifiuti le acque provenienti da allevamenti di bestiame.
2.1 Alla stregua della disciplina attuale questa Sezione ha già affermato (Cass., Sez. III, 2.7.2008 n. 26532, ric. Calderone) che il D.Lgs. n. 4/2008 — innovando sensibilmente le precedenti disposizioni — parifica oramai automaticamente alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti dall’attività di allevamento del bestiame.
L’ultima modifica normativa, avendo comportato il venire meno della “connessione funzionale dell’allevamento con la coltivazione della terra” e dei criteri di individuazione di tale connessione, ha capovolto sostanzialmente i termini della questione rispetto alla disciplina già posta dal DLgs. n. 152/06. Mentre, infatti, secondo la normativa pregressa, le acque reflue provenienti da una attività di allevamento del bestiame andavano considerate, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, come acque reflue industriali, e solo eccezionalmente potevano essere assimilate, ai detti fini, alle acque reflue domestiche qualora fosse dimostrata la presenza delle condizioni indicate dalla legge; attualmente, per effetto della modifica di più recente introduzione, l’assimilazione (prevista al riformulato comma 7 dell’art. 101) alle acque reflue domestiche di quelle provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame è divenuta la regola.
Si deve ritenere, pertanto, oramai sanzionato solo in via amministrativa, ai sensi dell’art. 133, comma 2, del D.Lgs. n. 152/06, lo scarico senza autorizzazione degli effluenti di allevamento e l’unica eccezione rimane quella — richiamata ad excludendum dal comma 7 dell’art. 101 — dell’art. 112 del D.Lgs. n. 152/06, che regola la “utilizzazione agronomica” come definita dall’art. 74, lett. p), dello stesso testo normativo [utilizzazione, quest’ultima, che continua a mantenere rilevanza penale, ex art. 137, comma 14, nelle ipotesi in cui avvenga al di fuori dei casi e delle procedure previsti.
Questo Collegio condivide e ribadisce le argomentazioni dianzi svolte, ritenendo (pur nella consapevolezza di qualche divergente interpretazione dottrinaria) che anche la Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 è stata implicitamente abrogata per effetto della modifica dell’art. 101, 70 comma - lett. b).
La sentenza impugnata, di conseguenza, deve essere annullata senza rinvio — limitatamente allo scarico non autorizzato di reflui provenienti dall’allevamento zootecnico — perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed in relazione a tale condotta gli atti, ai sensi dell’art. 135 del D.Lgs. n. 152106, vanno trasmessi alla Regione Abruzzo per i profili di competenza.
3. Il ricorso, invece, deve essere rigettato in relazione alla contestata condotta di scarico non autorizzato di reflui provenienti dal laboratorio di trasformazione del latte annesso all’azienda di produzione, che costituiscono senza alcuna incertezza “acque reflue industriali” [i caseifici erano già stati considerati insediamenti produttivi da Cass., Sez. III: 21.6.1994, Scauri; 21.6.1993, Magnani; 17.5.1990, Campana].
Della contravvenzione di cui all’art. 59, 1° comma, D.Lgs. n. 152/1999 [attualmente art. 137, 1° comma, del D.Lgs. n. 152/2006] si risponde anche a titolo colpa. Per la sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente, quindi, che il comportamento illecito sia derivato da imperizia, imprudenza o negligenza.
L’ignoranza della legge penale scusa l’autore dell’illecito soltanto se incolpevole a cagione della sua inevitabilità (Corte Cost., 23.3.1998, n. 364) e, nella fattispecie in esame, correttamente è stato escluso che l’imputato abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al c.d. “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di tutti quegli accertamenti necessari ed utili per conseguire l’esatta conoscenza della normativa vigente.
Né il convincimento della liceità della propria condotta può essere tratto da comportamenti e da atti di organi amministrativi diversi da quelli preposti all’espletamento della procedura autorizzatoria.
4. In seguito all’esclusione della rilevanza penale della condotta di scarico dall’allevamento, va disposto, infine, il rinvio al Tribunale di Sulmona per la determinazione della pena da correlarsi all’illecito residuo.