Cass.Sez. III n. 22436 del 24 maggio 2013 (Ud 3 apr 2013)
Pres.Mannino Est.Orilia Ric.La Barbera
Acque.Reflui da insediamenti artigianali.

Sono scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche. (Fattispecie di scarichi di locale adibito ad attività di pasticceria).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente - del 03/04/2013
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 987
Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 38779/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LA BARBERA GIOVANNI N. IL 27/05/1959;
avverso la sentenza n. 5792/2009 TRIBUNALE di PALERMO del 22/10/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/04/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI Mario che ha concluso per il rigetto;
udito il difensore avv. Fois.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 22.10.2010, il Tribunale di Palermo ha ritenuto La Barbera Giovanni colpevole della contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124 (scarichi di acque reflue in assenza di autorizzazione) e lo ha condannato alla pena di Euro 1.500,00 di ammenda.
2. Il Giudice di merito ha fondato il giudizio di responsabilità in ordine al reato contestato sull'accertamento eseguito nell'esercizio di pasticceria di cui era titolare l'imputato, da cui era emersa la mancanza dell'autorizzazione agli scarichi di acque reflue; ha considerato irrilevante il fatto che detta autorizzazione sia intervenuta dopo circa quattro mesi dal controllo perché nel frattempo l'imputato avrebbe dovuto sospendere l'attività. 3. L'imputato ricorre per cassazione denunziando la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 137 e 124 e la carenza assoluta di motivazione. Osserva in particolare che, come emerso pacificamente nel corso dell'istruzione (in particolare dalla deposizione dell'agente Cannioto), si trattava di reflui assimilabili scarichi domestici e non già a scarichi di tipo industriale. E richiama anche il contenuto della autorizzazione rilasciata in epoca di poco successiva all'accertamento dal Sindaco di Altofonte). Rileva poi che il Tribunale con giudizio totalmente assertorio e apodittico ha qualificato lo scarico di tipo industriale limitandosi sull'accertamento in ordine all'assenza di autorizzazione, mentre invece avrebbe dovuto valutare la qualità dei reflui scaricati dal Bar e dall'attigua pasticceria artigianale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Come già affermato da questa Corte (cfr. cass. sez. 3, Sentenza n. 36982 del 07/07/2011 Ud. dep. 13/10/2011 Rv. 251301; cass. Sez. 3, Sentenza n. 4844 del 2013), la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra la tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale: nel caso in cui lo scarico abusivo abbia ad oggetto acque reflue domestiche, ovvero di reti fognarie, potrà configurarsi l'illecito amministrativo, D.Lgs. n. 156 del 2006, ex art. 133, comma 2: mentre si avrà la
concretizzazione del reato di cui all'art. 137, comma 1, citato Decreto, quando lo scarico riguardi acque reflue industriali, definite dall'art. 74, lett. h), come qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti. Pertanto nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone; conseguentemente sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche. Nel caso di specie, è stato accertato che al momento del controllo il titolare (odierno imputato) era privo della prescritta autorizzazione per gli scarichi di acque reflue; è stato altresì accertato non solo l'avvenuto scarico di reflui, ma anche la loro provenienza da un locale adibito ad attività di pasticceria. Non è esatto dunque il rilievo secondo cui il giudice non avrebbe svolto alcun accertamento sulla qualità dei reflui.
E un tale tipo di attività non attiene strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non è collegata alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone.
Ogni valutazione sulla assimilazione alle acque reflue domestiche investe valutazioni in fatto, sottratte al sindacato di questa Corte, rilevandosi solo che il provvedimento amministrativo si è limitato a richiamare una certificazione di parte sulle analisi effettuate, mentre il teste Cannioto si è limitato a richiamare i servizi igienici e l'attività di manipolazione degli alimenti senza alcun riferimento specifico sotto il profilo tecnico al dato qualitativo delle acque.
L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (cass. sez. 3, Sentenza n. 42839 del 08/10/2009 Ud. dep. 10/11/2009; cass. Sez. 4, Sentenza n. 18641 del 20/01/2004 Ud. dep. 22/04/2004; sez. un., Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. dep. 21/12/2000).
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecunia ria ai sensi dell'art. 616 c.p.p. nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2013.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2013