Cass. Sez. III n. 4844 del 31 gennaio 2013 (ud. 14 nov. 2012)
Pres. Gentile Est. Andronio Ric. Boccia
Acque. Differenza tra acque reflue domestiche ed industriali

La definizione di acque reflue domestiche, contenuta nell'art. 74, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 152 del 2006, quali acque provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche, è tale da non ricomprendere (ai sensi del successivo art. 101, comma 7, lettera e) le acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche. In particolare, la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra la tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale: nel caso in cui lo scarico abusivo abbia ad oggetto acque reflue domestiche, potrà configurarsi l'illecito amministrativo, ex d.lgs. n. 156 del 2006, art. 133, comma 2; mentre si avrà il reato di cui all'art. 137, comma 1, del richiamato decreto, qualora lo scarico riguardi acque reflue industriali, definite dall'art. 74, lettera h), come qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione cli beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti. Pertanto nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone; con la conseguenza che sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche, come nel caso delle acque reflue provenienti da laboratori diretti alla produzione di alimenti.

 

RITENUTO IN FATTO

1. - Con sentenza del 31 maggio 2011, il Tribunale di Bari ha condannato l'imputato alla pena dell'ammenda, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137 perchè effettuava lo scarico delle acque reflue, provenienti dal ciclo produttivo del suo esercizio di bar, pasticceria e ristorazione, direttamente nella rete cittadina, attraverso le tubazioni condominiali, senza esservi autorizzato.

2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

2.1. - Si lamentano, con un primo motivo di censura, la violazione dell'art. 420 ter c.p.p., comma 5 e la carenza di motivazione in ordine al diniego del rinvio del dibattimento richiesto per il legittimo impedimento del difensore, il quale aveva presentato certificazione medica.

2.2. - Con un secondo motivo di doglianza, si rileva l'erronea applicazione della norma incriminatrice, perchè le acque scaricate dall'esercizio dell'imputato avrebbero dovuto essere ritenute assimilabili a quelle domestiche; con la conseguenza che la mancanza di autocertificazione relativa al consumo di acqua avrebbe potuto al più integrare un mero illecito amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2. Non si sarebbe tenuto conto, inoltre, del fatto che il regolamento della Regione Lombardia 24 marzo 2006, n. 3, art. 5, prevede come assimilabili a quelle domestiche le acque derivanti da vendita al dettaglio di generi alimentari e altro commercio al dettaglio, anche con annesso laboratorio di produzione finalizzato esclusivamente alla vendita stessa.

2.3. - Si rileva, in terzo luogo, la manifesta illogicità della motivazione in relazione la sussistenza del reato, perchè questa sarebbe stata desunta dalla presenza nelle tubazioni condominiali di crema e di cioccolato, in mancanza di specifici controlli tecnici e in presenza della riscontrata abusiva confluenza delle condutture delle acque nere dell'intero condominio nella condotta.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. - Il ricorso è inammissibile.

3.1. - Il primo motivo di impugnazione - con cui si contesta che il Tribunale non avrebbe preso in adeguata considerazione la documentazione medica allegata dal difensore a sostegno della sua richiesta di rinvio del dibattimento - è manifestamente infondato.

Come ricordato dalla stessa difesa del ricorrente, il Tribunale ha esaminato la certificazione medica allegata a sostegno del preteso impedimento, ritenendola, con motivazione in punto di fatto non sindacabile in questa sede, generica. E ciò, a prescindere dal fatto che lo stesso difensore non ha specificamente prospettato, neanche con il ricorso per cassazione, di essere stato, oltre che impedito a partecipare all'udienza, anche impossibilitato a farsi sostituire, come invece richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte. Si è sul punto affermato che, pur essendo arduo dare la prova negativa di un fatto, è comunque onere del difensore istante esplicitare le ragioni di detta impossibilità - che possono variamente riguardare la difficoltà, delicatezza o complessità del processo, l'esplicita richiesta dell'assistito, l'assenza di altri avvocati nello studio del difensore, l'indisponibilità di colleghi esperti nella medesima materia - per consentire al giudicante di apprezzarle (ex plurimis, sez. 5, 4 luglio 2008, n. 44299, Rv. 241571; sez. 5, 28 ottobre 2010, n. 41148, Rv. 248905).

3.2. - Il secondo motivo di ricorso - con cui si sostiene che le acque di scarico provenienti dal laboratorio alimentare dell'imputato sarebbero assimilabili a quelle domestiche - è manifestamente infondato.

Deve preliminarmente rilevarsi l'assoluta inconferenza, sul punto, dei riferimenti fatti dal ricorrente alla normativa della Regione Lombardia, non applicabile alla fattispecie in esame, essendosi questa verificata in Puglia e, dunque, al di fuori del territorio di detta Regione. Nè la difesa precisa, in punto di fatto, quali siano le caratteristiche delle acque oggetto dello scarico in questione e le ragioni per cui le stesse dovrebbero essere, secondo la normativa vigente nella Regione Puglia, assimilate alle acque domestiche.

Deve, dunque, ribadirsi quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la definizione di acque reflue domestiche, contenuta nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 74, comma 1, lett. g), quali acque provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche, è tale da non ricomprendere (ai sensi del successivo art. 101, comma 7, lett. c) le acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche (ex plurimis, sez. 3, 15 dicembre 2010, n. 2313, Rv. 249532; sez. 3, 18 giugno 2009, n. 35137, Rv. 244587). In particolare, la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra la tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale: nel caso in cui lo scarico abusivo abbia ad oggetto acque reflue domestiche, potrà configurarsi l'illecito amministrativo, ex D.Lgs. n. 156 del 2006, art. 133, comma 2; mentre si avrà il reato di cui all'art. 137, comma 1, del richiamato decreto, qualora lo scarico riguardi acque reflue industriali, definite dall'art. 74, lett. h), come qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti. Pertanto nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone; con la conseguenza che sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche, come nel caso delle acque reflue provenienti da laboratori diretti alla produzione di alimenti (sez. 3, 7 luglio 2011, n. 36982).

3.3. - Inammissibile - perchè diretto ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del compendio probatorio, preclusa in sede di legittimità - e, comunque, genericamente formulato è il terzo motivo di impugnazione, con cui si lamenta che non vi stato un adeguato accertamento della provenienza dei reflui dalla pasticceria dell'imputato.

Deve rilevarsi, infatti, che il giudice di primo grado ha preso le mosse dalle risultanze degli accertamenti svolti dai carabinieri circa la confluenza nella rete fognaria degli scarichi provenienti dal laboratorio dell'imputato, che avevano provocato anomalie e occlusioni, e vi ha fatto logicamente conseguire la sussistenza del reato in capo all'imputato stesso.

4, - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguenza che non può procedersi alla verifica dell'eventuale prescrizione dei reati, trovando applicazione il principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall'inammissibilità del ricorso per cassazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex multis, sez. 3, 8 ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2013