Corte di Giustizia Sez. III sentenza 30 novembre 2006
«Inadempimento
di uno Stato membro – Ambiente – Direttiva
2000/60/CE – Omessa
comunicazione delle misure di trasposizione – Obbligo di
adottare una
normativa-quadro nazionale − Omissione − Incompleta
od omessa
trasposizione degli artt. 2, 7, n. 2, e 14»
Nella causa C-32/05,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi
dell’art. 226 CE, proposto il 31 gennaio 2005,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalle
sig.re S. Pardo Quintillán e J. Hottiaux, in
qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Granducato di Lussemburgo, rappresentato dal sig. S. Schreiner, in
qualità di agente, assistito dal sig. P. Kinsch, avocat,
convenuto,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dai sigg. A. Rosas, presidente di Sezione, A. Borg Barthet e
A. Ó Caoimh (relatore), giudici,
avvocato generale: sig.ra E. Sharpston
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione
orale del 23 marzo 2006,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate
all’udienza del 18 maggio 2006,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
Con il presente ricorso la Commissione delle Comunità
europee chiede alla Corte di dichiarare che, non avendo adottato le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per
conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23
ottobre 2000, 2000/60/CE, che istituisce un quadro per
l’azione comunitaria in materia di acque (GU L 237, pag. 1;
in prosieguo: la «direttiva»), eccezion fatta per
gli artt. 3, nn. 1‑3 e 5‑7, e 7, n. 3, e, in ogni caso, non avendole
comunicate alla Commissione, il Granducato di Lussemburgo è
venuto meno agli obblighi che ad esso incombono ai sensi di tale
direttiva.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2
Il diciottesimo ‘considerando’ della direttiva
dispone quanto segue:
«La politica comunitaria nel settore delle acque richiede un
quadro legislativo trasparente, efficace e coerente. La
Comunità dovrebbe fornire principi comuni e il quadro
globale in cui inserire gli interventi. La presente direttiva dovrebbe
fornire tale quadro e coordinare, integrare e, nel lungo periodo,
sviluppare ulteriormente i principi e le strutture generali idonei a
garantire la protezione e un utilizzo sostenibile delle acque
comunitarie, nel rispetto del principio della
sussidiarietà».
3
Dal ventinovesimo ‘considerando della direttiva risulta che
gli Stati membri, per conseguire gli obiettivi da essa prefissi e nel
definire un programma delle misure da adottare a tal fine, possono
attuare gradualmente il programma di misure al fine di ripartirne i
costi.
4
Ai sensi del suo art. 1, «scopo della […]
direttiva è istituire un quadro per la protezione delle
acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque
costiere e sotterranee».
5
L’art. 2 contiene 41 definizioni rilevanti ai fini della
direttiva. Alcune riguardano gli standard di qualità idrica
che la direttiva, in particolare l’art. 4, impone agli Stati
membri. I termini per conformarsi a tali standard sono fissati
segnatamente agli artt. 4-6 e 8.
6
L’art. 3, rubricato «Coordinamento delle
disposizioni amministrative all’interno dei distretti
idrografici», dispone ciò che segue:
«1. Gli
Stati membri individuano i singoli bacini idrografici presenti nel loro
territorio e, ai fini della presente direttiva, li assegnano a singoli
distretti idrografici. (...)
2. Gli Stati membri
provvedono a adottare le disposizioni amministrative adeguate, ivi
compresa l’individuazione dell’autorità
competente, per l’applicazione delle norme previste dalla
presente direttiva all’interno di ciascun distretto
idrografico presente nel loro territorio.
3. Gli Stati membri
provvedono affinché un bacino idrografico che si estende sul
territorio di più Stati membri sia assegnato a un distretto
idrografico internazionale. Su richiesta degli Stati membri
interessati, la Commissione interviene per agevolare
l’assegnazione di tali distretti idrografici internazionali.
(…)
4. Gli Stati membri
provvedono affinché i requisiti stabiliti dalla presente
direttiva per conseguire gli obiettivi ambientali di cui
all’articolo 4, in particolare tutti i programmi di misure,
siano coordinati in tutto il distretto idrografico. Per i distretti
idrografici internazionali, gli Stati membri interessati provvedono
congiuntamente al coordinamento e possono avvalersi a tal fine di
strutture esistenti risultanti da accordi internazionali. Su richiesta
degli Stati membri interessati, la Commissione interviene per agevolare
la definizione dei programmi di misure.
(…)
6. Ai fini della
presente direttiva, gli Stati membri possono individuare quale
autorità competente un organismo nazionale o internazionale
esistente.
7. Gli Stati membri
individuano l’autorità competente entro il termine
di cui all’articolo 24.
(…)».
7
L’art. 4 stabilisce gli obiettivi ambientali che gli Stati
membri sono tenuti a raggiungere nel rendere operativi i programmi di
misure specificate nei piani di gestione dei bacini idrografici per le
acque superficiali, per le acque sotterranee e per le aree protette. In
sostanza, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie
per impedire il deterioramento ambientale delle acque e delle aree
protette considerate, nonché a migliorare e a ripristinare i
corpi idrici in modo da raggiungere i livelli qualitativi definiti
dalle disposizioni della direttiva, in particolare dall’art.
2.
8
Ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. c), «gli Stati
membri si conformano a tutti gli standard e agli obiettivi entro 15
anni dall’entrata in vigore della […] direttiva,
salvo diversa disposizione della normativa comunitaria a norma della
quale le singole aree protette sono state istituite».
9
Per quanto riguarda le acque utilizzate per l’estrazione di
acqua potabile, l’art. 7 enuncia quanto segue:
«1. All’interno di ciascun distretto idrografico
gli Stati membri individuano:
–
tutti i corpi idrici utilizzati per l’estrazione di acque
destinate al consumo umano che forniscono in media oltre 10 m3 al
giorno o servono più di 50 persone, e
–
i corpi idrici destinati a tale uso futuro.
Gli Stati membri provvedono al monitoraggio, a norma
dell’allegato V, dei corpi idrici che, in base
all’allegato V, forniscono in media oltre 100 m3 al giorno.
2. Per ciascuno dei corpi idrici individuati a norma del paragrafo 1,
gli Stati membri, oltre a conseguire gli obiettivi di cui
all’articolo 4 attenendosi ai requisiti prescritti dalla
presente direttiva per i corpi idrici superficiali, compresi gli
standard di qualità fissati a livello comunitario a norma
dell’articolo 16, provvedono a che, secondo il regime di
trattamento delle acque applicato e conformemente alla normativa
comunitaria, l’acqua risultante soddisfi i requisiti di cui
alla direttiva 80/778/CEE [del Consiglio 15 luglio 1980, concernente la
qualità delle acque destinate al consumo umano (GU L 229,
pag. 11)], modificata dalla direttiva 98/83/CE [del Consiglio 3
novembre 1998 (GU L 330, pag. 32)].
3. Gli Stati membri provvedono alla necessaria protezione dei corpi
idrici individuati al fine di impedire il peggioramento della loro
qualità per ridurre il livello della depurazione necessaria
alla produzione di acqua potabile. Gli Stati membri possono definire
zone di salvaguardia per tali corpi idrici».
10 Ai termini
dell’art. 14 della direttiva:
«1. Gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di
tutte le parti interessate all’attuazione della presente
direttiva, in particolare all’elaborazione, al riesame e
all’aggiornamento dei piani di gestione dei bacini
idrografici. Gli Stati membri provvedono affinché, per
ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per
eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti:
a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del
piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono
essere prese almeno tre anni prima dell’inizio del periodo
cui il piano si riferisce;
b) una valutazione globale provvisoria dei problemi di gestione delle
acque importanti, identificati nel bacino idrografico, almeno due anni
prima dell’inizio del periodo cui si riferisce il piano;
c) copie del progetto del piano di gestione del bacino idrografico,
almeno un anno prima dell’inizio del periodo cui il piano si
riferisce.
Su richiesta, si autorizza l’accesso ai documenti di
riferimento e alle informazioni in base ai quali è stato
elaborato il progetto del piano di gestione del bacino idrografico.
2. Per garantire l’attiva partecipazione e la consultazione,
gli Stati membri concedono un periodo minimo di sei mesi per la
presentazione di osservazioni scritte sui documenti in questione.
3. I paragrafi 1 e 2 si applicano anche agli aggiornamenti dei piani in
questione».
11 Ai termini
dell’art. 24 della direttiva:
«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi
alla presente direttiva entro il 22 dicembre 2003. Essi ne informano
immediatamente la Commissione.
(…)
Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle principali
disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore
disciplinato dalla presente direttiva. La Commissione ne informa gli
altri Stati membri».
La normativa nazionale
12 La legge del 29
luglio 1993, sulla protezione e la gestione delle acque
(Mém. A 1993, pag. 1302; in prosieguo: la «legge
1993»), riguarda le acque superficiali e sotterranee, sia
pubbliche che private.
13 Il suo art. 2,
rubricato «Linee direttrici», così
recita:
«1.
L’obiettivo della legge [1993] è di combattere
l’inquinamento delle acque e di assicurare la rigenerazione
idrica allo scopo di soddisfare i requisiti necessari, in particolare,
per
– la tutela
della salute dell’uomo e degli animali, nonché
dell’equilibrio ecologico;
– la vita
biologica degli ecosistemi acquatici di acque riceventi, in particolare
della fauna ittica;
–
l’approvvigionamento di acqua per il consumo umano e per gli
usi industriali;
– la tutela
delle risorse idriche;
– la
balneazione, gli sport acquatici ed altre attività
ricreative;
– la tutela
del paesaggio, nonché
–
l’agricoltura, l’industria, i trasporti e tutte le
altre attività umane di interesse generale.
2. Chiunque utilizzi
le acque considerate dalla presente legge deve adoperarsi a prevenire o
a ridurre in tutti i modi possibili ogni inquinamento idrico, con la
diligenza che le circostanze richiedono».
14 L’art. 3
contiene 12 definizioni di termini che ricorrono nella legge.
15 Quanto
all’identificazione, alla creazione e alla gestione delle
zone di protezione delle acque, gli artt. 18 e 19 della legge 1993
così dispongono:
«18. Zone di protezione delle acque
1. Al fine di
assicurare la qualità delle acque destinate
all’alimentazione umana, i terreni che attorniano i punti di
prelievo possono essere dichiarati zone di protezione, suddivise in
zone di captazione, zone di protezione adiacenti e zone di protezione
distanti.
Questa misura di esecuzione deve rispondere al piano nazionale di
gestione delle acque previsto all’art. 6 della presente legge.
2. I terreni ubicati
nelle zone di captazione vanno acquisiti in piena proprietà.
Essi possono essere espropriati secondo le modalità e le
forme previste dalla legge 15 marzo 1979 sull’espropriazione
per pubblica utilità.
3. Nelle zone di
protezione adiacenti possono essere vietate, regolamentate o sottoposte
ad autorizzazione speciale tutte le attività, istallazioni e
depositi suscettibili di nuocere direttamente o indirettamente alla
qualità delle acque.
4. Nelle zone di
protezione distanti possono essere regolamentate le
attività, le installazioni e i depositi di cui al paragrafo
3.
19. Modalità di creazione e di gestione delle zone di
protezione delle acque
1. La creazione delle
zone di protezione delle acque è proposta dal ministro,
d’accordo col Consiglio dei ministri.
2. Il ministro ordina
l’apertura di un fascicolo comprendente:
– una nota
dell’oggetto, dei motivi e della portata
dell’operazione;
– un
rapporto geologico che constati, in particolare, la rapidità
della relazione idrogeologica tra le zone d’infiltrazione e i
punti di prelievo da proteggere;
–
l’elenco dei comuni inclusi, in tutto o in parte, nella zona
da proteggere con l’indicazione, comune per comune, delle
sezioni catastali corrispondenti;
– una carta
topografica e i piani catastali con il tracciato dei confini della zona
da proteggere;
– il piano
di gestione, che definirà:
a) gli oneri imposti
a proprietari e possessori,
b) le
servitù previste per la zona protetta,
c) le risistemazioni
e le opere edili eventualmente necessarie alla funzione della zona
protetta.
3. Ai fini
dell’istruttoria, il ministro indirizza il fascicolo al
commissario del distretto competente per territorio.
Il commissario del distretto ordina il deposito del fascicolo per
trenta giorni nel comune affinché gli interessati possano
prenderne conoscenza. Del deposito è data comunicazione
nella bacheca del comune secondo le consuete modalità di
pubblicazione, invitando a prendere visione dei documenti.
Obiezioni al progetto possono essere indirizzate, nei termini fissati
al comma precedente, al Collegio dei Borgomastri e degli Scabini
(collège des bourgmestres et échevins), che le
sottoporrà al parere del Consiglio comunale. Il fascicolo,
completo dei reclami e del parere del Consiglio comunale, va trasmesso
entro un mese dalla scadenza del termine di pubblicazione al
commissario del distretto, che lo inoltrerà al ministro con
le proprie osservazioni.
4. La dichiarazione
di zona di protezione delle acque è fatta con regolamento
granducale, sentito il Consiglio di Stato.
5. Il regolamento
granducale che dichiara zona di protezione delle acque una parte del
territorio può imporre oneri ai proprietari o ai possessori
di immobili e gravare i fondi con servitù relative in
particolare:
–
all’utilizzo delle acque;
– alla
normativa d’uso di pesticidi e di concimi inquinanti;
– al
divieto di cambiamento della destinazione del suolo.
Gli effetti della dichiarazione di zona di protezione delle acque
seguono il territorio, in qualunque mano esso passi».
Il procedimento precontenzioso
16 Ritenendo che la
direttiva non fosse stata trasposta nel diritto lussemburghese entro il
termine prescritto, la Commissione, dopo aver invitato il Granducato di
Lussemburgo, con lettera di diffida 26 gennaio 2004, a presentare le
proprie osservazioni conformemente all’art. 226 CE, emanava
un parere motivato in data 9 luglio 2004, invitando il detto Stato
membro a prendere le misure necessarie per conformarsi agli obblighi
posti dalla direttiva entro due mesi a decorrere dalla notifica del
parere.
17 Con risposta 27
settembre 2004 le autorità lussemburghesi adducevano varie
ragioni per giustificare la ritardata trasposizione della direttiva,
fra cui la mancanza di chiarezza di talune nozioni ivi menzionate e la
risoluzione del governo lussemburghese di profittare della detta
trasposizione per procedere ad una revisione sostanziale della
legislazione nazionale in vigore. Esse precisavano, però,
che in nessun caso il ritardo nella trasposizione formale della
direttiva costituisse un ostacolo all’osservanza delle
diverse scadenze da essa imposte.
18 Ritenendo
insufficiente tale risposta, la Commissione decideva di proporre il
presente ricorso.
Sul ricorso
Sulla prima censura, vertente sull’omessa
comunicazione delle misure di trasposizione
Argomenti delle parti
19 La Commissione
ricorda che, conformemente all’art. 24 della direttiva, gli
Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla
direttiva entro il 22 dicembre 2003 ed informarne immediatamente la
Commissione. Con il presente ricorso essa fa valere che le
autorità lussemburghesi non l’avevano informata
delle disposizioni adottate.
20 Prendendo atto
delle informazioni fornite dal governo lussemburghese nel controricorso
a proposito di una lettera inviatale dalla rappresentanza permanente
del Lussemburgo presso l’Unione europea il 24 agosto 2004 (in
prosieguo: la «lettera 24 agosto 2004»),
concernente l’applicazione dell’art. 3 della
direttiva, la Commissione ammette nella replica di non aver avuto
conoscenza di tale scritto per un difetto di coordinamento dei propri
servizi. La ricorrente riconosce che la comunicazione prescritta dal
detto art. 3 è dunque avvenuta, tuttavia –
ribadisce – solo dopo la scadenza del termine stabilito dallo
stesso art. 3, n. 8, ossia il 22 giugno 2004, e per giunta
posteriormente alla notifica del parere motivato.
21 Quanto alla legge
1993 che, secondo il Granducato di Lussemburgo, accorda alle
autorità di tale Stato membro poteri sufficienti ad
assicurare la realizzazione degli obiettivi operativi della direttiva,
e che le è stata comunicata per la prima volta nel
controricorso, la Commissione fa presente di non aver mai avuto notizia
della stessa e del suo contenuto anteriormente a tale comunicazione. Ne
conclude, perciò, che il Granducato di Lussemburgo non ha
comunicato le misure adottate per conformarsi alla direttiva entro il
termine prescritto.
Giudizio della Corte
22 Secondo una
costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento
dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato
membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel
parere motivato e non possono essere prese in considerazione dalla
Corte modifiche successivamente intervenute (v., in particolare,
sentenze 14 settembre 2004, causa C-168/03, Commissione/Spagna, Racc.
pag. I-8227, punto 24, e 12 gennaio 2006, causa C‑118/05,
Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-0000, punto 7).
23 Nella fattispecie,
si deve osservare innanzi tutto che la lettera 24 agosto 2004
è stata spedita prima della scadenza del termine di due mesi
stabilito nel parere motivato del 9 luglio 2004. Se è vero,
come ha osservato la Commissione, che le autorità
lussemburghesi non hanno fatto alcuna allusione a tale lettera nel
procedimento precontenzioso, è pur vero che la comunicazione
delle misure adottate per trasporre l’art. 3 della direttiva
è avvenuta prima della scadenza del detto termine.
24 Ciò
considerato, si deve constatare che la prima censura della Commissione,
concernente la comunicazione delle misure di trasposizione della
suddetta disposizione, è infondata.
25 Quanto, invece,
alla notifica delle altre disposizioni adottate dal Granducato di
Lussemburgo per conformarsi alla direttiva, è giocoforza
constatare che tale Stato ha prodotto per la prima volta nel
controricorso una copia della legge 1993 asserendo che essa trasponesse
adeguatamente la direttiva. Senza bisogno di accertare in questa sede
se la legge costituisca effettivamente una trasposizione adeguata della
direttiva – la questione è oggetto, infatti, della
seconda censura della Commissione –, va osservato che,
conformemente alla giurisprudenza della Corte citata supra al punto 22,
un argomento di difesa dedotto con tanto ritardo non ha effetti sulla
censura di omessa notifica delle informazioni richieste entro il
termine fissato nel parere motivato.
26 In merito, infine,
alle misure adottate per trasporre l’art. 7, n. 3, della
direttiva, la Commissione ha riconosciuto nella replica che gli artt.
18 e 19 della legge 1993 possono essere ritenuti trasporre in maniera
adeguata tale disposizione. Siccome, però, la detta legge
è stata comunicata alla Commissione per la prima volta nel
controricorso, si deve considerare fondata, per i motivi esposti al
precedente punto di questa sentenza, la censura della Commissione
vertente sull’omessa comunicazione delle misure di
trasposizione dell’art. 7, n. 3, della direttiva.
27 Tutto
ciò considerato, si deve statuire che, non avendo comunicato
alla Commissione le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative adottate per conformarsi alla direttiva 2000/60,
eccezion fatta per quelle concernenti l’art. 3 della stessa,
il Granducato di Lussemburgo è venuto meno agli obblighi ad
esso incombenti in forza dell’art. 24 della detta direttiva.
Sulla seconda censura, vertente sull’omessa
adozione delle misure necessarie per conformarsi alla direttiva
Argomenti delle parti
28 La Commissione fa
valere che la direttiva richiede agli Stati membri l’adozione
di misure di trasposizione generali e particolari che conformino
l’ordinamento giuridico nazionale agli obiettivi che essa
fissa. Essa imporrebbe agli Stati membri di adottare una
normativa-quadro in materia di acque, entro e non oltre il 22 dicembre
2003, e di intraprendere azioni concrete o contestualmente o a scadenze
scaglionate nel tempo. Secondo la Commissione, l’elaborazione
di una legge nazionale d’inquadramento generale è
la fase più importante della trasposizione perché
è con essa che vengono fissati i principali obblighi degli
Stati membri e gli opportuni fondamenti normativi per
l’adozione di misure più specifiche.
29 La Commissione
sostiene, in subordine, che le disposizioni della legge 1993 non
assicurano una trasposizione completa della direttiva.
30 Il governo
lussemburghese ritiene che la direttiva non richieda misure effettive
di trasposizione per conformare l’ordinamento giuridico
lussemburghese agli obiettivi che essa fissa. La direttiva insisterebbe
sulle azioni concrete che le autorità nazionali devono
intraprendere, piuttosto che sull’armonizzazione formale del
diritto interno con quello comunitario. Essa non richiederebbe
l’armonizzazione della legislazione, ma solamente un quadro
per una politica comunitaria in materia di acque.
31 I singoli obblighi
operativi imposti alle autorità degli Stati membri
andrebbero eseguiti tra il 2006 e il 2015, ciò che
permetterebbe di raggiungere gli obiettivi così definiti
entro i termini impartiti dalla direttiva. Quanto al resto, il governo
lussemburghese ritiene che la propria legislazione, segnatamente la
legge 1993, fornisca alle autorità nazionali un arsenale di
misure che possono risultare sufficienti a raggiungere gli obiettivi
operativi della direttiva.
Giudizio della Corte
–
Sull’obbligo di adottare una normativa-quadro per la
trasposizione della direttiva
32 Quanto, innanzi
tutto, alla questione se la direttiva imponga agli Stati membri di
adottare una normativa-quadro per trasporre nell’ordinamento
nazionale gli obblighi che da essa discendono, occorre ricordare che,
secondo una giurisprudenza costante, ciascuno degli Stati membri
destinatari di una direttiva ha l’obbligo di adottare,
nell’ambito del proprio ordinamento giuridico, tutti i
provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia della direttiva,
conformemente allo scopo che essa persegue (v., in particolare,
sentenze 7 maggio 2002, causa C-478/99, Commissione/Svezia, Racc. pag.
I‑4147, punto 15, e 26 giugno 2003, causa C-233/00,
Commissione/Francia, Racc. pag. I‑6625, punto 75).
33 Si deve precisare
che la prima parte della seconda censura della Commissione verte non
sulla questione se il Granducato di Lussemburgo abbia
l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari a
garantire la piena efficacia della direttiva, ciò che esso
non contesta, bensì sul se il detto Stato abbia
l’obbligo di adottare un provvedimento in particolare, id est
una normativa-quadro, per garantire tale piena efficacia e conformarsi
agli obblighi a suo carico.
34 Ai termini
dell’art. 249, terzo comma, CE, gli Stati membri sono liberi
di scegliere la forma e i mezzi di attuazione delle direttive che ne
permettano la migliore realizzazione. Discende da tale disposizione che
la trasposizione nel diritto interno di una direttiva non implica
necessariamente l’azione legislativa di ogni Stato membro.
Come la Corte ha ripetutamente statuito, non è sempre
richiesta una formale riproduzione delle disposizioni di una direttiva
in una norma di legge espressa e specifica, posto che per la
trasposizione di una direttiva può essere sufficiente, in
base al suo contenuto, un contesto normativo generale. In particolare,
l’esistenza di principi generali di diritto costituzionale o
amministrativo può rendere superflua la trasposizione
mediante provvedimenti legislativi o regolamentari ad hoc, a condizione
tuttavia che tali principi garantiscano effettivamente la piena
applicazione della direttiva da parte dell’amministrazione
nazionale, che, nel caso in cui la disposizione in parola sia diretta a
creare diritti per i singoli, la situazione giuridica risultante da
tali principi sia sufficientemente precisa e chiara e che i beneficiari
siano messi in grado di conoscere la pienezza dei loro diritti e
obblighi e, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali
(v., in particolare, sentenza 23 maggio 1985, causa 29/84,
Commissione/Germania, Racc. pag. 1661, punti 22 e 23; 9 settembre 1999,
causa C‑217/97, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑5087, punti 31 e 32,
e 26 giugno 2003, Commissione/Francia, cit., punto 76).
35 Risulta
altresì dalla giurisprudenza della Corte che, in linea di
principio, una disposizione che riguarda esclusivamente i rapporti fra
gli Stati membri e la Commissione non deve essere trasposta. Tuttavia,
posto che gli Stati membri hanno l’obbligo di assicurare la
piena osservanza del diritto comunitario, la Commissione ha la
facoltà di dimostrare che il rispetto della disposizione di
una direttiva che disciplina i detti rapporti richiede necessariamente
l’adozione di specifiche misure di trasposizione
nell’ordinamento giuridico nazionale (v., in tal senso,
sentenze 24 giugno 2003, causa C-72/02, Commissione/Portogallo, Racc.
pag. I-6597, punti 19 e 20, e 20 novembre 2003, causa C-296/01,
Commissione/Francia, Racc. pag. I‑13909, punto 92).
36 Ne consegue che,
per misurare la portata dell’obbligo di trasposizione a
carico degli Stati membri, occorre accertare caso per caso la natura
delle disposizioni previste dalla direttiva ed oggetto del ricorso di
annullamento.
37 La prassi
legislativa comunitaria dimostra che possono esistere grandi differenze
quanto al tipo di obblighi imposti dalle direttive agli Stati membri e,
dunque, quanto ai risultati che debbono essere raggiunti (sentenza 18
giugno 2002, causa C-60/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑5679,
punto 25).
38 Infatti, talune
direttive impongono che vengano adottate misure legislative a livello
nazionale e che la loro osservanza sia sottoposta ad un controllo
giurisdizionale o amministrativo (v., a questo proposito, sentenze 16
novembre 1989, causa C-360/88, Commissione/Belgio, Racc. pag. 3803; 6
dicembre 1989, causa C‑329/88, Commissione/Grecia, Racc. pag. 4159, e
18 giugno 2002, Commissione/Francia, cit., punto 26).
39 Altre direttive
prescrivono che gli Stati membri adottino le misure necessarie ad
assicurare che taluni obiettivi enunciati in maniera generale e non
quantificabile vengano raggiunti, lasciando però agli Stati
membri un certo margine di discrezionalità circa il tipo di
provvedimenti da adottare (v., a questo proposito, sentenze 9 novembre
1999, causa C-365/97, Commissione/Italia, detta «San
Rocco», Racc. pag. I-7773, punti 67 e 68; e 18 giugno 2002,
Commissione/Francia, cit., punto 27).
40 Altre direttive
ancora impongono agli Stati membri che vengano raggiunti risultati
assai precisi e concreti entro un certo termine (v., a questo
proposito, sentenze 14 luglio 1993, causa C-56/90, Commissione/Regno
Unito, Racc. pag. I-4109, punti 42-44; 19 marzo 2002, causa C-268/00,
Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑2995, punti 12-14; e 18 giugno
2002, Commissione/Francia, cit., punto 28).
41 Per quanto
riguarda il presente ricorso, si deve ricordare che la direttiva
2000/60 è una direttiva-quadro adottata sul fondamento
dell’art. 175, n. 1, CE. Essa stabilisce principi comuni e un
quadro globale per l’azione comunitaria in materia di acque,
e coordina, integra e, nel lungo periodo, sviluppa ulteriormente i
principi generali e le strutture idonei a garantire la protezione e un
utilizzo sostenibile delle acque comunitarie. Saranno poi gli Stati
membri a sviluppare ulteriormente i principi comuni e il quadro globale
così decisi, adottando una serie di misure specifiche entro
i termini che essa impartisce. La direttiva. non persegue, tuttavia,
un’armonizzazione totale delle normative degli Stati membri
in materia di acque.
42
L’analisi della direttiva rivela che essa contiene varie
disposizioni costitutive di obblighi per gli Stati membri (ad esempio,
l’art. 4, che prescrive agli Stati membri di attuare le
misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato di tutti i
corpi idrici superficiali e sotterranei); per gli Stati membri nei
confronti della Commissione e della Comunità (ad esempio,
l’art. 24, n. 2, relativo all’obbligo di
comunicazione delle misure di trasposizione) e per le stesse
istituzioni (ad esempio, gli artt. 16 e 17, che invitano le istituzioni
comunitarie ad adottare misure comunitarie in materia di inquinamento
dei corpi idrici e delle acque sotterranee).
43 Da un esame
globale della direttiva risulta che la maggior parte delle disposizioni
sono del tipo menzionato al punto 39 della presente sentenza,
cioè prescrivono agli Stati membri di adottare le misure
necessarie ad assicurare il raggiungimento di determinati obiettivi,
formulati a volte in maniera generale, lasciando però loro
un certo margine di discrezionalità circa il tipo di
provvedimenti da adottare.
44 La direttiva
2000/60 contiene anche disposizioni come l’art. 1, che si
limita ad enunciare i diversi obiettivi di quest’ultima, e
che, come la stessa Commissione ha riconosciuto all’udienza,
non richiede trasposizione.
45 In risposta a
quesiti, all’udienza, finalizzati a stabilire su quali
concrete disposizioni della direttiva si fondi l’obbligo di
adottare una normativa-quadro per soddisfare le condizioni della
direttiva, la Commissione ha fatto riferimento agli artt. 1 e 2, che
enunciano gli obiettivi della direttiva e le definizioni su cui essa si
fonda, senza precisare in cosa queste disposizioni esigano
l’adozione di una tale legge, né perché
quest’ultima sarebbe necessaria per permettere agli Stati
membri di assicurare gli obiettivi fissati dalla direttiva entro i
termini prescritti.
46 Ebbene, non
risulta né da queste né da altre disposizioni
della direttiva che gli Stati membri siano obbligati, per trasporle
correttamente, ad adottare una tale normativa-quadro.
47 Certamente, come
il governo lussemburghese ha riconosciuto all’udienza,
l’adozione di una normativa-quadro può costituire
un modo adeguato, perfino più semplice, di trasporre la
direttiva, atteso che può fornire alle autorità
competenti, in un testo unico, fondamenti normativi chiari per
elaborare le diverse misure previste dalla direttiva in materia di
acque e scadenzate nel tempo. L’adozione di una
normativa-quadro può altresì facilitare il lavoro
della Commissione, che deve vegliare a che gli obblighi posti dalla
direttiva agli Stati membri siano rispettati.
48
L’adozione di una normativa-quadro non è,
però, il solo modo in cui gli Stati membri possono garantire
la piena applicazione della direttiva e prevedere un sistema
organizzato e articolato per la realizzazione dei suoi obiettivi.
49 Se avesse voluto
imporre agli Stati membri di adottare nel loro ordinamento giuridico
una normativa-quadro per trasporre la direttiva, il legislatore
comunitario avrebbe potuto inserire una disposizione in tal senso nel
testo di quest’ultima. Così non è stato.
50 In ogni caso, il
fatto stesso che, nel procedimento dinanzi alla Corte, la Commissione
abbia riconosciuto che il Granducato di Lussemburgo ben abbia trasposto
talune disposizioni della direttiva, segnatamente quelle degli artt. 3
e 7, nn. 1 e 3, ed abbia ammesso che non è necessario
trasporre l’art. 1 dimostra che per la trasposizione degli
obblighi previsti dalla direttiva una normativa-quadro non è
indispensabile.
51 Poiché
spetta alla Commissione, nell’ambito di un ricorso per
inadempimento, provare l’asserita inadempienza fornendo alla
Corte gli elementi necessari perché questa verifichi
l’esistenza di tale trasgressione, senza potersi fondare su
alcuna presunzione (v., in particolare, sentenze 25 maggio 1982, causa
96/81, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. 1791, punto 6; 26 giugno
2003, causa C‑404/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-6695, punto 26;
6 novembre 2003, causa C-434/01, Commissione/Regno Unito, Racc. pag.
I‑13239, punto 21, e 29 aprile 2004, causa C‑194/01,
Commissione/Austria, Racc. pag. I‑4579, punto 34), e la Commissione non
ha giustificato nella fattispecie né le disposizioni della
direttiva che obbligherebbero gli Stati membri ad adottare una
normativa-quadro, né la necessità di una tale
misura per garantire il risultato al quale quella tende, si deve
constatare che la prima parte della seconda censura è
infondata.
–
Sulla trasposizione della direttiva tramite la legge 1993
52 Agli argomenti
presentati dal governo lussemburghese per la prima volta nel
controricorso la Commissione ha replicato, in via subordinata, che la
legge 1993 non traspone adeguatamente le disposizioni della direttiva.
53 Si deve osservare,
a tale riguardo, che, nel parere motivato, come anche nel ricorso
depositato dinanzi alla Corte, in cui addebita al Granducato di
Lussemburgo di non aver adottato le misure necessarie alla
trasposizione, la Commissione non ha cercato di dimostrare in cosa il
diritto lussemburghese in vigore non fosse conforme alle disposizioni
della direttiva. Soltanto nella replica essa ha fatto valere che la
legge 1993 non operava una trasposizione adeguata.
54 Questa mancanza di
precisione del ricorso deriva, tuttavia, proprio dal comportamento
delle autorità lussemburghesi che, durante il procedimento
precontenzioso, non hanno fatto parola della legge 1993 come misura
sufficiente di trasposizione della direttiva, ma hanno anzi lasciato
intendere che le disposizioni necessarie a tale trasposizione fossero
di prossima adozione.
55 Poiché
il governo lussemburghese ha allegato la conformità della
legge 1993 con la direttiva per la prima volta nel controricorso, la
Commissione ha tenuto conto delle informazioni tardivamente comunicate
dal governo lussemburghese [solo] nella replica, argomentando che la
trasposizione allegata dal Granducato di Lussemburgo è, in
ogni caso, inesatta ovvero incompleta relativamente a determinate
disposizioni della direttiva.
56 Come la Corte ha
già affermato in circostanze simili, se il procedimento
precontenzioso ha raggiunto l’obiettivo di proteggere i
diritti dello Stato membro di cui trattasi, tale Stato non
può contestare alla Commissione di aver esteso o modificato
l’oggetto del ricorso come delimitato da tale procedimento se
nel corso dello stesso non le ha indicato che la direttiva doveva
essere considerata già trasposta nel diritto interno in
vigore. Secondo la Corte, la Commissione può, dopo aver
contestato ad uno Stato membro l’assenza di qualsiasi
trasposizione di una direttiva, precisare, nella replica, che la
trasposizione fatta valere dallo Stato membro interessato per la prima
volta nel suo controricorso è comunque inesatta o incompleta
relativamente a determinate disposizioni della stessa direttiva. Un
tale addebito è, infatti, necessariamente compreso in quello
attinente all’assenza di qualsiasi trasposizione e riveste un
carattere sussidiario rispetto a quest’ultimo (sentenza 16
giugno 2005, causa C-456/03, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑5335,
punti 23-42, in particolare punto 40).
57 Nella replica la
Commissione ha fatto valere che il Granducato di Lussemburgo non ha
proceduto alla trasposizione degli artt. 1, 2, 3, n. 4, 7, nn. 1 e 2, e
14 della direttiva.
58
All’udienza ha ritirato la censura relativa
all’art. 7, n. 1. Inoltre, come esposto al punto 44 della
presente sentenza, ha riconosciuto non necessario trasporre
l’art. 1 della direttiva, di modo che si deve ritenere questa
censura abbandonata.
59
All’udienza la Commissione ha fatto altresì valere
che il Granducato di Lussemburgo non ha proceduto alla trasposizione
degli artt. 4, 8-11, 13, in combinato disposto con l’allegato
VI, e 24 della direttiva.
60 Tuttavia,
conformemente alla giurisprudenza della Corte secondo cui lo Stato
interessato deve avere l’opportunità di sviluppare
un’efficace difesa contro gli addebiti formulati dalla
Commissione (v., in particolare, sentenze 29 aprile 2004, causa
C‑117/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I‑5517, punto 53, e 16
giugno 2005, Commissione/Italia, cit., punto 36), occorre limitare la
seconda parte della seconda censura della Commissione alle disposizioni
della direttiva che quest’ultima ha presentato nella replica
e alle quali non ha intanto rinunciato (vale a dire, gli artt. 2, 3, n.
4, 7, n. 2, e 14). Il Granducato di Lussemburgo non ha avuto, infatti,
l’opportunità, rispetto alle altre disposizioni
della direttiva menzionate dalla Commissione per la prima volta
all’udienza, di sviluppare un’efficace difesa.
61 Per quanto
riguarda, in primo luogo, l’art. 2 della direttiva, la
Commissione ritiene che le definizioni ivi contenute non siano
trasposte nel diritto nazionale. La legge 1993 definirebbe unicamente
le nozioni di «déversements»
[immissioni], «pollution» [inquinamento] e di
«eaux souterraines» [acque sotterranee]. La
Commissione fa riferimento segnatamente alle nozioni di
«bacino idrografico», «buon potenziale
ecologico» e «buono stato chimico», che,
pur figurando all’art. 2 della direttiva, mancano
completamente nella legge 1993.
62 Il governo
lussemburghese non pretende che quest’ultima legge comprenda
tutte le definizioni enumerate al detto art. 2, ma ribadisce che tali
disposizioni servono solo a definire il tenore degli obblighi operativi
che la direttiva impone agli Stati membri. Esse non richiederebbero, in
sé, trasposizione.
63 L’art. 2
della direttiva, letto in combinazione per esempio con l’art.
4, pone agli Stati membri obblighi precisi da eseguire entro certi
termini per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi
idrici superficiali e sotterranei. Altrettanto dicasi per parecchie
altre nozioni definite allo stesso art. 2, letto in combinato disposto,
i.a., con gli artt. 5, 6 e 8 della direttiva.
64
L’incompatibilità di una normativa nazionale con
le disposizioni comunitarie, persino direttamente applicabili,
può essere definitivamente soppressa solo tramite
disposizioni interne vincolanti (v., in tal senso, sentenze 7 marzo
1996, causa C-334/94, Commissione/Francia, Racc. pag. I-1307, punto 30;
e 13 marzo 1997, causa C-197/96, Commissione/Francia, Racc. pag.
I‑1489, punto 14).
65 Ora, è
giocoforza constatare che, non comprendendo nella legge 1993 le
definizioni delle nozioni elencate all’art. 2 della direttiva
e i termini entro i quali gli standard di qualità
dell’acqua devono essere realizzati, termini fissati dagli
artt. 4, 5, 6 e 8 della stessa direttiva, gli obblighi derivanti dal
detto art. 2, combinato con queste ultime disposizioni, non sono stati
resi sufficientemente vincolanti. Si deve perciò ritenere
fondato l’argomento della Commissione vertente sulla
violazione dell’art. 2 della direttiva.
66 Per quanto
riguarda, in secondo luogo, l’art. 3, n. 4, della direttiva,
la Commissione ritiene che nessuna disposizione della legge 1993 lo
abbia trasposto adeguatamente.
67 Ai suoi sensi, gli
Stati membri provvedono affinché i requisiti stabiliti dalla
direttiva per conseguire gli obiettivi ambientali di cui
all’art. 4, in particolare tutti i programmi di misure, siano
coordinati in tutto il distretto idrografico. Risulta, tuttavia, dai
termini adoperati dall’art. 3, n. 4, della direttiva che gli
obblighi che ne discendono variano secondo che il distretto idrografico
in questione sia nazionale o internazionale nel senso della direttiva.
Per i distretti idrografici internazionali gli Stati membri interessati
provvedono congiuntamente al coordinamento e possono avvalersi a tal
fine di strutture esistenti risultanti da accordi internazionali.
68 Il governo
lussemburghese ammette che sussiste un obbligo di coordinamento ai
sensi dell’art. 3, n. 4. Sostiene, tuttavia, che non vi sono
bacini idrografici nazionali nel suo territorio. Come risulta dalla
lettera 24 agosto 2004, gli unici due distretti idrografici nel
territorio del Lussemburgo ai fini della direttiva sono bacini
idrografici internazionali, cioè il bacino idrografico del
Reno per via della Mosella e della Mosa per via della Chiers (Kara).
69 In relazione al
distretto idrografico del Reno, il detto governo ha allegato alla
controreplica il testo del comunicato della Commissione internazionale
per la protezione del Reno (in prosieguo: la
«CIPR») 29 gennaio 2001. Da esso risulta che
è stato istituito un comitato di coordinamento ad hoc, in
cui sono rappresentati tutti gli Stati membri della CIPR, con il
compito specifico di dare effetto all’obbligo di
coordinamento di cui alla direttiva.
70 In relazione al
distretto idrografico della Mosa, risulta dal quarto e dal quinto
‘considerando’ nonché dagli artt. 1, 2,
4 e 5 dell’accordo internazionale sulla Mosa 3 dicembre 2003,
a sua volta allegato alla controreplica, che è stata
specificamente creata una Commissione internazionale per la protezione
della Mosa al fine, in particolare, di assicurare il coordinamento
richiesto dalla direttiva. Il Granducato di Lussemburgo è
tra i sottoscrittori del detto accordo, che prevede che le misure di
coordinamento richieste dalla direttiva per il distretto idrografico
della Mosa saranno adottate nell’ambito di tale organismo
internazionale.
71 La Commissione non
ha contestato l’affermazione del Lussemburgo che i due soli
distretti idrografici ai fini della direttiva presenti sul suo
territorio sono distretti idrografici internazionali e non nazionali.
Non ha neppure messo in discussione l’informazione fornita da
tale Stato membro secondo cui due organismi internazionali sono stati
effettivamente incaricati da tutti gli Stati membri interessati di
assicurare il coordinamento delle misure di attuazione della direttiva
per quanto riguarda tali distretti idrografici internazionali.
72 Siccome la
Commissione non ha, dunque, dimostrato che il Granducato di
Lussemburgo, membro di tali organismi internazionali, non ha adempiuto
gli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 3, n. 4,
della direttiva per quanto concerne i distretti idrografici
internazionali situati sul suo territorio, il presente argomento della
seconda parte della seconda censura dev’essere dichiarato
infondato.
73 Per quanto
riguarda, in terzo luogo, l’art. 7, n. 2, della direttiva, la
Commissione fa valere che nessuna disposizione della legge 1993
traspone, sia pure parzialmente, gli obblighi risultanti da tale
disposizione, che impone agli Stati membri di rispettare gli specifici
standard di qualità previsti per i corpi idrici destinati al
consumo umano.
74 Ai termini
dell’art. 7, n. 2, della direttiva, per ciascuno dei corpi
idrici individuati a norma del n. 1 gli Stati membri, oltre a
conseguire gli obiettivi di cui all’art. 4 attenendosi ai
requisiti prescritti dalla direttiva per i corpi idrici superficiali,
compresi gli standard di qualità fissati a livello
comunitario a norma dell’art. 16, provvedono a che, secondo
il regime di trattamento delle acque applicato e conformemente alla
normativa comunitaria, l’acqua risultante soddisfi i
requisiti di cui alla direttiva 80/778/CEE, come modificata dalla
direttiva 98/83/CE.
75 Tale disposizione
impone agli Stati membri obblighi di risultato, formulati in maniera
chiara e non ambigua, al fine specifico che i loro corpi idrici
soddisfino gli obiettivi specifici posti dall’art. 4 della
direttiva.
76 Ne consegue che il
Granducato di Lussemburgo avrebbe dovuto, come risulta dalla
giurisprudenza citata al punto 64 della presente sentenza, trasporre
questa disposizione nel proprio ordinamento con misure dotate di forza
vincolante entro e non oltre la data fissata all’art. 24
della direttiva.
77 Poiché
il governo lussemburghese non ha addotto nessun argomento per
giustificare l’assenza, nella legge 1993 o
nell’ordinamento giuridico lussemburghese, di una
disposizione corrispondente all’art. 7, n. 2, della
direttiva, si deve concludere che il presente argomento della seconda
parte della seconda censura della Commissione è fondato.
78 Per quanto
riguarda, infine, l’art. 14 della direttiva, la Commissione
sostiene che la legge 1993 non prevede né la consultazione e
l’informazione del pubblico sull’elaborazione dei
progetti per un piano di gestione del bacino idrografico, né
la partecipazione del pubblico all’attuazione della direttiva
prescritte, invece, da tale disposizione.
79 Il governo
lussemburghese contesta che dall’art. 14 della direttiva,
letto in combinato disposto con l’art. 13 della stessa,
risulti che il termine impartito per conformarsi agli obblighi
d’informazione del pubblico sia già scaduto.
Sostiene che il Granducato di Lussemburgo veglierà a che le
disposizioni del detto art. 14 siano rispettate entro i termini
indicati dalla direttiva.
80 Ebbene,
l’art. 14 della direttiva mira a conferire ai privati e alle
parti interessate il diritto di partecipare attivamente
all’attuazione della direttiva, in particolare
all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento
dei piani di gestione dei bacini idrografici.
81
L’assenza nel diritto lussemburghese di qualunque misura di
trasposizione non assicura punto l’obbligo che le misure
nazionali di trasposizione rendano il termine previsto
all’art. 13, n. 6, della direttiva giuridicamente vincolante
per le autorità nazionali competenti e permettano ai privati
di conoscere con largo anticipo la pienezza dei loro diritti
nell’ambito delle procedure previste all’art. 14,
nn. 1 e 2, della direttiva.
82 Conseguentemente,
si deve concludere che questo argomento della seconda parte della
seconda censura della Commissione, vertente sulla mancata trasposizione
dell’art. 14 della direttiva, è fondato.
83 Alla luce di
quanto sopra si deve concludere che, avendo omesso di adottare entro il
termine impartito le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative necessarie per conformarsi agli artt. 2, 7, n. 2, e 14
della direttiva, il Granducato di Lussemburgo è venuto meno
agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’art. 24 di
tale direttiva. Il ricorso è respinto quanto al resto.
Sulle spese
84 Ai sensi
dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese, se ne è
stata fatta domanda.
85 Secondo
l’art. 69, n. 3, primo comma, dello stesso regolamento, la
Corte può decidere che ciascuna delle parti sopporti le
proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o
più punti.
86 Nel caso di specie
la Commissione è risultata parzialmente soccombente, per la
parte in cui il suo ricorso era diretto a far constatare la mancata
adozione di una normativa-quadro da parte del Granducato di Lussemburgo
per trasporre la direttiva.
87 Da parte sua, il
Granducato di Lussemburgo non ha fornito tutte le informazioni utili
sulle disposizioni di diritto interno con cui riteneva di aver
adempiuto ai diversi obblighi impostigli dalla direttiva.
88 Ciò
considerato, si deve condannare la Commissione e il Granducato di
Lussemburgo a sopportare ciascuno le proprie spese.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) Non avendo
comunicato alla Commissione delle Comunità europee le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di attuazione
della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2000,
2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria
in materia di acque, eccezion fatta per quelle concernenti
l’art. 3 della stessa, il Granducato di Lussemburgo
è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi
dell’art. 24 di tale direttiva.
2) Avendo omesso di
adottare entro il termine impartito le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli artt. 2,
7, n. 2, e 14 della direttiva 2000/60, il Granducato di Lussemburgo
è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi
dell’art. 24 di tale direttiva.
3) Il ricorso
è respinto quanto al resto.
4) La Commissione
delle Comunità europee e il Granducato di Lussemburgo
sopporteranno ciascuno le proprie spese.
Firme
Acque. Azione comunitaria
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