Cass. Sez. III n. 18098 del 14 maggio 2012 (Ud.28 feb. 2012)
Pres.Mannino Est.Sarno Ric.Siciliano
Alimenti. Nozione di alterazione
Integra il reato previsto dall'art. 5, lett. d) legge 30 aprile 1962, n. 283, anche dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 19 novembre 2004, n. 297, l'esposizione per la vendita al pubblico di prodotti alimentari ricoperti da muffe (nella specie, insaccati) e, quindi, alterati a causa della presenza di un processo modificativo di una sostanza alimentare che diviene altra da sé per un fenomeno di spontanea degenerazione, la cui origine può essere dovuta all'azione di agenti fisici (es. luce, calore) ovvero chimici, tra i quali si collocano i microorganismi viventi agevolati dall'azione dell'umidità (batteri, muffe, funghi, ecc.).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente - del 28/02/2012
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo - Consigliere - N. 502
Dott. SARNO Giulio - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere - N. 3990/2011
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) SICILIANO ANTONIO N. IL 25/06/1956;
avverso la sentenza n. 14708/2009 TRIBUNALE di NAPOLI, del 08/10/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/02/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO SARNO;
udito il P.G. in persona del Dott. SPINACI Sante che ha concluso per il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
Siciliano Antonio propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale il tribunale di Napoli lo ha condannato alla pena di Euro 1800 di ammenda per il reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5 per avere, in qualità di amministratore del supermercato Pasi S.p.A., esposto per la vendita al pubblico 9 pezzi di salciccia di puro suino tipo Napoli in cattivo stato di conservazione per eccessiva igrometria e bassa ventilazione della cella frigo con conseguente proliferazione superficiale di muffe e risultati, inoltre, in seguito alle analisi effettuate, non conformi per la presenza di lieviti.
Deduce in questa sede il ricorrente la violazione di legge assumendo non essere state applicate correttamente le disposizioni previste dal D.Lgs. n. 297 del 2004 con cui è stato attuato il regolamento CEE 2081/92 che, disciplinando le caratteristiche del prodotto caduto sotto sequestro, prevede l'impiumatura data dal processo di stagionatura del salame. Si fa rilevare inoltre che l'analisi dei campioni di salumi sequestrati, oltre a non essere stata legittimamente eseguita, in quanto frazionata, testimonia solo la presenza sui lieviti di muffe senza spiegare se le stesse siano conformi alla normativa vigente e se siano nocive per l'uomo. CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Si afferma nella motivazione del provvedimento impugnato che la declamatoria di responsabilità poggia, oltre che sull'analisi del campione in sequestro, sulle dichiarazioni della teste Bove - che ha proceduto all'accertamento - la quale ha riferito di numerose muffe all'esterno del prodotto.
Ciò posto correttamente e logicamente la sentenza esclude trattarsi di muffe tipiche del prodotto essendo emerso all'esito degli accertamenti lo stato di cattiva conservazione del prodotto per la bassa o non adeguata ventilazione nella cella frigo. Non è contestabile - ne', invero, contestato nella specie -, infatti, che una cattiva conservazione delle derrate alimentari determina le condizioni per la trasformazione di alcune spore di per sè innocue in muffa.
E, per contro, è allo stesso tempo notorio che negli alimenti in cui la muffa non interviene nel processo di produzione, essa rappresenta un segnale di degradazione del prodotto medesimo suscettibile di provocare danni all'organismo umano.
Peraltro questa Corte ha già affermato che nel caso di prodotti alimentari ricoperti da muffe si è comunque in presenza di condotta riconducibile alla fattispecie dell'art. 5 quantomeno in relazione alla lett. d) che fa riferimento specifico all'alterazione del prodotto. E ciò in quanto per "alterazione"deve intendersi la presenza di una processo modificativo di una sostanza alimentare che diviene altra da sè per un fenomeno di spontanea degenerazione, la cui origine può essere dovuta all'azione di agenti fisici (es. luce, calore) ovvero chimici, tra i quali si collocano i microorganismi viventi, agevolati dall'azione dell'umidità - batteri, muffe, funghi ecc - (Sez. 6, n. 8935 del 18/03/1994 Rv. 199038).
La contestazione del ricorrente che in qualche modo adombra la normalità della presenza di muffe sul prodotto, non solo poggia su richiami normativi in apparenza inconferenti posto che il Regolamento CEE n. 2081/92 così come il D.Lgs. 19 novembre 2004, n. 297 hanno in realtà per oggetto la protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari", ma nemmeno indica la rilevanza di tale disciplina nell'economia della fattispecie in esame.
In ogni caso la riconducibilità del fenomeno in ambiti di normalità poggia su mere asserzioni di parte che, afferiscono al merito della valutazione e che non trovano rispondenza specifica in atti del processo indicati dal ricorrente.
Nè in presenza di logica ed adeguata motivazione è sindacabile la valutazione di merito in questa sede.
Come noto, infatti, le Sezioni Unite hanno da tempo puntualizzato che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativi sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e1 avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (SU 1997 n. 6402, Rv 207944, Dessimone ed altri).
Quanto alle irregolarità delle analisi si rileva che la stessa viene solo genericamente dedotta in questa sede facendosi unicamente riferimento al "frazionamento del campione".
In ogni caso, a prescindere dalla genericità del rilievo, occorre anche ribadire in questa sede, in conformità con l'orientamento assolutamente prevalente, che il mancato rispetto delle formalità volte a garantire la partecipazione della parte privata al procedimento di analisi dei campioni prelevati con riferimento ad alimenti deperibili non comporta l'inutilizzabilità delle relative analisi, ma costituisce nullità soggetta al regime intermedio previsto dall'art. 180 cod. proc. pen., e come tale non è deducibile o rilevabile dopo la deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. 6, n. 36695 del 06/10/2010 Rv. 248527).
Ed il ricorrente, nonostante il principio dell'autosufficienza del ricorso, non accenna in alcun modo di avere dedotto tempestivamente la nullità in questione.
Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2012