ACQUISIZIONE ALLO STATO DELLE OPERE INAMOVIBILI REALIZZATE NELL’AMBITO DI UNA CONCESSIONE DEMANIALE MARITTIMA

di C. Alberto Nebbia-Colomba

La problematica, per lungo tempo rimasta in secondo piano, si è posta in piena luce, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 296/2006 (“finanziaria 2007”), soprattutto con riferimento a quelle opere di difficile rimozione realizzate in aree in concessione che, alla scadenza del titolo, non siano state formalmente incamerate tra le pertinenze demaniali mediante redazione di specifico verbale e relativo testimoniale di Stato.
In via generale occorre premettere che la posizione dell’Agenzia del demanio, depositaria delle potestà erariali e dominicali sul demanio marittimo, e soltanto di conseguenza quella dei comuni, attuali titolari delle funzioni amministrative gestionali del demanio marittimo, è di ritenere che alla scadenza di una concessione comportante la costruzione di opere non amovibili, l’acquisizione di queste ultime avvenga “ipso iure” senza la necessità dell’adozione di alcun ulteriore atto, oppure dell’avvio di particolari procedimenti, da parte dello Stato o dell’amministrazione concedente.
Quanto sopra a prescindere dal fatto che la concessione sia stata ordinatamente assentita mediante atto pubblico amministrativo ai sensi dell’articolo 9 del regolamento di esecuzione al codice della navigazione ovvero risulti disciplinata in modo irrituale (sulla scorta dell’eventuale operato della Capitaneria di porto in precedenza competente) con licenza, ex articolo 8 dello stesso regolamento, contenente specifica clausola prevedente l’incameramento.
Sebbene la formulazione del precetto contenuto nell’articolo 49 del codice della navigazione non appaia completamente scevra da altre possibili interpretazioni, la posizione dianzi accennata risulta peraltro suffragata da numerose pronunce giurisprudenziali di vario grado e genere.
Per consentire una completa visione della problematica, si riportano le principali sentenze che costituiscono il fulcro della tesi sostenuta dall’Agenzia:
o In tema di demanio marittimo, l'art. 49 c.nav., nello stabilire, con riferimento ai beni edificati su suolo demaniale in concessione, che in mancanza di diversa previsione alla scadenza di quest'ultima le opere non amovibili restano acquisite allo Stato, salva la facoltà dell'autorità concedente di ordinarne la demolizione, da un canto costituisce espressione del generale principio dell'accessione di cui all'art. 934 c.c., e, d'altro canto, deroga al disposto del successivo art. 936, che riconosce il diritto all'indennizzo per il costruttore in caso di ritenzione delle opere da parte del proprietario); e va interpretato (atteso che il c.d. "rinnovo" è propriamente una nuova concessione, in quanto la scadenza del termine ne comporta l'automatica estinzione con conseguente insorgenza per l'Amministrazione del dovere di provvedere autonomamente al riguardo, sia pure nel rispetto dell'eventuale diritto di preferenza eventualmente spettante al precedente concessionario ai sensi dell'art. 37, comma 3, c.nav.) nel senso che tale accessione si verifica, "ipso iure", al termine del periodo di concessione”(Cassazione civile, sez. III, 24 marzo 2004, n. 5842);
o Ai sensi dell'art. 49 c. nav. le opere non amovibili realizzate dal concessionario su area rientrante nel demanio restano acquisite dallo Stato alla cessazione della concessione, con la conseguenza che l'atto di incameramento (redazione testimoniale e del verbale di contestazione) delle opere valutate come inamovibili assume carattere puramente ricognitivo di un effetto "ope legis" prodottosi indipendentemente dalla determinazione in parola, al venire in rilievo dei descritti presupposti fattuali” (Consiglio Stato, sez. VI, 6 giugno 2003, n. 3187);
o Ai sensi dell'art. 49, c. nav., l'accessione in favore dell'amministrazione dei manufatti non amovibili su suolo demaniale si verifica alla data del rinnovo della concessione e non alla data della scadenza del rapporto concessorio rinnovato, diversamente dall'ipotesi di mera proroga della concessione. (Parimenti infondato si appalesa l'ulteriore motivo di appello con il quale si contesta la possibilità che l'effetto traslativo venga a prodursi in caso di rinnovo della concessione senza soluzione di continuità. Il Collegio non ha motivo di discostarsi dal consolidato orientamento espresso dalla Sezione, inteso a distinguere la fattispecie del rinnovo da quella della proroga. Si è osservato, in particolare, che mentre la proroga presuppone la continuazione di un rapporto in corso, il rinnovo incide, rivitalizzandolo, su di un rapporto ormai esaurito; ne deriva la produzione, in tale ultima evenienza, degli effetti che la legge e le stesse clausole contrattuali annettono allo spirare fisiologico dell'originario rapporto, effetti tra i quali va annoverato, come si è visto, anche quello dato dalla devoluzione al demanio delle opere di non facile rimozione edificate al concessionario (Cons. Stato, sez. VI n. 1345/1988; 5 maggio 1995, n. 406; 27 aprile 1995, n. 365)” (Consiglio Stato, sez. VI, 8 aprile 2000, n. 2035);
o Alla scadenza della concessione di area demaniale (marittima) si opera la devoluzione "ipso iure" delle opere non agevolmente amovibili, poste in essere dal concessionario a favore dell'amministrazione, ancorché la concessione sia rinnovata a vantaggio del precedente concessionario e non meramente prorogata” (Consiglio Stato, sez. VI, 26 giugno 1990, n. 664);
o Nella medesima direzione anche Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 1988, n. 1345; 16 marzo 1993, n. 244; 4 luglio 1962, n. 450; 17 febbraio 1967, n. 115.
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In difformità risulta essersi pronunciato il T.A.R. Abruzzo Pescara (26 agosto 1986, n. 526), secondo il quale “l’art. 49 cod. nav. dispone che, al termine della concessione di beni del demanio marittimo, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, salva la facoltà di ordinare la riduzione in pristino; l’acquisizione non si avverte perciò quando la concessione sia rinnovata, giacché il rapporto non si estingue e l’opera continua ad essere destinata allo svolgimento dell'attività consentita”.
Nella medesima direzione anche la Cassazione civile, sez. I, con sentenza 5 maggio 1998, n. 4504: “In tema di demanio marittimo, l’art. 49 cod. nav., stabilendo, con riferimento ai beni edificati su suolo demaniale in concessione, che (in mancanza di diversa previsione dell’atto di concessione), all’atto della scadenza di quest’ultima, le opere non amovibili restano acquisite allo Stato, salva facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione, riecheggia il generale principio dell’accessione di cui all’art. 934 cod. civ. (derogando, peraltro, al disposto del successivo art. 936, che riconosce il diritto all’indennizzo per il costruttore in caso di ritenzione delle opere da parte del proprietario), e va interpretato nel senso che tale accessione si verifica, "ipso iure", al termine del periodo di concessione. La disciplina di cui all’art. 47 del r.d. n. 726 del 1895 può dirsi derogatoria rispetto alla norma citata soltanto nella misura in cui sancisce un'inversione della regola secondo la quale la demolizione debba avvenire a richiesta dell’amministrazione (prevedendo, invece, in via principale l’obbligo di demolizione delle opere da parte del privato, salva possibilità di richiesta di esonero all'amministrazione), senza che tale inversione possa legittimamente spiegare influenza sulla ratio della norma, che resta quella di non riconoscere al privato, al termine della concessione (e salva l’ipotesi che questa venga rinnovata), alcun diritto sulle opere insistenti sul suolo demaniale”.
Per entrambi i consessi giurisprudenziali citati, quindi, perché alla scadenza della concessione possa concretizzarsi il trasferimento de jure della proprietà delle opere erette dal concessionario sul suolo demaniale marittimo, assume rilievo la sussistenza contestuale di un triplice ordine di requisiti:
1 - che i manufatti realizzati dal concessionario siano effettivamente “non amovibili”;
2 - che l’autorità concedente non si avvalga della facoltà di ordinare la demolizione delle opere  con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato;
3 - che la concessione non venga rinnovata.
Per quanto attiene al punto 1:
A) è necessario che nella pratica si rinvenga una puntuale affermazione del carattere di inamovibilità dei manufatti realizzati. Infatti la volontà di procedere all’incameramento delle opere, soltanto genericamente palesata dall’amministrazione, deve essere suffragata da una (condivisa ed accettata ?) perizia tecnica atta a ricondurre quanto costruito tra i manufatti di “difficile rimozione”;
B) quand’anche, in passato (in sede di istruttoria preordinata al rilascio della concessione), l’allora competente Ufficio del genio civile per le opere marittime avesse ritenuto che le realizzande opere fossero da annoverarsi tra quelle inamovibili, si deve tenere conto che l’espressione del parere si è avuta in un tempo lontano e, da tale data ad oggi, le modalità costruttive e di sgombero hanno subito evoluzioni tali da far sì che il concessionario, con qualche ragione, possa affermare che quanto giudicato di “difficile rimozione” secondo parametri considerati congrui 20 o 30 anni or sono, ben difficilmente può conseguire il medesimo giudizio in rapporto ai concetti attuali;
C) si è anticipata l’eventualità che il Genio Civile per le opere marittime possa, a suo tempo, aver effettivamente ritenuto che la progettazione prodotta dal concessionario fosse tale da condurre alla realizzazione di opere inamovibili: ebbene, a prescindere da quanto già argomentato, si deve rilevare che l’incidentale pronuncia dell’organo tecnico – se mai vi è stata – si è basata su degli elaborati progettuali e quindi, allo stato attuale, non può esistere a priori la certezza che l’esecuzione materiale delle opere non abbia reso indispensabile il ricorso a soluzioni tecnico-realizzative parzialmente differenti da quelle inizialmente ipotizzate. Tali soluzioni, che da un lato potrebbero non aver in alcun modo comportato modifiche tali da configurare innovazioni rilevanti ai sensi dell’articolo 24 del reg. cod. nav., dall’altro sarebbero comunque state potenzialmente in grado di modificare le valutazioni sulla natura dei manufatti. Anche in questa ipotesi, pertanto, non risulterebbe soddisfatto il requisito di certezza dell’inamovibilità delle opere realizzate, prescritto dall’articolo 49 del codice della navigazione, perché possa concretizzarsi un incameramento.
Per quanto concerne al punto 2):
a) l’articolo 49, primo comma, del codice della navigazione stabilisce che “salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”;
b) è immediatamente agevole rilevare che l’anzidetto articolo 49 non prevede un generalizzato incameramento automatico delle opere inamovibili, ma contiene al suo interno una possibilità di deroga concretizzabile attraverso esplicite previsioni contenute nell’atto di concessione. È quindi necessario verificare puntualmente che il titolo di concessione non contenga alcuna ulteriore precisazione: ad esempio, se prevedesse come acquisibili dallo Stato soltanto “le opere in buono stato di manutenzione” (come spesso indicato nei provvedimenti rilasciati), conseguirebbe logicamente che ogni opera non considerata “in buono stato di manutenzione” non potrebbe essere incamerata;
c) appare immediatamente evidente come, nell’ultima ipotesi accennata, l’incameramento non possa verificarsi automaticamente al momento della scadenza della concessione in quanto, per espressa previsione dell’atto concessorio, l’effetto dell’acquisizione allo Stato si realizza esclusivamente con riferimento alle opere definite “in buono stato di manutenzione”. È altrettanto ovvio che soltanto a seguito di un’apposita verifica tecnica da effettuarsi in loco (e in contraddittorio con il concessionario) potranno eventualmente essere individuate quelle opere che si presentino conformi ai richiesti requisiti;
d) a tutto ciò si aggiunga che resta pur sempre salva la facoltà dell’amministrazione concedente di ordinare la demolizione dei manufatti realizzati, “con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”. Ebbene è evidente come anche questa facoltà possa essere esercitata soltanto dopo una verifica dello stato dei luoghi e come la proprietà delle opere permanga in capo al concessionario fino a tale momento perché, in caso contrario, non potrebbe essergli intimata la completa rimozione delle stesse. Infatti se la proprietà fosse automaticamente trasferita allo Stato, quest’ultimo dovrebbe provvedere in prima persona (e non richiederla al concessionario espropriato) alla riduzione dell’area demaniale marittima in pristino stato;
Per quanto attiene al terzo punto:
I) l’articolo 10 della legge n. 88/2001 ha modificato il comma 2 dell’articolo 01 del D.L. n. 400/1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 494/1993, stabilendo che “le concessioni di cui al comma 1 (quelle con finalità turistico-ricreativa – n.d.r.), indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni (…)”;
II) se lo scopo della concessione rientra a pieno titolo tra quelli definiti turistico-ricreativi potrebbe essere logico sostenere che alla scadenza dell’originario titolo concessorio si sia verificato l’automatico rinnovo della concessione, a prescindere dalla natura delle opere realizzate, con la conseguenza che l’eventuale incameramento delle stesse risulta posticipato ex lege alla definitiva cessazione del rapporto;
III) se l’amministrazione intenda (e comunque si pongono fondati dubbi circa la liceità di un tale operato) non dare attuazione alla norma introdotta dal richiamato articolo 10 della legge n. 88/2001 o comunque modificare in qualche modo le clausole della concessione, dovrebbe preliminarmente interessare il concessionario che a sua volta, dopo aver effettuato tutte le valutazioni ritenute necessarie – non ultime quelle connesse all’economicità ed alla convenienza della prosecuzione nel rapporto con l’amministrazione –, dovrebbe manifestare esplicitamente la propria volontà di continuare, o meno, la fruizione del bene demaniale;
IV) poiché nel diritto positivo sussiste pur sempre la possibilità di rinunciare ad una concessione, si osserva che, extrema ratio, il concessionario ritenendo non più proficuo l’uso di una porzione di demanio marittimo a seguito dell’imposizione di oneri ulteriori a quelli preventivati, ben potrebbe rinunciare alla concessione a lui assentita. Se il mutamento delle condizioni concessive (come l’incameramento, con effetto retroattivo, delle opere realizzate ed il conseguente mutamento del rateo di canone) avviene dopo che il bene demaniale è stato regolarmente goduto dal concessionario, si evidenzia una palese lesione dei diritti del privato. Infatti, il diritto del concessionario di conoscere a priori le clausole contrattuali verrebbe completamente disatteso e quello stesso concessionario, che in buona fede abbia continuato a fruire del bene demaniale marittimo, sarebbe informato solo dopo un lungo lasso di tempo dei retroattivamente mutati oneri concessori! In tale prospettiva assumono particolare rilievo i differenti importi di canone richiesti in funzione della mutata imputazione della proprietà dei manufatti presenti nella concessione: infatti, per effetto delle disposizioni contenute nella citata legge n. 296/2006, i canoni relativi ai “beni pertinenziali” sono calcolati in modo particolarmente oneroso e, a fronte delle precedenti modalità di determinazione, possono essere soggetti ad aumenti fino al 2500%.
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Dato atto che, affinché si attui la previsione di cui all’articolo 49 del codice della navigazione, è conditio sine qua non l’avvenuta preliminare materializzazione di tutte e tre le condizioni enunciate, se soltanto una di esse non si è verificata (o non è data prova del suo verificarsi), sembra che il concessionario possa contare su argomentazioni di qualche pregio per contrastare le eventuali, e non condivise, pretese dell’amministrazione.
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Aspetti peculiari assume, infine, l’ipotesi in cui il concessionario abbia realizzato – in perfetta buona fede e munito di tutti i permessi necessari (ivi compresa l’autorizzazione ai sensi dell’articolo 24 del regolamento di esecuzione al codice della navigazione) – una serie di opere all’interno di una concessione regolarmente disciplinata con licenza senza che l’amministrazione concedente abbia mosso preliminari rilievi di sorta ovvero abbia segnalato la necessità (prima dell’avvio dei lavori) di modificare la forma del provvedimento concessorio oppure abbia inserito una specifica clausola nel titolo rilasciato.
Nel caso in questione, qualora fosse, inopinatamente, paventato l’incameramento dei manufatti realizzati – si ripete, in vigenza di una licenza di concessone e, soprattutto, – in carenza di una preventiva contestazione e conseguente accertamento tecnico-giuridico dell’avvenuta modifica della consistenza strutturale delle opere rispetto agli elaborati tecnici sui quali l’amministrazione si è basata per il rilascio dell’autorizzazione, si evidenzierebbero ulteriori motivi di sostegno per l’instaurazione di un contenzioso.
Addirittura potrebbe essere invocato il palese comportamento contraddittorio del concedente che, inizialmente, mostra concludentemente di valutare un manufatto di “facile rimozione”  provvedendo alla disciplina della relativa concessione mediante “licenza” (o “licenza suppletiva” o “autorizzazione” ai sensi dell’ultima parte del secondo comma dell’articolo 24 reg. cod. nav.), e poi, senza che siano intervenute modifiche realizzativo-strutturali, decide di considerarlo di “difficile rimozione” segnalando di volerlo assoggettare alle previsioni di cui all’articolo 49 del codice della navigazione.
Infatti, la coerenza giuridico-amministrativa vuole che, come in precedenza ricordato, l’amministrazione accerti (e dimostri) preventivamente la natura delle opere progettate dal concessionario e, sulla base delle conclusioni raggiunte, rilasci l’opportuno atto autorizzativo.
È quindi possibile rinvenire l’ulteriore elemento di censura determinato dal comportamento omissivo del concedente che abbia trascurato, da un lato, di classificare la tipologia dei manufatti prima della loro eventuale realizzazione e, dall’altro, di portare a conoscenza del concessionario gli effetti amministrativi che tale costruzione avrebbe comportato.
Può essere utile ribadire che, se l’eventuale giudizio di inamovibilità delle opere fosse stato correttamente comunicato nel corso dell’iter istruttorio, il concessionario – ove lo avesse reputato conveniente – avrebbe potuto proporre una differente soluzione progettuale o addirittura rinunciare completamente all’esecuzione degli interventi originariamente proposti.
Perciò, potrebbe essere ulteriormente sostenuta l’avvenuta violazione dei diritti del concessionario sia per quanto attiene alla certezza delle condizioni “contrattuali”, sia per quanto concerne alla facoltà – opzionale – di rinuncia, a seguito di differente, personale decisione, alla realizzazione dei lavori richiesti.
A ciò si aggiunga che, poiché le nuove determinazioni a cui l’amministrazione è pervenuta sono destinate a produrre effetti diretti nei confronti del concessionario, queste non possono essere meramente imposte, ma devono necessariamente seguire i dettami della legge n. 241/1990 in materia di trasparenza e partecipazione al procedimento amministrativo.
Conseguentemente, l’avvio dell’iter in questione deve essere attuato in conformità alle previsioni degli articoli 7 e seguenti di tale fonte normativa, e la sua conclusione agli articoli 2 (in particolare il comma 11), e 32.
È ovvio che l’eventuale mancato rispetto di una o più delle menzionate disposizioni di legge può essere invocato dal privato come ulteriore motivo di illegittimità in sede di ricorso.
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Per completezza di trattazione, si cita la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 1290/2007, con la quale l’alto consesso – a seguito di appello proposto dall’amministrazione dei trasporti e della navigazione avverso la sentenza con la quale il TAR Cagliari aveva statuito la necessità di assicurare il contraddittorio e motivare adeguatamente le ragioni per le quali andavano disattese le rivendicazioni del concessionario circa il mantenimento della proprietà di un’opera assoggettata ad incameramento – ha ritenuto che “che la controversia (…) abbia a oggetto una posizione di diritto soggettivo, ossia la titolarità del diritto di proprietà di un bene, e non riguardi materia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ne consegue il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo”.
Tale arresto può essere considerato introduttivo di aspetti particolarmente interessanti in vista di un possibile futuro contenzioso perché, dal rinvio della questione alla sfera di competenza del giudice ordinario, consegue la possibilità del concessionario di utilizzare la procedura d’urgenza di cui all’articolo 700 del cod. proc. civ.
C. Alberto Nebbia-Colomba

[1] Art. 2, comma 1, legge n. 241/1990: “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso”.
[2] Art. 3, legge n. 241/1990: “1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria. 2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. 3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama.
4. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere”.