Cass. Sez. III n. 27775 del 6 luglio 2016 (Ud 7 ott 2015)
Pres. Franco Est. Gentili Ric. Campitelli ed altro
Aria.Elusione del controllo
Integra il reato di cui all'art. 269 d.lgs. 152\06, poiché lo stesso costituisce fattispecie di pericolo, anche la sola sottrazione dell'attività comportante le emissioni di materiale in atmosfera al preventivo controllo degli organi di vigilanza, senza che sia necessario il verificarsi di alcun ulteriore evento di danno naturalisticamente inteso
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Pesaro, con sentenza del 10 aprile 2014, ha dichiarato C.P. e C.N., colpevoli, in concorso tra loro, del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 269 per avere nella qualità di soci amministratori della Ditta C. S.r.l., condotto una attività di recupero di materiali edili, comportante emissioni in atmosfera, in assenza della prescritta autorizzazione, condannandoli, pertanto, concesse le attenuanti generiche, alla pena di Euro 500,00 di ammenda.
Hanno proposto ricorso per cassazione i due prevenuti, deducendo, quanto alla sola posizione di C.P., la mancata valutazione della prova, consistente nella visura camerale con la indicazione delle cariche sociali nella impresa titolare della attività in questione, relativa al fatto che il C.P. ha avuto conferita la carica di amministratore della società solo a decorrere dal 11 gennaio 2011, quando il fatto costituente reato dovrebbe risalire al 15 ottobre 2010, data in cui è stata presentata da un gruppo di cittadini la denunzia a carico dei prevenuti.
I prevenuti hanno lamentato, altresì, di non essere stati ammessi alla oblazione ai sensi dell'art. 162-bis c.p..
Hanno, ancora, dedotto la carenza e contraddittorietà della motivazione della sentenza di condanna, osservando che l'originario esposto a loro carico faceva riferimento sia alle polveri provenienti dalla frantumazione dei residui edili che ai cattivi odori ed ai rumori derivanti da un'adiacente stalla di proprietà di C. N..
Il Tribunale non avrebbe, perciò, tenuto conto della possibilità che le lamentate immissioni potessero derivare dalla attività zootecnica regolarmente tenuta dall'imputato e non dallo stabilimento di frantumazione degli sfabbricidi, che, peraltro, al momento della ispezione dei tecnici della Regione non era ancora in funzione.
Infine hanno censurato la quantificazione della pena, non contenuta nel minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Va, infatti, rilevato che il primo motivo di ricorso, avente ad oggetto, con riferimento alla sola posizione di C.P., il fatto che il Tribunale non avrebbe considerato che questi non era amministratore della società che gestiva l'impianto di frantumazione degli inerti al momento in cui è stata presentata la denunzia da parte di quanti abitavano nelle vicinanze dello stabilimento de quo è del tutto inammissibile; ciò in quanto nell'articolare tale motivo il ricorrente non ha tenuto conto che, secondo il capo di imputazione, la condotta illecita risulta essere stata contestata come tuttora flagrante al 2 marzo 2011, cioè quando, per sua stessa ammissione, il ricorrente in questione rivestiva nella compagine sociale in discorso almeno da circa due mesi incarichi gestori, comportanti in linea astratta la attribuibilità al medesimo della condotta penalmente illecita contestatagli in rubrica.
La irrilevanza della prova asseritamente non valutata, rende chiaramente inammissibile la descritta doglianza.
Quanto al secondo motivo di ricorso, avente ad oggetto la reiterazione della richiesta di ammissione alla oblazione ai sensi dell'art. 162-bis c.p., osserva questa Corte che la menzionata richiesta, presupponendo la sua evasione lo svolgimento di un'indagine di fatto in ordine alla permanenza o meno delle conseguenze dannose e/o pericolose del reato, ostative, ove perduranti, all'accoglimento della domanda (Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 12 luglio 2010, n. 26762), è palesemente inammissibile di fronte a questo giudice di legittimità.
Riguardo al terzo motivo di impugnazione osserva la Corte che anche con riferimento ad esso ne va rilevata la inammissibilità; premessa, infatti, la indubbia carenza in capo alla C. s.r.l. della autorizzazione prevista per lo svolgimento della attività di frantumazione di materiali edili rivenienti da demolizioni e riscontrata la attendibilità dell'accertamento operato dal giudice del merito in relazione alla avvenuta attivazione dell'impianto in questione, accertamento plausibilmente fondato sul fatto che al momento del sopralluogo dei tecnici regionali erano stati rinvenuti nell'impianto degli inerti da lavorare, la cui presenza non avrebbe avuto alcuna ragione d'essere ove l'impianto non fosse stato ancora operativo, e sul rilievo che nel recente passato vi erano state delle lamentele dei proprietari finitimi in ordine alla presenza di emissioni in atmosfera rivenienti dal detto stabilimento, va rimarcato che esula dall'ambito della competenza di questa Corte -
trattandosi di valutazione in fatto smentita dalla plausibile valutazione di segno opposto compiuta, come dianzi esposto, dal Tribunale di Pesaro - la verifica se tali emissioni potessero essere originate, invece che dal predetto impianto, da un vicino allevamento zootecnico gestito da uno dei prevenuti.
Va, d'altra parte ricordato che integra il reato di cui alla contestazione, poichè lo stesso costituisce fattispecie di pericolo, anche la sola sottrazione dell'attività comportante le emissioni di materiale in atmosfera al preventivo controllo degli organi di vigilanza, senza che sia necessario il verificarsi di alcun ulteriore evento di danno naturalisticamente inteso (Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 7 luglio 2015, n. 28764).
Riguardo, infine all'ultimo motivo di censura, concernente la entità del trattamento sanzionatorio irrogato a carico dei due prevenuti, in relazione al quale è invocata la applicazione del minimo della pena, va ricordato l'insegnamento di questa Corte riguardante la natura eminentemente discrezionale della operazione di quantificazione della pena (Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 26 marzo 2008, n. 12749) che, tanto più ove questa sia contenuta in ambiti prossimi al minimo edittale, può ritenersi congruamente motivata sulla base del sintetico riferimento alla avvenuta valutazione dei criteri di cui all'art. 132 c.p., e s.s., fra i quali evidentemente è compreso il criterio, seguito dal Tribunale di Pesaro, riferito alla gravità del reato (sulla legittima sinteticità della motivazione della sentenza che irroghi una pena commisurata in prossimità del minimo edittale si veda: Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 8 luglio 2013, n. 28852).
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2015.