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Cass. Sez. III sent.274 del 24 gennaio 2006 (ud. 4 novembre 2005)
Pres. Vitalone Est. Fiale Imp. Bucci
Aria- Impianti di verniciatura

Gli impianti di verniciatura non rientrano tra le attività ad inquinamento atmosferico poco significativo

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Svolgimento del processo
Con sentenza del 21 ottobre 2004 la Corte di Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto confermava la sentenza 12 novembre 2003 del Tribunale monocratico di Taranto, che aveva affermato la responsabilità penale di Bucci Giuseppe in ordine alle contravvenzioni di cui:
- all'art. 24 D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (per avere, quale esercente di autocarrozzeria, attivato un forno di verniciatura ed essiccazione, suscettibile di dare luogo all'emissione di fumi in atmosfera, senza la prescritta autorizzazione);
- all'art. 51, 2° comma, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (per avere effettuato un deposito incontrollato e non autorizzato di rifiuti - acc. in Taranto, il 2 agosto 2000)
e, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen. - lo aveva condannato alla pena complessiva di mesi cinque di arresto ed euro 1.500,00 di ammenda, nonché al risarcimento dei danni in favore del Comune di Taranto, costituitosi parte civile.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Bucci, il quale ha eccepito, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione:
a) la mancata corrispondenza tra la fattispecie di reato originariamente contestata in relazione al D.Lgs. n. 22/1997 (discarica abusiva) e quella per la quale è stata pronunciata condanna (deposito incontrollato di rifiuti);
b) la insussistenza del ritenuto reato di deposito incontrollato di rifiuti, in relazione a materiali che rifiuti non erano, poiché "destinati per la gran parte ad essere riutilizzati" per la riparazione di autovetture, e che, comunque, erano detenuti nel rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 6 del D.Lgs. n. 22/1997;
c) la violazione dell’art. 24 del D.P.R. n. 203/1988, svolgendo egli "attività ad inquinamento atmosferico poco significative", per la quale non era necessaria l’autorizzazione.

Motivi della decisione
Il ricorso deve essere rigettato, perchè infondato.
1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema il principio della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza non va inteso in senso rigorosamente formale o meccanicistico ma, conformemente al suo scopo ed alla sua funzione, in senso realistico e sostanziale.
La verifica dell'osservanza di detto principio non può esaurirsi, quindi, in un pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza, ma va condotta sulla base della possibilità assicurata all'imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto, sicché deve escludersene la violazione ogni volta che non sia ravvisabile pregiudizio delle possibilità di compiuta difesa.
Le Sezioni Unite - con la sentenza n. 16 del 22 ottobre 1996, ric. Di Francesco - hanno affermato, in particolare, che "con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull’oggetto dell'imputazione" e"vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione".
Nella specie, i contenuti essenziali dell'addebito erano fin dall'origine riferiti all'abbandono di parti meccaniche e di carrozzeria di autovetture nei pressi dell'officina gestita dall'imputato e questi, in ordine a tale fatto, ha avuto piena possibilità di difendersi.
La inconfigurabilità della più grave ipotesi di discarica abusiva costituisce mera riqualificazione giuridica del fatto, legittimamente effettuata dai giudici del merito.
2. A fronte della prospettazione difensiva di un riutilizzo meramente ipotetico ed eventuale, è stato accertato, in sede dibattimentale, che, nella parte retrostante uno dei fabbricati adibiti ad officina, erano depositati parti di autocarrozzeria, indistintamente commiste a parti meccaniche e ad accumulatori di piombo esausti, oggetti tutti fuori uso e/o danneggiati e, tra l'altro, in nessuna diretta correlazione con le autovetture rinvenute in attesa di essere riparate.
Esattamente, al riguardo, è stato posto altresì in rilievo che, nel caso in esame, non risultano osservate le disposizioni di cui all’art. 6, 1° comma – lett. m), del D.Lgs. n. 22/1997 [termini di durata e scadenze temporali per l’avviamento alle operazioni di recupero o di smaltimento (al fine di assicurare l'effettiva temporaneità); tenuta dei registri di carico e scarico; divieto di miscelazione; suddivisione dei rifiuti per tipi omogenei e nel rispetto delle relative norme tecniche].
3. Il D.P.R. n. 203/1988, nel dettare - in attuazione delle direttive C.E.E. nn. 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 - la disciplina delle emissioni inquinanti in atmosfera derivanti da impianti industriali, ha fissato in termini assai ampi la propria sfera applicativa estendendola (con l'eccezione prevista dall'art. 17 per le centrali termoelettriche e le raffinerie di olii minerali) "a tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissioni nell'atmosfera" (art. 1, 2° comma - lett. a) e specificando che l'emissione considerata è soltanto quella in grado di produrre inquinamento atmosferico (art. 2, punto 4).
Per "impianto" si deve intendere, ai sensi dell'art. 2, punto 9, dello stesso D.P.R., "lo stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale".
Il D.P.C.M. 21 luglio 1989 (emanato dal Governo nell’ambito dei poteri di indirizzo e coordinamento alle Regioni previsti, in via generale, dall’art. 9 della legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell'Ambiente, e riconosciuti, con specifico riferimento alla materia dell'inquinamento atmosferico, dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 101 del 9 marzo 1989) ha esteso l'ambito di applicazione del D.P.R n. 203/1988 anche agli impianti di imprese artigiane e di servizi ed ha introdotto le categorie:
- delle "attività i cui impianti provocano inquinamento atmosferico poco significativo" (punto 25), da individuali con apposito decreto e non soggette ad alcuna autorizzazione (punto 26);
- delle "attività a ridotto inquinamento atmosferico" (punto 19), stabilendo unicamente al riguardo che le Regioni possono predisporre "modelli semplificati di domande di autorizzazione in base alle quali le quantità e le qualità delle emissioni siano deducibili dall'indicazione della quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate nel ciclo produttivo".
Il D.P.R. 25 luglio 1991 (emanato, in base alle previsioni dell'art. 1 della legge 12 gennaio 1991, n. 13, quale atto normative di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle Regioni) ha modificato parzialmente il D.P.C.M. 21 luglio 1989 ed ha previsto che le "attività ad inquinamento atmosferico poco significativo" - elencate nell'Allegato 1 - non necessitano di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (art. 2), mentre le Regioni possono unicamente prevedere l'obbligo, per i titolari di tali attività, di comunicare la sussistenza delle condizioni che consentono di ritenere poco significative le emissioni dell'impianto.
Lo stesso D.P.R. 25 luglio 1991 ha altresì individuato le "attività a ridotto inquinamento atmosferico" (art. 4) ed ha specificato che le stesse sono:
- quelle i cui impianti producono flussi di massa degli inquinanti inferiori a quelli indicati nei decreti ministeriali che dettano le linee guida per il contenimento delle emissioni ed i datori minimi e massimi di emissione;
- quelle che "utilizzano, nel ciclo di produzione, materie prime ed ausiliarie che non superano le quantità ed i requisite indicati nell’Allegato 2" al decreto stesso (tale Allegato contiene un elenco di 27 attività, per ciascuna delle quali è indicato il quantitativo massimo giornaliero di prodotti che possono essere utilizzati affinché l'attività possa essere ricompresa nel settore in questione).
Le Regioni autorizzano in via generale le attività a ridotto inquinamento atmosferico e possono "altresì predisporre procedure specifiche anche con modelli semplificati di domande di autorizzazione in base ai quali le quantità e le qualità delle emissioni siano deducibili dall'indicazione delle quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate nel ciclo" (art. 5).
Le officine di verniciatura non svolgono "attività ad inquinamento atmosferico poco significativo" e l'imputato non ha dimostrato che l’impianto oggetto del presente processo si ricolleghi ad "attività a ridotto inquinamento atmosferico" ricompresa in una autorizzazione emanata in via generale.
4. I reati non sono prescritti.
La contravvenzione di cui all'art. 24, 1° comma, del D.P.R. n. 203/1988 ha natura permanente e la permanenza si protrae sino a quando il responsabile dell'impianto non presenti (anche oltre il termine prescritto) la domanda di autorizzazione per le emissioni atmosferiche prodotte.
Nella specie la difesa ha prodotto una dichiarazione dell’imputato di cessazione dell'attività di autocarrozzeria avvenuta il 23 giugno 2003.
In ogni caso, comunque, anche qualora il computo si faccia decorrere dalla data dell'accertamento (2 agosto 2000), la scadenza del termine ultimo di prescrizione coinciderebbe con il 2 febbraio 2005.
Va computata, però (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11 gennaio 2002, n. 1021, ric. Cremonese) una sospensione del corso della prescrizione per complessivi mesi dieci e giorni quattro, in seguito a rinvii disposti su richiesta dell’imputato e del difensore [dal 10 luglio 2002 al 14 maggio 2003], non per esigenze di acquisizione della prova né a causa del riconoscimento di termini a difesa.
Il termine ultimo di prescrizione, pertanto, pure qualora si prescinda dalla permanenza, resterebbe fissato al 16 dicembre 2005.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.