Cass. Sez. III n. 29740 del 8 settembre 2006 (ud. 6 giu. 2006)
Pres. Vitalone Est. Franco Ric. Salvi
Rifiuti – Discarica abusiva – Sanzioni applicabili
E’ manifestamente infondata la eccezione pregiudiziale comunitaria in ordine alla sanzione applicabile in materia di discarica abusiva di rifiuti in quanto il legislatore nazionale ha rispettato in pieno il principio di proporzionalità prevedendo una pena più severa nel caso in cui la discarica riguardi rifiuti pericolosi e nessuna disposizione comunitaria impone l’applicazione di sanzioni amministrative in caso si tratti di rifiuti non pericolosi.


Svolgimento del processo

Con sentenza del 21 aprile 2004 il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Trento dichiarò Salvi Luigi colpevole del reato di cui all’art. 51, terzo comma, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, per avere realizzato e gestito, senza la prescritta autorizzazione, una discarica di rifiuti speciali non pericolosi (blocchi e frammenti di pavimentazione stradale in conglomerato bituminoso, calcestruzzo e materiali lapidei), e lo condannò alla pena ritenuta di giustizia.

La corte d’appello di Trento, con sentenza del 16 febbraio 2005, ridusse la pena confermando nel resto la sentenza di primo grado.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

a) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità perché il giudice di primo grado ha respinto con sentenza, anziché con apposita ordinanza, la eccepita pregiudiziale Comunitaria. Erroneamente la corte d’appello ha respinto questa eccezione.

b) ripropone la questione pregiudiziale comunitaria per violazione del principio di proporzionalità perché il legislatore nazionale non ha distinto, per quanto riguarda il tipo di sanzione penale applicabile, tra discarica di rifiuti pericolosi e discarica di rifiuti non pericolosi, non prevedendo per quest’ultima la sanzione più mite, ed in particolare una sanzione amministrativa.

c) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità perché la corte d’appello, invece di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado per omessa motivazione sulla eccezione di inutilizzabilità delle indagini svolte dopo il 9 gennaio 2003, la ha valutata nel merito.

d) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità della seconda proroga delle indagini preliminari perché concessa dal giudice per le indagini preliminari oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 406, terzo comma, cod. proc. pen.

e) mancanza ed illogicità della motivazione nella parte in cui ritiene provato che l’imputato avesse gestito la discarica in questione.

 

Motivi della decisione

Il primo motivo è manifestamente infondato perché, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte da cui non vi è motivo per discostarsi, «la norma dell’art. 491, quinto comma, cod. proc. pen., la quale prescrive che sulle questioni preliminari il giudice decide con ordinanza, non è sanzionata da nullità, cosicché ove il giudice del dibattimento decida la questione preliminare insieme al merito, l’imputato non può dolersene, oltre tutto perché nessun danno deriva alla sua posizione e perché comunque nel sistema della legge l’ordinanza che risolve questioni preliminari è impugnabile solo con la sentenza che definisce il dibattimento» (Sez. VI, 25 giugno 1993, Esposito, m. 195.035).

La eccezione pregiudiziale comunitaria di cui al secondo motivo - a parte ogni considerazione sulla sua ammissibilità, dal momento che non è stata ritualmente sollevata in questa sede ma solo riproposta mediante rinvio per relationem ad atti del giudizio di merito - è comunque manifestamente infondata perché il legislatore nazionale ha rispettato in pieno il principio di proporzionalità, prevedendo, con l’art. 51, terzo comma, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, nel caso si tratti di rifiuti pericolosi una pena più severa rispetto a quella prevista nel caso si tratti di rifiuti non pericolosi (arresto da uno a tre anni, anziché arresto da sei mesi a due anni, ed ammenda nella misura doppia sia nel minino sia nel massimo). Nessuna norma o principio comunitario, poi, impone addirittura al legislatore nazionale di applicare esclusivamente una sanzione amministrativa nel caso si tratti di rifiuti non pericolosi. Anzi, come ha esattamente messo in rilievo la corte d’appello, emerge semmai un orientamento dell’ordinamento comunitario favorevole alla protezione dell’ambiente attraverso sanzioni di carattere penale e contrario ad una depenalizzazione nel settore (cfr. decisione quadro 2003/80/GAI del Consiglio).

Il terzo motivo è anch’esso manifestamente infondato perché ineccepibilmente la corte d’appello, a fronte della eccezione di inutilizzabilità delle indagini svolte successivamente al 9 gennaio 2003, la ha esaminata nel merito motivando in proposito. E’ evidente, infatti, che il dedotto errore e la dedotta mancanza di motivazione del giudice di primo grado sul punto non avrebbero comunque potuto comportare la nullità della sentenza appellata.

E’ manifestamente infondato anche il quarto motivo perché il pubblico ministero aveva provveduto tempestivamente a richiedere la proroga delle indagini preliminari, mentre nessuna nullità o inutilizzabilità poteva derivare dal fatto che il giudice per le indagini preliminari avesse concesso detta proroga dopo il termine di dieci giorni di cui all’art. 406, terzo comma, cod. proc. pen., termine che ha natura meramente ordinatoria. In ogni caso il motivo appare anche inammissibile trattandosi, a ben vedere, di motivo non espressamente proposto con l’atto di appello. Infatti, come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata, con l’atto di appello fu sostanzialmente eccepita solo la inutilizzabilità degli atti di indagini compiuti dopo il 9 gennaio 2003 (eccezione questa accolta dalla corte d’appello) e non anche la inutilizzabilità degli atti compiuti dopo il 9 luglio 2002, a causa della nullità della seconda ordinanza di proroga. Contro la decisione del primo giudice di ritenere valido il secondo provvedimento di proroga, infatti, con l’atto di appello non furono proposte specifiche censure, in quanto tutto il gravame si fondava sul fatto che il giudice di primo grado aveva esaminato solo il primo profilo di inutilizzabilità e non anche il secondo.

Il quinto motivo si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque manifestamente infondato perché la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione delle ragioni per le quali ha ritenuto accertato - anche a prescindere dalla consulenza tecnica tardivamente disposta dal pubblico ministero - che il prevenuto avesse riversato nella discarica in questione il materiale di cui al capo di imputazione. Ha infatti osservato la corte d’appello che, da un lato, era stata sicuramente accertata la circostanza storica (peraltro non contestata con l’appello) che nella discarica in questione era avvenuto il conferimento del materiale derivante dai lavori appaltati dalla PAT alla Edilcom e di cui ai contratti specificati nel capo di imputazione e, da un altro lato, che i suddetti contratti avevano ad oggetto opere stradali necessariamente comportanti scavi di materiale diverso da terra e sassi, quali frammenti di pavimentazione bituminosa e residui di demolizioni di murature. Ne ha quindi logicamente tratto la conseguenza che l’imputato, avendo scaricato nell‘area in questione i detti residui, ha utilizzato l’area stessa quale discarica di rifiuti che in essa invece non potevano confluire. Si tratta di una motivazione plausibile e sicuramente non manifestamente illogica, che non può quindi essere sindacata in questa sede.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in € 1.000,00.

Essendo il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, la circostanza che la prescrizione del reato sia maturata in una data successiva (29 marzo 2005) a quella in cui è stata emessa la sentenza impugnata, è del tutto irrilevante perché, a causa della inammissibilità del ricorso non si è formato un valido rapporto di impugnazione il che preclude a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare le eventuali cause di estinzione del reato, ivi compresa la prescrizione, verificatasi in data posteriore alla pronuncia della decisione impugnata (Sez. Un., 22 novembre 2000, De Luca, m. 217.266; giur. Costante)