Cass. Sez. III n. 48478 del 28 dicembre 2011 (Ud. 24 nov. 2011)
Pres. Teresi Est. Fiale Ric. Mancini
Beni ambientali. Delitto paesaggistico

La fattispecie di cui all'art. 181, comma 1bis, D,Lgs. n. 42/2004 e punita a titolo di dolo generico.  Quanto alla coscienza dell'antigiuridicità dell'azione, presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del soggetto agente, dell'effettivo contenuto precettivo della norma e, secondo la sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale (in relazione alla previsione dell'art. 5 cod. pen.), va considerata quale limite alla responsabilità personale soltanto l'oggettiva impossibilità di conoscenza del precetto (c.d. ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale).

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 24/11/2011
Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 2495
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere - N. 14264/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) MANCINI MARCO N. IL 24/01/1964;
avverso la sentenza n. 1583/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 24/09/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. LETTIERI Nicola che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 24.9.2010, confermava la sentenza 19.11.2008 del Tribunale di Grosseto - Sezione distaccata di Orbetello, che aveva affermato la responsabilità penale di Mancini Marco in ordine ai reati di cui:
- agli artt. 633 e 639 bis cod. pen., per avere invaso
arbitrariamente terreno pubblico, realizzandovi opere edilizie abusive;
- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (per avere realizzato, senza il necessario permesso di costruire, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, opere edilizie consistite nell'ampliamento di un preesistente fabbricato abusivo, nonché nell'installazione di due prefabbricati in lamiera su piattaforme in cemento e di una cisterna di raccolta delle acque piovane);
- al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, (per avere realizzato le opere edilizie anzidette, in zona dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 14 febbraio 1959, senza l'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo - acc. in Orbetello, località Ansedonia, il 28 febbraio ed il 5 marzo 2007, con lavori in corso al momento dell'accertamento) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, ritenuta la continuazione tra tutti i reati ex art. 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato alla pena complessiva di mesi 10 di reclusione, ordinando la rimessione in pristino dello stato dei luoghi e concedendo il beneficio della sospensione condizionale subordinato all'effettivo ripristino entro tre mesi dalla formazione del giudicato. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del Mancini, il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito: - la insussistenza del delitto di cui agli artt. 633 e 639 bis cod. pen., in quanto il terreno sul quale sono state realizzate le opere descritte nei capi di imputazione aveva formato oggetto di concessione demaniale rilasciata negli anni 60 alla madre dell'imputato (Palmira Martellini): dopo il decesso della signora Martellini, nell'anno 2003, il figlio era subentrato nella concessione demaniale ai sensi dell'art. 46 cod. nav. e, nell'anno 2006 (data di scadenza della concessione medesima), aveva presentato istanza di rinnovo a suo nome, accolta il 9 settembre 2009;
- la intervenuta prescrizione della contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), relativa alla installazione dei due prefabbricati in lamiera e della cisterna di raccolta delle acque piovane, in considerazione della "assenza di elementi certi in ordine alla datazione" di tali opere;
- la insussistenza della contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), relativa al contestato ampliamento di un edificio abusivo, poiché non sarebbe stato realizzato alcun ampliamento, essendosi l'imputato limitato a ripristinare (attraverso un intervento di restauro e risanamento conservativo) due muri perimetrali preesistenti crollati nel febbraio del 2007 a causa di eventi atmosferici;
- la insussistenza dell'elemento psicologico del delitto di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, tenuto conto della evidente carenza della "coscienza e volontà di mettere in pericolo l'ambiente";
- la illegittimità della disposta subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato. 1. I giudici del merito legittimamente hanno riconosciuto la sussistenza del delitto di cui agli artt. 633 e 639bis cod. pen., essendo stato accertato che il Mancini ha realizzato su un'area demaniale opere abusive, occupando illegittimamente quell'area e mantenendone senza titolo il possesso in modo corrispondente all'esercizio di un diritto reale di godimento.
Inconferente è il richiamo difensivo all'art. 46 cod. nav., in quanto il comma 3 di tale norma stabilisce che "in caso di morte del concessionario gli eredi subentrano nel godimento della concessione, ma devono chiederne la conferma entro sei mesi, sotto pena di decadenza". Nella vicenda in esame risulta che la concessionaria Martellini era deceduta nell'anno 2003 mentre il Mancini chiese la conferma del provvedimento concessorio soltanto tre anni dopo e successivamente alla realizzazione delle contestate opere edilizie abusive.
2. La doglianza riferita alla qualificazione giuridica dell'intervento edilizio sul fabbricato preesistente è manifestamente infondata.
In relazione a tale fabbricato è stato accertato che la signora Martellini aveva presentato istanza di condono edilizio ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 39; tale istanza era stata rigettata dal Comune di Orbetello (previo diniego anche dell'autorizzazione paesaggistica) con provvedimento del 30.4.2002, impugnato davanti al giudice amministrativo con ricorso tuttora pendente. Il Mancini aveva poi inoltrato una DIA, per il solo rifacimento del tetto in eternit. Detti lavori, però, non sono stati realizzati e si è proceduto, invece, alla demolizione e ricostruzione di una parte dell'edificio originario (oltre che alla realizzazione di altri manufatti), senza che per tali opere sia stato esperito alcun procedimento abilitativo edilizio e sia stata richiesta la prescritta autorizzazione paesaggistica.
Correttamente, a fronte di un'attività demolitoria e di ricostruzione ampliativa, i giudici del merito hanno escluso che le opere realizzate possano ricondursi alle nozioni di "restauro e risanamento conservativo", configurandosi una vera e propria "ristrutturazione".
In ogni caso, i lavori edilizi che riguardano manufatti abusivi che non siano stati sanati ne' condonati - anche se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie del restauro e/o risanamento conservativo ovvero a quella della ristrutturazione - non possono essere legittimamente eseguiti ne' autorizzati, in quanto ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera alla quale ineriscono (vedi Cass., Sez. 3, 20.1.2009, n. 2112, Pizzolante; 19.1.2009, n. 1810, P.M. in proc. Cardito; 19.4.2006, n. 21490).
3. La fattispecie di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, è punita a titolo di dolo generico.
Quanto alla coscienza dell'antigiuridicità dell'azione, va rilevato che presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del soggetto agente, dell'effettivo contenuto precettivo della norma e, secondo la sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale (in relazione alla previsione dell'art. 5 cod. pen.), va considerata quale limite alla responsabilità personale soltanto l'oggettiva impossibilità di conoscenza del precetto (cd. ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale).
Nella fattispecie in esame l'imputato aveva il dovere di informarsi preventivamente (anche) circa l'eventuale assoggettamento a vincoli dell'area sulla quale andava a costruire e non ha dimostrato, invece, di avere assunto alcuna informazione al riguardo presso gli organi competenti.
Nè si configura un errore su norma extrapenale, che abbia cagionato un errore sul fatto costituente il reato (ex art. 47 c.p., comma 3), poiché l'imputato - il quale ben poteva avere una esatta conoscenza del D.Lgs. n. 42 del 2004 e che tale corretta conoscenza era obbligato ad acquisire - non ha prospettato di avere commesso alcun errore sull'interpretazione delle disposizioni di detto testo normativo, ne' ha addotto di avere erroneamente creduto di realizzare un fatto diverso da quello vietato.
Egli semplicemente ha posto in essere un'attività edilizia senza richiedere l'autorizzazione all'autorità amministrativa preposta alla tutela del vincolo (autorizzazione che avrebbe dovuto richiedere anche qualora detta attività edificatoria avesse riguardato un bene sottoposto a tutela paesaggistica ex lege e non con provvedimento puntuale dell'amministrazione).
Deve concludersi, pertanto, che non vi sono dubbi circa la diretta volizione del comportamento illecito e non si rinvengono elementi idonei a configurare l'errore sul precetto di cui all'art. 5 cod. pen. ovvero l'errore su norma - extrapenale ex art. 47 c.p., comma 3. 4. Le contravvenzioni non sono prescritte, perché:
- il manufatto ampliativo realizzato ex novo era ancora in corso di costruzione alla data dell'accertamento, privo di intonaco esterno e solo parzialmente intonacato all'interno;
- quanto agli altri manufatti, va ribadito l'orientamento di questa Corte secondo il quale, in mancanza di diversa prova, che deve essere fornita dall'imputato, la data di completamento delle opere abusive si presume coincidente con quella in cui è stata contestata la violazione (Cass., Sez. 3, 3.3.2005, Barbetta), gravando sull'imputato, che voglia giovarsi della causa estintiva della prescrizione, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di esecuzione dell'opera incriminata (Cass., Sez. 3, 23.5.2000, Milazzo).
5. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 3.2.1997, n. 714, ric. Luongo - hanno affermato la legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva e tale principio, a maggior ragione, deve applicarsi all'ordine di rimessione in pristino già previsto dalla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies e D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 164 (ed attualmente dal D.Lgs. 22 giugno 2004, n. 42, art. 181, comma 2), allorché si consideri che:
- è sicuramente possibile l'utilizzazione del disposto dell'art. 165 cod. pen., rivolto a rafforzare il ravvedimento del condannato, poiché la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, ben può comportare "conseguenze dannose o pericolose";
- la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e quindi si riconnette al preminente interesse di giustizia sotteso all'esercizio stesso dell'azione penale;
- in relazione a tale peculiare sanzione la Corte Costituzionale ha affermato che essa costituisce un obbligo a carico del giudice - imposto per la più incisiva tutela di un interesse primario della collettività per la salvaguardia del valore ambientale presidiato dalla norma che lo prevede - e si colloca su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della Pubblica Amministrazione e delle valutazioni della stessa, configurandosi quale conseguenza necessaria sia dell'esigenza di recuperare l'integrità dell'interesse tutelato, sia del giudizio di disvalore che il legislatore ha dato all'attuazione di interventi modificativi del territorio in zone di particolare interesse ambientale (Corte Cost, sent. 20.7.1994, n. 318).
6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011