Beni Ambientali. Questione di legittimità costituzionale (art.159, co.3 D.Lv. 42-2004)
Poiché deve opinarsi nel senso che la previsione dell’art.159, comma 3, consenta una sostanziale revisione “in merito” delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dagli enti territoriali, può dubitarsi della legittimità costituzionale della disposizione stessa, sollevando la relativa questione dinnanzi alla Corte delle leggi.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME
DEL POPOLO ITALIANO
N.5720/2007 Reg.Dec. N. 2029 Reg.Ric. ANNO
2007 |
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha
pronunciato la
seguente
ORDINANZA
sul
ricorso in appello proposto da Ministero per i beni e le
attività culturali in
persona del Ministro p.t. rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello
Stato presso cui è ope legis domiciliato in Roma via dei
Portoghesi 12;
contro
Comune
di S. Anastasia in persona del sindaco pro-tempore rappresentato e
difeso dagli
avv.ti Giovanni Cresci e Antonio Messina ed elettivamente domiciliato
in Roma
Piazza di Spagna 35, presso l’avv. Carlo Sarro;
per
l'annullamento
della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione III n.10428 del 6
dicembre 2006;
Visto
il ricorso con i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio del Comune di
S.Anastasia;
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti
gli atti tutti della causa;
Alla
pubblica udienza del 3 luglio 2007 relatore il Consigliere
Luciano Barra Caracciolo.
Udito
l’avv. dello Stato Borgo, l’avv. Cresci e
l’avv.
Messina;
Ritenuto
e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con la
sentenza in epigrafe il Tar della Campania ha accolto il
ricorso proposto dal Comune di S.Anastasia avverso il decreto del 13
giugno
2006, n.11978, con cui
L’adito
Tribunale, con sentenza in forma semplificata, -sulla
premessa che l’esame dell’organo statale doveva
essere necessariamente ed
esclusivamente limitato a motivi di legittimità, non potendo
impingere in
apprezzamenti di merito- riteneva che fosse fondato il profilo di
violazione di
legge ed eccesso di potere dedotto in ricorso poiché la
determinazione tutoria
negativa non indicava le ragioni di contrasto con le prescrizioni
urbanistico-territoriali della zona interessata ed atteso che
l’intervento
progettato appariva conforme alla destinazione urbanistica impressa
alla
medesima (per la quale era consentita, tra l’altro, proprio
la realizzazione di
strutture alberghiere) .
Appella
il Ministero per i beni e le attività culturali deducendo
i seguenti motivi:
Premesse
la caratteristiche fisiche e di regime urbanistico
dell’area interessata e dell’intervento oggetto del
provvedimento impugnato, si
deduce che la notevole volumetria e lo sviluppo in superficie
dell’intervento
nel suo insieme, ne determinavano un “grosso”
impatto paesistico; la sua
presenza, visto che l’aera è caratterizzata da
aree residuali agricole e di
interesse paesaggistico, provocherebbe, anche se in parte, la
cancellazione di
tratti del paesaggio, ancora intatti, a carattere rurale. Tanto ha
ritenuto il
Soprintendente nell’annullare l’autorizzazione
sindacale, ritenendo che la
stessa “comporterebbe la realizzazione di opere non
compatibili con le
imprescindibili esigenze di tutela e conservazione dei valori
paesistici riconosciuti
dal d.m. dell’8 agosto 1961; esigenze che rappresentano, come
noto, la ragione
costitutiva del vincolo stesso”.
Erronea
è l’affermazione del Tar per cui la determinazione
tutoria
negativa deve essere necessariamente ed esclusivamente limitata a
motivi di
legittimità e non può impingere in apprezzamenti
di merito. Infatti, l’art.159,
comma 3, del D.lgs. 42 4, così come modificato
dall’art.26, comma 3, del
D.lgs. n.157 del 24 marzo 2006, stabilisce la piena e incondizionata
competenza
dell’amministrazione per i beni culturali ad annullare gli
atti autorizzativi
semplicemente “qualora ritenga l’autorizzazione non
conforme alle prescrizioni
di tutela del paesaggio” e non solo per ravvisati vizi di
legittimità.
L’annullamento di cui al decreto impugnato è
così pienamente legittimo, in
quanto motivato con riferimento all’impatto
dell’intervento nel suo insieme sul
paesaggio, che determinerebbe un’obiettiva deroga al vincolo,
tanto più che il
nulla osta comunale è del tutto privo di motivazione in
ordine alla compatibilità
paesaggistica dell’intervento, che non può essere
ricondotta unicamente al
rispetto delle prescrizioni urbanistico-territoriali della zona
interessata.
Si
è costituito il Comune originario ricorrente sostenendo
l’infondatezza dell’appello sulla scorta della
consolidata giurisprudenza del
giudice amministrativo che esclude che, in sede di annullamento delle
autorizzazioni rilasciate dagli enti territoriali,
DIRITTO
La
materia del contendere, quale emergente dalla contestazione
della sentenza impugnata sollevata in appello, si incentra
preliminarmente
sulla questione della portata dell’art.159, comma 3, del
D.lgs. 22 gennaio
2004, n.42, quale sostituito dall’art.26 del D.lgs. 24 marzo
2006, n.157, norma
ratione temporis applicabile
nell’emanazione del provvedimento
impugnato, adottato il 13 giugno 2006.
L’appello,
in buona sostanza, sostiene l’erroneità della
sentenza
di prime cure sul rilievo che, a seguito dell’entrata in
vigore di detta norma,
Cioè
non vi sarebbe, più, secondo l’appellante, il
vincolo della
delimitazione del potere di cognizione dell’autorizzazione,
oggetto del
riscontro, ai soli parametri di legittimità, (inclusi
peraltro tutti i
possibili profili di eccesso di potere), quale affermato costantemente
dalla
giurisprudenza amministrativa, secondo un risalente orientamento
formatosi
presso questa stessa Sezione, culminato nelle precisazioni operate con
la
decisione n. 9 del 14 dicembre 2001 dell’Adunanza Plenaria e
in seguito
univocamente proseguito.
Va in
proposito rilevato che la tesi avanzata dall’Amministrazione
appellante risulta suffragata dalla lettura dello stesso art.159, comma
3, nel
suo testo attuale, che stabilisce che “La soprintendenza, se
ritiene
l’autorizzazione non conforme alle
prescrizioni di tutela del paesaggio,
dettate ai sensi del presente titolo, può annullarla, con
provvedimento
motivato,…”.
E’
di tutta evidenza, infatti, che il rilievo della “non
conformità” alle prescrizioni della legislazione
di tutela, implica
inevitabilmente il diretto apprezzamento dei fatti rilevanti nel caso
concreto,
già considerati nell’ambito
dell’autorizzazione oggetto di controllo, al fine
di esprimere su di essi un giudizio di “valore”.
Tale
è infatti quello configurato dalle prescrizioni di tutela
medesime, che determinano un ambito di valutazione del fatto, da
effettuare in
sede autorizzativa, ancorato a “concetti
indeterminati”, da connotare cioè in
base ad apprezzamenti tecnici complessi, alla stregua di regole non
giuridiche
e proprie delle discipline estetico-ambientali, suscettibili di diversi
esiti applicativi:
si abbia riguardo ai concetti di “alterazione”,
“pregiudizio”,
“compatibilità”,
“coerenza”, rapportate ai “valori
paesaggistici” ed agli “obiettivi di
qualità
paesaggistica”, in base alla lettera dell’art.146,
commi 1, 4 e 5, del
D.lgs.422004.
Ciò
premesso, poiché, alla luce delle considerazioni
ermeneutiche
che precedono, deve opinarsi nel senso che la previsione
dell’art.159, comma 3,
consenta una sostanziale revisione “in merito”
delle autorizzazioni
paesaggistiche rilasciate dagli enti territoriali, ritiene il Collegio
che
possa dubitarsi della legittimità costituzionale della
disposizione stessa,
sollevando la relativa questione dinnanzi alla Corte delle leggi.
Quanto
alla rilevanza della questione, essa risulta palese, atteso
che l’intendimento e l’individuazione della precisa
sfera di applicazione della
norma della cui costituzionalità si dubita risultano
decisivi per la
definizione della presente controversia; basti dire che ove la norma,
come pare
a questo Collegio, debba intendersi come estensiva
dell’ambito del controllo
demandato alla soprintendenza fino agli aspetti c.d. “di
merito”, l’appello
dovrebbe essere accolto e sicuramente riformata la sentenza di primo
grado,
mentre, comunque, ogni altra censura eventualmente assorbita, dedotta
con
l’originario ricorso di primo grado, assumerebbe un
necessaria diversa
rilevanza ove fosse da contrapporre all’esistenza di un
potere di apprezzamento
“nel merito” della conformità
paesaggistica in capo all’organo statale.
Quanto
alla non manifesta infondatezza essa può ritrarsi dalle
seguenti considerazioni:
a)
è dubbio che una innovazione legislativa che importi una
revisione così sostanziale, - nell’ambito
dell’affidamento alla regione, ed
agli enti da essa delegati, del potere di autorizzazione in discorso -,
del
rapporto tra Stato e regione quale configurato da una giurisprudenza
amministrativa ormai trentennale, sia stata prevista nella norma delega
di cui
all’art.10 della legge 6 luglio 2002, n.137;
b)
tale rapporto era, infatti, configurato come “diritto
vivente”
fin dall’emanazione dell’art.82, comma 9, del
D.P.R. 24 luglio 1977, n.616, nel
senso della devoluzione all’organo statale di un potere che,
in quanto
definito, dalla legislazione da allora succedutasi, come di
“annullamento”, è
stato costantemente limitato al solo rilievo di vizi di
legittimità;
c)
è dubbio, pertanto, che il Legislatore delegante abbia
inteso
giungere ad una siffatta ridislocazione dei poteri di valutazione
“in merito”
rilevanti nella specifica materia, posto che, al di là della
codificazione,
cioè della ricognizione delle norme vigenti, e del riassetto,
cioè della
“razionalizzazione” di tale corpo normativo, quali
obiettivi enunciati al primo
comma dell’art.10 ora citato, i “criteri”
di attuazione della delega, quali posti
nella lettera d) del secondo comma dello stesso art.10, non contengono
alcuna
previsione che riguardi l’estensione e le modalità
del “controllo” demandato
agli organi statali relativamente agli atti autorizzativi qui in
rilievo,
dovendo quindi sospettarsi la violazione, da parte della norma delegata
qui
denunziata, dell’art.76 Cost., in ordine alla necessaria
corrispondenza delle
norme delegate a “principi e criteri direttivi”
stabiliti dalla legge-delega;
d)
è da dubitarsi, inoltre, che lo strumento per introdurre una
siffatta modificazione dei rapporti Stato-regione, in tema di poteri di
autorizzazione paesaggistica, potesse essere costituito dai decreti
comunque
previsti dal comma 4 dello stesso art.10, che possono sì
apportare
“disposizioni correttive ed integrative dei decreti
legislativi di cui al comma
e)
è da dubitarsi, poi, indipendentemente dal rispetto di detti
principi e criteri direttivi, che una innovazione di tale portata possa
farsi
rientrare nel concetto di “disposizione correttiva ed
integrativa” che, su di
un elementare piano logico, presuppone un corpo normativo definito nei
suoi
principi e lineamenti fondamentali, rispetto al quale si renda
opportuno
specificare aspetti peculiari di tipo applicativo e di coordinamento
interno.
Il medesimo concetto di integrazione e correzione non può,
però, implicare l’adozione,
come nel caso, di una soluzione normativa che, su un punto essenziale e
qualificante la complessiva disciplina in discorso, risulti in
sostanziale
contraddizione con quella originariamente assunta in sede di emanazione
del
decreto legislativo di prima attuazione della delega, (appunto conforme
al
diritto “vivente” consolidato in precedenza
vigente), delineandosi un’autonoma
ed ulteriore ipotesi di violazione dell’art.76 Cost.,
connessa al meccanismo
peculiare prescelto dalla legge di delega per stabilizzare la corretta
applicazione delle norme delegate;
f)
è da dubitarsi, sotto ulteriore e distinto profilo, che sia
conforme al principio di sussidiarietà stabilito
dall’art.118 Cost, come
criterio di attribuzione delle funzioni amministrative, anche in
correlazione
al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., che
possa configurarsi
un potere di controllo in forma c.d. di “tutela”,
esteso cioè anche al merito,
che consenta allo Stato una costante e generalizzata autonoma
rivalutazione
delle determinazioni operate dalla regione e dagli enti territoriali
delegati,
in particolare dai Comuni, assorbendosi, agli effetti pratici, in modo
altrettanto costante e generalizzato, e rendendolo così
potenzialmente
instabile ed irrilevante, il punto di vista degli enti,
costituzionalmente
dotati di autonomia, che sono primariamente coinvolti nel
“governo del
territorio” su cui si colloca il bene interessato
dall’autorizzazione
paesaggistica.
Alla
luce delle considerazioni che precedono, il giudizio va
sospeso in attesa della definizione del giudizio incidentale di
legittimità
costituzionale, disponendosi la rimessione della questione alla Corte
costituzionale.
Ogni
altra statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese
è
riservata alla decisione definitiva susseguente alla risoluzione della
presente
fase incidentale.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, non
definitivamente pronunciando, sospende il giudizio instaurato con il
ricorso in
appello indicato in epigrafe, disponendo la rimessione della presente
ordinanza
alla Corte costituzionale.
Ordina
che a cura della segreteria della Sezione la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa e comunicata ai Presidenti
delle
Camere dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Riserva
le spese di giudizio.
Così
deciso in Roma, il 3.7.2007 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con
l'intervento
dei Signori:
Gaetano
Trotta
Presidente
Carmine
Volpe
Consigliere
Luciano
Barra Caracciolo
Consigliere
Est.
Aldo
Scola
Consigliere
Roberto
Giovagnoli
Consigliere
Presidente
Gaetano
Trotta
Consigliere
Segretario
Luciano
Barra Caracciolo
Glauco
Simonini
DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
il...05/11/2007
(Art.
Il
Direttore della
Sezione
Maria
Rita Oliva
CONSIGLIO
DI STATO
In
Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia
conforme alla
presente è stata trasmessa
al
Ministero..............................................................................................
a
norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto
1907 n.642
Il
Direttore della Segreteria