TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, n. 233, del 9 aprile 2013
Ambiente in genere.AIA espressione del Principio di precauzione
E’ legittima la diffida della regione per il rispetto delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale al fine di contenere i cumuli di carbonfossile entro le aree destinate così da assicurare la pulizia delle strade interne allo stabilimento oltre che di evitare ogni sfasamento a mare di acque potenzialmente inquinate. L'Autorizzazione Integrata Ambientale, (AIA) è espressione del principio di precauzione stabilito dalla normativa europea, per la tutela dell'ambiente e quindi in ultima analisi per la difesa della salute umana, valore questo che nella gerarchia dei principi costituzionali viene collocato al vertice. In questa luce, si sottolinea come l'attività economica, libera sulla base della nostra costituzione, deve necessariamente tener conto della suo impatto sociale e quindi sull'ambiente. Ne consegue come l'attività economica non possa che svolgersi nel pieno rispetto delle normative di tutela ambientale e in particolare di quelle specifiche per le lavorazioni in questione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00233/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00189/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 189 del 2012, proposto da:
Lucchini S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Guido Barzazi e Giovanni Borgna, con domicilio eletto presso il secondo, in Trieste, via S.Nicolo' 21;
contro
La Regione Friuli-Venezia Giulia, rappresentata e difesa dall'avvocato Gianna Di Danieli, domiciliata in Trieste, piazza Unita' D'Italia 1;
Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del F.V.G. - Dipartimento Provinciale di Trieste, Provincia di Trieste, Comune di Trieste, Asl 101 - Triestina,
Autorita' Portuale di Trieste;
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Capitaneria di Porto di Trieste, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;
per l'annullamento
-dell'atto di diffida prot. n. 8945 - STINQ-TS/AIA/3 del 6.3.2012 di intimazione ad evitare sversamento a mare di acque inquinate e dell'atto di avvio del procedimento di diffida prot. n. 8759 STINQ-TS/AIA/3 del 5.3.2012
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Friuli-Venezia Giulia e del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Capitaneria di Porto di Trieste;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2013 il dott. Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente Lucchini spa contesta la nota della Regione che ha invitato la ditta ad attenersi alle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale e intima di contenere i cumuli di carbonfossile entro le aree destinate, assicurando la pulizia delle strade interne ed evitando ogni versamento a mare di acque potenzialmente inquinate, nonché la nota dell'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente e la nota del servizio tutela inquinamento atmosferico della regione.
Spiega di gestire uno stabilimento siderurgico industriale e di avere ottenuto un’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) che prevede tra le prescrizioni relative alle acque la realizzazione di un impianto di depurazione per gli scarichi che coinvolgono le acque meteoriche.
Il provvedimento impugnato non terrebbe conto dei limiti di legge.
A sostegno deduce i motivi di seguito compendiati:
1. Violazione dell'articolo 29 del decreto legislativo 152 del 2006, del decreto legislativo 59 del 2005, errore nei presupposti e difetto d’istruttoria. La diffida non risulta prevista dalla normativa in modo automatico a seguito dell'accertamento di una situazione di mancato rispetto delle prescrizioni. Inoltre la regione non poteva contestare la mancata realizzazione dell'intervento volto alla depurazione degli scarichi, in quanto la realizzazione è impedita dal diniego da parte del comune di Trieste della relativa concessione, fatto questo ben noto alla Regione medesima.
2. Violazione degli articoli 7, 8 e 10 della legge 241 del 1990, degli articoli 13, 12 e 16 della legge regionale 7 del 2000, difetto d’istruttoria e di motivazione, violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione. Anche l'avvio del procedimento sanzionatorio richiede l'avviso di avvio del procedimento non trattandosi di un'urgenza qualificata.
3. Violazione dell'articolo 1 della legge 241 del 1990, del principio di buon andamento, logicità, razionalità e non contraddizione, difetto d’istruttoria. La mancata realizzazione dell'intervento non può essere imputata alla ditta ricorrente che ha richiesto l’autorizzazione al comune che non la ha concessa.
4. Violazione dell'articolo 29 del decreto legislativo 152 del 2006 e dell'articolo 10 del d.p.r. 380 del 2001. Il sistema sanzionatorio presuppone che la mancanza sia imputabile al soggetto autorizzato, mentre nel caso di mancata un'indagine in tal senso.
5. Violazione dell'articolo 29 sexies del decreto legislativo 152 del 2006; l'operato della regione contrasta con i presupposti previsti da detto articolo.
6. Ulteriore violazione dell'articolo 29 decies, errore e falsa rappresentazione dei presupposti di fatto, difetto di istruttoria. Vi sono due tipi di prescrizioni che vanno collegate alle misure da adottare, mentre il provvedimento fa riferimento ad altre prescrizioni in particolare al cumulo di carbonfossile che non rientra tra quelle autorizzatorie ma nelle prescrizioni semplici che sono soggette a un regime affatto diverso.
Resiste in giudizio l'amministrazione regionale che confuta tutte le doglianze di cui al ricorso.
Il Ministero dell’ambiente e la Capitaneria di porto chiedono di essere estromesse dal giudizio.
La ditta ricorrente con apposita memoria depositata il 4 marzo 2013 replica alle tesi avversarie ribadendo le proprie argomentazioni.
Nel corso dell'udienza pubblica del 4 aprile 2013 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
Oggetto della presente controversia è una diffida della regione che intima alla ditta ricorrente il rispetto puntuale delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale nonché di contenere i cumuli di carbonfossile entro le aree destinate e di assicurare la pulizia delle strade interne allo stabilimento oltre che di evitare ogni sfasamento a mare di acque potenzialmente inquinate.
Vanno innanzi tutto come richiesto estromessi dal giudizio sia il ministero dell'ambiente sia la capitaneria di porto, estranee alla presente causa, che coinvolge direttamente solo l’amministrazione regionale.
Prima di esaminare in dettaglio il presente ricorso, appare opportuno inquadrare in linea generale la fattispecie. Viene impugnata una diffida con cui l'amministrazione invita la ditta ricorrente al rispetto dei parametri previsti dall'autorizzazione integrata ambientale, sulla base del monitoraggio continuo effettuato sull'impianto in questione; si tratta quindi di un provvedimento basato su precisi accertamenti tecnici e che risulta dannoso per la società ricorrente unicamente ove non venga rispettato. A sua volta, l'autorizzazione integrata ambientale, non contestata dalla ditta ricorrente al momento della sua emanazione, appare espressione del principio di precauzione stabilito dalla normativa europea, per la tutela dell'ambiente e quindi in ultima analisi per la difesa della salute umana, valore questo che nella gerarchia dei principi costituzionali viene collocato al vertice. In questa luce, si sottolinea come l'attività economica, libera sulla base della nostra costituzione, deve necessariamente tener conto della suo impatto sociale e quindi sull'ambiente. Ne consegue come l'attività economica non possa che svolgersi nel pieno rispetto delle normative di tutela ambientale e in particolare di quelle specifiche per le lavorazioni in questione. La diffida in esame va quindi inquadrata in quelle attività amministrative che implicano un rapporto non solo di controllo ma in ultima analisi di continua collaborazione tra pubblico e privato, al fine di tutelare l'ambiente e la salute, in piena e concreta applicazione dei principi europei e costituzionali.
Ciò premesso il ricorso va esaminato in dettaglio.
Va innanzi tutto rilevato in via di fatto come non siano state ancora realizzate, in quanto non autorizzate dal comune, le opere riguardanti l'impianto di depurazione delle acque e le relative vasche. L'unica misura provvisoria già realizzata consiste in un muro di contenimento dell’acqua piovana, il quale intende evitare il contatto tra il mare e l'acqua meteorica che sia filtrata attraverso i cumuli di carbone.
Ciò premesso, l'agenzia regionale di protezione dell'ambiente verificava che oltre il muro di contenimento dell’acqua piovana si era verificato un accumulo di carbonfossile che insisteva sulla strada che divide il parco del carbonfossile e la banchina a mare. La diffida in questa sede impugnata, verificato che la situazione poteva essere causa d’inquinamento del mare, intima alla ditta ricorrente di contenere i cumuli di carbone mantenendoli nelle aree all’uopo destinate, di pulire le strade e di evitare ogni sfasamento a mare di acque inquinate.
Con la prima censura parte ricorrente contesta la violazione dell'articolo 29 decies del codice dell'ambiente; invero, ad avviso di questo collegio, la norma consente all'autorità preposta al controllo di suggerire all'autorità emanante, nel caso la regione, di imporre qualsiasi tipo di misura atta a rimediare agli inconvenienti riscontrati. Nel caso in esame le misure da adottare sono state indicate dall’ARPA in quelle poi trasfuse nella diffida, laddove non si tratta di vere e proprie sanzioni ma d’indicazioni cogenti e necessarie per rimediare alla situazione di inquinamento, situazione che in via di fatto non viene contestata dalla ditta ricorrente.
Le prescrizioni gravate, infatti, di semplice e intuitiva attuazione, rientrano a tutta evidenza nelle indicazioni previste dall’autorizzazione integrata ambientale AIA, in particolare quelle atte a evitare l'inquinamento del mare, e che quindi di conseguenza prevedono delle zone precise per il cumulo del carbonfossile, situate dal lato a monte del muro di contenimento, la pulizia delle strade di accesso e il controllo delle acque meteoriche in modo che non raggiungono il mare dopo essere filtrate attraverso il carbone medesimo.
Con la seconda censura si contesta che non sarebbe stato dato un congruo preavviso rispetto alla diffida, in quanto la distanza tra i due provvedimenti è stata solo di una giornata.
Nello specifico caso in esame la diffida non è altro che un invito a porre in essere alcune azioni per rimediare alla situazione di potenziale inquinamento che per sua natura appare di natura urgente, proprio per evitare l’aggravarsi delle situazioni. Delle tre possibilità previste dalla norma, la diffida, la diffida con sospensione dell'attività e la revoca dell'autorizzazione integrata ambientale, la prima, quella adottata nel caso in esame, appare la meno gravosa per la ditta interessata e si sostanzia non tanto in una sanzione, come tale dannosa, ma in un invito a provvedere in via di urgenza. L’intervallo quindi di un giorno tra il preavviso e la diffida risulta giustificato dalla peculiare situazione di fatto, che non viene contestata dalla parte ricorrente.
Con la terza censura la ditta si lamenta della mancanza d’istruttoria e della violazione dei principi sul buon andamento, logicità e razionalità dell'attività amministrativa, in quanto non si tenuto conto del fatto che la ditta non ha potuto realizzare gli impianti di depurazione previsti, non avendo ottenuto la relativa autorizzazione da parte del comune.
La censura non coglie nel segno, in quanto con l’atto gravato non viene imputato affatto alla ditta di non aver realizzato gli impianti di depurazione, ma di aver consentito l'accumulo di materiale carbonifero oltre il muro di contenimento già realizzato e che comunque costituisce una misura provvisoria in attesa della realizzazione d’impianti. Si tratta quindi ad evidenza non di imputare la mancata costruzione di nuovi impianti, ma di mantenere l'efficacia di quelli, ancorché provvisori, già esistenti.
La quarta doglianza, con la quale si contesta la mancata considerazione dell'impossibilità da parte della ditta di realizzare gli impianti di depurazione e quindi la sua mancanza di colpa, non appare fondata, in quanto indipendentemente dalle responsabilità, risulta evidente che la situazione di fatto rischiava di compromettere la tutela dall'inquinamento. Del resto, quello che viene imposto alla ditta non appare certo gravoso e comunque risulta in linea con quanto previsto dall'autorizzazione integrata ambientale. Tale considerazione vale anche a confutazione della quinta censura proposta.
La sesta e ultima doglianza effettua una distinzione tra le prescrizioni autorizzatorie e le prescrizioni semplici, le quali ultime non consentirebbero l'intervento sanzionatorio da parte della regione.
Anche questa censura non coglie nel segno, ove si ponga mente che l'autorizzazione AIA prevede non solo la pulizia delle strade interne allo stabilimento, ma anche che la ditta eviti ogni possibilità d’inquinamento delle acque meteoriche e ogni versamento di acque inquinate al mare. Ed è proprio sulla violazione di tali prescrizioni che si fonda la diffida qui impugnata, la quale in sostanza altro non fa che richiamare, a fronte di una situazione contingente, al rispetto degli obblighi derivanti dalla legge e dall'autorizzazione stessa.
In altri termini il semplice rispetto del contenuto dell’autorizzazione, letta nella sua interezza e interpretata alla luce della normativa, consente alla ditta di evitare ulteriori e ben più gravi sanzioni, semplicemente ponendo in essere alcuni semplici e non gravosi interventi.
Per tutte le su indicate ragioni il ricorso va rigettato, laddove le spese di giudizio vanno compensate nei confronti delle amministrazioni statali estromesse e per il resto, secondo la regola codicistica, seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna la ditta ricorrente alla rifusione a favore della Regione delle spese di giudizio che liquida in € 3000 oltre agli accessori di legge e compensa le spese nei confronti delle amministrazioni statali costituite ed estromesse.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente, Estensore
Enzo Di Sciascio, Consigliere
Oria Settesoldi, Consigliere
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IL PRESIDENTE, ESTENSORE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)