Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1790, del 9 aprile 2015
Beni Ambientali.Inaccettabile impedimento alla visione del mare dai principali punti di vista panoramici

E’ legittimo l’annullamento della Soprintendenza del parere favorevole comunale su condono edilizio in area vincolata. La Soprintendenza ha rilevato come la realizzazione del progetto potesse costituire “gravissima alterazione del sito costiero, ricadendo a brevissima distanza dal mare, quasi a ridosso della costiera, determinando, anche in ragione dello sviluppo planivolumetrico ed altimetrico, inaccettabile impedimento alla visione del mare dai principali punti di vista panoramici”. L’Autorità comunale sub-delegata, si era limitata a valutare le caratteristiche omogenee del contesto edificatorio circostante, con affidamento della compatibilità paesaggistica alla sola previsione di “aree arricchite con il verde attrezzato”, nonchè alla “piantumazione di alberi di varia natura e grandezza, tipici della vegetazione mediterranea”, in pratica con oggettiva deroga al vincolo paesaggistico, alla cui effettiva dimensione non veniva, rapportato l’impatto della nuova edificazione. Tale indubbia carenza del parere comunale non poteva, quindi, non costituire valida ragione per l’annullamento, dovendo l’estrema vicinanza alla costa essere oggetto di specifica valutazione, senza che l’intervenuta, parziale compromissione dei valori protetti giustificasse un’ulteriore alterazione dei valori stessi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 01790/2015REG.PROV.COLL.

N. 01429/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1429 del 2014, proposto dal Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 

contro

Cogea Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Angelo Vantaggiato, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, Via della Scrofa 64; 
Comune di Taranto, rappresentato e difeso dall'avv. Bruno Decorato, con domicilio eletto presso l’avv. Arcangelo Bruno in Roma, Via Gregorio VII, 150; 

per la riforma della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE, SEZIONE I, n. 01497/2013, resa tra le parti, concernente annullamento di parere favorevole su istanza di condono edilizio in area vincolata;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Cogea Srl e del Comune di Taranto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 marzo 2015 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Tidore, nonché gli avvocati D'Onofrio per delega dell’avv. Decorato e Vantaggiato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce, sez. I, è stato accolto il ricorso proposto dalla società Cogea s.r.l. avverso il decreto n. 11127 del 20 dicembre 2006, con cui il Soprintendente per i Beni e le Attività Culturali per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto ha annullato il parere favorevole n. 8581 del 12 ottobre 2006, concernente la sanatoria di opere abusivamente realizzate (costruzione di due corpi di fabbrica, composti da dieci unità immobiliari per civile abitazione, già oggetto di concessione annullata). Nella citata sentenza si esprimeva l’avviso che l’impugnato provvedimento n. 8581/06 fosse viziato per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto non sarebbe stato “verificato in concreto quale disvalore o quale concreta lesione dell’interesse sostanziale tutelato” derivasse dall’intervento edilizio in questione, in realtà omogeneo rispetto al contesto territoriale interessato.

Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali (n. 1429/14, notificato il 5 febbraio 2014), sulla base di argomentazioni non singolarmente formalizzate, ma – in sostanza – ricondotte all’effettiva carenza di motivazione non dell’atto delle Soprintendenza, ma del favorevole parere comunale, che avrebbe considerato soltanto il contesto edificatorio circostante e non anche lo specifico impatto ambientale di dieci villette, costruite “nelle immediate vicinanza della battigia, talune addirittura entro i cento metri dalla stessa”, con “evidente vulnus ai valori paesaggistici del sito”, indipendentemente dalla presenza di altre simili costruzioni nelle vicinanze.

La società appellata, costituitasi in giudizio, sottolineava come la Soprintendenza non potesse sostituire le proprie valutazioni a quelle, compiutamente espresse dall’organo preposto alla gestione del vincolo, né omettere di considerare – come viceversa avvenuto – che gli interventi sottoposti a sanatoria costituivano parte di un complesso edilizio, regolarmente realizzato.

Si è pure costituito nel presente giudizio il Comune di Taranto, che ha eccepito in primo luogo l’inammissibilità dell’appello, in quanto “privo di specifiche censure contro i capi della sentenza gravata”; la Soprintendenza, inoltre, avrebbe effettuato non consentite valutazioni di merito, sostituendosi all’Amministrazione comunale competente, il cui parere dovrebbe ritenersi motivato in modo congruo, dopo adeguata istruttoria.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello sia meritevole di accoglimento.

Deve infatti essere respinta, in via preliminare, l’eccezione di inammissibilità, riferita ad omessa enunciazione di motivi di gravame avverso i capi della sentenza gravata, in quanto la prescrizione – in tal senso contenuta nell’art. 101, comma 1, cod. proc. amm. – deve essere interpretata in modo compatibile con il principio di sinteticità, di cui all’art. 3 del medesimo codice e con il perdurante effetto devolutivo dell’appello, che assorbe ogni ipotetico vizio di difetto di motivazione della sentenza appellata, tenuto conto della prevista, integrale rivalutazione delle questioni controverse in secondo grado di giudizio, con modifica o integrazione di detta motivazione ove necessario (cfr. in tal senso Cons. St., sez. IV, 19 settembre 2012, n. 4974 e 20 dicembre 2005, n. 7201; Cons. St., sez. V, 17 settembre 2012, n. 4915, 13 febbraio 2009, n. 824 e 19 novembre 2009, n. 7259; Cons. St., sez. VI, 25 settembre 2009, n. 5797 e 24 febbraio 2009, n. 1081; Cons. St., sez. III, 10 aprile 2012, n. 2057). E’ sufficiente, quindi, che la parte riproduca i motivi di gravame, già prospettati in primo grado e sui quali intenda insistere (o resistere) in grado di appello – esponendo le ragioni del dissenso, rispetto a quanto osservato al riguardo dal primo giudice – senza però che vi sia, sotto tale profilo, la necessità di censure specificamente indirizzate avverso la relativa pronuncia. Ad opposte conclusioni si deve, invece, pervenire per quei contenuti della sentenza, che – specialmente in caso di dichiarata inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità del gravame – costituiscono capi autonomi della decisione, suscettibili di passaggio in giudicato ove non puntualmente contestati.

Anche le sentenze cosiddette “di rito” infatti – ovvero quelle che si esauriscono nell’accertare l’insussistenza di taluno dei presupposti dell’azione – possono contenere accertamenti idonei a far stato ad ogni effetto tra le parti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2909 cod. civ. (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. V, 22 febbraio 2011, n. 1095; Cons. St., sez. III, 2 febbraio 2012, n. 602 e 24 maggio 2013, n. 2844).

Il principio di cui al citato art. 101, comma 1, cod. proc. amm., d’altra parte, deve essere coordinato col secondo comma del medesimo articolo, che – sostanzialmente riproducendo quanto disposto nell’art. 329, comma 2 cod. proc. civ. (“tantum devolutum quantum appellatum”) – considera “rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello, o, per le parti diverse dall’appellante, con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio” (cfr. anche in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. IV, 9 ottobre 2012, n. 5253, 26 novembre 2007, n. 5733 e 13. ottobre 2003, n. 6195; Cons. St. sez. V, 30 settembre 2013, n. 4829, 21 ottobre 2011, n. 5650 e 18.2.2003, n. 856; Cons. St., sez. IV, 6 novembre 2007, n. 5733).

Nella situazione in esame, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha chiaramente contestato l’unica censura – riferita a difetto di motivazione e di istruttoria – ritenuta fondata ed assorbente nella pronuncia appellata, mentre gli ulteriori motivi di gravame, prospettati in primo grado dalla società ricorrente, non risultano riproposti in appello.

Sono oggetto del presente giudizio, pertanto, solo la congruità della motivazione e la corretta valutazione dei fatti, risultanti dall’atto di annullamento emesso dalla locale Soprintendenza, ai sensi dell’art. 159 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio), con riferimento all’autorizzazione paesaggistica n. 8581 del 12 ottobre 2006, rilasciata dal Comune di Taranto ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 (parere richiesto, in sede di condono edilizio, per le opere costruite su aree sottoposte a vincolo).

Nel caso di specie non è contestato – con gli effetti, di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm. – l’oggetto del parere di cui trattasi, riferito a “due corpi di fabbrica, attualmente al grezzo”, ognuno dei quali composto da “piano seminterrato, piano terra e primo piano da adibirsi ad abitazione”, con complessiva realizzazione di dieci unità immobiliari, inserite in un più ampio contesto edificatorio, il cui titolo abilitativo era stato annullato (con sentenza del TAR per la Puglia, confermata in appello con decisione del Consiglio di Stato n. 1106 del 1992), per i soli corpi di fabbrica posizionati a meno di cento metri dalla linea di battigia. Allo scopo di regolarizzare quanto già costruito e non ultimato a seguito del predetto annullamento, il 28 febbraio 1995 la società CO.GE.A. s.r.l. aveva presentato dieci istanze di condono (per altrettante unità immobiliari), ai sensi dell’art. 39 comma 1, lettera b) e dell’art. 35, comma 2 della legge n. 724 del 1994. Il Collegio non è ora chiamato a valutare – per le ragioni già in parte sintetizzate, nonché per il carattere dispositivo del processo amministrativo – il carattere relativo, o meno, dei vincoli sussistenti nell’area interessata dall’intervento, né, quindi, l’omessa considerazione dell’inedificabilità assoluta, prevista dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985 – richiamato dall’art. 39, comma 20, della legge n. 724 del 1994 – a tutela delle coste e, più specificamente, dall’art. 51, comma 1, lettera f) della legge della Regione Puglia n. 56 del 31 maggio 1980, che inibisce qualsiasi costruzione nella fascia di 300 metri dal confine del demanio marittimo (cfr. anche, al riguardo, Cons. St., sez. V, 29 agosto 2006, n. 5039 e 31 gennaio 2001, n. 342). Ugualmente non è richiesto di valutare se il carattere assoluto di detto vincolo di inedificabilità sia stato ritenuto superabile, in considerazione della necessità di mero completamento degli edifici in questione (pur dovendosi sottolineare che proprio la peculiare ubicazione di tali edifici aveva provocato l’annullamento del relativo titolo concessorio, con conseguente carattere non autorizzato delle opere nel loro complesso), ovvero se l’intervento sia stato ritenuto soggetto all’art. 32 – e non 33 – della legge n. 47 del 1985, dovendosi ritenere il vincolo relativo e non assoluto, a norma del citato art. 39, comma 20 della legge n. 724 del 1994 (che esclude dall’ambito applicativo dell’art. 33 l. n. 47/1985 i vincoli a carattere temporaneo, quale sarebbe il vincolo di inedificabilità della fascia costiera, introdotto dalla ricordata legge regionale n 56 del 1980, in quanto introdotto in attesa dell’approvazione dei piani paesistici regionali). A tale ultimo riguardo, tuttavia, non sembra inutile sottolineare che il vincolo, riferito ai territori costieri compresi nella fascia di 300 metri dalla linea di battigia, sia stato introdotto con decreto ministeriale del 21 settembre 1984, seguito dalle norme primarie contenute nel decreto legge n. 312 del 1985, convertito in legge n. 431 del 1985, poi assorbito dal d.lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999, con più recente, puntuale disciplina contenuta negli articoli 142 e seguenti del d.lgs. n. 42 del 2004, che detta anche i principi, a cui debbono attenersi i piani paesistici territoriali, tanto da potersi concludere che l’inedificabilità della fascia costiera corrisponda ad un principio fondamentale della legislazione statale (cfr., in senso sostanzialmente conforme, Cons. St., sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2409).

Nella fattispecie, in ogni caso, le ragioni esposte dall’Amministrazione statale sostengono adeguatamente il contenuto dispositivo dell’atto impugnato, tenuto conto dell’avvenuto richiamo, in quest’ultimo, del decreto ministeriale in data 1 agosto 1985, che dichiara la zona di cui trattasi di notevole interesse pubblico, ai sensi della legge n. 1497 del 1939 e considerata, in particolare, la natura del potere rimesso alla Soprintendenza, in termini di compiuta valutazione di legittimità, anche sotto il profilo del ponderato bilanciamento degli interessi tutelati, quale espressione di un potere non di mero controllo di legalità, ma di vera e propria attiva cogestione del vincolo, funzionale all’ “estrema difesa” dello stesso (Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151; 18 ottobre 1996, n. 341; 25 ottobre 2000, n. 437). L’eventuale annullamento, pertanto, risulta rapportabile a qualsiasi vizio di legittimità, riscontrato nella concreta valutazione espressa dall’ente territoriale, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta: cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9, nonché, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 25 marzo 2009, n. 1786 e 3557, 11 giugno 2012, n. 3401, 23 febbraio 2010, n. 1070, 21 settembre 2011, n. 5292; Cons. St., sez. V, 3 dicembre 2010, n.8411).

Nella situazione in esame, la medesima Soprintendenza ha rilevato come la realizzazione del progetto di cui trattasi potesse costituire “gravissima alterazione del sito costiero, ricadendo a brevissima distanza dal mare, quasi a ridosso della costiera, determinando, anche in ragione dello sviluppo planivolumetrico ed altimetrico, inaccettabile impedimento alla visione del mare dai principali punti di vista panoramici”. Le conclusioni sopra riportate peraltro, oltre ad essere suffragate da documentazione fotografica, seguivano alla rilevata mancanza di qualsiasi considerazione al riguardo da parte dell’Autorità comunale sub-delegata, che si era limitata a valutare le caratteristiche omogenee del contesto edificatorio circostante, con affidamento della compatibilità paesaggistica alla sola previsione di “aree arricchite con il verde attrezzato”, nonchè alla “piantumazione di alberi di varia natura e grandezza, tipici della vegetazione mediterranea”, in pratica con oggettiva deroga al richiamato vincolo paesaggistico, alla cui effettiva dimensione non veniva, in effetti, rapportato l’impatto della nuova edificazione. Tale indubbia carenza del parere comunale non poteva, quindi, non costituire valida ragione per il relativo annullamento, dovendo l’estrema vicinanza alla costa essere oggetto di specifica valutazione (valutazione, in effetti, già operata anche ex lege, nei termini in precedenza specificati, oltre che causa di annullamento dell’originaria concessione edilizia), senza che l’intervenuta, parziale compromissione dei valori protetti giustificasse – come riconosciuto da una consolidata giurisprudenza – un’ulteriore alterazione dei valori stessi (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2410; Cass. Pen., sez. III, 25 ottobre 2005, n. 45185).

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere accolto, con le conseguenze precisate in dispositivo; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, le peculiarità della vicenda controversa, nonchè le modalità di intervento dell’Autorità statale e di quella comunale ne rendono equa l’integrale compensazione fra le parti.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado.

Compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/04/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)