del Dott. Stefano DELIPERI
La sentenza del T.A.R. Sardegna, sez. II, 12 novembre 2008, n. 1997 merita particolare attenzione per alcuni principi enunciati in materia di normativa di salvaguardia paesaggistica e costiera.
L'area di Cala Giunco-Stagno Nottèri, è tutelata con specifico vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni) e, in parte, con vincolo di conservazione integrale (legge regionale n. 23/1993). Sono presenti resti archeologici di epoca punica e la torre costiera di Porto Giunco. Inoltre, rientra nell'istituenda riserva naturale regionale "Stagno di Nottèri" (legge regionale n. 31/1989 - allegato A) e nei siti di importanza comunitaria (S.I.C.) "Stagno di Nottèri" (codice ITB000057), "Porto Giunco" (codice ITB000054) e "Costa di Cagliari" (codice ITB000021) ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali. Il piano paesaggistico regionale (2006) la include nell'ambito paesaggistico n. 27 "Golfo orientale di Cagliari"e individua beni paesaggistici ambientali ex art. 143 del decr. lgs. n. 42/2004 e s.m.i. (campi dunari e sistemi di spiaggia; zone umide costiere; sistemi a baie e promontori, falesie e piccole isole), beni paesaggistici ambientali ex art. 142 del decr. lgs. n. 42/2004 e s.m.i. (componenti di paesaggio con valenza ambientale: aree naturali e subnaturali - vegetazione a macchia e in aree umide; boschi). Si applicano le norme di salvaguardia ex artt. 14 e ss. delle N.T.A. del P.P.R.
La vicenda, in estrema sintesi, è la seguente. La Società Cala Giunco s.r.l., facente parte del forte gruppo Immobiliareuropea s.p.a. (Milano – Cagliari), da diversi anni cerca di realizzare un ingente progetto turistico edilizio sulle coste di Villasimius (CA), fra lo stagno retrodunale di Nottèri, la spiaggia del Simius e Capo Carbonara. Inizialmente il progetto prevedeva circa 140.000 metri cubi di volumetrie complessive, in massima parte residenziali (anni ’70 del secolo scorso, allora era titolare la società Poker Sardiniae s.r.l.), poi ridotti a circa 81.000 metri cubi in tempi più recenti, con la previsione di un campo da golf. Nel corso degli anni, in più occasioni, le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra sono intervenute presso le amministrazioni pubbliche competenti per fermare le istanze edificatorie, anche in sede giurisdizionale amministrativa. Con il ricorso n. 749/2006 la Società immobiliare aveva, da ultimo, impugnato il diniego di autorizzazione paesaggisticain via surrogatoria (art. 159, comma 4°, del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni) posto dallaSoprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggiocon ildecreto n. 52/2006 del 27 giugno 2006 e, in via consequenziale, il piano paesaggistico regionale. Con il differente ricorso n. 308/2007 aveva, inoltre, impugnato il diniego (deliberazione Consiglio comunale n. 2 del 19 gennaio 2007, nota prot. n. 1885 del 2 febbraio 2007) di rilascio di titoli abilitativi da parte del Comune di Villasimius in quanto – su segnalazione della Direzione generale della pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia della Regione autonoma della Sardegna (nona prot. n. 19662/DG del 28 dicembre 2006) – risultavano superati i limiti volumetrici assentibili sulla base dello strumento urbanistico comunale. Nel giudizio instaurato con il ricorso n. 749/2006 intervenivano ad opponendum le associazione ecologiste riconosciute Amici della Terra e Lega per l’Abolizione della Caccia. I ricorsi venivano riuniti ed il T.A.R. è pervenuto alla decisione in argomento.
Da segnalare è l’affermazione da parte della Società immobiliare di aver avviato i lavori in misura notevole prima dell'entrata in vigore delle disposizioni di salvaguardia costiera, mentreil diniego di autorizzazione paesaggisticada parte del Soprintendente per i beni architettonici ed il paesaggio è stato fondato sulla vigenza prima dei vincoli costieri temporanei stabiliti dalla legge regionale Sardegna n. 8/2004 e poi dal piano paesaggistico regionale. In particolare, erano ammissibili , nei territori compresi entro i 2.000 mt. dalla battigia marina, solo "gli interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi approvati e convenzionati ... alla data del 10 agosto 2004, purchè alla stessa data le opere di urbanizzazione siano legittimamente avviate ovvero sia stato realizzato il reticolo stradale, si sia determinato un mutamento consistente ed irreversibile dello stato dei luoghi". Anche la normativa provvisoria di salvaguardia posta dal P.P.R., allora solo adottato (art. 15 delle N.T.A.) prevede disposizioni analoghe. E alla data del 10 agosto 2004, come ribadito dall’intervento ecologista e dal medesimo T.A.R. Sardegna, a Cala Giunco non risultava alcuna legittima modifica radicale ed irreversibile del territorio, stante l'avvenuto annullamento dell'autorizzazione paesaggistica regionale n. 1601 del 28 marzo 2000 ad opera del decreto del Soprintendente cagliaritano del 22 giugno 2000, confermato dallasentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 giugno 2002, n. 3224. Con ordinanza Comune Villasimius n. 8 del 27 agosto 2002 venne conseguentemente annullata la concessione edilizia n. 50 dell'8 giugno 2000 che consentiva l'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e ordinata la rimessa in pristino dello stato dei luoghi che - alla data - risultavano solo "iniziati con la realizzazione dei tracciolini stradali e di alcuni tratti del collettore fognario". Non solo nulla di "radicale" e "irreversibile", ma da ripristinare in quanto privo di autorizzazione paesaggistica. E, qualora mancasse tale ripristino, si tratterebbe di opere abusive sotto il profilo paesaggistico con anche indubbi riflessi di natura penalistica (artt. 630, 734 cod. pen. e 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni).
Ed il T.A.R. Sardegna ha preso in considerazione proprio le argomentazioni della Società ricorrente per respingerne il ricorso.
“Riferisce la stessa ricorrente (pag. 8 della memoria depositata il 27 settembre 2008) che il piano di lottizzazione modificato è stato definitivamente approvato con delibera del commissario straordinario n. 38 del 10 giugno 2004, ed è stato convenzionato il successivo 10 agosto 2004. Ebbene, anteriormente al convenzionamento la proposta di variante al piano di lottizzazione, ancorché approvata dal Comune era, ai sensi dell'art. 28, comma 5°, della legge 1942 n. 1150, inefficace ai fini della sua attuazione. Anzi, prima del convenzionamento, ed in particolare prima della formale assunzione da parte del lottizzante degli oneri relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione, ed alla prestazione delle relative garanzie finanziarie, quest'ultimo non assume neppure una posizione di aspettativa qualificata al rilascio dei titoli edificatori. Ed invero, l'art. 28, comma 7°, della legge n. 1150/1942, stabilisce che il rilascio delle licenze edilizie nell'ambito dei singoli lotti è subordinato all'impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria relative ai lotti stessi”. Ricorda, poi, il Giudice amministrativo che ”l'articolo 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, stabilisce che "si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, e comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione, nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio". Quindi, “per aversi lottizzazione abusiva è sufficiente il solo fatto che le opere o il frazionamento fondiario siano stati realizzati in assenza di un piano di lottizzazione convenzionato (C.d.S., sez. V, 26 marzo 1996, n. 301). Pertanto, anche ad ammettere una inverosimile fulminea realizzazione, a partire dalla delibera del commissario straordinario n. 38 del 10 giugno 2004 di approvazione del piano di variante e fino al termine di legge del 10 agosto 2004, del 70% delle opere di urbanizzazione primaria, come sostenuto dalla ricorrente, le stesse non potrebbero comunque essere utilmente valutate ai fini della deroga alle misure di salvaguardia perché prive di un valido titolo edilizio e perché precedenti al convenzionamento del piano. Per quanto sopra si rivela non decisivo il richiamo della ricorrente al verbale di sopralluogo del 15 dicembre 2005 nel quale, invero inspiegabilmente, non si tiene conto della mancanza di validi titoli edilizi a sostegno delle opere che si rilevano esistenti." Conclude il Giudice amministrativo sardo affermando che “anche in relazione all’attuale piano di lottizzazione le eventuali opere realizzate dalla ricorrente devono considerarsi abusive“.
In buona sostanza, il T.A.R. Sardegna afferma che – proprio in base alle argomentazioni addotte dalla Società ricorrente – le opere eventualmente realizzate non possono che essere abusive e, conseguentemente, non possono esser utilizzate per ottenere la “deroga” al regime vincolistico temporaneo di cui alla legge regionale Sardegna n. 8/2004 finalizzato al piano paesaggistico regionale (P.P.R.) successivamente adottato.
Il Giudice amministrativo sardo ha respinto, poi, le censure prospettate dal Soggetto ricorrente in ordine alla pretesaillegittimità del provvedimento di adozione del P.P.R. nella parte in cui, secondo la prospettazione impugnatoria, introduce misure di salvaguardia in carenza di un’apposita copertura legislativa. E’ una questione interpretativa già risolta con una precedente sentenza (T.A.R. Sardegna, sez. II, 12 novembre 2007, n. 2050): la legge regionale Sardegna n. 8/2004 ha semplicemente integrato le procedure di adozione del piano, certamente non abrogando in alcun modo l’art. 11 della legge regionale Sardegna n. 45/1989 dove prevede (comma 8°), dalla data di adozione e fino all’approvazione definitiva, l’efficacia delle norme di salvaguardia di cui all’art. 1 della legge n. 1902/1952, offrendo copertura legislativa all’introduzione di misure di tutela.
Nemmeno gli ulteriori profili di illegittimità prospettati appaiono sussistenti: si sostiene che le misure di salvaguardia del P.P.R. sarebbero costituzionalmente illegittime per aver introdotto limitazioni a tempo indeterminato alla proprietà privata e perché costituirebbero un’inammissibile ingerenza nelle competenze urbanistiche degli Enti locali. Su tali aspetti è già intervenuta la sentenza T.A.R. Sardegna, sez. II, 13 dicembre 2007, n. 2241: in primo luogo, solo le “prescrizioni dirette” relative ai beni paesaggistici individuati e tipizzati sono immediatamente efficaci e prevalenti sulle difformi discipline dei piani urbanistici. Gli altri principi “costituiscono il quadro di riferimento e coordinamento per lo sviluppo sostenibile del territorio regionale (art. 3 NTA)” e rappresentano il parametro orientativo delle c.d azioni strategiche (allegato 1 alle NTA ed art. 143, comma 2, D.lgs. 42/2004) da concordare con comuni, con lo strumento urbanistico di attuazione e la misura di coordinamento dell’intesa “adeguata”. Per imporre il rispetto delle norme cogenti aventi un rango gerarchicamente superiore rispetto a quelle di gestione del territorio lo stesso codice Urbani ha attribuito coerentemente alla Regione il potere di dettare “norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici.” ( art. 145, comma 3)”.
Lo stesso codice dei beni culturali e del paesaggio ha attribuito alle Regioni (art. 145, comma 3°, del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni) la possibilità di disporre norme di salvaguardia in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici degli Enti locali, proprio per rendere cogenti le disposizioni di tutela paesaggistica sovraordinate alle competenze meramente urbanistiche: “Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni...sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali”.
Inoltre, il medesimo art. 145, al comma 4°, in replica alla prospettata censura di assoluta indeterminatezza dei tempi di definizione della pianificazione urbanistica comunale, prescrive: “Entro il termine stabilito nel piano paesaggistico (ndr: un anno, vds. art. 107 delle norme tecniche di attuazione) e comunque non oltre due anni dalla sua approvazione, i comuni,... conformano e adeguano gli strumenti di pianificazione territoriale urbanistica alle previsioni dei piani paesaggistici, introducendo, ove necessario, le ulteriori previsioni conformative che, alla luce delle caratteristiche specifiche del territorio, risultino utili ad assicurare l'ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai piani. I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo”. Appare, quindi, a giudizio del T.A.R. sardo, la disciplina adottata dalla Regione autonoma della Sardegna coerente con la normativa statale, la cui “ratio” indica una sospensione delle discipline urbanistiche locali in contrasto con le scelte di pianificazione paesaggistica sovraordinate fino all’adeguamento delle prime al piano paesaggistico. I relativi termini, nel caso specifico, sono poi indicati dall’art. 107 delle norme tecniche di attuazione (adeguamento entro 12 mesi) sia dall’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio (termine ultimativo di due anni): si tratta di termini congrui per le complesse attività di adeguamento della pianificazione urbanistica locale, comunque favorita dalla messa a disposizione dell’ampio lavoro di accertamento e di analisi del territorio svolto dalla Regione autonoma della Sardegna in occasione dell’attività di pianificazione paesaggistica. In merito, quindi, il T.A.R. isolano ha riconosciuto come legittima e non lesiva dei diritti inerenti la proprietà privata e le competenze pianificatorie degli Enti locali l’imposizione di misure di salvaguardia temporanee nelle disposizioni del P.P.R., come già in alcune precedenti pronunce.
dott. Stefano Deliperi
REPUBBLICA ITALIANA
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Sent. n. 1997/2008
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
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Ric. n. 749/2006
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IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SARDEGNA
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Ric. n. 308/2007
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SEZIONE SECONDA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi riuniti n. 749/2006 e n. 308/2007 proposti dalla società Cala Giunco s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica sig. Carlo Ignazio Fantola, rappresentato e difeso per procura a margine dell’atto introduttivo del giudizio dagli avv.ti Marcello Vignolo e Massimo Massa ed elettivamente domiciliata in Cagliari, Piazza del Carmine n. 22, presso il loro studio legale,
contro
Ricorso 749/2006
- il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro in carica,
- il Soprintendente ai Beni Architettonici, Paesaggistici, al Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Cagliari ed Oristano in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato presso i cui uffici di Cagliari, in via Dante n. 23, sono per legge domiciliati;
- la Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa per procura a margine dell’atto di costituzione dagli avv.ti Paolo Carrozza, Vincenzo Cerulli Irelli e Gian Piero Contu ed elettivamente domiciliata in Cagliari, viale Trento n. 69, presso l’Ufficio legale dell’Ente,
per l'annullamento
- del decreto n. 52/2006 del 27 giugno 2006, con la quale il Soprintendente intimato ha negato l’autorizzazione paesaggistica richiesta dalla società ricorrente per la realizzazione di alcune opere di urbanizzazione del piano di lottizzazione Cala Giunco, nel territorio del Comune di Villasimius;
- per quanto occorra, della delibera di giunta regionale n. 22/3 del 24 maggio 2006, con la quale è stato adottato il piano paesaggistico regionale;
- del decreto del Presidente della Regione Sardegna n. 46 del 24 maggio 2006, con il quale è stata disposta la pubblicazione del piano paesaggistico,
e per
la condanna delle amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla ricorrente causalmente connessi al provvedimento di diniego impugnato;
e contro
Ricorso n. 308/2007
- il Comune di Villasimius, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso per procura a margine dell’atto di costituzione dall’avv. Roberto Candio presso il cui studio, in Viale Regina Margherita n. 56, è elettivamente domiciliato,
- la Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa per procura a margine dell’atto di costituzione dagli avv.ti Paolo Carrozza, Vincenzo Cerulli Irelli e Gian Piero Contu ed elettivamente domiciliata in Cagliari, viale Trento n. 69, presso l’Ufficio legale dell’Ente,
per l'annullamento
- della nota prot. n. 1885/2007 del 2 febbraio 2007, con la quale il Comune di Villasimius ha comunicato l’impossibilità di rilasciare alcuna concessione edilizia per il completamento del piano di lottizzazione Cala Giunco “in quanto non risulta soddisfatta la condizione prevista dall’art. 6 della legge regionale 8/2004”;
- della deliberazione del consiglio comunale di Villasimius n. 2 del 19 gennaio 2007, con la quale è stato approvato l’atto di “Ricognizione dei volumi presenti nelle zone F del territorio comunale ai sensi degli artt. 4 e 6 della legge regionale 25 novembre 2004 n. 8 – Rettifica dei calcoli”;
- per quanto occorra, della nota n. 19662/DG del 28 febbraio 2006, con la quale l’Assessorato regionale degli enti locali, finanze e urbanistica ha invitato il comune di Villasimius a rettificare il calcolo dell’estensione costiera prendendo in considerazione la sola linea di costa ed “escludendo tutte le emergenze minori – isole e scogli”;
- per quanto occorra, della delibera di giunta regionale n. 36/7 del 5 settembre 2006, con la quale è stato approvato il piano paesaggistico regionale, nella parte in cui condiziona il completamento dei piani attuativi approvati e convenzionati alla previa verifica della cubatura disponibile di cui all’art. 6 della legge reg. n. 8/2004;
- di ogni altro atto ad essi presupposto, conseguente o comunque connesso,
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate;
Visto, nel ricorso n. 749/2006, l’atto di intervento ad opponendum depositato in data odierna da Friends of the earth International – Sez. It. Amici della Terra – Del. Sardegna, in persona del legale rappresentante p.t. sig. Bruno Caria, e della Lega per l’abolizione della caccia – Del. Sardegna, in persona del legale rappresentante p.t. sig. Stefano Deliperi, rappresentati e difesi per procura a margine dell’atto di intervento dall’avv. Guendalina Garau ed elettivamente domiciliati in Cagliari, Piazza Giovanni XXIII n. 35, presso lo studio legale Melis Costa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti delle cause;
Designato relatore il Consigliere Tito Aru;
Uditi alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2008 l’avv. Marcello Vignolo per la ricorrente, l’avv. Roberto Candio per il Comune di Villasimius, l’avv. Paolo Carrozza per l’Amministrazione regionale, l’avv. Carlo Augusto Melis per gli intervenienti e l’avvocato dello Stato Giandomenico Tenaglia per l’Amministrazione statale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
F A T T O
Ricorso 749/2006
Il comune di Villasimius e la società ricorrente (subentrata nella proprietà dell’area alla società Poker Sardiniae) sono parti di una convenzione di lottizzazione, inerente un’ampia area del territorio comunale in zona F, per la realizzazione di un complesso turistico che, originariamente, prevedeva circa 140.000 mc di edifici da destinare alla residenza.
Per effetto di successivi progetti di variante, l’intervento proposto dalla società Cala Giunco ha subito, nel corso degli anni, numerose modifiche ed integrazioni, sia nel senso di una riduzione della volumetria edificabile, sia nel senso di indirizzare una rilevante volumetria di progetto a destinazione turistico alberghiera anziché a quella residenziale, originariamente prevista.
Dopo l’approvazione del piano attuativo è entrata in vigore la legge regionale n. 8/2004.
L’art. 4, comma 2, di tale legge stabilisce, tra l’altro, che “…Nelle restanti zone omogenee C, D, F e G possono essere realizzati gli interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi approvati e convenzionati alla data di pubblicazione della Delib.G.R. 10 agosto 2004, n. 33/1 purché alla stessa data le opere di urbanizzazione siano legittimamente avviate ovvero sia stato realizzato il reticolo stradale, si sia determinato un mutamento consistente ed irremovibile dello stato dei luoghi e, limitatamente alle zone F, siano inoltre rispettati i parametri di cui all'articolo 6”
Il richiamato art. 6 precisa che “Il dimensionamento delle volumetrie degli insediamenti turistici ammissibili nelle zone F non deve essere superiore al 50 per cento di quello consentito con l'applicazione dei parametri massimi stabiliti per la suddetta zona dal Dec.Ass. 20 dicembre 1983, n. 2266/U dell'Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica”.
Ai fini di verificare il rispetto dei suddetti limiti di edificabilità, il Comune di Villasimius, con delibera n. 17/2006, calcolava che le residue volumetrie realizzabili nelle zone F del territorio comunale erano pari a mc. 140.814.
In precedenza, e precisamente in data 1° dicembre 2004, la società Cala Giunco aveva chiesto all’Ufficio tutela del paesaggio della Regione l’autorizzazione paesaggistica di competenza con riguardo alla realizzazione delle opere di urbanizzazione private interne al proprio compendio immobiliare.
Nel silenzio dell’Ufficio regionale, la medesima ricorrente si è rivolta alla Soprintendenza ai Beni Architettonici, Paesaggistici, al Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Cagliari ed Oristano che, col provvedimento impugnato, ha respinto la domanda in quanto “l’intervento proposto risulta non coerente con la disciplina transitoria relativa all’ambito di paesaggio costiero di cui all’art. 15 delle Norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico regionale adottato con decreto del presidente della regione n. 46 del 24 maggio 2006”.
Con il ricorso in esame, notificato il 7 agosto 2006 e depositato il successivo 21 settembre, la società ricorrente ha impugnato gli atti indicati in epigrafe per i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge reg. n. 8/2004;
2) Illegittimità della delibera di adozione del PPR e del decreto presidenziale di pubblicazione nella parte in cui estendono l’applicazione delle norme di salvaguardia previsto dalla legge n. 8/2004 al periodo successivo alla scadenza del 25 maggio 2006 – Illegittimità derivata del provvedimento di diniego;
3) Illegittimità della delibera della giunta regionale di adozione del PPR e del decreto presidenziale di pubblicazione nella parte in cui prevedono l’applicazione delle misure di salvaguardia – Violazione dell’art. 145 del D.Lgvo n. 42/2004 – Violazione degli artt. 41 e 42 della Costituzione - Illegittimità derivata del provvedimento di diniego;
4) Eccesso di potere per falsa applicazione dell’art. 3 della legge reg. n. 8/2004 e del’art. 15 delle NTA del PPR – Falsità del presupposto: con riguardo al ritenuto mancato avvio delle opere di urbanizzazione entro la data del 10 agosto 2004.
Concludeva quindi la ricorrente chiedendo l’annullamento dei provvedimenti impugnati, con favore delle spese.
Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio sia l’Autorità statale che l’Amministrazione regionale che, con scritti difensivi, ne hanno chiesto il rigetto, vinte le spese.
Ricorso 308/2007
L’accertata disponibilità di volumetria (quantificata con delibera n. 17/2006 nella misura di mc. 140.814) avrebbe consentito, comunque, il parziale completamento dei piani attuativi vigenti, comportando per ciascuno di essi un ridimensionamento pari al 33,36 % della volumetria da realizzare.
La società Cala Giunco, pertanto, ritenendo ancora possibile l’attuazione del suo intervento (sia pur così ridimensionato), con nota del 6 giugno 2006 si dichiarava disponibile a porre in essere le modifiche progettuali necessarie per poter ottenere le concessioni edilizie.
Nel frattempo si era avviato col comune di Villasimius un procedimento in contraddittorio volto all’accertamento del secondo presupposto per il rilascio delle concessioni edilizie, e cioè chealla data di pubblicazione della Delib.G.R. 10 agosto 2004, n. 33/1le opere di urbanizzazione fossero legittimamente avviate ovvero fosse stato realizzato il reticolo stradale, con mutamento consistente ed irremovibile dello stato dei luoghi.
Sennonchè la direzione generale della pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia, con nota n. 19662/DG del 28 dicembre 2006, segnalava al comune un errore nella stima della capacità insediativa residua nelle zone F costiere, assumendo che “…la determinazione della volumetria insediabile deve essere riferita ai criteri indicati nel DA 2266/83 e quindi limitata al conteggio della sola linea di costa (escludendo pertanto tutte le emergenze minori – isole e scogli)”.
Invitava pertanto l’Amministrazione comunale, prima di procedere alla definitiva approvazione della delibera n. 17/2006, a rettificare il calcolo in conformità alla predetta indicazione.
Il Comune di Villasimius, ritenendo di uniformarsi a tale richiesta, con l’impugnata delibera consiliare n. 2 del 19 gennaio 2007, predisponeva un nuovo calcolo delle volumetrie assentibili.
Dal nuovo conteggio emergeva che il superamento della capacità insediativa massima nelle zone F turistiche si era già verificato, con la conseguenza di non poter rilasciare nuove concessioni edilizie con riguardo ai piani attuativi non ancora completati.
Di qui la nota n. 1885/2007 del 2 febbraio 2007, anch’essa impugnata, con la quale il Comune di Villasimius ha comunicato alla società ricorrente che “non potrà essere comunque rilasciata alcuna concessione edilizia né effettuato alcun intervento”.
Per effetto di tale provvedimento, sempre nell’assunto della ricorrente, l’Amministrazione comunale non avrebbe neppure completato il procedimento, che pure era stato quasi completamente istruito con sopralluogo delle parti e parere favorevole della commissione edilizia, relativo all’accertamento della realizzazione delle opere di urbanizzazione.
Con il ricorso n. 3008/2007, dunque, notificato il 6 aprile 2007 e depositato il successivo giorno 12, la società ricorrente ha impugnato gli atti indicati in epigrafe per i seguenti motivi:
1) Erronea applicazione dell’art. 6 della legge reg. n. 8/2004 e n. 4 del decreto Floris – Eccesso di potere per travisamento nei presupposti di fatto, per errore della motivazione e per carenza di istruttoria;
2) Errata applicazione dell’art. 4 del decreto Floris;
3 -4) Errata misurazione della lunghezza della costa;
5) Violazione del procedimento previsto dalla circolare esplicativa n. 40/GAB del 3 febbraio 2005 per la determinazione dell’esistenza di eventuali volumi residuali nelle zone F;
In subordine:
6, 7, 8 , 9 10, 11, 12, 13, 14) Illegittimità costituzionale della legge che dispone il dimezzamento dei volumi delle zone F anche con riferimento ai volumi pianificati con le lottizzazioni già approvate e convenzionate, ed in relazione alle quali sono state pressocchè completate le opere di urbanizzazione, in relazione agli artt. 9, 3, 42 comma 2°, 41, 118, 97 Cost;
In ulteriore subordine:
15) violazione dell’art. 4, comma 2°, della legge reg. 8/2004 ove interpretato diversamente da quanto stabilito dal TAR Sardegna con sentenza 1724/2006;
16) Illegittimità dell’art. 15, comma 2°, delle NTA del PPR per gli stessi motivi esposti con riguardo all’art. 4, comma 2°, delal legge reg. n. 8/2004.
Concludeva quindi la ricorrente chiedendo l’annullamento dei provvedimenti impugnati, con favore delle spese.
Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Villasimius che l’Amministrazione regionale che, con scritti difensivi, ne hanno chiesto il rigetto, vinte le spese.
In vista dell’udienza di discussione tutte le parti hanno depositato ulteriori memorie con le quali hanno confermato le rispettive conclusioni.
Alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2008, sentiti i difensori delle parti, le cause sono state poste in decisione.
D I R I T T O
Ragioni di connessione oggettiva e soggettiva inducono il Collegio a disporre la riunione dei ricorsi in epigrafe al fine di deciderli con unica sentenza.
Occorre, peraltro, prendere le mosse dal ricorso n. 749/2006, giacché il suo esito condiziona, in punto di interesse, anche la definizione del ricorso n. 308/2007.
Orbene, con riguardo a tale impugnazione, il Collegio osserva che le prime tre censure introdotte dalla società ricorrente, concernenti le misure di salvaguardia, ripropongono una questione interpretativa già pervenuta all’attenzione del Tribunale e, recentemente, oggetto di una significativa pronuncia (TAR Sardegna, Sez. II, n. 2050 del 12 novembre 2007).
Si tratta, nella sostanza, della questione relativa alla ritenuta illegittimità del provvedimento di adozione del PPR nella parte in cui, secondo la prospettazione impugnatoria, introduce misure di salvaguardia in carenza di un’apposita copertura legislativa.
Il Tribunale, in relazione a fattispecie del tutto analoga e ad una identica censura, con motivazione significativamente estesa, ha respinto le richieste della parte ricorrente argomentando quanto segue:
“L’art. 144 del D.Lgs. n. 42/2004, come modificato dal DLgs. 156/2006, prevede che le regioni possano stabilire mediante apposite norme di legge, misure di salvaguardia per le aree e gli immobili sottoposti a tutela paesaggistica, valevoli a far data dalla adozione o approvazione preliminare del Piano.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, l’art. 2 1° comma, della L.R. 25 novembre 2004 n. 8 si è limitato a modificare: “le procedure di redazione della proposta, adozione e approvazione del PPR previste dall’art. 11 della L.R. 22.12.1989 n. 45“ e succ. mod. (commi da 2 a 7), senza incidere sulla vigenza del comma 8 dello stesso art. 11, nel quale si dispone che: “Dalla data di adozione e fino all’approvazione definitiva della G.R. trovano applicazione le misure di salvaguardia di cui alla L. 3.11.1952 n. 1902 e successive modifiche”. La scelta di lasciare in vigore la relativa previsione a suo tempo formulata per regolare la procedura dei Piani territoriali Paesistici sta a dimostrare la volontà di applicare le misure di salvaguardia anche al nuovo Piano Paesistico Regionale.
Pertanto, allo stato, in base al comb. disp. dell’art. 2 (1° comma) della L.R. n. 8/2004 e dell’art. 11 della L.R. n. 45/89 nella parte non abrogata, nella Regione Sardegna è tuttora in vigore un’apposita norma di legge coerente con le previsioni del T.U. n. 42/2004, che attribuiscono alle regioni la facoltà di introdurre misure di salvaguardia a tutela dei Piani Paesistici adottati.
Questa è la ricostruzione del quadro normativo, a prescindere dalle originarie intenzioni manifestate dall’organo legislativo in sede di lavori preparatori. Ed invero, sulla base dei canoni interpretativi delle disposizioni di legge, non si ravvisano nel complesso normativo richiamato elementi testuali, logici o sistematici da cui dedurre la volontà espressa o tacita di abrogazione del comma 8 dell’art. 11 della L.R. 45/89.
Si rinviene invece nel contesto della stessa L.R. n. 8/2004, un elemento testuale rappresentato dall’art. 9 intitolato “abrogazione e sostituzioni” in cui al 1° comma l’art. 11 non è menzionato, circostanza che conferma ulteriormente la scelta di lasciare in vigore la parte di norma non espressamente modificata.
La conseguente disciplina, applicabile nella regione Sarda appare, infine coerente con i principi generali ispiratori della legislazione statale, diretta in generale a salvaguardare le scelte di pianificazione paesaggistica o urbanistica prima della loro definitiva approvazione” .
L’anzidetta interpretazione del quadro normativo di riferimento è oggi pienamente condivisa dal Collegio, e ad essa è sufficiente riportarsi per addivenire alle reiezione delle censure in esame.
Non convincono del contrario, infatti, le ulteriori deduzioni contenute nella memoria difensiva depositata dalla ricorrente in data 27 settembre 2008.
In particolare la ricorrente valorizza il dato letterale dell’art. 2 della legge reg. n. 8/2004, ove è previsto “Per le procedure di redazione della proposta, adozione e approvazione del PPR si applicano le disposizioni di cui all'articolo 11 (Norme per l'uso e la tutela del territorio regionale), così modificato…”. della legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45
L’utilizzo della locuzione “così modificato” varrebbe, a suo avviso, ad evidenziare che il legislatore regionale del 2004 avrebbe inteso modificare integralmente il contenuto dell’art. 11 citato, risultando altrimenti arbitrario delimitare il confine dell’operazione di novella legislativa.
Ritiene invece il Collegio che il tenore letterale della disposizione rafforzi l’assunto già espresso con la richiamata sentenza n. 2050/2007, per il semplice rilievo che laddove il legislatore avesse effettivamente inteso modificare integralmente il testo dell’art. 11 avrebbe utilizzato, come più frequentemente avviene, l’espressione “sostituito” in luogo del riferimento alla modifica di un qualcosa che, anche nel linguaggio comune, per tutto quanto non espressamente inciso continua ad esistere nel suo contenuto originario.
Per quanto sopra si rivelano dunque infondate le censure relative alla ritenuta mancanza di un fondamento legislativo al potere di istituire misure di salvaguardia esercitato dalla Giunta regionale.
Nell’ambito della terza censura, peraltro, si propongono due ulteriori profili di illegittimità delle misure di salvaguardia: da un lato, infatti, (punto a) si ritiene che le stesse sarebbero costituzionalmente illegittime per il fatto di introdurre limitazioni a tempo indeterminato su beni di proprietà privata, dall’altro (punto b) perché costituirebbero una inammissibile ingerenza nelle prerogative urbanistiche degli enti locali.
Neanche tali profili di censura appaiono decisivi.
Si è già affermato, anche in altre pronunce sul Piano paesaggistico,chesolo le “prescrizioni dirette” relative ai beni paesaggistici individuati e tipizzati sono immediatamente efficaci e prevalenti sulle difformi discipline dei piani urbanistici.
Gli altri principi “costituiscono il quadro di riferimento e coordinamento per lo sviluppo sostenibile del territorio regionale (art. 3 NTA)” e rappresentano il parametro orientativo delle c.d azioni strategiche (allegato 1 alle NTA ed art. 143, comma 2, D.lgs. 42/2004) da concordare con comuni, con lo strumento urbanistico di attuazione e la misura di coordinamento dell’intesa “adeguata”.
Per imporre il rispetto delle norme cogenti aventi un rango gerarchicamente superiore rispetto a quelle di gestione del territorio lo stesso codice Urbani ha attribuito coerentemente alla Regione il potere di dettare “norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici.” ( art. 145, comma3).
In attuazione di tale prescrizione è stata inserita, nelle norme di attuazione, una disciplina transitoria che non consente, con l'eccezione di alcune specifiche deroghe, la realizzazione di interventi edilizi sui beni paesaggistici compresi o no negli ambiti di paesaggio costieri, come individuati all’art. 14, fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle previsioni del PPR.
E’ evidente che la ratio delle disposizioni contestate poggia sulla necessità che tali beni così come definiti e solo se definiti sulla base delle "caratteristiche naturali e storiche” , debbano essere tutelati in maniera tale che si possa garantire “il mantenimento delle caratteristiche, degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni sottoposti a tutela” (art. 135 Codice Urbani).
Tale risultato non poteva essere conseguito se non attraverso una misura di salvaguardia che trova spazio e giustificazione nell'art. 145, dove si chiarisce la funzione ed il rapporto della pianificazione paesaggistica regionale rispetto agli altri strumenti di pianificazione sottordinati.
In particolare il comma 3 prescrive: “Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni...sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali”.
Molte delle norme cui il comune si riferisce per dedurre l’indeterminatezza delle misure di salvaguardia ed il loro eccessivo impatto rispetto alla disciplina pianificatoria vigente contengono, invece, prescrizioni indirette o semplici indirizzi e svolgono, quindi, nel contesto delle norme di attuazione la funzione di orientare l’autonomia degli enti locali verso obiettivi di qualità paesaggistica, senza peraltro imporsi o sovrapporsi alla disciplina vigente, a meno che non sia lo stesso ente locale a condividere gli orientamenti e ad adeguare la disciplina del territorio ad una “gestione virtuosa” delle proprie risorse non inesauribili, o attraverso lo strumento dell’intesa in via preventiva o con l’adeguamento di tutto il piano agli indirizzi condivisi.
Senza voler essere esaustivi e limitandosi alle norme richiamate a titolo di esempio dal comune ricorrente, gli artt. 50, 53 e 62 contengono meri indirizzi, solo gli artt. 49 e 58 si riferiscono a beni paesaggistici ed identitari ( salva la verifica della loro previa e compiuta individuazione), l’art. 52 non riguarda beni paesaggistici, demanda ai comuni la verifica ed integrazione dei perimetri ed ha, quindi, valore programmatico e di indirizzo, come l’art. 61. Analoga considerazione vale per l’art. 55 relativo alle reti e elementi connettivi, mentre l’art. 57 si limita a delineare la definizione (tipizzazione) di una delle tante componenti dell’assetto storico culturale.
Di grande rilievo, per giustificare la infondatezza della censura è anche il quarto comma dello stesso art. 145, laddove, in risposta alla censura di assoluta indeterminatezza dei tempi di definizione della pianificazione urbanistica comunale, prescrive: “Entro il termine stabilito nel piano paesaggistico (ndr: un anno, v art. 107 delle NTA) e comunque non oltre due anni dalla sua approvazione, i comuni,... conformano e adeguano gli strumenti di pianificazione territoriale urbanistica alle previsioni dei piani paesaggistici, introducendo, ove necessario, le ulteriori previsioni conformative che, alla luce delle caratteristiche specifiche del territorio, risultino utili ad assicurare l'ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai piani. I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo.”.
La conseguente disciplina, applicata dalla regione Sarda appare, quindi, assolutamente coerente con i principi generali ispiratori della legislazione statale, secondo i quali è obbligatoria la sospensione delle norme di gestione del territorio in contrasto con le scelte di pianificazione paesaggistica o di regime d’uso adottate fino al loro adeguamento alle prescrizioni approvate, attesa la loro conclamata sovraordinazione rispetto alla pianificazione comunale.
I termini certi entro cui tale adeguamento deve essere ultimato risultano sia dalla prescrizione contenuta nell'art. 107 delle norme di attuazione, che prevede che i comuni debbano adeguare i propri piani urbanistici alle disposizioni del piano paesaggistico regionale entro 12 mesi sia , quale norma di chiusura, dall’art. 145, quarto comma, che pone come termine ultimativo due anni dalla loro approvazione.
Ad avviso del Collegio, quest’ultimo termine imposto per procedere all'adeguamento di cui trattasi, non appare assolutamente incongruo, anche alla stregua di tutti gli adempimenti complessi elencati in ricorso e che certamente comportano un comprensibile, faticoso impegno per gli enti locali.
In merito va evidenziato che tra gli obiettivi conclamati e condivisibili del PPR vi è anche quello di sollecitare gli enti locali all’approvazione di strumenti di gestione del territorio in linea con i nuovi indirizzi di tutela generalizzata del paesaggio, sicchè la normativa sopra citata deve essere interpretata anche come un utile e legittimo stimolo e per le amministrazioni comunali che, prive del PUC, si mostrano incomprensibilmente restie alla sua adozione, utilizzando ancora vecchi programmi di fabbricazione e per quelle amministrazioni più solerti che hanno già il PUC e che, attraverso lo strumento immediato dell’intesa, ben possono raggiungere gli obiettivi di tutela del bene “paesaggio”, che il piano impone, in termini relativamente brevi.
Deve anche essere tenuto presente che l’amministrazione regionale, nel corposo e ponderoso lavoro svolto ha già dato un notevole contributo alle amministrazioni locali, mettendo a loro disposizione ogni possibile conoscenza del territorio: conoscenza schematizzata e organizzata, dove ogni ambito è stato fotografato nel suo attuale assetto e per ognuno è stata valutata la sua potenzialità.
Quanto detto in ordine al ragionevole termine posto dal legislatore nazionale per l’adeguamento dei PUC e, quindi, alla durata delle misure di salvaguardia, nonché quanto già esposto in ordine alla funzione ed al rilievo attribuito dalla normativa statale al piano paesistico, consente di superare le considerazioni svolte in ricorso in ordine alla compressione “ingiustificabile e irragionevole sia dei diritti dei cittadini sia delle potestà degli enti locali”.
Accertato che le NTA non contengono misure di salvaguardia a tempo indeterminato, deve ritenersi superata la censura con la quale si deduce che siano state introdotte, con tali norme, “ulteriori restrizioni alla proprietà privata”, come espressamente non consentito nella legge di delega n. 137/2002” (TAR Sardegna, Sez. II n. 2241 del 13 dicembre 2007).
Può quindi passarsi all’esame della quarta censura, con la quale la ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere per falsa applicazione dell’art. 3 della legge reg. n. 8/2004 e del’art. 15 delle NTA del PPR e falsità del presupposto, con riguardo al ritenuto mancato avvio delle opere di urbanizzazione entro la data del 10 agosto 2004.
Il motivo è infondato.
Assume la ricorrente che l’amministrazione avrebbe posto a fondamento del diniego le istruttorie condotte in epoca precedente al 10 agosto 2004, data in cui la società Cala Giunco ha sottoscritto la nuova convenzione urbanistica relativa alla variante al piano di lottizzazione del 2001, sicché il progetto relativo al completamento delle opere di urbanizzazione sottoposto al suo esame era diverso da quelli esaminati in precedenza.
E ciò risulterebbe da quanto accertato in contraddittorio tra la proprietà e l’amministrazione comunale, nel corso del sopralluogo effettuato in data 15 dicembre 2005.
L’argomento non convince.
Si è già osservato che l’art. 4, comma 2, della legge n. 8/2004 stabilisce, tra l’altro, che nelle zone omogenee F possono essere realizzati gli interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi approvati e convenzionati alla data di pubblicazione della Delib.G.R. 10 agosto 2004, n. 33/1 purché alla stessa data le opere di urbanizzazione siano legittimamente avviate ovvero sia stato realizzato il reticolo stradale, si sia determinato un mutamento consistente ed irremovibile dello stato dei luoghi.
Tale disposizione è sostanzialmente riprodotta, nell’identico tenore, dall’art. 15, comma 2°, delle NTA del Piano paesaggistico.
Orbene, la lettera della legge fa salve le lottizzazioni approvate e convenzionate alla data del 10 agosto 2004, purchè a tale data le opere di urbanizzazione siano legittimamente avviate.
Il che significa che i lavori ad esse attinenti devono trovare fondamento in un valido ed efficace titolo edilizio, restando altrimenti preclusa la loro utile considerazione ai fini della salvezza del piano.
Orbene, come si ricava dalle difese delle parti resistenti, peraltro incontestate sul punto, con riguardo alle opere di urbanizzazione relative all’originario contenuto edificatorio della convenzione di lottizzazione si è avuto:
a) l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica regionale ad opera del decreto del Sopr. B.A.P.P.S.A.D. del 22 giugno 2000, ritenuto legittimo da Cons. Stato, Sez. VI, 10 giugno 2002 n. 3224;
b) il conseguente annullamento della concessione edilizia n. 50 dell’8 giugno 2000, con ordine di rimessa in pristino dei luoghi, con ordinanza del Comune di Villasimius n. 8 del 27 agosto 2002.
Ciò significa che le opere di urbanizzazione realizzate in attuazione del piano di lottizzazione come originariamente dimensionato non possono essere utilmente valutate, neanche parzialmente, ai fini della verifica del rispetto del termine di cui al predetto art. 4, comma 2, della legge n. 8/2004, che richiede a tal fine che le opere di urbanizzazione siano “legittimamente avviate”.