Cass. Sez. III n. 46526 del 24 novembre 2015 (Ud 28 ott 2015)
Pres. Squassoni Est. Mengoni Ric. Cargnello
Caccia e animali.Mezzi leciti e vietati per l'esercizio della caccia

Devono ritenersi vietati non soltanto tutti i mezzi diretti ad  abbattere la fauna selvatica diversi da quelli specificamente ammessi, ma anche tutti quegli accessori che il detentore aggiunge all'arma per renderla più offensiva e ciò in quanto il legislatore, nell'indicare le caratteristiche che l'arma deve avere per essere lecita, prende in considerazione solo quelle realizzate dal produttore, cosicché qualsiasi modificazione accessoria o sostitutiva di quella propria dell'arma, rende questa diversa da quella prevista dal legislatore e perciò non consentita, poiché in materia di caccia non vige la regola in forza della quale tutto ciò che non è espressamente vietato deve considerarsi consentito, ma quella opposta in base alla quale tutto ciò che non è espressamente consentito deve considerarsi vietato

 RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17/9/2014, il Tribunale di Udine riconosceva Aldo Cargnello colpevole della contravvenzione di cui al D.Lgs. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 30, comma 1, lett. h), e lo condannava alla pena di mille Euro di ammenda; allo stesso era ascritto di aver esercitato la caccia utilizzando un fucile cal. 12 ad anima liscia predisposto ad incamerare tre cartucce.

2. Propone ricorso per cassazione il Cargnello, a mezzo del proprio difensore, deducendo tre motivi:
- violazione della L. n. 157 del 1992, artt. 12, commi 2 e 3 e art. 192 cod. proc. pen.. Il Tribunale non avrebbe adeguatamente considerato che, all'atto del controllo, il fucile del ricorrente era appoggiato ad un albero e che l'asta di riduzione del serbatoio era contenuta nello zaino; dal che, la conclusione che lo stesso, al momento, non stava svolgendo attività venatoria;
- violazione del D.Lgs. n. 157 del 1992, art. 13, comma 1 e art. 192 cod. proc. pen.. Il Tribunale avrebbe condannato il ricorrente al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 13 citato, atteso che il fucile in sequestro sarebbe sì arma a ripetizione, ma non semiautomatica, bensì - come affermato dalla stessa sentenza - a caricamento manuale (c.d. a pompa);
- violazione del D.Lgs. n. 157 del 1992, art. 13, comma 1, (come novellato dalla L. 24 giugno 2014, n. 91)e dell'art. 192 cod. proc. pen.. Il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato la norma citata nel senso che il riferimento a 2 cartucce - in essa indicato come limite non superabile per i fucili con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatici - sarebbe da intendersi in senso teorico, di astratta capacità, non già concreto; quest'ultimo, invece, ben si desumerebbe dalla seconda parte dello stesso comma 1, in tema di fucili con canna ad anima rigata, come novellato dalla L. n. 91 del 2014.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

Con riguardo al primo motivo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti nè all'apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).
Se questa, dunque, è l'ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il giudizio della Suprema Corte, le censure che il ricorrente muove al provvedimento impugnato si evidenziano come manifestamente infondate; ed invero, dietro la parvenza di una violazione di legge, lo stesso di fatto invoca al Collegio una diversa ed alternativa lettura delle medesime risultanze istruttorie già esaminate dal Giudice di merito, con particolare riguardo all'effettivo esercizio dell'attività venatoria da parte del C. ed all'arma rinvenuta al momento del controllo.
Il che, come riportato, non è consentito.
E per tacer, comunque, del fatto che - come descritto nella sentenza - il ricorrente era stato individuato in una località del Comune di Precenicco mentre esercitava attività venatoria, munito di fucile e cartucce, ed in compagnia di un cane, ciò rendendo irrilevante la circostanza che, al momento, l'arma fosse non in dosso ma appoggiata ad un albero. Ed invero, costituisce pacifico e condiviso indirizzo di legittimità quello per cui la nozione di esercizio di attività venatoria, usata nella L. n. 157 del 1992, non può essere intesa in senso riduttivo, dovendosi ritenere che essa comprenda non solo l'effettiva cattura o uccisione della selvaggina, ma anche ogni attività preliminare, e la complessiva organizzazione dei mezzi e, pertanto, qualsiasi atto, desumibile dall'insieme delle circostanze di tempo e di luogo, che appaia diretto a tale fine (per tutte, Sez. 3, n. 18088 del 6/3/2003, Febi, Rv. 224732).

4. Negli stessi termini, poi, conclude il Collegio anche con riguardo al secondo motivo, inerente alla natura dell'arma in sequestro; ovvero, se la stessa - fucile a ripetizione manuale (c.d. a pompa) - sia annoverabile o meno tra quelle semiautomatiche. Anche tale questione, infatti, risulta meramente ed integralmente fattuale, concernendo profili di merito (quali le caratteristiche proprie di questo cal. 12) che la Corte di legittimità non è deputata a valutare; ed in ordine ai quali, peraltro, già di fatto si è espresso il Tribunale di Udine, rilevando che l'arma era sì a caricamento manuale, ma priva di riduttore nel caricatore, così ampliandosi la portata offensiva in termini tali da renderla - di per sè - mezzo non consentito.

5. Da ultimo, il terzo motivo, invero portante l'intero ricorso e la sentenza gravata; ritiene la Corte, al riguardo, che anche sul punto la motivazione del Giudice di merito sia logica, sostenuta da solido percorso argomentativo e non meriti censura.
Occorre premettere che il D.Lgs. n. 157 del 1992, art. 13, comma 1, (Mezzi per l'esercizio dell'attività venatoria) stabilisce che "l'attività venatoria è consentita con l'uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12, nonchè con fucile con canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di altezza non inferiore a millimetri 40. I caricatori dei fucili ad anima rigata a ripetizione semiautomatica non possono contenere più di due cartucce durante l'esercizio dell'attività venatoria e possono contenere fino a cinque cartucce limitatamente all'esercizio della caccia al cinghiale"; ciò premesso, la questione oggetto del presente ricorso concerne l'interpretazione dell'inciso "con caricatore contenente non più di due cartucce", e cioè se lo stesso riguardi la capacità "ricettiva" astratta del caricatore medesimo oppure il numero di cartucce effettivamente collocate in questa parte dell'arma (questione che rileva nel giudizio, atteso che il fucile del ricorrente era privo di munizioni al momento del sequestro).
A tale questione la sentenza impugnata ha fornito una risposta corretta.
Costituisce costante indirizzo ermeneutico quello per cui in tema di caccia, la disposizione di cui all'art. 13 in esame deve essere intesa nel senso che il caricatore non sia in grado di contenere un numero di cartucce superiore alle due consentite e non che il numero delle cartucce dentro il caricatore non debba essere in concreto superiore a due (Sez. 3, n. 11341 del 18/10/1995, Capaldi, Rv.203933; Sez. 3, n. 8480 del 17/6/1994, Villa, Rv. 198845); tale ultima interpretazione, infatti, oltre ad essere in palese contrasto con la convenzione internazionale per la protezione degli uccelli adottata a Parigi il 18 ottobre 1950 e ratificata dall'Italia con L. 24 novembre 1978, n. 812, finirebbe per vanificare lo scopo proprio dell'art. 13 suddetto, che è quello di limitare il numero dei colpi che possono essere esplosi, al di là del numero delle cartucce in concreto contenute nel caricatore.
Al riguardo, peraltro, ancora questa Sezione ha affermato - con riferimento ad un caso identico al presente (fucile con serbatoio privo di riduttori e capacità di tre cartucce) - che devono ritenersi vietati non soltanto tutti i mezzi diretti ad abbattere la fauna selvatica diversi da quelli specificamente ammessi, ma anche tutti quegli accessori che il detentore aggiunge all'arma per renderla più offensiva e ciò in quanto il legislatore, nell'indicare le caratteristiche che l'arma deve avere per essere lecita, prende in considerazione solo quelle realizzate dal produttore, cosicchè qualsiasi modificazione accessoria o sostitutiva di quella propria dell'arma, rende questa diversa da quella prevista dal legislatore e perciò non consentita, poichè in materia di caccia non vige la regola in forza della quale tutto ciò che non è espressamente vietato deve considerarsi consentito, ma quella opposta in base alla quale tutto ciò che non è espressamente consentito deve considerarsi vietato (Sez. 3, n. 16207 del 14/3/2013, Roscigno, non massimata).
Nè, peraltro, rileva in senso contrario la disciplina - apparentemente difforme - contenuta nel medesimo art. 13, comma 1, con riguardo ai fucili con canna ad anima rigata, trattandosi di tipologie di armi diverse, che giustificano difformi discipline. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, infatti, "la sospettabile illogicità di tale diversa previsione normativa non sussiste e per intendere la "ratio" delle due distinte ipotesi occorre soffermarsi sulle diverse caratteristiche dei fucili ad anima liscia e di quelli ad anima rigata, oltre che sul distinto loro impiego a fini venatori. Invero, i fucili a canna liscia vengono abitualmente utilizzati, a scopo venatorio, con munizioni spezzate, a pallini, che espandendosi a rosa hanno la capacità offensiva di colpire più bersagli contemporaneamente, donde la limitazione a due delle cartucce nel caricatore ed il tempo necessario per riarmare il fucile trovano giustificazione nella volontà del legislatore di ridurre il numero dei colpi che il cacciatore può esplodere in sequenza e, quindi, di limitare la potenza distruttiva dell'arma, in ossequio anche alle norme comunitarie in materia, mentre quelli a canna rigata possono esplodere un unico proiettile a palla per volta, capace di colpire un bersaglio singolo anche di rilevanti dimensioni, sicchè sono idonei per la "caccia grossa" - gli "ungulati", come il cinghiale - ed è per questo che il legislatore si è limitato a prevedere che le cartucce utilizzate per tali armi debbono essere di calibro superiore a mm. 5,6 ed avere un bossolo a vuoto superiore a mm. 40" (Sez. 3, n. 3316 del 26/10/1999, Vitali, Rv. 214900; Sez. 3, n. 1897 del 18/5/1999, Bruzzone, Rv. 214081). E senza che possa aver rilievo l'ulteriore specificazione, di cui al comma 1, ultimo periodo in esame, tra capacità di contenimento dei caricatori dei fucili ad anima rigata durante l'esercizio dell'attività venatoria e capacità nella caccia al cinghiale, poichè non incompatibile con l'interpretazione sopra richiamata in tema di caricatori di fucili con canna ad anima liscia.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2015.