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Corte Costituzionale sentenza n.326 del 30 ottobre 2003
giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della ordinanza del Consiglio di Stato - sezione VI,  n. 90 del 2003, depositata in data 15 gennaio 2003, promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato il 14 marzo 2003, depositato in Cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 7 del registro conflitti 2003.

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SENTENZA N.326

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA                 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO             

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-Riccardo CHIEPPA Presidente

-Gustavo ZAGREBELSKY Giudice

-Valerio ONIDA "

-Carlo MEZZANOTTE "

-Fernanda CONTRI "

-Guido NEPPI MODONA "

-Piero Alberto CAPOTOSTI  "

-Annibale MARINI "

-Franco BILE "

-Giovanni Maria FLICK "     

-Francesco AMIRANTE "   

-Ugo DE SIERVO "             

-Romano VACCARELLA "

-Paolo MADDALENA"

-Alfio FINOCCHIARO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della ordinanza del Consiglio di Stato - sezione VI,  n. 90 del 2003, depositata in data 15 gennaio 2003, promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato il 14 marzo 2003, depositato in Cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 7 del registro conflitti 2003.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 1° luglio 2003 il Giudice relatore Fernanda Contri;

uditi l’avvocato Maria Chiara Lista Bin per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

         1. – Con ricorso depositato il 19 marzo 2003, la Regione Emilia-Romagna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla ordinanza del Consiglio di Stato n. 90 del 2003, depositata il 15 gennaio 2003, lamentando la violazione degli artt. 24, 117, 127, primo comma, e 134 della Costituzione e chiedendo che sia dichiarato “che non spetta alla competenza del giudice amministrativo il potere di sospendere atti amministrativi meramente ripetitivi di disposizioni di leggi regionali per vizi di illegittimità imputabili a queste ultime”.

La Regione ricorrente premette che alcune associazioni ambientaliste hanno impugnato, dinanzi al TAR per l’Emilia-Romagna - Bologna, le deliberazioni di approvazione del calendario venatorio della Provincia di Bologna, nn. 257 e 258, adottate dalla Giunta provinciale in data 30 luglio 2002 (ed anche la deliberazione della Giunta regionale n. 969, adottata in data 10 giugno 2002, invero interessante marginalmente l’esercizio venatorio e senza alcun collegamento con le delibere precedentemente indicate), costituenti mera esecuzione e riproduzione dei contenuti delle leggi regionali n. 14 del 12 luglio 2002 (Norme per la definizione del calendario venatorio regionale), n. 15 del 12 luglio 2002 (Disciplina dell’esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE. Modifiche alla legge regionale 15 febbraio 1994, n. 8 “Disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio dell’attività venatoria”)  e n. 22 del 20 settembre  2002 (Integrazione della legge regionale 12 luglio 2002, n. 15), relativi, in particolare, alla caccia in deroga e alla caccia di selezione agli ungulati.

Le suddette delibere sarebbero state impugnate non già per vizi propri, ma in quanto fondate su disposizioni legislative ritenute costituzionalmente illegittime con riguardo ai periodi di caccia degli ungulati e alle modalità di disciplina dell’esercizio della caccia in deroga. Il TAR ha accolto, in via cautelare, l’istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati, riservandosi di approfondire nel merito le censure prospettate nel ricorso, ed il Consiglio di Stato, dinanzi al quale è stata impugnata dalla Regione Emilia Romagna, sempre in sede cautelare, l’ordinanza del TAR Bologna, ha rigettato l’appello, tenuto conto dei principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 536 del 2002. Anche gli analoghi provvedimenti di approvazione del calendario venatorio della Provincia di Reggio Emilia, impugnati dinanzi al TAR Parma, sono stati sospesi in via cautelare, in considerazione del mancato rispetto dei principi della legge statale n. 157 del 1992 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) relativi ai periodi venatori e, quindi, della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali, che però non è stata sollevata. Il Consiglio di Stato ha accolto l’impugnazione dell’ordinanza cautelare del TAR Parma, ritenendo per un verso legittima la delibera di approvazione del calendario venatorio, in quanto emessa nel rispetto delle leggi regionali e delle prescrizioni dell’INFS, e per altro verso non motivata la asserita sussistenza del danno grave e irreparabile.

Ad avviso della Regione ricorrente, gli esiti difformi dei giudizi cautelari dinanzi al Consiglio di Stato sarebbero dovuti ad un fattore temporale e precisamente alla circostanza che dopo la prima decisione di riforma è intervenuta la sentenza di questa Corte n. 536 del 2002, con la quale si è dichiarata l’illegittimità costituzionale della legge sulla caccia della Regione Sardegna 7 febbraio 2002, n. 5.

Il Consiglio di Stato, ponendo a base della sua decisione i principi stabiliti dalla citata sentenza, che sono stati direttamente estesi alla Regione Emilia-Romagna, avrebbe tuttavia ecceduto dalle attribuzioni giurisdizionali ad esso assegnate ed avrebbe violato il diritto di difesa della Regione. In particolare, la violazione degli artt. 24 e 134 della Costituzione deriverebbe dalla circostanza che il giudice amministrativo ha applicato una sentenza emessa in un giudizio in cui la Regione non era parte ed ha ritenuto illegittima la legge regionale in assenza di una pronuncia della Corte costituzionale, violando in tal modo lo status riconosciuto alla Regione e il diritto di questa di difendere le proprie leggi dinanzi alla Corte costituzionale.

Osserva ancora la Regione ricorrente che i provvedimenti provinciali sospesi dal Consiglio di Stato non costituiscono scelte discrezionali dell’Amministrazione provinciale ma riproducono esattamente i contenuti delle leggi regionali n. 14 e n. 15 del 2002; con la sospensione di tali provvedimenti il giudice amministrativo mostra di ritenere già risolte le questioni di legittimità costituzionale delle leggi regionali, senza investire il giudice delle leggi, e si arroga il diritto di sospendere in via cautelare l’applicazione delle leggi impugnate, che l’ordinamento non riconosce neanche alla Corte costituzionale.

A giudizio della Regione ricorrente, per contrastare la sospensione dell’applicazione di una legge regionale disposta dal giudice può essere sollevato conflitto di attribuzione, in quanto, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 285 del 1990, non si denuncia un error in iudicando bensì l’erroneo convincimento che ha indotto il giudice ad esercitare un potere che non gli compete ed è proprio l’esercizio del potere di disapplicazione delle leggi che costituisce l’oggetto del conflitto. Ed è ciò che si sarebbe verificato nella fattispecie, nella quale mediante la sospensione dell’efficacia degli strumenti provinciali per vizi di illegittimità non propri ma delle leggi regionali di cui i provvedimenti impugnati costituiscono mera attuazione, si è prodotto un risultato del tutto analogo a quello della sospensione della legge regionale.

2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità del ricorso sotto più profili.

La difesa erariale afferma anzitutto che non sussistono i presupposti per sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto il Presidente del Consiglio dei ministri appartiene ad un potere diverso da quello il cui atto è censurato attraverso il conflitto e la regione ricorrente rimane esterna allo Stato; né ricorrono i presupposti per sollevare conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni, in quanto non potrebbe nella fattispecie ritenersi che la sentenza del Consiglio di Stato abbia invaso la sfera di competenza regionale. Il predetto organo, pronunciandosi sulla censura di un atto amministrativo, ha esercitato non già funzioni sostanzialmente regionali con atto ultra vires, bensì funzioni appartenenti alla competenza propria del giudice amministrativo, non sussistendo peraltro alcun obbligo di esaminare la questione di legittimità costituzionale prima di pronunciarsi sulla istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato. Pertanto, ad avviso dell’Avvocatura, non ricorrerebbero nella fattispecie le condizioni per sollevare conflitto indicate da questa Corte nella sentenza n. 285 del 1990, nella quale fu sanzionato l’errore caduto sui confini stessi della giurisdizione.

La difesa erariale individua un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso nella non identificabilità dell’oggetto del conflitto, in quanto la pronuncia del Consiglio di Stato n. 90/2003, richiamata dalla ricorrente, riguarderebbe fattispecie del tutto estranea al giudizio in questione e non vi sarebbero dati sufficienti né idonei a consentire l’esatta identificazione del provvedimento del Consiglio di Stato.

L’Avvocatura dello Stato chiede quindi il rigetto del ricorso, in quanto l’annullamento di atti amministrativi è di esclusiva pertinenza della magistratura amministrativa.

3. – In prossimità dell’udienza, la Regione Emilia-Romagna ha depositato memoria nella quale afferma, anzitutto, che il ricorso per conflitto di attribuzioni presentato avverso il Presidente del Consiglio dei ministri come rappresentante dello Stato è figura tipica e non controvertibile di accesso alla Corte costituzionale, mediante il quale la Regione può reagire nei confronti di atti emessi dai diversi poteri o organi dello Stato, che invadano le attribuzioni regionali o interferiscano illegittimamente con l’esercizio di esse. In base alla giurisprudenza di questa Corte, il presente conflitto apparterrebbe al novero dei conflitti tra Stato e Regioni.

Quanto alla supposta inammissibilità del ricorso “per mancanza o assoluta non identificabilità dell’oggetto”, la Regione osserva che l’atto impugnato, peraltro inserito nel fascicolo, è facilmente identificabile come ordinanza non solo in quanto così qualificato nel ricorso ma anche in quanto decisione del Consiglio di Stato emessa in appello contro un’ordinanza di sospensione del TAR.

Nel merito la Regione ribadisce che la specifica decisione assunta dal Consiglio di Stato, sia pure in sede cautelare, ha comportato la sospensione dell’efficacia della legge regionale incidendo sulla competenza legislativa garantita dall’art. 117 della Costituzione. 

La sospensione di un atto amministrativo meramente riproduttivo di norme di legge, per supposti vizi di illegittimità costituzionale della legge stessa, determinerebbe una menomazione delle attribuzioni legislative regionali e delle attribuzioni riconosciute alla Corte costituzionale dall’art. 134 della Costituzione. Non a caso la difesa della Regione aveva sollecitato davanti al giudice amministrativo la rimessione alla Corte costituzionale della questione di pretesa illegittimità costituzionale della legge regionale, proposta dai ricorrenti, ma a queste richieste il Consiglio di Stato, come in precedenza il TAR, hanno ritenuto di potersi sottrarre producendo direttamente, a giudizio della Regione, l’effetto sospensivo della efficacia della legge.

Considerato in diritto

1. – La Regione Emilia-Romagna propone conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione all’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 90 del 15 gennaio 2003, con la quale, “tenuto conto dei principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 536 del 2002”, è stato respinto l’appello avverso l’ordinanza di sospensione delle delibere di approvazione del calendario venatorio emessa dal TAR Emilia-Romagna - Bologna, costituenti, secondo la ricorrente, mera esecuzione e riproduzione dei contenuti delle leggi regionali n. 14 del 12 luglio 2002 (Norme per la definizione del calendario venatorio regionale), n. 15 del 12 luglio 2002 (Disciplina dell’esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE. Modifiche alla legge regionale 15 febbraio 1994, n. 8 “Disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio dell’attività venatoria”)  e n. 22 del 20 settembre  2002 (Integrazione della legge regionale 12 luglio 2002, n. 15), relativi, in particolare, alla caccia in deroga e alla caccia di selezione agli ungulati.

Secondo la ricorrente, il Consiglio di Stato, con la su menzionata decisione, sia pure assunta in sede cautelare, avrebbe esteso la dichiarazione di incostituzionalità di una legge regionale ad una legge di un’altra Regione ed avrebbe ritenuto illegittima la legge regionale in assenza di una pronuncia della Corte costituzionale, violando in tal modo lo status riconosciuto alla Regione e il diritto di questa di difendere le proprie leggi dinanzi alla Corte costituzionale. La richiamata ordinanza del Consiglio di Stato avrebbe altresì sospeso provvedimenti amministrativi costituenti mera ripetizione di disposizioni legislative, per vizi di illegittimità attribuiti alle leggi regionali, pur in assenza dell’impugnazione di queste dinanzi alla Corte costituzionale, producendo in sostanza l’effetto della sospensione delle leggi regionali.

La Regione lamenta pertanto la violazione degli artt. 24, 117, 127, primo comma, e 134 della Costituzione, chiedendo che sia dichiarato “che non spetta alla competenza del giudice amministrativo il potere di sospendere atti amministrativi meramente ripetitivi di disposizioni di leggi regionali per vizi di illegittimità imputabili a queste ultime”.

2. – Il conflitto non è ammissibile.

Come costantemente affermato da questa Corte, gli atti giurisdizionali sono suscettibili di essere posti a base di un conflitto di attribuzione tra Regione e Stato, oltre che tra poteri dello Stato, quando sia contestata radicalmente la riconducibilità dell’atto che determina il conflitto alla funzione giurisdizionale ovvero sia messa in questione l’esistenza stessa del potere giurisdizionale nei confronti del soggetto ricorrente. Il conflitto è invece inammissibile qualora si risolva in strumento improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, valendo contro gli errori in iudicando di diritto sostanziale o processuale i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisidizioni (da ultimo, sentenze n. 276 del 2003 e n. 27 del 1999).

Nel caso ora all’esame di questa Corte va anzitutto precisato che, sotto il profilo formale, non v’è stata espressa disapplicazione di leggi regionali ma sospensione delle delibere provinciali del calendario venatorio assunte in base ad esse. Non ricorrono pertanto le condizioni che hanno condotto questa Corte, nella sentenza n. 285 del 1990, ad annullare una sentenza della Cassazione con la quale erano state espressamente disapplicate leggi regionali.

Sotto il profilo sostanziale occorre sottolineare che il ricorso esperito davanti al TAR comprende una pluralità di censure, anche riguardanti la violazione di legge regionale e che la decisione del Consiglio di Stato, emessa in appello promosso contro l’ordinanza di sospensione del TAR, non è motivata esclusivamente con riferimento ai principi espressi nella sentenza n. 536 del 2002 di questa Corte, ma anche in relazione all’esistenza del pregiudizio irreparabile, avendo condiviso quel giudice le considerazioni espresse sul punto in primo grado dal TAR.

D’altra parte, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, la formula utilizzata nell’atto all’origine del conflitto – “tenuto conto dei principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 536 del 2002” – non può essere di per sé intesa come implicante una estensione, di per sé inammissibile, della dichiarazione di incostituzionalità di una legge regionale ad una legge di un’altra Regione. Quest’ultima ipotesi si sarebbe verificata qualora il Consiglio di Stato avesse espressamente ritenuto costituzionalmente illegittime le leggi regionali in base alle quali sono state adottate le delibere provinciali, sostituendosi in tal modo al giudizio di questa Corte in violazione dell’art. 134 della Costituzione.

In base alle considerazioni che precedono il ricorso proposto dalla Regione Emilia-Romagna si traduce in strumento atipico di impugnazione dell’ordinanza del Consiglio di Stato, con la conseguenza che il relativo conflitto va dichiarato inammissibile, trasformandosi, altrimenti, il giudizio costituzionale in un nuovo grado di giurisdizione avente portata generale che si andrebbe ad aggiungere ai rimedi per far valere eventuali vizi o errori di giudizio già previsti dall’ordinamento processuale nel quale l’atto di giurisdizione concretamente si iscrive (sentenze n. 276 del 2003 e n. 27 del 1999).

                                                PER QUESTI MOTIVI                                               

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Emilia-Romagna nei confronti dello Stato, in relazione all’ordinanza del Consiglio di Stato -sezione VI, n. 90 del 15 gennaio 2003, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 ottobre 2003.

 

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2003.