Cass. Sez. III n. 14501 del 24 marzo 2017 (Cc 7 dic 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Di Nicola Imputato: PM in proc. Rocchio ed altri
Urbanistica. Permanenza del reato di edificazione abusiva e interruzione dei lavori conseguente all'ordine di sospensione
La permanenza del reato di edificazione abusiva cessa a seguito dell'interruzione dei lavori conseguente all'ordine di sospensione emanato dall'autorità comunale ed è solo il caso di sottolineare che, da un lato, la ripresa dei lavori dopo l'ottemperanza all'ordine di sospensione emanato dall'autorità amministrativa non costituisce un post factum non punibile, come sarebbe ipotizzabile se la permanenza del reato non fosse cessata, ma costituisce autonoma, grave ed ulteriore violazione della norma penale, trasgressione che autorizza l'uso del potere coercitivo reale e il successivo esercizio dell'azione penale, e che, dall'altro, la valutazione circa la cessazione della permanenza, conseguente all'osservanza della prescrizione di sospendere i lavori, costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito che non consente, in presenza di motivazione, il sindacato di legittimità in materia cautelare reale impedendo, al cospetto di un'adeguata e logica motivazione, anche il sindacato di legittimità nel giudizio di cognizione
RITENUTO IN FATTO
1. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Forlì ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza indicata in epigrafe con il quale il tribunale del riesame ha rigettato l'appello proposto dal pubblico ministero nei confronti del provvedimento di rigetto della richiesta di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Forlì in data 11 gennaio 2016.
Il provvedimento cautelare era stato richiesto per i reati previsti dagli artt. 44, comma 1, lettera c), e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 4 per avere effettuato sull'immobile oggetto di richiesta di sequestro i lavori di cui all'imputazione provvisoria in assenza di titoli abilitativi e di deposito di progetto strutturale su immobile sottoposto a vincolo paesaggistico in quanto sito nella fascia di rispetto del corso d'acqua pubblica Torrente Rigossa.
2. Per l'annullamento dell'impugnata ordinanza il ricorrente articola un unico complesso motivo di impugnazione, qui enunciato ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso il ricorrente deduce la violazione di legge in relazione all'articolo 321 del codice di procedura penale ed il difetto assoluto di motivazione su un punto decisivo del tema cautelare (articolo 606, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale) sul rilievo che, con l'impugnazione, erano state devolute al tribunale del riesame due questioni, entrambe attinenti al tema delle esigenze cautelari, ossia che la libera disponibilità da parte degli indagati dell'immobile (e, comunque, da parte di altre persone in grado di disporne) potesse aggravare o protrarre le conseguenze del reato, ovvero agevolare la commissione di altri reati, sotto un duplice profilo: 1) la permanenza delle condotte illecite, fino al definitivo completamento dei lavori, versandosi in ipotesi di lavori non ultimati; 2) la prosecuzione dei lavori, avendoli il comune sospesi, avrebbe determinato la violazione della prescrizione e il perfezionarsi di un nuovo illecito contravvenzionale, che si sarebbe evitato soltanto con il sequestro.
L'ordinanza impugnata si sarebbe limitata ad esaminare esclusivamente il secondo degli argomenti proposti, così omettendo e difettando di motivazione in ordine al primo motivo di appello.
Infatti, si sarebbe trascurata la natura permanente e gli effetti permanenti dei reati sub iudice, occorrendo, nella fattispecie concreta, interrompere la consumazione (altrimenti permanente) delle contravvenzioni contestate e, in caso di opere completate, evitare la realizzazione dell'illecito amministrativo ex articolo 221 T.U. leggi sanitarie, parimenti rilevante in termini di sussistenza di esigenze cautelari.
3. Il procuratore Generale ha concluso per l'accoglimento del ricorso sul rilievo che, dall'esame della motivazione del provvedimento impugnato, emergerebbe l'inesistenza della motivazione in ordine al primo motivo di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.
2. Il tribunale del riesame ha affermato che il Gip - nel rigettare la richiesta di sequestro preventivo - aveva ritenuto come gli indagati avessero pienamente osservato, giammai medio tempore violandola, l'ordinanza di sospensione dei lavori, comportando ciò il venir meno del necessario requisito del periculum in mora, con la conseguenza che tale decisione non aveva affatto negato all'autorità giudiziaria di esprimere, rispetto alla posizione assunta dall'autorità amministrativa, le proprie determinazioni, anche cautelari, rilevando tuttavia che il rispetto delle prescrizioni imposte dall'ordine di sospensione fosse in sé idoneo a palesare l'assenza del periculum derivante da un fatto, successivo rispetto all'esecuzione dei lavori, costituito appunto dal rispetto delle prescrizioni imposte dall'autorità amministrativa.
Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale cautelare ha correttamente chiarito, richiamando la pertinente giurisprudenza di legittimità, come nell'esercizio del potere cautelare reale non si possa prescindere da una valutazione in concreto della sussistenza del periculum in mora osservando che, nella specie, tale concretezza non fosse sussistente e non fosse astrattamente desumibile dalla presenza del fumus criminis giacché è nella fisiologia del sequestro preventivo, come misura limitativa anch'essa di libertà protette costituzionalmente (artt. 41 e 42 Cost.), che il pericolo debba presentare i requisiti della concretezza e dell'attualità cautelare e debba essere valutato in riferimento alla situazione esistente, ossia non nella sola prospettiva di un'astratta verificabilità dell'evento temuto ma anche in quella della concretezza del pericolo, perché quest'ultimo, per essere concreto e dunque per legittimare il fermo o la mancata restituzione del bene, deve riflettersi su una situazione che renda quanto meno "probabile" e non presunta la prospettiva di un contrasto, desumibile dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto, con le esigenze protette dall'art. 321 cod. proc. pen., essendo necessario che il bene assuma carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o all'agevolazione della commissione di altri reati.
Il Collegio cautelare ha applicato i principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la permanenza del reato di edificazione abusiva cessa a seguito dell'interruzione dei lavori conseguente all'ordine di sospensione emanato dall'autorità comunale (Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, Quartieri, Rv. 265626) ed è solo il caso di sottolineare che, da un lato, la ripresa dei lavori dopo l'ottemperanza all'ordine di sospensione emanato dall'autorità amministrativa non costituisce un post factum non punibile, come sarebbe ipotizzabile se la permanenza del reato non fosse cessata, ma costituisce autonoma, grave ed ulteriore violazione della norma penale, trasgressione che autorizza l'uso del potere coercitivo reale e il successivo esercizio dell'azione penale, e che, dall'altro, la valutazione circa la cessazione della permanenza, conseguente all'osservanza della prescrizione di sospendere i lavori, costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito che non consente, in presenza di motivazione, il sindacato di legittimità in materia cautelare reale impedendo, al cospetto di un'adeguata e logica motivazione, anche il sindacato di legittimità nel giudizio di cognizione.
Ne consegue che la valutazione sulla cessazione della permanenza - ossia l'irrilevanza circa il fatto che i lavori non erano stati completati - è stata superata dalla motivata e ritenuta idoneità dell'osservanza dell'ordine di sospensione dei lavori a produrre l'esaurimento della condotta, giudizio ulteriormente completato, ai fini cautelari, dalla motivazione circa la mancanza di attualità e di concretezza del pericolo denunciato.
Quanto infine all'irrilevanza della condotta realizzata, circa le conseguenze ipotizzate in ordine alla consumazione dell'illecito amministrativo di cui all'art. 221 del T.U.LL.SS, questa Sezione ha già affermato che è illegittimo il sequestro preventivo di un immobile abusivo, mancante del certificato di abitabilità, ove sia finalizzato unicamente ad impedire la consumazione dell'illecito amministrativo di cui all'art. 221 del T.U.LL.SS. (Sez. 3, n. 15614 del 24/03/2011, Mengozzi, Rv. 250391).
3. Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del pubblico ministero.
Così deciso il 07/12/2016