Cass. Sez. III n. 44638 del 6 novembre 2015  (Cc 24 set 2015)
Presidente: Mannino Estensore: Amoresano Imputato: D'Anna e altri
Danno ambientale.Sequestro conservativo

È applicabile la misura cautelare del sequestro conservativo in relazione al risarcimento pecuniario conseguente a danno ambientale, previsto dall'art. 311 del D.Lgs. del 3 aprile 2006 n.152. (In motivazione, la Corte ha precisato che il risarcimento per equivalente conseguente a danno ambientale, sebbene costituisca evenienza subordinata all'impossibilità di procedere in forma ripristinatoria, è soluzione che non può essere esclusa nella fase cautelare, non essendo ancora possibile stabilire, nel perdurare della stessa, se si farà o meno ricorso al ripristino in forma specifica).


     RITENUTO IN FATTO

 1.11 Tribunale di Vercelli, con ordinanza in data 18/03/2015, rigettava la richiesta di riesame, proposta nell'interesse di Salvatore D'Anna, Corrado Cordioli e Paolo Giacomazzo, avverso il provvedimento di sequestro conservativo, emesso dal Tribunale di Vercelli, in composizione monocratica in data 19/02/2015, dei beni mobili ed immobili di proprietà degli imputati (come indicati nella nota della G.d.F. del 17/07/2012).
    Dopo aver premesso che il sequestro conservativo era stato disposto nei confronti dei ricorrenti, imputati dei reati di cui all'art. 674 c.p., D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4, art. 452 c.p., su richiesta del Ministero del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare (mentre analoga richiesta era stata rigettata relativamente ai beni del responsabile civile), riteneva il Tribunale infondati i motivi posti a base della richiesta di riesame.

    Quanto al fumus commissi delicti, rilevava il Tribunale che, per costante orientamento giurisprudenziale, il decreto di citazione a giudizio fosse di per sè atto idoneo a giustificarne la sussistenza.

    Vi era, inoltre, correlazione tra l'imputazione e la pretesa risarcitoria della parte civile, essendo contestato il reato di cui all'art. 452 in relazione all'art. 439 c.p., (avente ad oggetto l'avvelenamento della falda idrica e delle sostanze alimentari,ortaggi, latte, uova) e, quindi, quanto meno indirettamente riguardante i danni cagionati ai terreni soprastanti (posti nelle vicinanze dello stabilimento Sacal s.p.a.).

    In ordine al "quantum" della pretesa risarcitoria, l'ordinanza risultava congruamente motivata, facendo essa riferimento all'atto di costituzione di parte civile, in cui erano indicati i danni cagionati alla falda acquifera ed ai prodotti ortofrutticoli, nonchè ai terreni, con spese per la bonifica preventivabili in Euro 19.500.000,00. Ed i parametri utilizzati per la quantificazione risultavano corretti quanto meno per la fase cautelare.

    Non era poi esatto che fosse stata applicata una norma abrogata (L. n. 349 del 1986, art. 18), cui non vi era alcun riferimento nell'ordinanza impugnata.

    Era indubitabile che, nel caso di specie, trovasse applicazione il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 311, che prevede la risarcibilità del danno ambientale mediante condotte riparatone, ripristinatone o compensative e soltanto in via residuale in forma risarcitoria. Ciò però, secondo il Tribunale, non significava che in sede cautelare non potesse assicurarsi una garanzia monetaria al Ministero, corrispondente all'entità delle misure ripristinatone eventualmente necessitate in caso di inadempienza del debitore condannato. Opinare diversamente significherebbe escludere la possibilità di ricorrere al sequestro conservativo nei casi di danno ambientale.

    Quanto al periculum in mora, riteneva il Tribunale che fosse stato correttamente disposto il sequestro conservativo sui beni degli imputati (pur essendo il patrimonio del responsabile civile Sacal s.p.a, astrattamente in grado di soddisfare le pretese risarcitorie), trattandosi di obbligazione solidale (con pluralità di rapporti obbligatori, tra loro distinti, corrispondenti al numero dei condebitori in solido).

    2. Ricorrono per cassazione Salvatore D'Anna, Corrado Cordioli, Paolo Giacomazzo,, a mezzo dei difensori, denunciando, con il primo motivo, la violazione di legge in ordine al criterio qualitativo di determinazione del danno.

    Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 311, è chiarissimo nel prevedere, in materia di danno ambientale, misure ripristinatone e riparatone (soltanto in caso di omissione totale o parziale delle stesse è prevista la possibilità di sostituirle con risarcimenti pecuniari, secondo la specifica procedura di cui all'art. 312).

    Il Tribunale ha operato un'interpretazione assolutamente scorretta ed erronea di tale norma, non tenendo, peraltro, conto che nell'ordinanza impugnata vi era un preciso riferimento al L. n. 349 del 1986, art. 18, abrogato.

    Ritenere, invero, che nella fase cautelare l'unica garanzia concessa al Ministero è proprio ed esclusivamente quella patrimoniale significa eludere la lettera e la ratio della norma.

    Prevedendo l'art. 320 c.p.p., la conversione del sequestro conservativo in pignoramento quando diventi irrevocabile la condanna, si determinerebbe un effetto in aperto contrasto con l'art. 311 cit., che prevede esclusivamente la condanna agli obblighi riparatori.

    Con evidente disparità di trattamento con i soggetti nei confronti dei quali non sia stato chiesto il sequestro conservativo.

    Con il secondo motivo denunciano la violazione di legge in ordine alla correlazione tra l'oggetto delle richieste risarcitone ed il reato contestato.

    La misura cautelare è stata disposta in relazione al reato di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (nel capo di imputazione non si fa invece alcun riferimento ai terreni, benchè la pretesa risarcitoria si riferisca soltanto ad essi).

    Il riferimento indiretto ai terreni, che secondo il Tribunale sarebbe contenuto nell'imputazione, è in aperta violazione del principio di tipicità e tassatività della fattispecie.

    Senza tener conto che dagli atti (in particolare dal rapporto Arpa del 30/05/2014) non risulta alcuna contaminazione dei terreni; tanto che il Tribunale deve ricorrere in proposito ad affermazioni approssimative ed ipotetiche.

    Con il terzo motivo denunciano, infine, la violazione di legge per motivazione meramente apparente in ordine alla quantificazione del danno ed alla ritenuta impossibilità per il responsabile civile di offrire una garanzia complessiva del credito.

    Nella stessa richiesta del Ministero è contenuta un'oscillazione notevole tra un minimo ed un massimo del danno, senza alcuna specificazione dei relativi parametri. Il provvedimento cautelare, senza alcuna motivazione, si attesta sui valori più alti.

    Il Tribunale inoltre non motiva sul perchè in relazione ad un'obbligazione solidale, pur essendo stato ritenuto il responsabile civile capiente, sia possibile disporre il sequestro dei beni degli imputati.
   
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1.1 primi due motivi dei ricorsi sono infondati.

    1.1.Quanto al "fumus" , il Tribunale ha rilevato che nei confronti degli imputati era stato già emesso decreto che dispone il giudizio.

    E, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, non è proponibile in sede di riesame del provvedimento che dispone il sequestro conservativo la questione relativa alla sussistenza del "fumus commissi delicti", qualora sia intervenuto il decreto che dispone il rinvio a giudizio del soggetto interessato (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 5^ n. 26588 del 09/04/2014).

    Correttamente, pertanto, il Riesame si è limitato ad argomentare in ordine alla eccepita non correlazione tra il contenuto del capo di imputazione e la pretesa vantata dalla parte civile con la richiesta di sequestro conservativo. Ed ha evidenziato in proposito, da un lato, che dalla contestazione emergesse, implicitamente, una condotta causativa di danni, anche ai terreni soprastanti la falda idrica e sui quali venivano coltivati gli ortaggi, e, dall'altro, che il rapporto Arpa del 30/05/2014, indicato dalla difesa, non fosse idoneo, allo stato, a confutare l'assunto accusatorio dal momento che i dati riscontrati, con riferimento ai c.d."(OMISSIS)", richiedevano successivi approfondimenti (in ogni caso tali dati avevano ad oggetto soltanto i primi 10 cm. dal piano di campagna e non l'intero suolo).

    Ha, inoltre, rilevato il Tribunale che i danni lamentati dal Ministero dell'Ambiente non risultassero estranei alla contestazione in quanto riguardavano i terreni siti nelle vicinanze dello stabilimento Sacal spa, richiamati nell'imputazione.

    Tale motivazione non può dirsi certo apodittica o apparente e come tale riconducibile alla previsione di cui all'art. 125 c.p.p., comma 3, per cui, a norma dell'art. 325 c.p.p., non può essere denunciata in sede di legittimità.

    In relazione al sequestro conservativo, l'art. 318 prevede la possibilità di proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'art. 324.

    Ma contro i provvedimenti emessi ai sensi del richiamato art. 324, può essere proposto ricorso per cassazione soltanto per violazione di legge (art. 325 c.p.p.).

    E, secondo le Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 5876 del 28.1.2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv.226710), nella nozione di "violazione di legge" rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l'art. 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso dall'art. 606 c.p.p., lett. e).

    Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 25932 del 29.5.2008 - Ivanov,Rv. 25932, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e possa farsi luogo.

    1.2. Quanto alla legittimità del disposto sequestro preventivo, il Tribunale ha correttamente applicato il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 311.

    Tale norma prevede che il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio agisce anche esercitando l'azione civile in sede penale per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale., (comma 1) e che chi arrechi un danno all'ambiente "è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato"(comma 2).

    Non c'è dubbio, quindi, che, in materia di danno ambientale il legislatore abbia previsto, in via principale, misure ripristinatorie e riparatone, e, soltanto in via residuale, il risarcimento dei danni cagionati.

    Sicchè, come già affermato da questa Corte, è illegittimo il provvedimento di risarcimento in forma generica per equivalente del danno ambientale, che non motivi specificamente sulla impossibilità del ripristino in forma specifica, che è criterio prioritario di risarcimento individuato dalla legge (Cass. sez. 3^ n. 36818 del 14/06/2011).

    Se pur secondario e subordinato all'impossibilità di procedere in forma ripristinatoria e riparatoria, il risarcimento pecuniario è, però, previsto dalla norma, per cui, in sede cautelare, non può certo escludersi il ricorso agli strumenti consentiti dall'ordinamento per evitare che si disperdano le garanzie per il risarcimento dei danni cagionati.

    In tale fase non è, infatti, ancora possibile stabilire se si farà ricorso al ripristino in forma specifica.

    Peraltro, come ha osservato il Tribunale, l'interpretazione prospettata dalla difesa, renderebbe inapplicabile il sequestro conservativo nelle ipotesi di danno ambientale.

    Nè risolutivo appare il richiamo dell'art. 320 c.p.p., secondo cui il sequestro conservativo si converte in pignoramento quando diventa irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria ovvero quando diventa esecutiva la sentenza che condanna l'imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della parte civile.

    La conversione, come risulta dal dettato normativo, non è invero automatica, verificandosi solo quando sia divenuta irrevocabile la condanna al risarcimento dei danni. Sicchè in presenza di una condanna al ripristino in forma specifica non potrebbe aversi detta conversione. Tante che, come affermato con la sentenza n. 9851 del 19/01/2015 della quinta sezione, la conversione del sequestro conservativo in pignoramento, può aversi solo se la pronuncia di condanna abbia dichiarato l'esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, così da costituire titolo esecutivo; di talchè, nel caso di condanna generica, detta conversione si verifica solo in seguito ai passaggio in giudicato della sentenza del giudice civile, il quale sulla base della certezza del danno cagionato acquisita in sede penale, abbia proceduto alla sua liquidazione.

    2. E'fondato, invece, il terzo motivo di ricorso.

    2.1. La motivazione dell'ordinanza in ordine alla quantificazione del danno è meramente apparente, facendosi ricorso a clausole di stile e rinviandosi al calcolo effettuato dalla parte civile. Per di più, come hanno rilevato i ricorrenti, il Tribunale si è attestato, senza alcuna argomentazione, sui valori più alti, pur essendovi nella stessa richiesta della parte civile un'oscillazione notevole tra minimi e massimi.

    Sia pure con specifico riferimento ai reati tributari, è stato affermato che il Tribunale del riesame debba adeguatamente apprezzare il valore dei beni sequestrati in rapporto all'importo del credito che giustifica l'adozione del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente (art. 322 ter c.p.) al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva nei confronti del destinatario (Cass. pen. sez. 3^ n. 17465 del 22/3/2012).

    2.2. Quanto al "periculum in mora", il Tribunale, equivocando i rilievi difensivi, si è limitato ad ovvie considerazioni in tema di obbligazione solidale in capo agli imputati ed al responsabile civile.

    Pur dando atto che si era ritenuto di dover applicare il sequestro conservativo sui beni degli imputati nonostante che il patrimonio del responsabile civile, Sacal, fosse astrattamente in grado di soddisfare le pretese creditorie della parte civile (tanto che era stata rigettata la richiesta di sequestro preventivo nei confronti della medesima Sacal), non motiva minimamente sulla esistenza del periculum nei confronti degli imputati.

    Avrebbe, invero, dovuto spiegare le ragioni per cui, nonostante la piena disponibilità finanziaria del responsabile civile (società di considerevoli dimensioni, con versamento di un capitale sociale di Euro 10.600,00, come si afferma nell'ordinanza impositiva del vincolo) sussistesse, comunque, il pericolo di dispersione delle garanzie, per cui si rendeva necessario disporre il sequestro conservativo in relazione a beni appartenenti agli imputati.

    L'ordinanza impugnata va pertanto annullata sul punto, con rinvio al Tribunale di Vercelli.
   
    P.Q.M.

    Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Vercelli.

    Così deciso in Roma, il 24 settembre 2015.