Cass. Sez. III n. 35602 del 29 agosto 2016 (ud. 7 giu 2016)
Presidente: Fiale Estensore: Mocci Imputato: Arcuti.
Urbanistica.Attività di cava e conformità agli strumenti urbanistici

L'attività di apertura e coltivazione di cava, pur non essendo subordinata al potere di controllo comunale, deve comunque svolgersi nel rispetto della pianificazione del territorio, potendosi configurare, in caso contrario, la contravvenzione di cui all'art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva affermato la responsabilità dell'imputato per una attività di cava su una superficie superiore a quella autorizzata, tale da determinare un mutamento dell'assetto territoriale, con la conseguente modifica dello stato dei luoghi e della destinazione d'uso).

    RITENUTO IN FATTO

    1. In data 26 novembre 2014 il Tribunale di Lecce condannava A.S. e A.D. alla pena di Euro 10.329 di ammenda per ciascuno, riguardo al capo a), dichiarando invece estinto per prescrizione il reato di cui al capo b). Gli imputati erano accusati - in concorso fra loro ed in qualità di legale rappresentante dell'omonima ditta A.S. e di direttore dei lavori A.D. - del reato p. e p. dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), anche in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 23 e 29, per avere eseguito lavori di coltivazione di cava in area non autorizzata, in (OMISSIS), con permanenza. Il solo A.S. doveva altresì rispondere del reato di cui al D.L. n. 152 del 2006, art. 279 comma 1, reato, come detto, dichiarato prescritto.

    Il Tribunale osservava come l'autorizzazione rilasciata a A.S. dalla Regione Puglia facesse riferimento ad una superficie dettagliatamente definita, pari a circa 9,5 ettari, laddove, alla data dell'accertamento, tale attività risultava interessare ben 26 ettari. E siccome, ancora alla data dell'accertamento ed anche in seguito (almeno fino al 3 dicembre 2010, data del rilascio dell'autorizzazione per l'emissione in atmosfera) l'attività in parola era proseguita, senza che neppure fosse stata dedotta l'interruzione spontanea o coattiva, il reato di cui al capo a) non si sarebbe potuto reputare prescritto.

    2. Hanno proposto ricorso per cassazione i due imputati, affidandosi a tre motivi art. 606 c.p.p., lett. c); art. 606 c.p.p., lett. b); violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 23 e 29.
    
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Premesso che il giudice di primo grado avrebbe commesso un errore marchiano, dichiarando la prescrizione per il reato sub b) nei confronti di entrambi gli imputati, mentre il solo A.S. era chiamato a rispondere del suddetto reato, i ricorrenti deducono, in primo luogo, che il Tribunale, dopo essersi ritirato in camera di consiglio per deliberare sulla richiesta concorde del P.M. e della difesa ai fini della declaratoria di prescrizione (ex art. 129 c.p.p.), aveva deciso il processo nel merito anche con riguardo al reato sub a), senza neppure aprire il dibattimento. Affermano che il consenso all'utilizzazione degli atti d'indagine, concesso in via preliminare, era finalizzato solo al proscioglimento e non ad una pronunzia di merito.

    2. Gli A. denunciano, in secondo luogo, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), giacchè l'attività di cava non avrebbe potuto essere qualificata come attività urbanistica e pertanto avrebbe potuto interessare gli strumenti urbanistici solo sotto il profilo della tutela del paesaggio, mentre non sarebbe bastata la realizzazione di una cava (fra l'altro regolarmente autorizzata) a modificare la destinazione d'uso di un terreno da agricolo ad industriale.

    3. Da ultimo, i ricorrenti osservano che, essendo la cava stata autorizzata ai sensi della L.R. n. 37 del 1985, art. 8 prima della legislazione sulla valutazione d'impatto ambientale, al momento dell'accertamento non sarebbero stati tenuti alla suddetta valutazione: in ogni caso, essi avrebbero ottenuto dal Comune di Sciclì una V.I.A. "postuma" il 14 settembre 2010.

    4. Ad A.D. effettivamente non era mai stata ascritta la contravvenzione di cui al capo b) dell'imputazione.

    Per tale reato lo stesso, conseguentemente, non poteva essere prosciolto per prescrizione e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, non avendo A.D. commesso il fatto,

    4.1. I ricorsi, nel resto, devono essere rigettati, perchè infondati.

    4.2. Va doverosamente premesso che, come si evince dalla lettura della sentenza impugnata, gli imputati sono stati oggetto di una citazione diretta a giudizio, ex art. 550 c.p.p..

    In sede processuale ed in unica udienza, le parti concordavano l'acquisizione al fascicolo del dibattimento di tutti gli atti e documenti raccolti nel fascicolo del P.M., concludendo per la declaratoria di prescrizione, ed il giudice monocratico, ritiratosi in camera di consiglio, decideva condannando entrambi gli imputati per il reato sub a).

    Nella specie, essendosi le parti costituite - tanto da aver acconsentito all'acquisizione degli atti contenuti nel fascicolo del P.M. - ed avendo concluso concordemente per la declaratoria di prescrizione, non può parlarsi di sentenza predibattimentale emessa ai sensi dell'art. 469 c.p.p..

    Il problema riguarda il profilo del consenso all'acquisizione degli atti, se cioè esso possa essere condizionato (ai fin dell'applicazione dell'art. 129 c.p.p.) oppure no. La dottrina, che pure si è occupata dell'istituto previsto dall'art. 493 c.p.p., comma 3, è solita distinguere fra acquisizione concordata "aggiuntiva" rispetto alla prova orale e "sostitutiva" della stessa.

    Nel caso di specie, il motivo di ricorso sembra voler indagare non l'effetto del consenso, ma il suo momento genetico. Si tratta tuttavia di una speculazione ristretta al piano civilistico, laddove il consenso implica una libera formazione del medesimo, anche in ordine alle conseguenze che ne derivano.

    Per converso, in sede processuale penale, il consenso all'acquisizione degli atti ex art. 493 c.p.p., comma 3 non è assoggettabile a termini o condizioni e neppure a revoca, in quanto, una volta prestato, esso deve restare irretrattabile per la certezza dei rapporti giuridici e per l'ordinaria irrevocabilità degli atti di consenso in materia processuale. E, d'altronde, come dimostra la lettura del verbale dell'udienza 26 novembre 2014, le parti si accordarono in modo pieno e incondizionato all'utilizzo di quanto contenuto nel fascicolo del P.M. "ai fini della decisione", rendendo di fatto libero il Tribunale di assumere anche la decisione dell'intera causa.

    4.3. Quanto ai profili sostanziali, va rilevato che l'attività di cava ha interessato - come emerge dalla lettura della sentenza impugnata - una superficie di 16,50 ettari in più rispetto a quella autorizzata. Agli A. era stato contestato un rilevante mutamento dell'assetto territoriale, con la conseguente modifica dello stato dei luoghi e della destinazione d'uso. E, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "L'attività di apertura e coltivazione di cava, pur non essendo subordinata al potere di controllo edilizio comunale, deve comunque svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, potendosi configurare, in difetto, la contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a)" Sez. F., 26.8.2008, n. 39056, Iuliano, m. 241268.

    4.4. Agli effetti della commissione del reato, la mancanza della VIA non è rilevante, tanto è vero che il collegamento con il D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 23 e 29 è stato effettuato, nel capo d'imputazione, ad abundantiam.

    4.5. Al rigetto integrale del ricorso da lui proposto segue - per A.S. - la condanna al pagamento delle spese processuali.
    
    P.Q.M.

    Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A.D., in ordine al reato di cui al capo b) per non aver commesso il fatto. Rigetta nel resto il ricorso di A.D.. Rigetta il ricorso di A.S. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 7 giugno 2016.

    Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2016