Tribunale di Siena, Sent. n. 197 del 29 aprile 2024– est. Cerretelli
Ecodelitti.Delitto di omessa bonifica

Il delitto di omessa bonifica è un reato omissivo proprio atteso che ne può rispondere solamente quello specifico soggetto su cui ricade l'obbligo giuridico di effettuare la bonifica o il ripristino dell'area, obbligo che gli deriva dalla legge, da un provvedimento giurisdizionale o da un provvedimento amministrativo. Poiché l'ordine del giudice o della pubblica autorità non possono che conseguire a un preesistente obbligo di legge rimasto inottemperato, l’obbligo di bonifica sorge, anzitutto, nel momento in cui si creano i presupposti di fatto previsti dalla legge: nel caso previsto dall’art. 242 cit. il soggetto obbligato alla bonifica è il responsabile dell’inquinamento che, nel corso del procedimento amministrativo di bonifica previsto dall’art. 242 d. lgs. 152/2006 risulta aver prodotto un inquinamento del suolo in misura superiore alle concentrazioni soglia di rischio (CSR) per il sito specifico; ai sensi dell’art. 250 cit., invece, le figure apicali deputate alla materia ambientale di Comune e Regione sono obbligate a provvedere alla bonifica se non è individuabile il responsabile dell’inquinamento ovvero se il responsabile dell’inquinamento e il proprietario del terreno inquinato non provvedono alla bonifica.

 ALTRE MASSIME

- Delitto di omessa bonifica – Fonti dell’obbligo di bonifica
Non rappresentano fonti in grado di determinare l’obbligo di provvedere alla bonifica il contratto, gli atti di autonomia privata in genere ovvero l’accordo fra privato e Pubblica Amministrazione: diversamente opinando, infatti, si addiverrebbe ad un esito incostituzionale, in quanto verrebbe violato il principio di riserva di legge, essendo rimessa alle parti la determinazione del fatto tipico, ivi compreso l’oggetto dell’obbligazione che potrebbe essere ben diverso dalla “bonifica” così come prevista e disciplinata dal Testo Unico Ambiente all’art. 240 lett. p) così come diversi potrebbero essere i presupposti fattuali in grado di far sorgere l’obbligo.
In ragione dell’esclusione della possibilità che fonte dell’obbligo sia un negozio giuridico tra privati si deve anche escludere che una sentenza civile possa costituire presupposto dell’illecito penale di cui si discute anche perché “le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni in materia di danno all'ambiente” rientrano tra quelle di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – si veda l’art. 133 lett. s) d. lgs. 104/2010. Conseguentemente, i soli provvedimenti giurisdizionali in grado di rappresentare il presupposto del delitto di cui all’art. 452 terdecies c.p. sono le sentenze amministrative.

 

Contravvenzione di omessa bonifica - Delitto di omessa bonifica – Inquinamento ambientale – Rapporti tra norme
I reati di cui agli artt. 257 d. lgs. 152/2006, 452 terdecies e 452 bis c.p. tutelano in ordine crescente l’ambiente e le matrici ambientali.
L’art. 257 d. lgs. 152/2006 punisce allo stesso modo, da un lato, chi omette di comunicare di aver potenzialmente contaminato un sito (omissione, che all’evidenza, assume i connotati del reato di pericolo) e, dall’altro, chi si è correttamente adoperato per redigere finanche il progetto di bonifica ma lo esegue in maniera difforme, per dolo o per colpa; l’art. 452 terdecies c.p., invece, punisce molto più gravemente chi essendo consapevole di essere obbligato per legge alla bonifica – perché è venuto a conoscenza nell’ambito del procedimento di cui all’art. 242 che sono state superate le CSR e sa di essere il responsabile dell’inquinamento o sa che il responsabile non eseguirà la bonifica – non vi provvede in alcun modo. La massima risposta sanzionatoria si ha, però, con l’art. 452 bis c.p. quando non necessariamente l’inquinamento ha superato le CSR ma ha interessato porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo ovvero quando, ad essere deteriorato o compromesso è un ecosistema o la biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna di una data area.

 

Delitto omessa bonifica – Delitto inquinamento ambientale - Standard probatorio - Differenze
In tema di omessa bonifica, il giudice penale è chiamato a verificare che il soggetto obbligato alla bonifica in seno al procedimento amministrativo sia effettivamente il soggetto responsabile dell’inquinamento e sotto questo profilo è chiamato a valutare non se l’Imputato sia responsabile dell’inquinamento al di là di ogni ragionevole dubbio – standard probatorio richiesto, invece, per individuare il responsabile del delitto di inquinamento ambientale –  bensì, al pari del giudice amministrativo, se sia più probabile che l’Imputato sia responsabile dell’inquinamento rispetto alla possibilità che non lo sia: questo è, infatti, lo standard probatorio sufficiente affinché nasca l’obbligo ex lege di provvedere alla bonifica.

 

Repubblica Italiana
In nome del Popolo Italiano
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA
Sezione Penale 
in composizione monocratica

in persona del Giudice, Dott. Francesco Cerretelli,
all’esito della pubblica udienza del giorno 29 aprile 2024 ha pronunciato la presente
S E N T E N Z A
nella causa penale di primo grado
nei confronti di
M. P. nato a E. il _____, con domicilio dichiarato a S. (SI) loc., difeso di fiducia dagli Avv.ti Enrico De Martino e Beniamino Valerio Schiavone del Foro di Siena (dichiarazione di domicilio all’udienza del 29.4.2024; nomina dell’Avv. De Martino depositata in Procura il 27.1.2020 e nomina dell’Avv. Schiavone avvenuta all’udienza del 9.9.2022)
                                                libero-presente
I M P U T A T O

A) Per il reato di cui all’art. 452 bis e 40, comma 2, 452 bis c.p., perché, in veste di Presidente e rappresentante legale dell’ “Associazione tiro dinamico senese” che svolgeva attività di gestione di un Poligono di tiro nel periodo dal 5.10.2003 fino al 06.2012, presso i terreni agricoli siti in Murlo, censiti al catasto terreni al foglio n. 64 part. 24 e 26 – attività peraltro esercitata in assenza dell’autorizzazione dell’autorità di P.S. ex art. 57 tulps – e, dunque, nella qualità di obbligato, ai sensi dell’art. 192 D.Lgs. 152/2006 alla rimozione dei rifiuti generati dalla predetta attività di tiro dinamico (bossoli e ogive e frammenti degli stessi) e ai sensi dell’art. 242 d. lgs. 152/2006, quale “responsabile dell’inquinamento”, a provvedere alla bonifica dei terreni interessati dalla contaminazione per la presenza di piombo e altre sostanze inquinanti, progressivamente rilasciate dai predetti materiali,
depositando o comunque non impedendo che, nel corso dell’attività del Poligono, venissero depositati in modo incontrollato i proiettili esplosi (bossoli, ogive e parti di esse) nello svolgimento dell’attività di tiro;

nel luglio 2016, depositando o facendo depositare in modo incontrollato (e comunque per un tempo superiore ai limiti del deposito temporaneo autorizzato), a seguito di un’attività di bonifica superficiale, cumuli di terreno di scotico, frammisto a bossoli, ogive e frammenti di questi, per un volume totale di circa 100 mc (cumuli di lunghezza media 25 metri e un’altezza di 0,5 mc) (CER 170504), con rilevate soglie di concentrazione di piombo superiore ai limiti consentiti;

e comunque omettendo di effettuare adeguati interventi di rimozione dei predetti rifiuti (bossoli, ogive e frammenti degli stessi), sorgenti dell’inquinamento nonché di bonifica del sito inquinato, o comunque ponendo in essere interventi parziali ed inadeguati,

abusivamente, ovvero in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 192 D. Lgs. 152/2006 (che impone al responsabile la rimozione dei rifiuti oggetto di abbandono o deposito incontrollato); artt. 240 ss. D. lgs. 152/2006, per violazione delle prescrizioni, indicazioni e termini fissati dall’Autorità amministrativa nell’ambito del procedimento di bonifica avviato in data 15.10.2015; in violazione della pronuncia del Tribunale di Siena – Giudice unico civile (nel proc. civ. n. 3290/2014 R.G., ricorrente D.  ex art. 702 c.p.c.) che lo aveva condannato alla immediata esecuzione di opere di bonifica e al ripristino del terreno interessato entro il settembre 2016; in violazione dell’Ordinanza del Comune di Murlo che gli imponeva la rimozione, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti ai sensi dell’art. 192, comma 3, D. lgs. 152/2006 (vedi capo C dell’imputazione);

cagionava o comunque non impediva, il verificarsi e poi l’aggravarsi progressivo della compromissione o del deterioramento, significativi e misurabili, di vaste porzioni dei terreni sopra indicati, dovute al progressivo rilascio, da parte dei resti delle munizioni lasciate nel terreno, di piombo ed altre sostanze inquinanti.

Con l’aggravante di cui all’art. 452 bis comma 2 c.p. essendo stato l’inquinamento prodotto in area protetta.
In Murlo, ad oggi permanente (ultimo accertamento fino al 27.2.2024) 

B) per il reato di cui all’art. 256 comma 2 con riferimento all’art. 256 comma 1, lett. a), perché nella qualità di legale rappresentante dell’“Associazione tiro dinamico senese” che svolgeva attività di gestione di un poligono di tiro nel periodo dal 5.10.2003 fino al 06.2012, presso i terreni agricoli siti in Murlo, censiti al catasto terreni al foglio n. 64 part. 24 e 26, 
faceva sì o comunque non impediva che, nel corso dell’attività del Poligono venissero depositati in modo incontrollato ogive, bossoli e frammenti di questi e, successivamente, alla chiusura del Poligono e segnatamente nel luglio 2016, dopo aver fatto svolgere attività di scotico del terreno per la parziale rimozione delle munizioni esplose, depositava o faceva depositare in modo incontrollato (e comunque per un tempo superiore ai limiti del deposito temporaneo autorizzato), cumuli di terreno di scotico, frammisto a bossoli, ogive e frammenti di questi, per un volume totale di circa 100 mc (cumuli di lunghezza media 25 metri e un’altezza di 0,5 mc) (CER 170504), con rilevate soglie di concentrazione di piombo superiore ai limiti consentiti. 
In Murlo, dalle date sopra indicate, ad oggi permanente (ultimo accertamento fino al 27.2.2024)

C) per il reato di cui all’art. 368 c.p., perché, con denuncia-querela presentata alla Procura di Siena, con memorie del 15.12.2017 e 25.09.2018 nonché nel verbale di interrogatorio reso innanzi al PM in data 03.01.2018, eccedendo i limiti del diritto di difesa, falsamente incolpava il soggetto, che aveva chiesto l’autorizzazione per l’apposizione di un’altana da caccia presso i terreni agricoli siti in Murlo, censiti al catasto terreni al foglio n. 64 part. 24 e 26 (agevolmente individuabile in D.  G.), di aver turbato le operazioni di bonifica da lui svolte sul predetto terreno, sede di un Poligono di tiro, e di aver cagionato l’inquinamento del predetto terreno, per la presenza di piombo.
Denuncia presentata pur nella consapevolezza della innocenza dell’incolpato, essendo ben conscio (anche alla luce dei numerosi incarichi ricoperti come “perito balistico”) che la contaminazione del terreno era dovuta al rilascio progressivo di sostanze inquinanti da parte di bossoli e ogive relative all’attività di Poligono di tiro, gestita nel periodo dal 5.10.2003 fino al 06.2012 dall’“Associazione tiro dinamico senese”, di cui era Presidente e legale rappresentante e alla mancata effettuazione a sua cura di interventi di bonifica e di rimozione della sorgente dell’inquinamento.
In Siena, nelle date del 18.11.2016; 15.12.2017; 03.01. 2018

D) per il reato di cui all’art. 255, comma 3, D.Lgs. 152/2006, perché non ottemperava all’ordinanza n. 3/2019, emessa dal Sindaco di Murlo in data 27.2.2019 ai sensi dell’art. 192 D. Lgs. 152/2006, con la quale, in ragion del suo ruolo di Presidente e rappresentante legale dell’“Associazione tiro dinamico senese” che svolgeva attività di gestione di un Poligono di tiro nel periodo dal 5.10.2003 fino al 06.2012, presso i terreni agricoli siti in Murlo, censiti al catasto terreni al foglio n. 64 part. 24 e 26 e dunque di responsabile della contaminazione dei predetti terreni, gli venisse intimato di provvedere entro 60 giorni alla rimozione dei rifiuti ancora presenti nell’area, costituiti da cumuli di terreno frammisto a frammenti di bossoli e ogive, nonché eventuali ulteriori bossoli, ogive e frammenti degli stessi, costituenti la sorgente primaria della contaminazione, ancora presenti sui bonetti laterali e più in generale sulla superficie del sito in oggetto e di comunicare al Comune l’avvenuta esecuzione di quanto ordinato al fine di consentire l’effettuazione delle opportune verifiche da parte di componenti di organi di controllo.
In Murlo (SI), fino al 27.2.2024

Tempus commissi delicti dei capi di imputazione A), B) e D) modificato da ultimo all’udienza del 4.3.2024

Parti civili: 
D.  G., nato il _____ a S., con l’Avv. Massimo Megli del Foro di Firenze;
COMUNE DI MURLO, in persona del Sindaco pro-tempore, con l’Avv. Leandro Parodi del Foro di Siena.

Conclusioni:
Il PM chiede, previo riconoscimento della continuazione fra i reati contestati, individuato come più grave quello di cui al capo A) e applicata la diminuzione per il rito, la condanna dell’Imputato alla pena di anni due di reclusione;
la Difesa di Parte civile D.  come da conclusioni scritte;
la Difesa di Parte civile COMUNE DI MURLO come da conclusioni scritte;
La DIFESA dell’Imputato chiede l’assoluzione con la formula che sarà ritenuta di giustizia.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto che dispone il giudizio emesso il 22.6.2021 M. P. veniva tratto davanti a questo Tribunale per rispondere dei reati di cui al capo di imputazione all’udienza del 20.9.2021.
Nel corso della prima udienza, vista l’assenza del Giudice naturale, il processo veniva rinviato.
All’udienza del 4.10.2021 il Giudice ordinava il rinnovo della notifica del decreto che dispone il giudizio dal momento che, per mero errore materiale, il Giudice per l’udienza preliminare aveva pretermesso alcuni capi di imputazione contenuti nella richiesta di rinvio a giudizio.
All’udienza del 12.11.2021 il Giudice dichiarava di poter procedere in assenza dell’Imputato, dichiarava aperto il dibattimento e le parti formulavano le rispettive richieste di prova. Il Pubblico Ministero produceva, altresì, documentazione corredata da indice. Viste le eccezioni della Difesa dell’Imputato a proposito dell’ammissione dei testimoni nn. 12 e 13 della lista del Pubblico Ministero e la richiesta di esclusione dell’esame del consulente tecnico del Pubblico Ministero (poiché avente ad oggetto accertamenti tecnici irripetibili svolti in assenza delle garanzie di cui all’art. 360 c.p.p.), le altre parti chiedevano il rinvio del processo per replicare. 
All’udienza del 10.12.2021, celebrata alla presenza dell’Imputato, il Pubblico Ministero modificava i capi di imputazioni di cui alle lettere A) e B) con riferimento al tempus commissi delicti sostituendo le parole “novembre 2019” con “8.10.2021”. La Difesa chiedeva un termine a difesa e il Giudice rinviava il processo.
All’udienza del 17.1.2022 il Giudice, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 12.11.2021, ammetteva tutte le richieste di prova delle parti subordinando l’ammissione dei testimoni AUGUSTI e PINZI e della consulente MARRUNCHEDDU alla verifica della ripetibilità degli accertamenti svolti.
All’udienza del 7.3.2022, visto il decreto di variazione tabellare il processo proseguiva davanti a questo diverso Giudice. In quella data venivano sentiti i testimoni RIFORGIATO Antonina, LOI Antonio e MORRICCIANI Piero. Il Pubblico Ministero e la Parte civile COMUNE DI MURLO producevano documenti come da verbale: tutta la documentazione veniva acquisita.
All’udienza del 13.5.2022 venivano escussi i testimoni PACCIANI Massimo, D.  Vanni e D.  G.. Il Difensore della Parte civile D.  e il Difensore dell’Imputato producevano foto a colori che venivano acquisite.
All’udienza del 13.6.2022 venivano escussi i testimoni BABEANU Narcis Nicolae, RAPACCINI Simone, CIARPI Mari, TIRINNANZI Alessandro e RUGI Paolo. Pubblico Ministero e Difensore di Parte civile D.  producevano documenti e foto come da verbale.
All’udienza del 27.6.2022 il Difensore dell’Imputato dichiarava di aderire all’astensione indetta dall’Unione delle Camere Penali.
All’udienza del 18.7.2022 venivano acquisite e date per lette le sit rese da DOMINICI Giordano il 4.10.2018 al NOE di Grosseto. Quindi, venivano escussi i testimoni RAMELLI Antonio, PECCATORI Alberto, AUGUSTI Kety e le parti producevano documentazione come da verbale. A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 17.1.2022 il Giudice ammetteva le testimonianze di AUGUSTI e PINZI anche sulle analisi effettuate in quanto le operazioni venivano compiute in ossequio alle disposizioni previste dall’art. 223 disp. att. c.p.p.
All’udienza del 9.9.2022 l’Imputato nominava come ulteriore Difensore l’Avv. Beniamino Valerio Schiavone e venivano sentiti i testimoni PINZI Cinzia e SIGNORELLI Marco. Il Pubblico Ministero rinunciava al testimone CASTELLANI Federico e, ottenuto il consenso delle altre parti, il Giudice revocava l’ordinanza ammissiva. Il Pubblico Ministero produceva inoltre documentazione come da verbale.
All’udienza del 21.11.2022 la Difesa dell’Imputato formulava una serie di eccezioni con riferimento ad alcune ispezioni e il Pubblico Ministero chiedeva il rinvio del processo per replicare alle eccezioni.
All’udienza del 14.4.2023 non poteva essere svolta alcuna attività processuale in ragione del legittimo impedimento dell’Imputato.
All’udienza del 12.5.2023 il Pubblico Ministero produceva memoria ex art. 121 c.p.p. di replica alle eccezioni formulate alla precedente udienza e il Giudice provvedeva come da separata ordinanza allegata al verbale d’udienza. Dopodiché la Difesa dell’Imputato chiedeva la revoca dell’ammissione del consulente tecnico del Pubblico Ministero, CALDORA Gustavo. Anche in questo caso il Giudice provvedeva come da separata ordinanza. Quindi, si procedeva sia all’esame del consulente CALDORA che all’escussione del testimone MANDATORI Sergio. Il Pubblico Ministero produceva documentazione corredata da indice nonché la documentazione inerente all’attività integrativa di indagine ex art. 430 c.p.p. Con riguardo a tale documentazione la Difesa dell’Imputato formulava eccezione di nullità. Il Giudice si riservava.
All’udienza del 9.6.2023 il Giudice scioglieva la riserva provvedendo come da ordinanza allegata al verbale d’udienza. Venivano, quindi, sentiti i testimoni MARINO Silvio e BETTINI Vanessa e venivano esaminati il consulente tecnico del Pubblico Ministero, MARRUNCHEDDU Gaia e il consulente tecnico della Parte civile UGOLINI Paolo. Venivano, quindi, acquisite le sommarie informazioni rese da MARTINELLI Alessandro il 24.10.2018 e il 7.11.2018 e la Parte civile D.  produceva documentazione come da verbale. Infine, tutte le parti rinunciavano all’esame dell’Imputato e il Pubblico Ministero si riservava di produrre il verbale di interrogatorio.
All’udienza del 17.7.2023 venivano sentiti i testimoni CENTOBUCHI Umberto, RICCI Davide, PASQUINUCCI Silvia, CENCIONI Laura, BUCCIARELLI Massimo e FABIANI Giancarlo. La Difesa dell’Imputato produceva documentazione come da verbale.
All’udienza del 13.10.2023, a causa di un impedimento del Giudice, non poteva essere celebrato il processo.
All’udienza del 10.11.2023 veniva sentito il testimone LAVIANO Marcello e venivano esaminati i consulenti tecnici della Difesa dell’Imputato, MELINI Davide e LOTTI Jacopo. La Parte civile D.  produceva documentazione come da verbale. Quindi, il Giudice indicava di voler sentire a chiarimenti la consulente MARRUNCHEDDU.
All’udienza dell’8.1.2024 veniva sentita a chiarimenti la CTP MARRUNCHEDDU.
All’udienza del 4.3.2024 la Difesa dell’Imputato rinunciava a tutti i testimoni residui indicati nella propria lista: dopo aver preso atto del consenso di tutte le parti, il Giudice revocava l’ordinanza ammissiva. Quindi, il Pubblico Ministero produceva il verbale di interrogatorio reso dall’Imputato il 3.1.2018 e modificava i capi di imputazioni di cui alle lettere A), B) e D) con riferimento al tempus commissi delicti da intendersi commessi “fino al 27.2.2024”. Al delitto di cui al capo A) veniva inoltre contestata l’aggravante di cui all’art. 452 bis comma 2 c.p. “essendo stato l’inquinamento prodotto in area protetta”. Il Pubblico Ministero si riservava la produzione dell’attività integrativa di indagine e chiedeva l’audizione ex art. 507 c.p.p. di MANDATORI Sergio e MARINO Silvio: il Giudice rigettava la richiesta. La Difesa chiedeva il termine a difesa di cui all’art. 519 c.p.p. e il processo veniva rinviato.
All’udienza del 29.4.2024 l’Imputato personalmente chiedeva di poter definire il procedimento con il rito abbreviato condizionato all’acquisizione di tutto il materiale probatorio assunto nel corso del dibattimento precedentemente alla modifica dei capi di imputazione operata il 4.3.2024 nonché all’acquisizione della relazione del progetto di bonifica dell’8.3.2024. Il Giudice ammetteva la richiesta. Seguivano le spontanee dichiarazioni dell’Imputato.
Infine, il Giudice invitava le parti alla discussione invitandole a discutere anche in ordine alla diversa definizione giuridica del reato contestato al capo A) nel delitto di omessa bonifica di cui all’art. 452 terdecies c.p. Esaurita la discussione, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, dava lettura del dispositivo in calce.
(127 Giorni di sospensione della prescrizione di cui: 38 giorni per primo termine a Difesa ex art. 519 c.p.p.; 21 giorni per adesione all’astensione indetta dall’Unione delle Camere Penali; 28 giorni per legittimo impedimento dell’Imputato; 40 giorni per il secondo termine a difesa ex art. 519 c.p.p.)

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI  
DI FATTO E DI DIRITTO SU CUI È FONDATA LA DECISIONE 
 
1. All’esito dell’istruttoria dibattimentale e della lettura degli atti del fascicolo del Pubblico Ministero risultata provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di M. P. in ordine al fatto a lui ascritto al capo A) – riqualificato nel delitto di omessa bonifica di cui all’art. 452 terdecies c.p. – nonché in ordine alla contravvenzione a lui ascritta al capo D). Viceversa, deve essere mandato assolto dal reato contestato al capo C) perché il fatto non sussiste e deve dichiararsi sentenza di non doversi procedere con riferimento al capo B) per estinzione del reato dovuta all’intervenuta prescrizione.

LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI

a) Il rapporto di locazione fra D.  G. e M. P. 

2. Il presente processo ha avuto ad oggetto la vicenda legata all’omessa bonifica dei terreni agricoli siti nel Comune di Murlo, censiti al catasto terreni al foglio n. 64 part. 24 e 26 in loc. Campolungo, inquinati col piombo dall’Imputato nel periodo intercorrente fra il 5.10.2003 e il giugno 2012 quando, in veste di Presidente e rappresentante legale dell’“Associazione tiro dinamico senese”, su quei terreni svolgeva attività di gestione di un Poligono di tiro.
Tali terreni, di proprietà di D.  G., erano stati, infatti, dati in locazione all’ “Associazione tiro dinamico senese” con i contratti del 1.8.2003 e del 2.8.2009 (docc. 1 e 2 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021). Oltre a venir pattuito un modesto canone annuale – prima di 600,00 e poi di 1.000,00 Euro – in entrambi i contratti, al punto 12), le parti stabilivano che “(…) in caso di sopravvenuta impossibilità a svolgere l’attività dell’associazione, il presente contratto dovrà ritenersi immediatamente risolto senza necessità di comunicazione alcuna, salvo l’obbligo del conduttore alla bonifica nonché all’eventuale riconduzione in pristino del terreno, alla sua riconsegna ed al pagamento dovuto”.
3. Nonostante il secondo contratto prevedesse come termine finale il 30.7.2015, l’attività del poligono di tiro cessava prima, in data 1.10.2012. 
In data 8.6.2012 M. rilasciava una dichiarazione al D.  con cui si impegnava a riconsegnare il terreno condotto in locazione entro il 31.12.2012 alle condizioni stabilite nel contratto, provvedendo, in particolare: “1) a ripristinare lo stato del terreno  prima dell’attività svolta dall’associazione; 2) ad eliminare tutte le strutture presenti nell’area; 3) a bonificare il terreno, con particolare riferimento alla presenza di piombo; 4) a riconsegnare il terreno in condizioni tali da essere immediatamente ri-destinato all’attività agricola” (circostanza che si legge nel ricorso ex art. 702 bis c.p.p. avanzato da D.  depositato il 16.10.2014 al Tribunale di Siena e che risulta incontestata da M. quale resistente).

b) Gli interventi di ripristino effettuati prima dell’avvio del procedimento ex art. 242 d. lgs. 152/2006 

4. Per adempiere a tale obbligazione con “scrittura privata” del 20.6.2012 (doc. 28 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) M. commissionava alla ditta “Leonar” di FODOR Ionela Ramona la pulizia dei terreni che sarebbe stata avviata il 20.9.2012 in cambio del trattenimento del piombo raccolto. BABEANU Narcis Nicolae, amministratore di fatto della Leonar, testimoniava che l’attività di pulizia e raccolta aveva riguardato le “ogive sparate”: “noi facevamo questo lavoro a costo zero, il materiale che recuperiamo lo smaltiamo e da lì ricaviamo il guadagno nostro”.
Dal formulario di identificazione rifiuti del 10.10.2012 con destinatario CENTROFER Srl di Roma si apprende che venivano raccolti dalla Leonar e trasportati 600 kg di piombo.
5. Con SCIA prot. 7383 del 21.12.2012 (doc. 30 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021), MARTINELLI Alessandro, direttore dei lavori incaricato da M. comunicava il livellamento superficiale del terreno, la demolizione delle platee in cemento armato. Quanto ai bonetti con “dichiarazione sulla gestione di terre e rocce di scavo nell’ambito delle disposizioni di cui all’art. 185 comma 1, lett. c bis del D. lgs. 152/2006” M.  affermava la sua intenzione di spianarli in quanto non contaminati, essendo il mero risultato di cumuli di terreno provenienti dal medesimo sito: in particolare, dichiarava la “non contaminazione del suolo e di altro materiale allo stato naturale scavato” e che “l’attività svolta non ha comportato alterazioni alla struttura del terreno o contaminazioni, in quanto non è un sito soggetto a esplosioni di ordigni esplodenti e le ogive accumulate in prossimità delle sagome di tiro sono state rimosse da ditta specializzata”. 
Alla pratica veniva allegata un’analisi dei terreni effettuata su un campione prelevato il 6.12.2012 che risultava non contaminato.
6. M. riteneva, però, che lo stato dei luoghi non fosse ancora ripristinato e contattava per questo motivo CIARPI Mario, facente parte del consorzio di autotrasportatori del movimento terra CARS Siena, per spianare un po' di terra e levare una piattaforma in cemento. Giudicando troppo elevato il preventivo di 11.000,00 Euro presentato da CIARPI si rivolgeva a RAMELLI Antonio, titolare della Ramelli Scavi Srl a cui affidava il lavoro nel dicembre 2012. Tuttavia, la prestazione d’opera si interrompeva subito perché RAMELLI – come spiegava in udienza – si avvedeva del fatto che il terreno era pieno di bossoli. A sommarie informazioni rese il 18.10.2018 RAMELLI riferiva – e in udienza confermava – che: “le montagnette di terreno che delimitavano le linee di tiro erano piene di bossoli (…) pertanto mi fermavo e contattavo telefonicamente P., lo informavo che il lavoro come mi era stato richiesto non si poteva fare, perché questa roba non poteva essere né sotterrata né portata via”. Tuttavia, “P. mi disse telefonicamente che la bonifica era stata fatta e di continuare a pulire sopra per vedere cosa c’era”. A quel punto sopraggiungeva D.  Vanni, padre di G., che estremamente arrabbiato riusciva ad interrompere i lavori.
7. D.  G. scriveva, allora, al Comune di Murlo in data 28.12.2012 rappresentando di non essere stato messo a conoscenza da parte di M. dei lavori in corso di svolgimento (doc. 33 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) e, pertanto, il 31.12.2012 il Comune di Murlo ordinava la sospensione della SCIA avente prot. 7383/2012. 
In data 4.1.2013, a firma del responsabile MORRICCIANI Piero, veniva ordinata la cessazione dei lavori (docc. 34, 35 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021).
8. Nonostante tale ordine e in considerazione della vistosa presenza di rifiuti ancora presenti nei terreni dove si era svolta l’attività del poligono, BABEANU veniva nuovamente contattato da M. nel luglio 2023 per fare un’altra raccolta di piombo. A sommarie informazioni riferiva: “ricordo che M. insisteva parecchio perché tornassi a fare quel lavoro perché diceva che c’era ancora il piombo. Gli spiegavo che se voleva togliere completamente il piombo dal poligono bisognava intervenire con le ruspe e il vaglio quello grande che avrebbe assicurato una completa pulizia”.
Tuttavia, M. non era d’accordo con questa operazione “perché aveva un costo”. Infatti, “questo lavoro, se va tutto bene nel senso che i terreni non sono contaminati e possono essere rimessi sul posto, costerebbe non meno di 50.000,00 Euro” diceva a sommarie informazioni sempre BABEANU.
Pertanto, BABEANU effettuava una nuova pulizia e dal formulario di identificazione dei rifiuti 0034072 con destinatario CENTROFER Srl di Roma si apprende che venivano raccolti dalla Leonar e trasportati 630 kg di piombo in data 17.7.2013.
In generale, la pulizia riguardava i bonetti del poligono, “i parapalle”, dal momento che era là che le ogive venivano sparate.
9. Fatta questa nuova pulizia, M. presentava il 26.9.2013 anche una nuova SCIA, prot. 0121/2013, sostanzialmente identica alla precedente. I lavori venivano ripresi sempre dalla RAMELLI Scavi Srl ma venivano interrotti da MARTINELLI il 3.12.2013 dal momento che vi era il timore che, spianando i bonetti, si potesse allargare l’area eventualmente inquinata.
In proposito MARTINELLI ha riferito in sede di sommarie informazioni del 24.10.2018 che RAMELLI “si limitava a grattare via le terre e spostarle poco più avanti. Per questo motivo ho fermato nuovamente i suoi lavori perché temevo che così facendo potesse allargare l’area eventualmente contaminata e gli intimavo di portare via i terreni che movimentava”.
Nel frattempo, il Comune di Murlo richiedeva parere ad ARPAT (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) a proposito della SCIA presentata da M.: l’Agenzia, in ragione del fatto che l’area in esame era stata utilizzata fino al 1.10.2012 “per un’attività potenzialmente in grado di causare un inquinamento a carico delle matrici ambientali, in particolare del suolo” e che l’area risulta essere classificata urbanisticamente come zona 4F (zona del riso) invitava il Comune a richiedere un piano di indagini ai sensi dell’art. 9 L.r. n. 25/98 (legge regionale per la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati) “per attestare il rispetto dei livelli di concentrazione soglia di contaminazione per la specifica destinazione d’uso” (doc. 39 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021). 
Di conseguenza veniva ordinata, ancora una volta, la sospensione dei lavori il 6.2.2014 (doc. 40 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021).
10. Nel luglio 2014 CASTELLANI Federico e SIGNORELLI Marco, geologi incaricati da M., predisponevano il piano di indagini preliminare richiesto precisando che prima di provvedere allo stendimento finale del terreno sarebbero stati analizzati dodici campioni di terreno prelevati dai terrapieni o bonetti (doc. 42 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021). La Grossetana Scavi S.r.l.  asportava 300 mc di terreno del poligono e i primi 20 cm di ogni bonetto: in generale i terreni “di primo impatto” dei proiettili.
11. In data 31.10.2014 veniva eseguito il campionamento dai bonetti all’esito di un sopralluogo a cui partecipava anche ARPAT. Si legge dal Piano di Indagini (doc. 51 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) redatto da CASTELLANI e SIGNORELLI del gennaio 2015 (l’indicazione dell’anno 2014 è, all’evidenza, un refuso) che al sopralluogo partecipavano: le dott.sse AUGUSTI Kety e PINZI Cinzia, tecnici di ARPAT; il chimico RAPACCINI Simone; il geom. MARTINELLI; D.  G.. Si legge ancora: “nella parte iniziale della linea di tiro di 300 metri, erano ancora rilevabili in superficie bossoli metallici che costituivano il residuo della postazione di sparo; in altre linee di tiro, nelle parti marginali di due terrapieni di arrivo dei colpi sparati, erano visivamente presenti alcune ogive costituenti le pallottole sparate verso i bersagli”. 
CASTELLANI e SIGNORELLI davano poi conto di come “in accordo con i tecnici di ARPAT” fosse stato eseguito il prelievo, tramite quartatura, di dodici campioni di terreno con le modalità indicate nel Piano di Indagini Preliminare e che le analisi, effettuate presso il laboratorio ISVEA Srl di Poggibonsi , permettevano di evidenziare che “in alcuni campioni il livello di Piombo è, invece, risultato superiore al limite previsto per le zone agricole, ma ad eccezione del campione 3L (riportante un valore di 6960 mg/Kg di piombo) comunque ricadenti sempre entro la colonna B della Tabella 1 – Allegato 5 – parte IV del D. lgs. 152/2006”. Poiché i valori di piombo più alti venivano rilevati nelle parti laterali dei terrapieni i tecnici di M. ipotizzavano che “nelle linee di tiro in oggetto venivano sparati colpi con armi a cartucce caricate a “pallini da caccia” che, facendo la caratteristica “rosa” sono andate a depositarsi anche sulle parti dei bonetti posti nelle immediate vicinanze dei terrapieni su cui erano invece posti i bersagli”. CASTELLANI e SIGNORELLI suggerivano, pertanto, una nuova attività di pulitura e raccolta manuale dei bossoli, un’ulteriore asportazione dei bonetti e altri campionamenti.

c) Il procedimento sommario di cognizione e l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. resa dal Tribunale di Siena

12. Nel frattempo, nel corso dell’anno 2014, D.  G. presentava ricorso ex art. 702 bis c.p.c. al Tribunale di Siena chiedendo la condanna di M. P. all’esecuzione delle opere di “bonifica” del fondo concesso in locazione, al conseguente rilascio e al pagamento della penale prevista dal contratto di locazione. Il Tribunale di Siena accoglieva tutte le domande  avanzate in ragione delle previsioni contrattuali riportate al paragrafo 2 di questa sentenza e, pertanto, condannava M. P.: “all’immediata esecuzione delle opere necessarie alla bonifica ed al ripristino del terreno secondo le modalità individuate nei docc. 10 e 17 fasc. ricorrente entro la fine del prossimo mese di settembre, con conseguente immediata rilascio dopo tale data del terreno sito in Murlo, Loc. Campilunghi identificato al N.C.E.U al Foglio 64, particelle n. 24 e 36”; “al pagamento della penale giornaliera indicata nell’art. 2 del contratto, pari ad Euro 100,00 per ogni giorno di ritardo a partire dal 1.10.2016”.
Per comprendere pienamente la portata del dispositivo dell’ordinanza – mai impugnata – occorre precisare che i docc. 10 e 17 allegati da D. , prevedevano l’obbligo unilaterale di M. di effettuare le seguenti opere:
- rimozione della “montagnola” dietro i bersagli;
- individuazione dei punti in cui si trovano i proiettili, con conseguente rimozione del piombo e “sbucciatura” terreno e, nel caso fosse necessario, rimozione di tutta la terra potenzialmente contaminata ed allo smaltimento della stessa secondo la normativa vigente;
- previa verifica di quanto ai punti precedenti mediante analisi dei terreni, spianamento dei “bonetti” (ripuliti dal piombo) e ripristino del campo come in origine idoneo all’attività agricola.

d) L’avvio del procedimento di bonifica 

13. Visto l’esito delle analisi, in data 6.2.2015 M. comunicava ai sensi del comma 1 dell’art. 242 d. lgs. 152/2006 di essere responsabile dell’inquinamento dei terreni dell’ex poligono di tiro e che l’area era potenzialmente contaminata (doc. 53 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021). Nella parte intitolata “breve descrizione di quanto accaduto” M. scriveva: “il sito in questione è stato sede per circa dieci anni di poligono di tiro sportivo. Il sito presenta delle linee di tiro delimitate da terrapieni laterali e terrapieni di arrivo dei proiettili. Negli anni si sono depositati residui di tale attività sportiva. Le analisi preliminari effettuate in presenza di tecnici ARPAT e ancora in corso hanno evidenziato il superamento di alcuni campioni dei limiti imposti dalla colonna A (relativa a terreni agricoli) della Tabella 1 – Allegato 5 – parte IV del D. lgs. 152/2006”.
14. In data 27.2.2015 ARPAT comunicava al Comune di Murlo il proprio parere positivo in ordine 
al Piano di Indagini presentato dai tecnici di M..
In data 15.10.2015 la Provincia di Siena comunicava l’avvio del procedimento finalizzato all’emissione dell’ordinanza per la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale ai sensi dell’art. 244 del D. Lgs. 152/2006 a carico di M. P. (doc. 60 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021).
15. Sempre nell’ottobre 2015 CASTELLANI e SIGNORELLI presentavano la Relazione finale sul Piano di Indagini (doc. 61 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) concludendo che all’esito dell’attuazione del piano di indagine l’area non era più contaminata come attestato dai nuovi risultati di laboratorio.
Tuttavia, in occasione della Conferenza dei Servizi del 23.11.2015 indetta dalla Provincia di Siena per l’esame della suddetta Relazione Finale, ARPAT sottolineava che nel Piano non si era tenuto conto di alcune indicazioni date dall’Agenzia: nello specifico, l’indagine non era stata estesa alle potenziali contaminazioni intervenute fra le postazioni di sparo e i bonetti e non si era concentrata sulla rilevazione di altri elementi quali rame e zinco oltre al piombo. Pertanto, la Conferenza dei Servizi (il cui verbale è contenuto nel doc. 61 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) chiedeva a M. di avanzare una proposta di piano per le indagini estesa alle zone esterne alle linee di tiro nonché di indicare la localizzazione dei singoli campioni elementari.
Veniva, dunque, proposto un nuovo campionamento da eseguire in contraddittorio con gli enti.
16. I campionamenti venivano eseguiti il 1.2.2016 e in data 17.6.2016 ARPAT comunicava gli esiti delle verifiche allegando i rapporti di prova che, differentemente da quelli del laboratorio incaricato da M., vedevano il superamento delle CSC in tre punti cosicché il 1.7.2016 il Comune chiedeva a M. di provvedere alla rimozione dei rifiuti costituiti da bossoli e ogive e di effettuare ulteriori analisi.
Con riferimento al nuovo superamento del parametro del piombo MARTINELLI ha riferito in sede di sommarie informazioni del 24.10.2018: “come ho relazionato anche al committente, la rimozione delle terre è risultata insufficiente al corretto ripristino dell’area. Infatti, le indicazioni che io e i geologi davamo alla ditta Grossetana Scavi venivano ridimensionate da M. che imponeva dei tetti di spesa alla ditta. M. P., invece, attribuiva l’esito negativo delle analisi sui campioni del febbraio 2016 alla ditta che aveva eseguito i lavori ed anche al metodo di campionamento”.
17. Veniva, dunque, effettuato un nuovo sopralluogo il 2.8.2016 con ulteriori campionamenti prelevati in contraddittorio fra ARPAT e M. (doc. 75 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021). In quell’occasione l’Imputato notava anche un’altana da caccia costruita in legno e metallo dell’altezza di circa 6 metri sita sul terreno di D.  e con un angolo e direzione di tiro tale da impegnare l’area dei lavori di ripristino (si veda istanza di rinnovo della SCIA di cui al doc. 72 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021). Dal canto suo AUGUSTI Keti, tecnico ARPAT, notava che erano stati accumulati al lato delle aree del campo circa 100 mc di materiale di scotico.
In proposito MARTINELLI ha riferito in sede di sommarie informazioni del 24.10.2018 che “in un sopralluogo in cantiere che ho fatto dopo l’inizio dei lavori della ditta Tirinnanzi ho notato, sulla linea di tiro più lunga, che era stato fatto lo scotico superficiale del terreno poi ammontinato sulla parte destra. Preciso che questa operazione non è mai stata ordinata da me e M. mi ha detto che era stata ordinata da lui per favorire i campionamenti Arpat”. 
18. Il 21.10.2016 ARPAT comunicava gli esiti delle analisi e, diversamente dagli esiti del laboratorio di M., riscontrava che vi era un campione, il n. 3, in cui venivano superati i valori di CSC di cui alla colonna A della Tabella 1 all. 5 alla parte IV del D. lgs. 152/2006. 
Pertanto, il 12.12.2016 il Comune invitava M. a predisporre il piano di caratterizzazione (doc. 85 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) mentre in data 21.7.2017 la Regione Toscana comunicava l’avvio del procedimento finalizzato all’emissione dell’ordinanza per la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale ai sensi dell’art. 244 D. lgs. 152/2006 (doc. 89 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021). 
19. In data 8.8.2017 ARPAT effettuava un nuovo sopralluogo accertando che i 100 mc di materiale di scotico rilevati il 2.8.2016 non erano stati ancora avviati allo smaltimento (doc. 90 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021).
Il 28.8.2017 la Regione Toscana chiedeva aggiornamenti al Comune circa lo stato del procedimento di bonifica di cui all’art. 242 D. lgs. 152/2006 e in data 19.10.2017 il Comune di Murlo rispondeva che “il piano di caratterizzazione per l’intervento di bonifica, per varie motivazioni addotte dal sig. M. P. non è mai stato presentato e quindi i lavori di ripristino non hanno mai avuto inizio”. Il responsabile del procedimento, MORRICCIANI Piero, riferiva che le problematiche erano state legate alle richieste di M. legate all’accertamento delle eventuali ripercussioni dell’altana sui risultati della bonifica.

e) L’utilizzo strumentale dell’altana nell’ambito del procedimento amministrativo 

20. Infatti, a seguito della percezione dell’esistenza dell’altana, M. chiedeva alla Polizia Provinciale di effettuare indagini in merito. 
L’altana veniva sicuramente rimossa prima del sopralluogo del 30.9.2016.
In data 28.11.2016 M. sporgeva una querela (doc. 129 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) contro ignoti sostenendo che con la realizzazione dell’altana era stata turbata l’attività di bonifica e addirittura che erano stati gli stessi cacciatori a inquinare l’area dall’altana: “il sito contaminato è quello che corrisponde direttamente con la linea di tiro dell’altana (…) con tutta probabilità, quindi, la presenza dell’altana e dei cacciatori, ha compromesso le operazioni di bonifica del terreno stesso, basti pensare che l’unico punto (su n. 6 punti distribuiti su tutto il terreno adibito a poligono di tiro campionati da ARPAT per le verifiche finali) che denota ancora la presenza  di materiale balistico/venatorio è proprio quello corrispondente all’area prospicente all’altana (…)”.
In data 18.12.2016, cono uno scritto identico a quello della querela (doc. 131 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021), M. negava al Comune di Murlo e alla Regione Toscana di essere il responsabile dell’inquinamento e chiedeva di essere esonerato dalle operazioni di bonifica: ciononostante in data 4.10.2016 la Polizia provinciale di Siena gli avesse comunicato che l’altana veniva utilizzata per la caccia di selezione al daino, che viene effettuata non con munizioni a pallini, usate per la caccia ai volatili (doc. 130 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021).
21. Da questo momento in poi cessava il rapporto professionale fra M., da un lato, e  SIGNORELLI e CASTELLANI, dall’altro, dal momento che, come spiegato da quest’ultimo durante la sua testimonianza, M. non era contento dei risultati degli ultimi campionamenti.
Nell’analisi di rischio sanitario sito-specifica del 27.12.2017 a firma MELINI Davide (doc. 97 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021), dottore in scienze forestali e ambientali, il tecnico incaricato da M. faceva proprio il testo della querela e della comunicazione del 18.12.2016 sostenendo con riferimento al punto da cui era stato asportato il terreno contaminato nel corso del sopralluogo del 2.8.2016 che “il sito contaminato è quello che corrisponde direttamente con la linea di tiro dell’altana (…) con tutta probabilità, quindi, la presenza dell’altana e dei cacciatori, ha compromesso le operazioni di bonifica del terreno stesso, basti pensare che l’unico punto (su n. 6 punti distribuiti su tutto il terreno adibito a poligono di tiro campionati da ARPAT per le verifiche finali) che denota ancora la presenza  di materiale balistico/venatorio è proprio quello corrispondente all’area prospicente all’altana (…) Ponendo in essere e/o permettendo la suddetta azione di caccia è stata alterata l’attività di bonifica (…) tale comportamento non solo falsava il lavoro di bonifica in fase di esecuzione del M. ma addirittura interrompeva lo stesso con conseguente procrastinarsi dei tempi necessari per la definitiva bonifica del terreno e, quindi, la sua riconsegna (…) Inoltre è utile evidenziare che il campionamento è stato effettuato non sul “parapalle verticale” (che è già stato bonificato e certificato dalle analisi precedenti) ma sull’area in piano del settore 3, dove la presenza di pallini può avvenire solo per caduta degli stessi durante la caccia”. Postulato della tesi è che “le munizioni da caccia caratterizzate da pallini di piombo non venivano utilizzate nel poligono di tiro dove venivano sparate munizioni dotate di proiettili di maggiori dimensioni rispetto ai pallini di piombo”.
Dopo tali dissertazioni balistiche, comunque, MELINI concludeva che il sito non era contaminato, che non vi erano rischi per la salute umana e che “pertanto, per il caso in esame, la stima degli obiettivi di bonifica (CSR, Concentrazione Soglia di Rischio) non è necessaria”.
Dal momento che tale analisi di rischio era in realtà una sorta di memoria difensiva non funzionale alla bonifica del terreno, la Conferenza dei Servizi del 13.3.2018 invitava, ancora una volta, M. a predisporre il piano di caratterizzazione (doc. 99 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021). 
La Regione Toscana offrendo il proprio parere negativo all’analisi di rischio dava conto delle risultanze degli approfondimenti conoscitivi condotti tra i quali quello reso in data 15.9.2021 dal Settore regionale “Attività Faunistico Venatoria” di cui riportava un estratto: “(…) 2. Nella caccia di selezione agli ungolati vengono utilizzate solo armi a canna rigata, ovviamente con proiettile unico, e non fucili a canna liscia con munizione spezzata (pallini). Ne consegue che l’eventuale presenza di pallini può essere legata soltanto ad attività di caccia vagante o da appostamento temporaneo e non alla caccia di selezione degli ungolati, eventualmente praticata dall’altana. 3 A giudicare dalla serie storica delle foto aeree della zona, questa è stata interessata dal 2005 da una serie di tagli boschivi, e probabilmente le aree di taglio, nella direzione di sparo opposta al poligono, sono state ritenute idonee per la caccia di selezione al daino, con la scelta del punto di caccia da parte del distretto e la costruzione dell’altana. Non pare, invece, possibile che la caccia sia stata esercitata in direzione di sparo verso il poligono, poiché si tratta di luogo assimilabile ad un impianto sportivo e, come tale, esso costituisce un divieto di caccia, come ogni altro luogo abitualmente frequentato. 4. Appare assai improbabile che i daini abbiano frequentato abitualmente gli spazi interni del poligono, poco appetibili per foraggiamento dopo la rimozione dello strato superficiale del terreno per la bonifica e soggetti a presenza umana e disturbo sonoro fin tanto che il poligono è stato in funzione. In ogni caso, resta il fatto che dalla postazione censita è comunque vietato lo sparo in direzione del poligono (come detto sopra) e non è ragionevolmente ipotizzabile che i cacciatori di selezione assumano reiteramente il rischio di abbattere e poi dover recuperare un animale in area di divieto, con tutte le conseguenze disciplinari che ne potrebbero derivare ove il fatto fosse stato rilevato dagli organi di controllo. 5. Infine, la caccia di selezione comporta un limitatissimo utilizzo di munizioni, che peraltro nella maggior parte dei casi cedono l’eventuale frammentazione all’interno del selvatico per fuoriuscire eventualmente soltanto come corpo unico deformato del proiettile. Questo elemento in una analisi non può passare inosservato se presente nel campione. Si tratta comunque di pochi grammi di metallo all’anno (una palla si aggira tra 8 e 13 grammi circa tra piombo e rame) che all’impatto con il terreno può avere comportamenti assai diversi a seconda di cosa colpisce”.

f) Il superamento pacifico della CSR per il piombo nel poligono di Thiessen 11A  (495,8 mg/Kg)

22. In data 30.4.2018 M. inviava il piano di caratterizzazione predisposto dal tecnico MELINI che prevedeva un campionamento con “criterio casuale”. Tale scelta veniva motivata sostenendo che “non è possibile prevedere la localizzazione delle fonti di contaminazione” e che “la profondità di prelievo del campione sarà determinata con accuratezza appropriata al caso”.
La Conferenza dei Servizi del 9.7.2018 (doc. 102 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) esprimeva parere positivo sul piano di caratterizzazione prescrivendo la modifica del piano di campionamento proposto e imponendo di effettuare un campionamento su ciascuno dei sei bonetti che delimitavano i settori di tiro, un campionamento su ciascuno setto laterale di separazione per un totale di sette e sei campionamenti da individuare con criterio casuale all’interno di ciascun settore di tiro. I campionamenti dovevano essere effettuati sia nel primo mezzo metro di terreno sia nel primo metro in tre sondaggi ciascuno.
23. Il 25.9.2018 veniva effettuata l’ennesima campagna di campionamenti sui terreni ottemperando alle modalità prescritte dalla Conferenza dei Servizi. Come testimoniato da PINZI Cinzia, anche nel corso di tale sopralluogo, gli operatori di ARPAT potevano notare la presenza di cumuli di rifiuti lungo i setti nonché la presenza di bossoli e ogive.
Lo stesso laboratorio incaricato da M., ECOGAM di Grosseto, rilevava un valore del piombo nel campione prelevato nel poligono di Thiessen 11A – ubicato nel settore di tiro n. 6, quello più lungo – pari a 495,8 mg/Kg (il metodo dei poligoni di Thiessen è una delle metodologie di suddivisione delle aree). Nonostante tale dato, ancora una volta, l’analisi di rischio redatta da MELINI (doc. 108 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) non riteneva necessaria la bonifica.
Dal canto proprio, invece, ARPAT rilevava il superamento della CSC sul campione 15A (piombo presente 230 mg/g) e il superamento della CSR nell’area 11A ritenendo – si legge nel parere offerto per la Conferenza dei Sevizi del 1.2.2019 – “che tale area debba essere sottoposta a bonifica stabilendo come obiettivo di bonifica per il suolo superficiale la concentrazione di piombo di 266 mg/Kg” in virtù di “un rischio non accettabile pari a 2,1 connesso in massima parte all’esposizione per ingestione (rischio 2,05) e solo minimamente al contatto dermico ed all’inalazione polveri”.
La Conferenza di Servizi del 1.2.2019 imponeva, dunque, a M. di elaborare il progetto di bonifica dell’area 11 (doc. 124 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021).
24. In data 15.3.2019 veniva presentato il progetto in cui il tecnico MELINI ricordava alle Pubbliche Amministrazioni di tenere conto del principio di proporzionalità richiedendo al privato “il minimo sacrificio” economico possibile, chiedendo di limitare l’intervento di bonifica alla sola area 11.
La Conferenza di Servizi del 28.5.2019, nonostante il parere negativo di ARPAT, approvava il progetto di bonifica ordinando a M. di procedere alla rimozione del suolo per uno spessore di 0,5 metri e per un’estensione di 225 mq ed un volume di 112,50 mc.
Tuttavia, il Comune di Murlo indiceva una nuova Conferenza di Servizi per il 29.8.2019 constatando che M. non aveva provveduto alla bonifica (doc. 128 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021).

g) Adozione dell’ordinanza sindacale ex art. 192 comma 3 D. lgs. 152/2006 e sua inottemperanza

25. Nel frattempo, il Comune di Murlo adottava l’ordinanza n. 3 del 27.2.2019 (doc. 114 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) con cui ordinava a M. la rimozione ed il recupero (o smaltimento) dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 comma 3 D. lgs. 152/2006 entro 60 giorni dando atto di come, a seguito della Conferenza di Servizi del 1.2.2019 né ARPAT né Regione Toscana avessero ricevuto da M., soggetto responsabile della contaminazione, “documentazione attestante il completamento delle operazioni di rimozione dei rifiuti ancora presenti nell’area costituiti da cumuli di terreno originati dalle operazioni di scarico del terreno interessato dalla presenza di frammenti di bossoli e ogive, costituenti sorgente primaria di contaminazione nonché eventuali ulteriori bossoli, ogive e frammenti di questi ancora presenti sui terreni, sui bonetti laterali e più in generale sulla superficie del sito in oggetto”. 
L’ordinanza veniva notificata a M. il 12.3.2019. 
Come si evince dall’annotazione di PG dell’11.9.2019, in data 13.5.2019, ovvero quando il termine era già inutilmente scaduto, M. chiedeva una proroga di ulteriori sessanta giorni per l’adempimento dell’ordinanza a causa delle avverse condizioni metereologiche. Richiesta che non veniva avallata dal Comune di Murlo. 
Che M. non avesse iniziato alcun lavoro è circostanza appurata dai militari del NOE in occasione di un duplice sopralluogo d’iniziativa, effettuato nelle date del 30.04.2019 e 31.05.2019, nel corso dei quali emergeva lo stato di totale abbandono delle aree. Una ulteriore verifica dello stato dei luoghi veniva effettuata in data 10.7.2019 unitamente al personale di Arpat di Siena, del personale tecnico del Comune di Murlo e dello stesso M. P.. In questo contesto emergeva come nel periodo di tempo compreso tra il 31.5.2019 e la stessa data del sopralluogo (e dunque nel periodo in cui comunque erano scaduti i termini dell’ordinanza sindacale), sulle aree era stata effettuata una decorticazione superficiale dei terreni delle linee di tiro, nella parte basale dei setti di destra e venivano prodotti ed avviati a recupero circa 51 tonnellate di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo.
Secondo quando emerge dalle deposizioni dei testimoni di polizia giudiziaria, in particolare del Mar. MANDATORI Sergio, si è trattato, tuttavia, di un intervento parziale ed inidoneo sia alla rimozione dei cumuli di rifiuti (terreni di scotico), accumulati sui setti laterali delle linee laterali delle linee di tiro nel mese di luglio 2016, poiché il quantitativo di rifiuti da ultimo rimossi corrisponderebbe a 1/3 del quantitativo dei rifiuti ammassati nel 2016, che inidoneo alla rimozione della sorgente dell’inquinamento.
In data 8.10.2019 il Sindaco del Comune di Murlo denunciava agli uffici di polizia giudiziaria (NOE di Grosseto e Polizia Municipale dell’Unione dei Comuni della Val di Merse) l’inottemperanza dell’ordinanza sindacale n. 3/2019 ai sensi dell’art. 255 comma 3 D. lgs. 152/2006 (doc. prodotto dal Pubblico Ministero all’udienza del 12.5.2023). ARPAT, dal canto suo, il 21.11.2019 comunicava che l’ordinanza era stata solo parzialmente ottemperata perché erano presenti sui terreni ancora bossoli, ogive e frammenti di questi ultimi, sia sui bonetti laterali che su tutta la superficie del terreno “considerato che detti materiali risultano ancora visibili in diversi punti dell’area”. 
Nelle date dell’8.10.2021 e del 9.11.2022 venivano svolti ulteriori accertamenti presso l’area da parte dei Carabinieri del NOE di Grosseto, i quali constatavano che nessun lavoro era stato iniziato od intrapreso e che la situazione era sostanzialmente immutata dal 10.7.2019.
Tale situazione di fatto è rimasta immutata fino al 27.2.2024, data in cui veniva effettuato dal NOE l’ultimo sopralluogo.

h) Avvio del procedimento di bonifica da parte dell’amministrazione ai sensi dell’art. 250 d. lgs. 152/2006

26. Tornando alla vicenda relativa al procedimento di bonifica, dato il perdurare dell’inadempienza di M., con delibera n. 5 del 24.1.2020, la Giunta Comunale del Comune di Murlo decideva di assegnare a D. , in qualità di proprietario del terreno non responsabile dell’inquinamento, il termine di trenta giorni per procedere alla bonifica e, in caso di suo silenzio o rifiuto, stabiliva che avrebbe provveduto il Comune ai sensi degli artt. 250 e ss D. lgs. 152/2006 alla bonifica.
Nonostante tale delibera, con nota prot. 2088 del 30.3.2020 il Comune di Murlo chiedeva nuovamente anche a M., in qualità di responsabile dell’inquinamento, di procedere con la bonifica avvisandolo che, in caso contrario, avrebbe proceduto il Comune.
Di tale nota M. chiedeva l’annullamento proponendo ricorso davanti al TAR Toscana in data 1.7.2020 negando di essere il responsabile dell’inquinamento causato, invece, dai cacciatori che esercitavano l’attività venatoria in tutta l’area, ivi inclusa l’altana, dal momento che “i pallini rinvenuti nel sito contaminato non sono infatti compatibili con quelli utilizzati per l’attività di tiro dinamico, che prevede tutt’altro tipo di proiettile a carica unica e di dimensioni alquanto superiori”. Pur non avendo la nota impugnata alcuna attinenza con l’ordinanza sindacale n. 3/2019 sosteneva di aver ottemperato a tale ordinanza e che la presenza di bossoli e ogive sui terreni non fosse a lui attribuibile dal momento che aveva riconsegnato il terreno al proprietario nel 2016.
27. Visto il rifiuto del responsabile dell’inquinamento e del proprietario, il Comune di Murlo predisponeva un progetto di bonifica al prezzo di Euro 560.000,00 prevedendo i seguenti lavori: lo sbancamento, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti presenti nei primi 10 cm di terreno (comprendenti terra, rocce e metalli) dell’intero poligono di tiro pari a 40.000 mq (ossia 4 ettari); lo scavo a larga sezione, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti presenti fino a 1,5 m di profondità del terreno (comprendenti terra, rocce e metalli)  dell’area di 225 mq del poligono di Thiessen 11.
Nonostante un nuovo ordine alla bonifica, in data 19.11.2021 (doc. prodotto dal Pubblico Ministero all’udienza del 12.5.2023) M., rispondendo al Comune di Murlo, si rifiutava di provvedere ai lavori di bonifica, scrivendo quanto segue: “Con la presente vi informo che non ho la disponibilità del terreno situato in loc. Campolungo, nel Comune di Murlo, identificato al C.T. al foglio 64, particelle 24-25-26. Il contratto di locazione stipulato il 2 agosto 2009 con il signor G. D.  (che ne è proprietario) si è risolto nel 2012 e che non mi ritengo responsabile dell’inquinamento per le ragioni illustrate nel ricorso pendente dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana (r.g. n. 587/2020). Confermo, ad ogni buon conto, di aver già eseguito tutte le attività di mia competenza volte alla bonifica e al recupero dei rifiuti presenti sull’area. Ritengo, pertanto, di non potere e di non essere comunque tenuto ad eseguire ulteriori attività in parola”. 
28. In data 21.9.2022 la Direzione Ambiente ed Energia – Settore Bonifiche e Siti Orfani PNR – della Regione Toscana (si veda doc. prodotto dal Pubblico Ministero all’udienza del 12.5.2023)   richiedeva ad alcuni comuni toscani, fra cui quello di Murlo, la compilazione di schede relative ad interventi di bonifica che sarebbero stati finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La Regione sceglieva la possibilità della gestione finanziaria decentrata che consente i trasferimenti dei fondi PNRR direttamente ai Comuni, soggetti attuatori esterni.
Il Comune di Murlo chiedeva il finanziamento del progetto per un importo pari ad Euro 550.000,00 con un procedimento amministrativo che avrebbe preso inizio con le procedure di affidamento dei servizi di redazione esecuzione del Piano di Caratterizzazione e Analisi di Rischio da completarsi entro il 28.2.2023 e che si concluderà con la fine dei lavori di bonifica il 30.11.2025.

i) La consulenza tecnica della dott.ssa MARRUNCHEDDU

29. Stante l’inerzia di M. rispetto al procedimento di bonifica, nel 2017 venivano aperti anche plurimi procedimenti penali poi riuniti ed esitati nelle odierne imputazioni.
In seno ad uno di questi procedimenti, in data 17.9.2018 il Pubblico Ministero incaricava la dott.ssa MARRUNCHEDDU Gaia di rispondere, previo campionamento e previa effettuazione delle relative analisi, ad una serie di quesiti così sintetizzabili per quanto di interesse: se il terreno dell’ex poligono di tiro fosse inquinato con riferimento al parametro del piombo superando i valori di CSC; quale fosse la causa dell’inquinamento e, in particolare, se tale causa fosse compatibile con l’attività del poligono ovvero con l’attività venatoria. 
Nella sua relazione, la consulente del Pubblico Ministero riportava, anzitutto, il Rapporto ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale sottoposto alla vigilanza del Ministero dell’Ambiente) n. 158/2012 secondo cui “una volta nel terreno il piombo metallico tende a comportarsi in modo analogo, a parità di condizioni ambientali (…) ciò che accade in corrispondenza dei poligoni utilizzati per finalità sportive che, per molti aspetti, ricordano gli appostamenti fissi di caccia: le modalità di dispersione del piombo nell’ambiente risultano molto simili anche se possono variare i quantitativi riversati in relazione alla frequenza di utilizzo. Una volta nel terreno, il proiettile o i pallini, a contatto con l’aria, l’acqua e le diversi componenti del suolo, tendono ad alterarsi lentamente, a cominciare dalla parte più superficiale. Il piombo metallico si ossida, dando luogo alla formazione di ossidi, idrossidi, carbonati o solfati (…) successivamente questi composti si disciolgono, liberando cationi bivalenti solubili (Pb2+) che tendono ad associarsi alla materia organica del suolo”.
In secondo luogo, specificava di aver proceduto al campionamento il 6.11.2018 come da verbale di ispezione allegato alla relazione e di aver provveduto a prelevare campioni di terreno (due aliquote per ogni punto) nei sei settori di tiro del poligono e, più in particolare: sui setti (terrapieni destinati a separare le zone di tiro); sui bonetti (terrapieni predisposti al termine del settore di tiro per ricevere l’impatto dei proiettili); nelle zone interne dei settori. Venivano eseguiti prelievi su 19 punti di terreno, sia nei primi 10 cm di terreno (campioni da 1A a 19A) che nei secondi 10 cm di terreno (campioni da 1B a 19B).
Come si evince da quanto appena riportato, una delle sostanziali differenze fra la metodologia di campionamento usata da ARPAT e dalla dott.ssa MARRUNCHEDDU risiede nella scelta della profondità del punto di prelievo: mentre ARPAT ha analizzato il terreno fino ad una profondità di mezzo metro, la consulente del Pubblico Ministero ha deciso di analizzare sia i primi dieci che i secondi dieci centimetri di terreno, ritenendo che a questa profondità – come spiegato in sede di esame – si potesse trovare la fonte di inquinamento tenendo conto del fatto che il riso – cereale prima coltivato in quel terreno – ha radici poco profonde. Inoltre, occorre aggiungere che – circostanza data per pacifica nel corso del processo – il piombo risulta tossico se ingerito e, dunque, i rischi per la salute umana devono essere valutati con specifico riferimento a ciò che potrebbe essere coltivato su quei terreni.
Il criterio scelto è stato giudicato corretto anche dal consulente della Parte civile, UGOLINI Paolo, che durante il suo esame ha commentato: “Se io ho una superficie inquinata da pallini di piombo non mi aspetto che questo pallino in un anno, in due anni, in tre anni abbia avuto un attacco tale per cui me lo ritrovi (…) a dieci metri di profondità. Io lì ho una sorgente di inquinamento solida, quindi come tale me la posso aspettare nei primi venti-trenta centimetri di terreno”.
Ciò precisato, si legge sempre dalla relazione che i campioni venivano “sottoposti a setacciatura con setaccio da 2 cm al momento del prelievo prima di essere inseriti nei contenitori e nelle buste utilizzate per il trasporto” e, in laboratorio, venivano fatti essiccare in stufa in ragione della loro notevole umidità. Una volta asciutti, i campioni di terreno venivano setacciati su vaglio con maglie da 2 mm. Insieme ai campioni venivano analizzati i bianchi di processo (campioni di terreno senza piombo) per verificare che i contenitori utilizzati fossero idonei alla determinazione del piombo. I bianchi risultavano effettivamente privi dell’analita di interesse.
Le analisi venivano effettuate presso il “Laboratorio ChimicLab Srl” con i seguenti risultati: su 39 campioni, 16 risultavano superare la CSC prevista per il piombo con riferimento ai siti ad uso verde pubblico (100 mg/Kg) e nel caso dei campioni 9a, 11a, 9b e 11 b si registravano valori assolutamente allarmanti: rispettivamente 30.189 mg/Kg, 19.925 mg/Kg, 7.550 mg/Kg, 7.547 mg/Kg (vale a dire da 28 a 113 volte tanto quanto previsto per quell’area come obiettivo di bonifica per il suolo superficiale con riferimento alla concentrazione di piombo, ossia 266 mg/Kg). La dott.ssa MARRUNCHEDDU evidenziava che i quattro valori, estremamente elevati, erano tutti relativi al settore di tiro n. 3 dove – leggendo il verbale di ispezione – “affioravano numerosi bossoli ed ogive sia di carabina che di pistola di diverso calibro”, dove “erano evidenti le tracce di precedenti azioni di scotico”. Al punto di campionamento n. 11, in particolare, “venivano notati e repertati (…) bossolo metallici per pistola e carabina di diversi calibri e frammenti di ogive di piombo”. Nel corso del suo esame la MARRUNCHEDDU specificava che: “probabilmente lì c’era stato un contatto proprio con la fonte di inquinamento”.
In definitiva, la consulente riscontrava “un rapporto di causa-effetto tra la presenza di bossoli ed ogive, intatte, frammentate e deformate e la presenza di inquinamento da piombo sul terreno” sottolineando di non aver trovato “né al momento del campionamento in campo né al momento della setacciatura in laboratorio (vaglio a maglie 2 mm), pallini da caccia” aggiungendo che “non è possibile escludere che tali pallini da caccia, viste le loro dimensioni ridotte fossero presenti e siano stati erosi rilasciando piombo nel terreno negli anni ma il non averne trovata alcuna traccia (come, invece, per altri frammenti), non permette una connessione diretta” ricordando come un pallino impieghi dai 30 ai 300 anni per dissolversi. 
Pertanto, “i valori molto elevati del piombo nel terreno, possono essere connessi alla presenza di grandi quantità di fonti di inquinamento (come quelle riscontrate) ma anche alla loro presenza per lunghi periodi sul terreno, in quanto il rilascio degli agenti inquinanti è correlabile anche alla durata di permanenza sul terreno stesso”. D’altronde, nel rapporto 158/2012 dell’ISPRA è riportato che “(…) a seguito di questo processo di ossidazione, nelle aree ove si spara con frequenza, con il passare degli anni la quantità di piombo inorganico che può essere mobilizzato nel terreno tende ad aumentare. Mentre in condizioni naturali o di lieve inquinamento antropico le concentrazioni sono in genere molto basse, inferiori a 100 mg/Kg, nei poligoni sono stati riscontrati valori molto più elevati da 1 fino a 150 kg/g” – ossia, fa notare la consulente – “da 1.000 mg/Kg a 150.000 mg/Kg, come per alcuni campioni in esame”.

l) Il valore di fondo determinato dalla consulenza tecnica del dott. UGOLINI

30. I risultati della consulente del Pubblico Ministero colpiscono se letti alla luce della relazione del consulente della Parte civile D. , dott. Paolo UGOLINI, il quale in due sessioni, del 7.7.2022 e del 25.1.2023, ha raccolto campioni di terreno fino a 20 cm di profondità prima nei terreni circostanti all’ex poligono di tiro e poi in quelli, sempre di proprietà del D. , destinati alla coltivazione di riso. Infatti, l’allegato 2 al Titolo V del Testo Unico Ambiente, nella parte relativa ai “Criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati” richiama l’opportunità di determinare i “valori di fondo”, per comprendere in che misura sia distribuita, in virtù di processi naturali senza apporti antropici rilevabili o apprezzabili, la sostanza inquinante nelle matrici ambientali: “al fine di conoscere la qualità delle matrici ambientali (valori di fondo) dell’ambiente in cui è inserito il sito potrà essere necessario prelevare campioni da aree adiacenti il sito. Tali campioni verranno utilizzati per determinare i valori di concentrazione delle sostanze inquinanti per ognuna delle componenti ambientali rilevanti per il sito in esame; nel caso di campionamento di suoli, la profondità ed il tipo di terreno da campionare deve corrispondere, per quanto possibile, a quelli dei campioni raccolti nel sito”.
Ebbene, la media per il piombo, considerando tutti i campioni, si attestava intorno ai 35 mg/Kg nei terreni circostanti all’ex poligono e intorno ai 20 mg/Kg nelle risaie. 

m) Prospettazione difensiva e sua infondatezza.

31. In seno a questo processo penale la tesi difensiva dell’Imputato si è raffinata rispetto al suo esordio secondo cui la presenza dell’altana avrebbe, di per sé sola, “turbato” il regolare svolgimento delle operazioni di bonifica se non, addirittura, prodotto, sempre da sola, un inquinamento considerevole (tesi, questa, sconfessata dal mero dato di fatto che da quell’altana si praticava la caccia agli ungolati, con munizionamento a palla unica diverso dai pallini).
Dunque, per arrivare al medesimo risultato (difficilmente dimostrabile) per cui l’inquinamento doveva essere attribuito alla dispersione nel terreno di pallini da caccia e, dunque, all’attività venatoria, l’Imputato ha formulato il seguente ragionamento:
a) all’interno del poligono veniva praticato il tiro dinamico e pertanto venivano esplosi solo proiettili a carica unica di dimensioni alquanto superiori ai pallini rinvenuti nel sito contaminato perché i pallini si disperdono nell’aria una volta che vengono esplose le munizioni a carica multipla normalmente usate con i fucili da caccia;
b) i proiettili utilizzati per il tiro dinamico sono sigillati e rivestiti esternamente da una “camicia” di grasso/paraffina ovvero di rame e, pertanto, l’involucro che li ricopre impedisce al piombo ivi contenuto di entrare in contatto con le matrici ambientali. I pallini da caccia in piombo, invece, non sono sigillati;
c) avendo provveduto, in ogni caso, alla rimozione delle ogive presenti sul sito, possibili fonti di inquinamento, la contaminazione rilevata nel settore di tiro n. 3 (dalla MARRUNCHEDDU) e nel settore di tiro n. 6 (nell’ambito del procedimento amministrativo di bonifica) poteva essere riconducibile unicamente alla presenza di pallini da caccia effetto dell’attività venatoria praticata da postazione fissa (l’altana) o vagante (e, quindi, praticata anche all’interno del medesimo poligono prima della sua apertura e dopo la sua chiusura), pallini che, per le loro dimensioni, inferiori ai 2 mm, sono difficilmente visibili a occhio nudo e potevano ben essere presenti nei campioni di terreno selezionati con maglie di 2 mm sia nel procedimento amministrativo che in quello penale; 
d) l’area ove insistono i terreni occupati dall’ex poligono di tiro non è mai stata interdetta alla caccia e che l’attività venatoria sarebbe stata praticata anche all’interno di quel sito sarebbe dimostrato dall’incontestato rinvenimento di numerosi bossoli da caccia;
e) il piombo impiega almeno 30 anni per disciogliersi e, pertanto, è da escludere a priori che l’attività del poligono, protrattasi per soli nove anni sia stata la causa dell’inquinamento del sito.
31.1. Che quello appena esposto sia un ragionamento figlio esclusivamente dell’Imputato lo si evince dalle seguenti osservazioni.
Esso è stato esposto all’interno delle relazioni – sostanzialmente speculari – dei consulenti tecnici della Difesa, dott. Davide MELINI, dottore in scienze forestali e ambientali, e dott. Jacopo LOTTI, Professore associato in biologia applicata presso l’Università degli Studi “G. Marconi” di Roma: come ben si evince dal loro contenuto, però, le argomentazioni rassegnate esorbitano del tutto dalle competenze tecniche e dai titoli accademici propri di MELINI e di LOTTI, attenendo alla materia balistica e, a tal proposito, è fatto notorio (oltre che allegato con le produzioni documentali difensive della penultima udienza) che l’Imputato –  insignito addirittura dell’onorificenza di “Cavaliere” dal Presidente della Repubblica – sia uno dei principali, se non il principale, esperto balistico italiano, avendo ricoperto il ruolo di consulente e di perito in numerosissimi processi penali italiani nonché per Commissioni Parlamentari di Inchiesta (esperienze da lui stesse rivendicate con orgoglio in sede di spontanee dichiarazioni).
A riprova di quanto appena asserito militano, del resto, le seguenti ulteriori circostanze: 
- a domande di questo Giudice, MELINI, ha risposto, dapprima, di non essere un esperto di armi ma di “conoscerle per consuetudine anche familiare”  e, poi, ha dimostrato di non essere in grado di argomentare i motivi per i quali era addivenuto alla conclusione che l’inquinamento del sito fosse dovuto all’attività venatoria disinteressandosi di sottoporre tale risultato a qualsiasi prova di resistenza, non operando campionature né tantomeno cercando, tramite un piano di caratterizzazione, quali fossero le fonti di inquinamento. L’obiettivo perseguito, come da lui affermato, era quello di non gravare finanziariamente M.;
- per altro verso, invece, a seguito del controesame del Pubblico Ministero si è scoperto che, in realtà, LOTTI è un collaboratore esterno dello studio di M. alla prima esperienza da consulente balistico: “ho studiato come consulente balistico praticamente all’interno del laboratorio di P. M. (…) molto spesso io lavoro con il microscopio e quindi molto spesso sono un ausiliario tecnico (…) del Cavalier M.”. Inoltre, LOTTI dichiarava di non aver mai fatto, professionalmente, analisi di terreni.
Ciò non significa che le predette consulenze non potessero o non possano fare ingresso in questo processo ma che, nella sostanza, il loro contenuto deve essere degradato al rango di mere memorie, non potendo offrire nessuno dei due consulenti alcun contributo tecnico nella materia balistica.
31.1. Andando ad analizzare, quindi, il contenuto e il merito delle tesi proposte, bisogna principiare col dire che esse poggiano su due postulati logici, ossia due proposizioni o regole di inferenza che si assumono, senza provarne la validità, fra i costituenti di un sistema deduttivo. I postulati sono questi:
a) che nel poligono non si sparassero anche munizioni a pallini;
b) che le ogive sparate nel poligono per nove anni non si fossero mai deformate e ossidate nelle loro parti in piombo disperdendo così il metallo nel suolo.
31.2. Tuttavia, dall’istruttoria dibattimentale e dagli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero i suddetti postulati risultano seccamente smentiti. 
Anzitutto, il Regolamento del poligono chiuso a cielo aperto in uso alla “Associazione di tiro dinamico Siena” (doc. 4 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) prevedeva all’art. 2 che “all’interno del poligono possono essere utilizzate le armi di proprietà dei Soci o quelle di proprietà dell’Associazione di Tiro” e all’art. 3 che “per le attività di fuoco possono essere utilizzate tutte le armi lunghe o corte, ad anima liscia o rigata che rispondano ai requisiti dell’art. 2. In particolare, saranno utilizzabili calibri utilizzabili regolarmente catalogati e consentiti dalla legge”.
Dal combinato disposto di queste due norme interne risulta, quindi, evidente che nel poligono in questione i soci potessero sparare anche con i fucili da caccia, armi ad anima liscia e che, in teoria, nulla impediva ai soci cacciatori di andare a sparare nel poligono anche tutti i giorni, decine e decine di colpi.
Del resto, che almeno inizialmente il poligono fosse aperto tutti i giorni emerge dalla comunicazione del 16.7.2004 (doc. 18 della produzione del Pubblico Ministero del 12.11.2021) con cui M. comunicava al Sindaco del Comune di Murlo gli orari del poligono di tiro, aperto sette giorni su sette, dal 1 settembre al 31 maggio dalle 9:30 alle 13:00 e dalle 14:30 alle 19:00 e dal 1 giugno al 31 agosto dalle 9:30 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 19:00. “Tale attività oraria” – specificava M. – “potrà essere variata per esigenze date da attività competitive e attività svolte da Forze Armate dello Stato e Forze di Polizia che utilizzano periodicamente il campo di tiro per la preparazione professionale dei propri dipendenti”.
PACCIANI Massimo, amico di M. e socio fondatore della “Associazione di tiro dinamico Siena”, ha spiegato che in un secondo momento e fino alla sua chiusura nel 2012, il poligono era aperto tre giorni alla settimana (il sabato, la domenica ed il martedì), che veniva normalmente frequentato da venti tiratori al giorno, e che quando, in altri giorni, le Forze dell’Ordine (ma anche l’Esercito) vi andavano a sparare c’era qualcuno che apriva il cancello e il poligono veniva lasciato a loro completa ed esclusiva disposizione. Durante il periodo di attività del poligono, PACCIANI non aveva mai visto effettuare attività di pulitura o di bonifica nonostante egli avesse sollecitato in tal senso diverse volte il M. e riferiva che i militari non raccoglievano mai i bossoli che erano diversi da quelli dei civili, contraddistinti da stelline nel fondello. Peraltro, essendo presenti vapori sulfurei, l’ottone si imbruniva subito (i bossoli possono essere anche di ottone). 
PACCIANI confermava la circostanza che nel poligono si sparasse anche a pallini ricordandosi, in particolare, che i cacciatori venivano a provare la rosata. 
RAPACCINI Simone, consulente chimico ambientale che si era occupato dei campionamenti di terreno del 31.10.2014 inviati ad ISVEA Srl, dopo aver appreso del superamento del parametro del piombo riguardanti la linea di tiro n. 3, e più nello specifico i setti laterali in prossimità del bonetto di impatto dei colpi, riferiva quanto segue in sede di sommarie informazioni del 21.1.2019 “non riuscendo a giustificare i valori del parametro del piombo così variabili per punti di prelievo attigui, andavo a constatare sul campione la presenza di piccolissimi frammenti di piombo di dimensioni inferiori a due millimetri. Ho chiesto contezza di ciò a M. il quale mi rappresentava che nella zona di tiro n. 3 vi era un percorso di tiro con fucili da caccia caricati a pallini”.
Del resto, ad analoga conclusione erano arrivati anche SIGNORELLI e CASTELLANI come spiegato da quest’ultimo in sede di sommarie informazioni rese l’8.11.2018: “All’inizio ritenevamo che venissero a sparare al poligono solo militari o persone con armi sportive. In occasione di un sopralluogo abbiamo capito, invece, che venivano a sparare anche dei cacciatori a delle sagome di cinghiale. Non abbiamo delle particolari conoscenze balistiche o sulle armi ma, comunque, abbiamo ritenuto plausibile che questi cacciatori che venivano ad esercitarsi utilizzassero armi con cartucce caricate a pallini (…) è stata una nostra ipotesi dipesa anche dal fatto di aver visto in poligono bossoli di cartuccia da caccia”.
Bastano, insomma, queste poche prove a far crollare totalmente la fragilissima impalcatura difensiva: proprio perché nel poligono si sparava anche con armi comuni da sparo, quasi tutte compatibili anche con l’attività venatoria, quasi irrilevante si appalesa la consulenza tecnica del dott. Gustavo CALDORA, incaricato di far comprendere se bossoli, ogive, frammenti di proiettili presenti nel sito fossero riconducibili all’attività del poligono di tiro ovvero all’attività venatoria, dopo aver effettuato un sopralluogo il 26.3.2018. Ben più rilevante è, invece, il dato emerso dalla consulenza per cui numerose ogive erano deformate e, dunque, in grado di disperdere il piombo contenuto al loro interno nei terreni da dove erano state raccolte. Anche laddove non deformate, inoltre, PACCIANI spiegava che vi erano vapori sulfurei che imbrunivano i bossoli in ottone e ciò rende del tutto plausibile un’accelerazione nella dispersione anche delle ogive in piombo.
32. Sconfessati i principali postulati difensivi, del tutto errate si sono rilevate anche le critiche mosse dalla Difesa dell’Imputato e dal suo consulente LOTTI alla relazione della MARRUNCHEDDU. 
32.1. Quanto all’inutilizzabilità della stessa, lamentata ai sensi dell’art. 360 comma 5 c.p.p., la consulenza della MARRUNCHEDDU si è estrinsecata in un accertamento tecnico svolto nella fase delle indagini preliminari: da ogni punto di prelievo è stata asportata una doppia aliquota di campione; ogni campione non è stato più soggetto a modifica o trasformazione; inoltre, di detti campioni, è stata analizzata una piccolissima parte. Per tali ragioni l’accertamento era ripetibile e non irripetibile.
A ogni buon conto, anche a voler ritenere per mera ipotesi il contrario, la scelta finale di procedere con il rito abbreviato implica, ai sensi dell’art. 438 comma 6 c.p.p. l'accettazione del contenuto probatorio degli atti del fascicolo delle indagini, posto che quella in parola non è una inutilizzabilità patologica bensì relativa. Secondo il noto insegnamento delle Sezioni unite "Tammaro" (C., S.U., 21.6.2000, Tammaro) non rilevano nel rito alternativo le ipotesi d'inutilizzabilità "relativa" stabilite dal legislatore in via esclusiva "nel dibattimento", quali, ad esempio, quella prevista dall'articolo 360 comma 5 c.p.p. per l'accertamento tecnico non ripetibile eseguito dal Pubblico Ministero in difetto delle condizioni indicate.
32.2. Per quanto concerne, invece, la metodologia di analisi, il consulente LOTTI ha criticato la scelta della MARRUNCHEDDU di essiccare i campioni mediante una stufa alla temperatura di 105 gradi anziché farli asciugare a temperatura ambiente. Ad avviso di LOTTI, infatti, con le alte temperature viene alterato il processo di rilascio del piombo e ciò avrebbe falsato i risultati delle analisi. 
A domande di questo Giudice volte a comprendere in che misura tale alterazione potesse incidere sul risultato finale – tenuto conto dell’altissimo e allarmante valore del piombo testimoniato dai rapporti di prova dei campioni 9a, 11a, 9b e 11 b – LOTTI, però, non sapeva rispondere.
32.3. Altro assunto del tutto indimostrato e in netto contrasto con la precedente critica è quello per cui i campioni di terreno inquinati fossero tali solo perché al loro interno vi doveva essere sicuramente ed inevitabilmente anche la fonte di inquinamento che, nella prospettiva difensiva, poteva essere solo il pallino da caccia in quanto di dimensioni inferiori alle maglie di 2 mm con cui era stato setacciato il campione. 
Anche questo, però, è un postulato indimostrato perché è errata l’equazione inquinamento uguale presenza di fonte di inquinamento. 
La fonte di inquinamento, come precisato dalla MARRUNCHEDDU, può anche non esserci più ma non per questo non rimane traccia del suo passaggio: riprendendo le parole del Rapporto ISPRA n. 158/2012 “le modalità di dispersione del piombo nell’ambiente risultano molto simili anche se possono variare i quantitativi riversati in relazione alla frequenza di utilizzo. Una volta nel terreno, il proiettile o i pallini, a contatto con l’aria, l’acqua e le diversi componenti del suolo, tendono ad alterarsi lentamente, a cominciare dalla parte più superficiale. Il piombo metallico si ossida, dando luogo alla formazione di ossidi, idrossidi, carbonati o solfati (…) successivamente questi composti si disciolgono, liberando cationi bivalenti solubili (Pb2+) che tendono ad associarsi alla materia organica del suolo”. D’altra parte, non può che destare più di una perplessità l’asserzione di LOTTI, ossia da parte di chi sostiene che basta essiccare per poche ore in una stufa il piombo alla temperatura di 105 gradi perché la fonte di inquinamento vada incontro a cambiamenti che ne implichino “il rilascio” nei mezzi circostanti.
Vi è di più: riconvocata ai sensi dell’art. 507 c.p.p. per avere delucidazioni sulla possibilità che l’essiccazione avesse potuto alterare i risultati, la MARRUNCHEDDU ha chiarito che da ogni campione era stata prelevata una misura minima, pari a 0,5 grammi, per effettuare la successiva analisi e che questo ulteriore campione non solo non vedeva la presenza di pallini ma veniva prelevato in una fase diversa successiva all’essicazione. La MARRUNCHEDDU escludeva la presenza di pallini perché il campione era stato sgretolato e omogeneizzato e si presentava come un terreno secco (simile a “quello che vediamo d’estate”) in cui la presenza di una parte metallica si sarebbe vista a occhio nudo. Inoltre, quand’anche fosse stato presente un pallino, esso per trasformarsi avrebbe avuto bisogno di un veicolo, di un mezzo liquido come l’acqua che, nel caso di specie, era stato tolto proprio tramite essiccazione. 
Ancora di più: prima di fare le analisi, per verificare la correttezza della metodologia utilizzata, la MARRUNCHEDDU faceva analisi anche su un c.d. “campione civetta”, cioè un campione a concentrazione nota, in cui era già stata inserito il metallo che si intendeva ricercare in una misura nota e i risultati erano accettabili, con bassissimi margini di errore.
32.4. Sfatata questa equazione assume connotati ancor più suggestivi la deduzione di LOTTI per cui i campionamenti del 25.9.2018 portavano a rilevare un valore del piombo nel campione prelevato nel poligono di Thiessen 11A, ubicato nel settore di tiro n. 6, pari a 495,8 mg/Kg soltanto perché anche in quel caso inevitabilmente all’interno del campione vi era un pallino perché altrimenti non si spiegherebbe perché i campionamenti effettuati il 6.11.2018 sempre nel settore di tiro n. 6 dalla MARRUNCHEDDU davano risultati del tutto nella norma. Ebbene, non solo tale tesi è sbagliata perché muove dall’errata equazione anzidetta ma è errata anche perché muove da un altro assioma del tutto indimostrato, ossia che i punti di prelievo fossero identici visto che, come affermato dallo stesso LOTTI, solo i prelievi del 25.9.2018 erano georeferenziati.

SUSSISTENZA DEI REATI CONTESTATI
Insussistenza del reato di inquinamento ambientale e riqualificazione del fatto contestato al capo A) nel reato sussidiario di omessa bonifica.
33. Offerta la ricostruzione in fatto, occorre passare all’analisi dei reati contestati dal Pubblico Ministero, a cominciare da quello più grave di cui al capo A), il delitto di inquinamento ambientale che punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. 
Il reato in parola è un reato “di danno”, integrato da “un evento di danneggiamento”, cagionato in forma alternativa che: nel caso del "deterioramento", consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce l'oggetto in misura tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne, anche parzialmente, l'uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, un'attività non agevole;  nel caso della "compromissione", consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l'uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare (in questo senso si veda Cass. Pen. Sez. III - , Sentenza n. 17400 del 24/01/2023 Cc.  dep. 27/04/2023 Rv. 284557 – 01).
Tale reato non tutela la salute pubblica ma l'ambiente in quanto tale e presuppone l'accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova fattispecie incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 e segg. d.lgs 3 aprile 2006, n. 152 (sul punto si veda Cass. Sez. Pen. III - Sentenza n. 50018 del 19/09/2018 Cc.  dep. 06/11/2018 Rv. 274864 – 01). 
33.1. Date queste premesse, la contestazione di questo specifico delitto è apparsa sin da subito infondata per una ragione molto semplice: l’inquinamento è stato realizzato depositando o comunque non impedendo che venissero depositati in modo incontrollato i proiettili esplosi (bossoli, ogive e parti di esse) nello svolgimento dell’attività di tiro ma il poligono è stato attivo dal 5.10.2003 fino al giugno 2012, vale dire fino ad una data in cui non era ancora stato introdotto il delitto di cui all’art. 452 bis c.p. inserito nel codice penale dalla L. 22 maggio 2015, n. 68, così come l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015. 
Infatti, quandanche l’evento si sia prodotto in data successiva al 29 maggio 2015 (quel che certo è solamente che è stato accertato in data successiva) ai fini del tempus commissi delicti e, dunque, dell’applicazione della legge penale, non rileva il momento in cui si è verificato l'evento (cd. criterio dell’evento) bensì quello in cui la condotta si è totalmente realizzata (cd. criterio della condotta). Dottrina e giurisprudenza hanno, da sempre, preferito questo criterio, perché, se si applicasse il criterio dell'evento, il soggetto non sarebbe più in grado di adeguare la propria condotta alle mutate prescrizioni di legge (tale criterio è stato, da ultimo ribadito, anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che hanno statuito che, in caso di sinistro stradale verificatosi nella vigenza della disciplina di cui al comma terzo dell'art. 589 e di decesso della vittima dopo l'entrata in vigore della L. 23.3.2016, n. 41 deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta – così Cass, Sez.Un., 19.7-24.9.2018, n. 40986).
Né, tantomeno, è sostenibile che l’inquinamento ambientale sia un reato permanente.
33.2. Probabilmente consapevole dei limiti della propria imputazione il Pubblico Ministero:
da un lato, ha cercato di spostare in avanti l’ultima delle condotte inquinanti asserendo che nel luglio 2016, M., a seguito di un’attività di bonifica superficiale, depositava o faceva depositare in modo incontrollato cumuli di terreno di scotico, frammisto a bossoli, ogive e frammenti di questi, per un volume totale di circa 100 mc (cumuli di lunghezza media 25 metri e un’altezza di 0,5 mc) (CER 170504);
dall’altro lato, si cautelava occultando (giacché assorbito, come si vedrà) nella forzata imputazione per inquinamento ambientale il meno grave delitto di omessa bonifica, reato sussidiario rispetto al primo.
Con riferimento alla prima contromisura preme osservare che se, da un punto di vista teorico, come già ricordato, ai fini della configurabilità del reato di inquinamento ambientale, non è richiesta una tendenziale irreversibilità del danno di talché le condotte poste in essere successivamente all'iniziale deterioramento o compromissione del bene non costituiscono un "post factum" non punibile, ma integrano invece singoli atti di un'unica azione lesiva (che spostano in avanti la cessazione della consumazione, sino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili, o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo reato di disastro ambientale di cui all'art. 452-quater dello stesso codice – si veda Cass. Pen. Sez. III, Sentenza n. 15865 del 31/01/2017 Cc.  dep. 30/03/2017 Rv. 269490 – 01) in concreto, l’aver spostato la matrice ambientale dove erano depositate fonti di inquinamento da un punto ad un altro del fondo dell’ex poligono non integra una nuova condotta inquinante. 
Giova ricordare, infatti, che con riferimento a questo cumulo i tecnici ARPAT si limitavano ad affermare che da esso avevano visto affiorare bossoli e ogive senza rilevare alcun danno ambientale significativo e misurabile nella zona di deposito: di talché non si può ritenere questo deposito come una nuova condotta inquinante ulteriore e distinta rispetto a quelle commesse nel novennio 2003-2012 perché non è stato dimostrato l’allargamento dell’area inquinata. In caso contrario, d’altronde, si arriverebbe all’eccesso per cui il deposito anche di una singola ogiva in punto diverso da quelli inquinati costituirebbe di per sé una condotta in grado di aggravare l’inquinamento della matrice ambientale.
Con riferimento alla seconda contromisura, essa è andata più che efficacemente a segno perché, nonostante questo Giudice avesse specificato nel corpo dell’ordinanza del 9.6.2023 che nel capo A) era contestato anche il delitto di cui all’art. 452 terdecies c.p. e nonostante prima della discussione avesse invitato le parti discutere anche in ordine alla diversa definizione giuridica del reato contestato al capo A) nel delitto di omessa bonifica, la Difesa dell’Imputato non si difendeva sul punto.
Eppure, la contestazione in fatto anche del delitto di cui all’art. 452 terdecies c.p. emergeva in maniera evidente dalla lettura del capo A) di imputazione: “(…) nella qualità di obbligato (…) ai sensi dell’art. 242 d. lgs. 152/2006, quale “responsabile dell’inquinamento”, a provvedere alla bonifica dei terreni interessati dalla contaminazione per la presenza di piombo e altre sostanze inquinanti, progressivamente rilasciate dai predetti materiali (…) omettendo di effettuare adeguati interventi di rimozione dei predetti rifiuti (bossoli, ogive e frammenti degli stessi), sorgenti dell’inquinamento nonché di bonifica del sito inquinato, o comunque ponendo in essere interventi parziali ed inadeguati (…) in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 240 ss. D. lgs. 152/2006, per violazione delle prescrizioni, indicazioni e termini fissati dall’Autorità amministrativa nell’ambito del procedimento di bonifica avviato in data 15.10.2015; in violazione della pronuncia del Tribunale di Siena – Giudice unico civile (nel proc. civ. n. 3290/2014 R.G., ricorrente D.  ex art. 702 c.p.c.) che lo aveva condannato alla immediata esecuzione di opere di bonifica e al ripristino del terreno interessato entro il settembre 2016 (…)”.

Il delitto di omessa bonifica 

34. Il citato art. 452- terdecies  c.p. prevede, infatti, quanto segue: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un'autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000".
Come si può apprezzare sin da subito, la clausola di riserva con cui si apre la fattispecie rende la norma applicabile solamente nelle ipotesi di un superamento delle soglie di rischio che non abbia raggiunto (o quanto meno eguagliato) gli estremi dell'inquinamento, ossia che non abbia cagionato una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili dei beni (acque, aria, etc.) così come previsto proprio dall'art. 452- bis c.p.
La disposizione in esame si presenta come un reato omissivo di mera condotta, a forma libera, consistente nella mancata ottemperanza all’obbligo di bonifica derivante: a) dalla legge, b) da un ordine del giudice ovvero c) da un provvedimento di autorità pubblica. 
Tale reato deve, allora, qualificarsi come omissivo proprio, atteso che non chiunque può essere chiamato a rispondere di omessa bonifica, ma solamente quello specifico soggetto su cui ricade l'obbligo giuridico di effettuare la bonifica o il ripristino dell'area. 
Un obbligo che deriva dalla legge, da un provvedimento giurisdizionale o da un provvedimento amministrativo. 
34.1. Poiché, però, l'ordine del giudice o della pubblica autorità non possono che conseguire a un preesistente obbligo di legge rimasto inottemperato e che il giudice o la pubblica autorità altro non fanno che accertare l'esistenza di tale obbligo e statuire di conseguenza, a ben vedere l’obbligo di bonifica scatta nel momento in cui si creano i presupposti di fatto previsti dalla legge: in questo senso, esistono solo due norme all’interno dell’ordinamento che prevedono l’obbligo di bonifica e si trovano nel Testo Unico Ambiente (d. lgs. 152/2006) agli artt. 242 e 250.
34.2. Cominciando dalla trattazione della prima norma citata, al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare un sito, l’art. 242 pone a carico del responsabile dell’evento inquinante una serie di adempimenti: egli, infatti, è tenuto ad adottare le necessarie misure di prevenzione informando le autorità preposte (comma 1) e a svolgere un’indagine preliminare diretta ad accertare se il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) sia stato superato provvedendo, ove ciò non sia avvenuto, al ripristino della zona (comma 2); diversamente, qualora l’indagine preliminare accerti l’avvenuto superamento delle CSC, il responsabile è tenuto a darne immediata notizia al Comune e alla Provincia competenti per territorio e a predisporre il piano di caratterizzazione (comma 3). In base all’esito della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio diretta alla determinazione delle concentrazioni soglia rischio (CSR) (comma 4): qualora in esito alla procedura di analisi di rischio la concentrazione di contaminanti presenti nel sito risulti inferiore alle CSR, il procedimento è dichiarato concluso positivamente (comma 5); al contrario, ove gli esiti della procedura di analisi del rischio evidenzino una concentrazione dei contaminanti superiore alle CSR, si configura il capo al responsabile l’obbligo di provvedere alla bonifica e alla messa in sicurezza del sito (comma 7).
Il procedimento amministrativo di bonifica non si conclude al comma 7 ma da questo momento si configura l’obbligo di provvedere alla bonifica e tanto basta perché si configurino anche le condizioni perché l’obbligato possa rispondere del delitto di cui all’art. 452 terdecies c.p.
Come noto la produzione degli effetti giuridici delle norme, strutturate come inferenze, segue dei modelli logici: nel caso di specie, il modello logico dell’art. 242 cit. è quello norma (N) -  fatto (F) – potere (P) – effetto (E). Infatti, perché vi sia una bonifica occorre che vi sia prima un inquinamento (che costituisce un fatto storico-naturalistico), che da tale inquinamento segua un procedimento amministrativo in cui la Pubblica Amministrazione determini – con un potere espressione di discrezionalità tecnica disciplinato dai criteri previsti dalla Parte IV - Titolo V Allegato 1 del Testo Unico Ambiente – la concentrazione soglia di rischio (CSR) specifica per quel sito, ossia la misura di contaminazione oltrepassata la quale il sito non solo è potenzialmente contaminato ma è contaminato e provoca addirittura un rischio sanitario (un sito è, invece, “potenzialmente inquinato” quando uno o più valori di concentrazione delle sostanze inquinanti rilevati nelle matrici ambientali risultino superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione – CSC – valori predeterminati dall’Allegato 5 al TUA e che per il piombo, come visto, corrispondono a 100 mg/kg nei siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale e a 1000 mg/kg nei siti ad uso industriale o commerciale). Diviene, poi, soggetto obbligato alla bonifica il responsabile dell’inquinamento che, nel corso del procedimento amministrativo di bonifica previsto dall’art. 242 d. lgs. 152/2006 risulti aver prodotto un inquinamento del suolo in misura superiore alle concentrazioni soglia di rischio (CSR) per il sito specifico. 
Ai sensi dell’art. 240 lett. p) d. lgs. 152/2006 per “bonifica” deve intendersi “l'insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)”.
Posto che il giudice penale non può che prendere atto del superamento delle CSR, egli deve comunque verificare che il soggetto obbligato alla bonifica in seno al procedimento amministrativo sia effettivamente il soggetto responsabile dell’inquinamento e sotto questo profilo è chiamato a valutare, come nel caso di specie, non se l’Imputato sia responsabile dell’inquinamento al di là di ogni ragionevole dubbio (standard probatorio richiesto, ad esempio, per individuare il responsabile del delitto di inquinamento ambientale originariamente contestato) bensì – al pari del giudice amministrativo – se sia più probabile che l’Imputato sia responsabile dell’inquinamento rispetto alla possibilità che non lo sia: questo è lo standard probatorio sufficiente affinché nasca l’obbligo ex lege. 
In proposito si ricorda e si condivide quanto recentemente affermato da TAR Puglia (LE) Sez. II n. 204 del 12 febbraio 2024 secondo cui “il D. Lgs. n. 152 del 2006 riconosce alla P.A. il potere di ordinare al privato di eseguire la bonifica attraverso l’emanazione dell’ordinanza ex art. 244, comma 2, che, tuttavia, può essere emanata solo nei confronti del responsabile della contaminazione. Le disposizioni in tema di responsabilità da inquinamento sono, peraltro, correlate al principio comunitario, espressamente richiamato dall’art. 239 del D. Lgs. n. 152 del 2006, secondo cui “chi inquina paga”. Sulla scorta delle indicazioni derivanti dalla Corte di Giustizia UE, deve escludersi l’applicabilità di una impostazione “penalistica” (incentrata sul “superamento del ragionevole dubbio”), trovando invece applicazione, ai fini della sussistenza del nesso di causalità tra attività svolta sull’area ed inquinamento dell’area medesima, il canone civilistico del “più probabile che non”; pertanto, l’individuazione del responsabile può basarsi anche su elementi indiziari, giacché la prova può essere data anche in via indiretta, potendo in tal caso l’amministrazione avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.”.
34.3. Solo nel caso in cui le ricerche del responsabile abbiano avuto esito negativo origina in capo a soggetti diversi l’obbligo di provvedere agli adempimenti previsti dalla legge a tutela dell’ambiente e della salute. L’art. 250 d. lgs. 152/2006 statuisce che “qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né gli altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all’art. 242 sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questi non provveda, dalla regione (…)”. In questo caso, dunque, anche le figure apicali deputate alla materia ambientale di Comune e Regione possono rispondere del reato di omessa bonifica, se all’esito del piano di caratterizzazione e dell’analisi di rischio risultino superati le CSR. Il proprietario del sito non responsabile dell’inquinamento, invece, è tenuto solamente ai sensi dell’art. 245 comma 2 d.lgs. cit. ad adottare misure di prevenzione e di messa in sicurezza in caso di emergenza e non anche gli interventi di bonifica o di ripristino pur potendo, di sua iniziativa, comunque porli in essere.
34.4. Oltre ai predetti obblighi di legge vi è stato anche chi, in dottrina, vi ha incluso quelli assunti contrattualmente tra privati ovvero tra privati e pubblica amministrazione: secondo costoro, infatti, colui che si obbliga contrattualmente lo fa liberamente.
Tale tesi, però, non appare condivisibile per un duplice ordine di motivi: 
in primo luogo, essa sembra operare un’equazione impropria fra obblighi di legge e obblighi da contratto perché la circostanza che un contratto abbia forza di legge fra le parti (art. 1372 c.c.) non significa certamente che medesima sia la fonte dell’obbligo. Come dovrebbe essere noto, le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico (art. 1173 c.c.) e, pertanto, non può che essere distinta la fonte contrattuale rispetto alla fonte legislativa;
in secondo luogo, un simile approdo condurrebbe ad un esito incostituzionale, in quanto verrebbe violata la riserva di legge, essendo rimessa alle parti la determinazione del fatto tipico, ivi compreso l’oggetto dell’obbligazione che potrebbe essere ben diverso dalla “bonifica” così come prevista e disciplinata dal Testo Unico Ambiente così come diversi potrebbero essere i presupposti fattuali in grado di far sorgere l’obbligo.
34.5. Data questa panoramica su quelli che possono essere i soggetti obbligati ex lege e su quali siano i presupposti dell’obbligo, bisogna, allora, interrogarsi su come un provvedimento amministrativo o un provvedimento giurisdizionale incidano sulla configurabilità del delitto di omessa bonifica.
Quanto al provvedimento amministrativo, vale la regola generale per cui il giudice ordinario può disapplicarlo, se ritenuto illegittimo, in virtù dell’art. 4 l. 20.3.1865, all. E.
 La semplice proposizione di un ricorso al giudice amministrativo sulla legittimità del provvedimento non comporta, invece, l'obbligo di sospensione del procedimento penale, atteso che non esiste in materia una pregiudiziale amministrativa.
Al giudice penale, però, è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell'illecito penale – come in questo caso – qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, non dedotti ed effettivamente decisi dal giudice amministrativo (sul punto si vedano Cass. Pen. Sez.VI, Sentenza n. 17991 del 20/03/2018 Ud.  dep. 20/04/2018 Rv. 272890 – 01 e Sez. III, Sentenza n. 44077 del 18/07/2014 Cc.  dep. 23/10/2014 Rv. 260612 – 01).
Allo stesso modo, al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità della sentenza amministrativa di condanna dell’Imputato alla bonifica passata in giudicato, in quanto ugualmente presupposto dell'illecito penale. 
Viceversa, in ragione dell’esclusione della possibilità che fonte dell’obbligo sia il contratto si deve anche escludere che una sentenza civile possa costituire presupposto dell’illecito penale di cui si discute anche perché “le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni in materia di danno all'ambiente” rientrano tra quelle di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – si veda l’art. 133 lett. s) d. lgs. 104/2010.
35. Esaurita l’analisi della norma per ciò che interessa ai fini di questo processo – con esclusione quindi di ogni accenno all’obbligo di ripristino ambientale – occorre, infine, dare conto che sul piano teorico l’omessa bonifica non è punita solo a titolo delittuoso ma anche contravvenzionale in virtù dell’esistenza della fattispecie di cui all’art. 257 d. lgs. 152/2006, la sola che presidiava penalmente le operazioni di bonifica prima dell’introduzione dell’art. 452 terdecies c.p. e che non è stata abrogata – bensì solo modificata – dalla l. n. 68/2015: di conseguenza si impone la risoluzione del concorso apparente fra queste due norme.
L’art. 257 d. lgs. 152/2006 – rubricato “Bonifica dei siti” – prevede che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all'art. 242, il trasgressore è punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da mille euro a ventiseimila euro”.
Tale reato è rimasto immutato rispetto alla sua formulazione originaria eccezion fatta per la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato” inserita anch’essa dalla l. n. 68/2015: pertanto, l’introduzione del nuovo delitto di omessa bonifica sembra impedire ogni possibilità di applicazione estensiva (per non dire analogica) della contravvenzione di cui si discute come è avvenuto, per esempio, per opera di Cass. pen, Sez. III, del 15 novembre 2018 dep. 3 aprile 2019 n.17813 (con riferimento a un fatto commesso nel 2010) a mente della quale essa era integrata anche dall’aver impedito la formazione, e quindi l’attuazione, del piano di caratterizzazione necessario per la predisposizione del piano di bonifica. In definitiva, la fattispecie contravvenzionale non può che essere interpretata in maniera strettamente letterale di talché diventa applicabile solo nei casi delle due condotte alternative previste dalla norma: l’esecuzione di una “bonifica difforme al progetto” ovvero in caso di omessa comunicazione di cui all'art. 242 d. lgs. 152/2006. Le condotte omissive diverse dalle due anzidette andranno ricondotte alla fattispecie delittuosa di nuova introduzione anche qualora, dopo aver accertato il non superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), il responsabile non provveda, come prescritto dall'art. 242, comma 2, al ripristino della zona contaminata.
Ricapitolando, si può affermare che i reati di cui agli artt. 257 d. lgs. 152/2006, 452 terdecies e 452 bis c.p. tutelano in ordine crescente l’ambiente e le matrici ambientali. 
Anzitutto, se un sito è contaminato, la risposta sanzionatoria si diversifica in tre direzioni. Nell’ambito dell’art. 257 cit. viene punito allo stesso modo, da un lato, chi omette di comunicare di aver potenzialmente contaminato un sito (omissione, che all’evidenza, assume i connotati del reato di pericolo) e, dall’altro, chi si è correttamente adoperato per redigere finanche il progetto di bonifica ma lo esegue in maniera difforme, per dolo o per colpa; l’art. 452 terdecies c.p., invece, punisce molto più gravemente chi essendo consapevole di essere obbligato per legge alla bonifica – perché è venuto a conoscenza nell’ambito del procedimento di cui all’art. 242 che sono state superate le CSR e sa di essere il responsabile dell’inquinamento o sa che il responsabile non eseguirà la bonifica – non vi provvede in alcun modo.
La massima risposta sanzionatoria si ha, però, con l’art. 452 bis c.p. quando non necessariamente l’inquinamento ha superato le CSR ma ha interessato porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo ovvero quando, ad essere deteriorato o compromesso è un ecosistema o la biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna di una data area. 

Effetti della riqualificazione del capo A) in ordine alla valutazione delle prove e sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di omessa bonifica

36. Le ricadute della riqualificazione sulla valutazione delle prove assunte nel presente processo sono di tutta evidenza, a cominciare dall’individuazione del responsabile dell’inquinamento. 
Ed, infatti, se già era teoricamente difficile arrivare a insinuare il ragionevole dubbio circa il fatto non già che dei cacciatori avessero prodotto l’inquinamento di un terreno depositandovi ogive e pallini di piombo (evento, questo, che si può anche verificare laddove in una determinata area si pratichi la caccia da postazione fissa per lungo tempo) ma che dei cacciatori avessero inquinato un terreno dove si era svolta per nove anni un’attività di poligono di tiro, con lo standard probatorio del “più probabile che non” l’impresa assume i connotati dell’impossibilità.
Al riguardo preme riportare per intero il passaggio presente nel rapporto n. 158/2012 di ISPRA già più volte citato, così come presente anche nella relazione dei CCTPP UGOLINI e MARRUNCHEDDU: “Quando proiettili e pallini vengono sparati, sfregano contro la canna del fucile e impattano sul terreno; ciò determina abrasioni che portano alla formazione di una polvere fine di piombo che viene rapidamente alterata e trasformata in composti reattivi. Per questa ragione anche nei terreni di poligoni in funzione da poco tempo si possono già rilevare livelli apprezzabili di contaminazione (Craig et al., 2002; Hardison et al., 2004). Una volta nel terreno, il proiettile o i pallini, a contatto con l’aria, l’acqua e le diverse componenti del suolo, tendono ad alterarsi lentamente, a cominciare dalla parte più superficiale. Il piombo metallico si ossida, dando luogo alla formazione di ossidi, idrossidi, carbonati o solfati che formano una crosta esterna. Le reazioni che si determinano dipendono dalla composizione chimica del substrato e dalla conseguente disponibilità di elementi nella matrice del suolo (si veda il cap. 1); generalmente si producono idrocerussite9, cerussite10, anglesite11e massicotto12, sia pure in proporzioni diverse. Successivamente questi composti si disciolgono, liberando cationi bivalenti solubili (Pb2+), che tendono ad associarsi alla materia organica del suolo. Il tempo necessario perché tutto il piombo di un pallino si dissolva varia molto in relazione alle condizioni chimiche del terreno e può richiedere da 30 a 300 anni; la disgregazione avviene più rapidamente in presenza di ossigeno e ad elevata acidità (Lin et al., 1995; Scheuhammer e Norris, 1996; Cao et al., 2003; Vantelon et al., 2005). A seguito di questo processo di ossidazione, nelle aree ove si spara con frequenza con il passare degli anni la quantità di piombo inorganico che può essere mobilizzato nel terreno tende ad aumentare.
Mentre in condizioni naturali o di lieve inquinamento antropico le concentrazioni sono in genere molto basse, inferiori a 100 mg/kg (si veda il cap. 1 e il box 1), nei poligoni sono stati riscontrati valori molto più elevati, da 1 fino a 150 g/kg (Manninen e Tanskanen, 1993; Rooney et al., 1999; Vantelon et al., 2005). Tali valori sono maggiori rispetto a quelli fissati come limiti di inquinamento dei terreni ad uso verde pubblico privato e residenziale (100 mg/kg) o ad uso commerciale e industriale (1 g/kg) in base all’allegato 5 del Decreto Legislativo n. 152/2006, parte IV, titolo V13”.
Dal rapporto ISPRA – la cui autorevolezza non è stata posta in dubbio da nessuno tanto che anche i consulenti dell’Imputato vi hanno attinto ampiamente – emerge in maniera chiara e generale che un poligono di tiro, per il tipo di attività che vi viene esercitata, è in grado, anche in poco tempo, di produrre inquinamento di terreni. Parimenti, da alcuni studi, è risultato che nei poligoni di tiro sono stati rilevati valori di inquinamento dei terreni potenzialmente molto rilevanti da 1.000 mg/Kg a 150.000 mg/Kg.
Senza ripercorrere le valutazioni operate ai paragrafi 31 e 32, l’istruttoria dibattimentale e gli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero hanno dimostrato che l’inquinamento da piombo è derivato dall’attività novennale del poligono mentre non vi è alcuna evidenza del fatto che i terreni agricoli siti in Murlo, censiti al catasto terreni al foglio n. 64 part. 24 e 26 siano stati inquinati dall’attività venatoria. 
Che l’inquinamento sia stato prodotto dall’attività del poligono deriva dalle seguenti inferenze:
a) l’attività è di per sé stessa idonea all’inquinamento che nella normalità dei casi si verifica;
b) PACCIANI Massimo, socio fondatore dell’Associazione di tiro dinamico, ha testimoniato che durante il periodo di attività del poligono, non aveva mai visto effettuare attività di pulitura o di bonifica nonostante egli avesse sollecitato in tal senso diverse volte il M. e riferiva che i militari non raccoglievano mai i bossoli che erano diversi da quelli dei civili, contraddistinti da stelline nel fondello (e numerosissimi erano i bossoli di questo tipo raccolti durante le attività di ispezione del 2018 e del 2019 prodromiche alla consulenza di CALDORA);
c) non è minimamente paragonabile il numero di proiettili sparati nel corso di nove anni in un poligono aperto almeno tre giorni alla settimana (poligono, fra l’altro, frequentato costantemente da esercito e forze dell’ordine o quantomeno da venti persone al giorno) con il numero potenziale di proiettili a pallini sparati dai cacciatori prima e dopo l’apertura del poligono visto che è massima di comune esperienza quella per cui i cacciatori non sparano all’impazzata (come avviene, invece, in un poligono) un colpo dopo l’altro (non fosse altro per non far fuggire tutti gli uccelli della zona) nemmeno se si trovassero in un capanno davanti a uno stagno dove sostano centinaia di uccelli migratori;
d) le zone del poligono che vedono un superamento delle CSR (nei settori n. 3 e 6) si trovano in corrispondenza dei bonetti destinati ad assorbire i proiettili sparati e anche in questo caso è difficile immaginare che i volatili o altri animali di terra amassero sostare in corrispondenza dei bonetti o volteggiarvi intorno;
e) nell’anno 2013, ossia nel corso dell’anno successivo alla chiusura del poligono, la ditta LEONAR raccoglieva 1.230 kg di piombo dai soli bonetti e questo numero testimonia l’idea della quantità delle sole ogive sparate visibili sul terreno;
f) come dimostrato dai numerosi sopralluoghi del NOE di Grosseto ancora oggi sono presenti sul terreno innumerevoli ogive e innumerevoli bossoli visibili ad occhio nudo;
g) in data 6.2.2015 M. comunicava ai sensi del comma 1 dell’art. 242 d. lgs. 152/2006 di essere responsabile dell’inquinamento dei terreni dell’ex poligono di tiro e che l’area era potenzialmente contaminata e si comportava come responsabile dell’inquinamento dal 2012 al 2018 fintanto che non comprendeva che avrebbe dovuto bonificarlo in conformità al Testo Unico Ambiente;
h) RAPACCINI Simone, consulente chimico di M., dopo aver appreso del superamento del parametro del piombo riguardanti la linea di tiro n. 3, e più nello specifico i setti laterali in prossimità del bonetto di impatto dei colpi, riferiva a sommarie informazioni che “non riuscendo a giustificare i valori del parametro del piombo così variabili per punti di prelievo attigui, andavo a constatare sul campione la presenza di piccolissimi frammenti di piombo di dimensioni inferiori a due millimetri. Ho chiesto contezza di ciò a M. il quale mi rappresentava che nella zona di tiro n. 3 vi era un percorso di tiro con fucili da caccia caricati a pallini”;
g) il settore di tiro n. 3 ha visto in due punti il superamento delle CSR alla luce delle analisi condotte dalla MARRUNCHEDDU.
36.1. Chiarito, dunque, che l’Imputato è il responsabile dell’inquinamento, il suo obbligo legale di provvedere alla bonifica è sorto all’esito della Conferenza dei Sevizi del 1.2.2019 in cui veniva accertato il superamento della CSR nell’area 11A e veniva accolto il parere di ARPAT a sottoporre l’area a bonifica stabilendo come obiettivo di bonifica per il suolo superficiale la concentrazione di piombo di 266 mg/Kg in virtù di “un rischio non accettabile pari a 2,1 connesso in massima parte all’esposizione per ingestione (rischio 2,05) e solo minimamente al contatto dermico ed all’inalazione polveri”. Tale obbligo è stato ribadito anche a seguito dei successivi ordini a provvedere del Comune di Murlo, ordini tutti rimasti inottemperati.
Le indagini condotte dalla Procura della Repubblica hanno, inoltre, permesso di appurare che non solo l’area 11A posta all’interno del settore n. 6 fosse contaminata ma che lo fosse anche quella relativa al settore di tiro n. 3.
36.1.1. Al contrario, l’obbligo di M. alla bonifica non è sorto in virtù dell’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. resa dal Tribunale di Siena in quanto il giudice civile ha condannato M. ad eseguire un’attività di bonifica non coincidente con quella perimetrata dal Testo Unico Ambiente bensì identificabile con quanto M. stesso si era impegnato unilateralmente e contrattualmente ad eseguire nei confronti di D.  G.. Come precisato, però, i privati non possono determinare il contenuto dell’azione doverosa dal cui inadempimento dipende l’integrazione di una fattispecie penale.
37. Che M. fosse, poi, a conoscenza dell’obbligo giuridico di provvedere alla bonifica è verità processuale oltremodo granitica tanto da risultare quasi superfluo citare le fonti di prova visto che, fra comunicazioni al Comune e la proposizione di un ricorso al TAR Toscana, l’Imputato ha manifestato in molteplici occasioni di non volere eseguire e di non essere tenuto ad eseguire la bonifica. 
Oltremodo evidente è anche il dato per cui egli fosse ben consapevole di essere il responsabile dell’inquinamento: sin dalla chiusura del poligono, egli si è assunto il compito di restituire al proprietario i terreni nell’esatto stato in cui li aveva ricevuti in godimento, idonei per essere destinati all’uso agricolo e, più in particolare, alla coltivazione del riso. Egli sapeva che i terreni erano ricolmi di ogive e a più riprese chiamava BABEANU per asportare le fonti di inquinamento. Sin da subito, però, appariva chiaro come l’Imputato volesse spendere il meno possibile per adempiere all’obbligazione contrattuale: egli incaricava BABEANU di asportare solo le ogive affioranti sul terreno perché in questo modo non doveva sopportare alcun costo dal momento che il prestatore d’opera tratteneva il piombo raccolto come corrispettivo della sua asportazione. Nel momento in cui, però, M. capiva che per asportare totalmente i proiettili sepolti nel terreno occorreva sopportare già una spesa considerevole, pari a 50.000 euro (perché sarebbero state impiegate ruspe e mezzi meccanici per togliere uno strato di terreno) egli arrestava ogni proposito. 
Preso atto della situazione, comunicava con SCIA al Comune di aver rimosso le fonti di inquinamento, incaricava la ditta di RAMELLI di “spalmare” i bonetti. Il proposito di M. veniva, però, arrestato dal geometra di fiducia, MARTINELLI, il quale temendo che così facendo si potesse allargare l’area eventualmente contaminata invitava RAMELLI non tanto a “spalmare” i bonetti quanto a trasportare la terra contenente, quindi, anche rifiuti pericolosi. Del resto, già lo stesso RAMELLI aveva detto a M. che non era possibile fare quanto da lui richiesto. 
Sollecitato da D. , il Comune ordinava la sospensione dei lavori. Seguivano i piani di indagini di CASTELLANI e SIGNORELLI, geologi incaricati da M. che, nel frattempo, comunicava a Comune e Provincia di essere responsabile del potenziale inquinamento dei terreni dell’ex poligono di tiro. Tuttavia, ogni campionamento vedeva il costante superamento, per almeno un punto di prelievo, delle CSC e poiché M. non era contento dei risultati dei campionamenti, decideva di affidarsi a nuovi tecnici (ossia a Davide MELINI e, poi, in seno a questo processo, al proprio collaboratore Jacopo LOTTI), persone evidentemente disposte ad assecondare la sua insostenibile tesi: quella per cui l’inquinamento del poligono di tiro sarebbe dipeso dall’attività venatoria come dimostrava la presenza di un’altana a ridosso del poligono.
La tesi viene sviluppata, non a caso, quando per M. diventa chiaro che sarà obbligato a bonificare i terreni con costi elevatissimi, ben più alti dei 50.000 Euro stimati qualche anno prima da BABEANU. E non a caso con l’ideazione di questa nuova linea difensiva tutti i tecnici di M. sono cambiati.
A poco servivano le parole che MARTINELLI rivolgeva a M. come si apprende dalle sit del 24.10.2018: “come ho relazionato anche al committente, la rimozione delle terre è risultata insufficiente al corretto ripristino dell’area. Infatti, le indicazioni che io e i geologi davamo alla ditta Grossetana Scavi venivano ridimensionate da M. che imponeva dei tetti di spesa alla ditta. M. P., invece, attribuiva l’esito negativo delle analisi sui campioni del febbraio 2016 alla ditta che aveva eseguito i lavori ed anche al metodo di campionamento”.
In buona sostanza M. si reputava responsabile dell’inquinamento dell’area solamente fino a quando i costi di ripristino fossero stati giudicati da lui congrui ma negava di essere responsabile dell’inquinamento laddove l’area fosse stata da bonificare con costi elevati: eppure, è evidente che, se si è responsabili dell’inquinamento, lo si è a prescindere dalla gravità dell’inquinamento prodotto e dai costi da sostenere per il ripristino.
Il dolo che accompagna l’omissione, dunque, non solo è lampante ma di rarissima intensità. 

Sussistenza della contravvenzione di inottemperanza all’ordinanza sindacale di rimozione di rifiuti di cui al capo D)

38. Gli elementi essenziali della fattispecie penale di cui all'art. 255 comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006, che punisce con la pena dell'arresto fino ad un anno "chiunque non ottempera all'ordinanza del Sindaco, di cui agli art. 192, comma 3, o non adempie all'obbligo di cui agli art. 187, comma 3", sono evidentemente due: l'esistenza di un'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, emessa ex art. 192 cit. e la condotta di inottemperanza da parte dei destinatari dell'ordinanza stessa. Nonostante l'apparenza contraria indotta dal riferimento lessicale a "chiunque" – quello contestato è, allora, pacificamente un reato proprio, che può essere commesso solo dai destinatari formali dell'ordinanza (Cass. Pen. Sez. III, n. 24724 del 15/05/2007, Grispo, Rv. 236954 - 01; Sez. III, n. 31003 del 10/07/2002, P.M. in proc. Viti M ed altro, Rv. 222421) che, in caso di inottemperanza, ne subiscono, per ciò solo, le conseguenze se non hanno provveduto ad impugnare il provvedimento per ottenerne l'annullamento o non hanno fornito al giudice penale elementi significativi per l'eventuale disapplicazione.
In questo senso, non vi è alcun dubbio che il Sindaco di Murlo abbia emesso, in data 27.2.2019, l’ordinanza n. 3 ai sensi dell’art. 192 D. Lgs. 152/2006, con la quale ordinava all’Imputato – in ragione del suo ruolo di Presidente e rappresentante legale dell’“Associazione tiro dinamico senese” che svolgeva attività di gestione di un Poligono di tiro nel periodo dal 5.10.2003 fino al 06.2012, presso i terreni agricoli siti in Murlo, censiti al catasto terreni al foglio n. 64 part. 24 e 26 e dunque di responsabile della contaminazione dei predetti terreni – di provvedere entro 60 giorni alla rimozione dei rifiuti ancora presenti nell’area, costituiti da cumuli di terreno frammisto a frammenti di bossoli e ogive, nonché eventuali ulteriori bossoli, ogive e frammenti degli stessi, costituenti la sorgente primaria della contaminazione, ancora presenti sui bonetti laterali e più in generale sulla superficie del sito in oggetto e di comunicare al Comune l’avvenuta esecuzione di quanto ordinato al fine di consentire l’effettuazione delle opportune verifiche da parte di componenti di organi di controllo.
Altrettanto certo è che M. abbia ottemperato solo parzialmente all’ordinanza: il 21.11.2019 ARPAT comunicava che l’ordinanza era stata solo parzialmente ottemperata perché erano presenti sui terreni ancora bossoli, ogive e frammenti di questi ultimi, sia sui bonetti laterali che su tutta la superficie del terreno “considerato che detti materiali risultano ancora visibili in diversi punti dell’area”. 
Tale situazione di fatto è rimasta immutata fino al 27.2.2024, data in cui veniva effettuato dal NOE l’ultimo sopralluogo sui terreni dell’ex poligono. Per tale ragione, ad oggi, il reato perfezionatosi già a decorrere dalla scadenza del termine per provvedere previsto dall’ordinanza, non si è ancora consumato, in quanto l'inosservanza dell'ordine pone in essere una situazione antigiuridica caratterizzata dall'essere necessaria la condotta dell'agente affinché, con l'esecuzione del provvedimento, venga a cessare la permanenza dei rifiuti sul sito inquinato. Pertanto, l'art. 255, comma 3, d. lgs. 152/2006 (salvo il caso di ordinanza che non possa essere utilmente eseguita dopo la scadenza del termine fissato dall'autorità), configura un reato permanente, che cessa quando lo stesso agente, con un comportamento attivo, dia esecuzione all'ordine ricevuto con rimozione dei rifiuti.
Dall’istruttoria dibattimentale e dalla lettura degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero non sono emerse ragioni per ritenere che l’ordinanza sindacale debba essere disapplicata:
poiché con essa è stato impartito l’ordine di rimuovere bossoli e ogive (e non pallini da caccia) è incontestabile che la presenza delle ogive sia da ricondurre all’attività svoltasi nel poligono fra il 2003 e il 2012. Ad analoga conclusione si deve pervenire anche per i bossoli di ogni tipo, ivi compresi quelli di plastica usati per le munizioni per la caccia ai volatili, in quanto, come detto, è provato che i cacciatori si esercitassero nel poligono.
Anche in questo caso risulta in maniera incontestata dagli atti che l’Imputato fosse a conoscenza dell’ordinanza tant’è vero che nel corpo del ricorso al TAR ha sostenuto di aver addirittura ottemperato all’ordinanza sindacale n. 3/2019 affermando che la presenza di bossoli e ogive sui terreni non fosse a lui attribuibile dal momento che aveva riconsegnato il terreno al proprietario nel 2016. Tale giustificazione appare infondata non solo per i noti motivi già evidenziati (in primis perché in quei terreni sono stati sparati migliaia di proiettili alla settimana per nove anni) ma anche perché D.  non ha mai accettato la riconsegna del fondo dal momento che questo non era mai stato bonificato.

Estinzione per prescrizione del reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui al capo B)  

39. Per concludere la trattazione dei reati ambientali contestati dal Pubblico Ministero si rileva, infine, che la contravvenzione di deposito incontrollato di rifiuti non autorizzata di cui al capo B) si è prescritta nel novembre 2021 tenendo conto dei periodi di sospensione della prescrizione, dell’interruzione massima della prescrizione pari ad un anno e del termine massimo di prescrizione previsto per le contravvenzioni pari a quattro anni. 
A differenza della fattispecie contravvenzionale precedentemente analizzata, infatti, il reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti (art. 256, secondo comma del D.Lgs. 3 aprile 2005, n. 152) ha natura di reato istantaneo, eventualmente con effetti permanenti (si veda sul punto Cass. Sez. III, Sentenza n. 38977 del 07/04/2017 Ud. dep. 08/08/2017 Rv. 271078 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 42343 del 09/07/2013 Ud.  dep. 15/10/2013 Rv. 258313 – 01).
Infatti, il tenore dell'art. 256, commi 1 e 2, d. Lgs. 152/06, nel sanzionare chiunque effettui un'attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della  prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216, nonché i titolari di imprese ed i responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all'articolo 192, commi 1 e 2, è chiaro nel senso che il reato sia a consumazione istantanea e non permanente, a differenza della successiva fattispecie di cui al comma 3 della realizzazione o gestione di una discarica abusiva. È la specifica condotta in sé, che per natura è istantanea, che viene sanzionata, indipendentemente dalla rimozione degli effetti pregiudizievoli arrecati.
Deve essere disatteso il diverso orientamento, sviluppatosi sempre in seno alla Terza Sezione Penale della Cassazione, secondo cui il reato di deposito incontrollato di rifiuti sarebbe permanente giacché, dando luogo ad una forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero ed allo smaltimento, la sua consumazione perdurerebbe sino allo smaltimento o al recupero (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 4 dicembre 2013, n. 48489; idem, Sezione 3 penale, 23 giugno 2011, n. 25216) così come parimenti deve essere disatteso un terzo orientamento, più recentemente formatosi, secondo cui il predetto contrasto sarebbe più apparente che reale perché a seconda delle emergenze del caso concreto, il reato sarebbe permanente quando prodromico ad una successiva fase di smaltimento e istantaneo quando difetterebbe tale fase (Cass. Pez. Sez. III - , Sentenza n. 36411 del 09/05/2019 Ud. dep. 26/08/2019): posto, infatti, che appare alquanto indimostrabile comprendere le intenzioni del reo circa un successivo smaltimento del rifiuto depositato, la fattispecie in esame sanziona la mera azione del “deposito” del rifiuto e non anche l’omesso smaltimento successivo a tale deposito, di talché ogni diversa interpretazione viola il principio di tassatività e determinatezza in materia penale.

Insussistenza del delitto di calunnia di cui al capo C).

40. L’Imputato deve essere, infine, assolto dal reato di calunnia a lui ascritto al capo C).
La giurisprudenza di legittimità, in maniera del tutto condivisibile, ha affermato in più di un’occasione negli ultimi trent’anni, che non integra il delitto di calunnia la denuncia di un fatto realmente accaduto, ma non riconducibile ad alcuna norma incriminatrice, nonostante il denunciante si sia proposto di provocare l'apertura di un procedimento penale ed abbia prospettato specifiche ipotesi di reato (si veda recentemente anche Cass. Sez. VI - , Sentenza n. 30981 del 07/06/2023 Ud.  dep. 17/07/2023 Rv. 285080 - 01). Infatti, l'elemento materiale del delitto di calunnia consiste nell'incolpare falsamente taluno di un reato, di un fatto cioè che alla stregua della prospettazione fattane dall'agente corrisponda in ogni suo estremo ad una ben determinata fattispecie legale di delitto o di contravvenzione, di guisa che non si può ravvisare il delitto di calunnia nel fatto di colui che, denunziandola all'autorità giudiziaria o ad altra che a questa abbia obbligo di riferire, attribuisca ad una persona una condotta non corrispondente ad alcuna fattispecie legale di reato. 
Nel caso di specie, l’Imputato, con denuncia-querela presentata alla Procura di Siena, con memorie del 15.12.2017 e 25.09.2018 nonché nel verbale di interrogatorio reso innanzi al Pubblico Ministero in data 03.01.2018, eccedendo i limiti del diritto di difesa, avrebbe incolpato un soggetto facilmente individuabile in D.  G., di aver chiesto l’autorizzazione per l’apposizione di un’altana da caccia presso i terreni agricoli siti in Murlo, censiti al catasto terreni al foglio n. 64 part. 24 e 26 e, così: 
a) di aver turbato le operazioni di bonifica svolte da M. sul predetto terreno; 
b) di aver cagionato l’inquinamento del già menzionato terreno, per la presenza di piombo.
Tuttavia, non esiste è non è mai esistito alcun reato che sanzionasse il “turbamento delle operazioni di bonifica”.
Quanto all’accusa a D.  di aver concorso a cagionare – evidentemente mediante omissione – l’inquinamento del terreno prodotto dai cacciatori acconsentendo alla costruzione e all’utilizzo dell’altana, la possibilità che da una singola altana possa essere stato realizzato il reato di inquinamento ambientale – connotato come si è già precisato da una compromissione o un deterioramento “significativi” e misurabili delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo ovvero di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna – è così impossibile da rendere il reato stesso di calunnia, allora, un reato impossibile alla stregua di quanto previsto dall’art. 49 comma 2 c.p.

Trattamento sanzionatorio

41. Il reato di omessa bonifica commesso dall’Imputato è estremamente grave.
Gravissimo è il danno all’ambiente, gravissimi sarebbero stati i potenziali danni alla salute umana se, in quei terreni, D.  fosse tornato a coltivare il riso.
Gravissimo è il danno provocato al diritto di proprietà di D.  il quale – per un tempo anche maggiore rispetto al 30.11.2025 (data in cui è prevista la fine dei lavori di bonifica) – non potrà destinare i terreni alla coltivazione perché dovrà impegnarsi, personalmente o a mezzo delle amministrazioni competenti, a bonificare anche l’ex settore di tiro n. 3, non oggetto del procedimento amministrativo di bonifica per quanto riguarda la porzione di terreno sottostante i primi 10 cm.
Gravissimo è il danno alla  collettività tutta, costretta a restituire, un domani, i 550.000,00 Euro erogati dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) per la bonifica dei terreni cui provvederà il Comune di Murlo tramite lo sbancamento, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti presenti nei primi 10 cm di terreno (comprendenti terra, rocce e metalli) dell’intero poligono di tiro pari a 40.000 mq (ossia 4 ettari) e lo scavo a larga sezione, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti presenti fino a 1,5 m di profondità del terreno (comprendenti terra, rocce e metalli)  dell’area di 225 mq del poligono di Thiessen 11.
Gravissimo è stato il comportamento dell’Imputato, militare in congedo dell’Esercito Italiano, Cavaliere del Lavoro, il massimo esperto, forse, di balistica a livello nazionale, consulente di otto commissioni parlamentari di inchiesta. È, infatti, gravissimo che quello che può essere definito a tutti gli effetti “un uomo di Stato” abbia al contempo commesso il reato di cui si discute nelle modalità di cui si è ampiamente discusso: pur di non assumersi le responsabilità economiche dell’inquinamento prodotto si è inventato una tesi così palesemente infondata da risultare offensiva non solo nei confronti di D. , del Comune di Murlo e di questo stesso Tribunale, ma dello stesso M. e della sua storia personale.
E la stessa circostanza che abbia difeso con vigoria una tesi così insostenibile (tanto da ricordare l’imperatore della fiaba di Andersen che voleva far credere ai propri sudditi di non essere nudo quando camminava per strada nudo) rende palese che il principale scopo preso di mira da M. in questo processo, così come nell’ambito del procedimento amministrativo, è stato quello dilatorio. 
Fra l’altro, nel corso del lungo arco temporale di questa vicenda il NOE di Grosseto ha effettuato in data 4.11.2019 accertamenti patrimoniali sulle banche dati di Agenzia delle Entrate – Uffici catastali (si veda p. 1976 del fascicolo del Pubblico Ministero) da cui è emerso che M. è nudo proprietario di un appartamento a Siena dato in usufrutto ai genitori e che il 10.12.2018 ha donato alla moglie MARTINI Roberta un’abitazione di 269 mq sita nel comune di Sovicille (con rendita pari a 1.111,67 Euro). Il trasferimento a titolo di donazione alla moglie di questo secondo immobile e il momento in cui questo è avvenuto – ossia in epoca coeva alla notizia del valore del campione prelevato nel poligono di Thiessen 11A, a ridosso della Conferenza dei Servizi del 1.2.2019 che lo obbligava alla bonifica – costituisce l’ulteriore riprova della malafede dell’Imputato e a rendere manifesta l’unica stella polare del suo agire: la difesa del suo patrimonio.
Per tutte queste ragioni, allora, la pena base da applicare nei confronti dell’Imputato per il reato di cui al capo A) deve essere pari ad anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 72.000,00 di multa.
Evidente è il vincolo della continuazione fra tale delitto e la contravvenzione di cui al capo D) per la quale deve essere applicata la pena di mesi due di reclusione. Come noto, infatti, tra reati puniti con pene eterogenee, l'aumento di pena per il reato "satellite" va effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per "moltiplicazione", rispettando però il genere della pena prevista per il reato "satellite" (si veda Cass. pen. Sez. Unite, 24/09/2018, n. 40983). L’aumento per il reato satellite è, in ogni caso, contenuto se si tiene conto della circostanza che l’omissione perdura ormai da cinque anni. 
La riduzione per la scelta del rito assesta la pena finale in anni due e mesi cinque di reclusione ed Euro 58.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali (la riduzione rimane di un terzo per il reato più grave e della metà per il reato satellite, stante l’appartenenza del primo ai delitti e del secondo alle contravvenzioni).
Segue, ai sensi dell’art. 452 undecies c.p., la confisca di Euro 550.000,00 nei confronti dell’Imputato con l’ordine che tale somma venga messa nella disponibilità del Comune di Murlo e vincolata alla bonifica dell’ex Poligono di tiro sito all’interno del medesimo Comune in Località Campolungo (censito al catasto terreni al foglio n. 64 par. 24 e 26).
Segue, inoltre, ai sensi dell’art. 452 duodecies c.p., l’ordine all’Imputato di ripristinare lo stato dei luoghi, ponendo l’esecuzione a suo carico.

Risarcimento del danno in favore della costituita Parte Civile D.  G. e revoca della Parte Civile Comune di Murlo

42. A D.  G. deve essere riconosciuto un risarcimento pari ad Euro 150.000,00 a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva. Tale somma viene liquidata in via equitativa tenendo conto del fatto che il procedimento amministrativo di bonifica ex art. 250 TUA ha portato il Comune di Murlo ad elaborare un progetto di bonifica che non prevede la bonifica del settore di tiro n. 3 se non per quanto riguarda l’asportazione dei primi dieci centimetri di terreno. 
Il presente processo penale ha, però, dimostrato che anche il settore di tiro n. 3 meriterebbe un analogo intervento a quello che verrà effettuato con riferimento ai 225 mq del settore n. 6.
Pertanto, si reputa congruo condannare M. a pagare a D.  quantomeno la somma sopra indicata affinché la Parte civile possa provvedere alla bonifica ovvero trovare le risorse per spingere M. o il Comune a provvedere in tal senso, ferme restando le responsabilità di ognuno e ferma restando ogni diversa e migliore valutazione in punto di quantificazione del danno da parte del giudice civile.
L’Imputato deve essere altresì condannato al pagamento delle spese legali riferibili alla costituzione della Parte civile, per la costituzione nel presente giudizio e la partecipazione allo stesso, liquidate in euro 12.510,40 per onorari (seguendo i valori massimi del DM 55/2014 così come richiesto dal Difensore per la fase dibattimentale, per la fase davanti al giudice per l’udienza preliminare e per le indagini difensive), oltre I.V.A., Cassa professionale avvocati e rimborso spese forfettario nella misura del 15% di cui si dispone la corresponsione in favore dello Stato.
Deve essere, invece, revocata la costituzione di Parte civile del Comune di Murlo che, in sede di conclusione ha chiesto il risarcimento del danno all’immagine, un danno che l’ente non ha minimamente provato.
P.Q.M.
Visti gli artt. 442, 521, 533 e 535 c.p.p. nonché 81 c.p.
DICHIARA
M. P. colpevole del fatto a lui ascritto al capo A) – riqualificato nel delitto di omessa bonifica di cui all’art. 452 terdecies c.p. – nonché della contravvenzione a lui ascritta al capo D) e, ritenuti i due reati avvinti dalla continuazione, individuato come più grave il delitto di omessa bonifica e applicata la diminuzione per il rito, per l’effetto, lo
CONDANNA
Alla pena di anni due e mesi cinque di reclusione ed Euro 58.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Visto l’art. 452 undecies c.p.
ORDINA
Che venga disposta la confisca di Euro 550.000,00 nei confronti di M. P. e che tale somma venga messa nella disponibilità del Comune di Murlo e vincolata alla bonifica dell’ex Poligono di tiro sito all’interno del medesimo Comune in Località Campolungo (censito al catasto terreni al foglio n. 64 par. 24 e 26).
Visto l’art. 452 duodecies c.p.
ORDINA
a M. P. di ripristinare lo stato dei luoghi ponendo l’esecuzione a suo carico.
Visti gli artt. 538 e 539 c.p.p.,
CONDANNA
M. P. al risarcimento, in favore della costituita parte civile D.  G., dei danni patrimoniali e non patrimoniali dalla stessa patiti in conseguenza dei reati commessi, da liquidarsi in separata sede civile.
Visto l’art. 539 cpv. c.p.p.,
CONDANNA
M. P. al pagamento, in favore della costituita parte civile D.  G., della somma di Euro 150.000,00 a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, come per legge.
Visto l’art. 541 c.p.p.,
CONDANNA
M. P. al pagamento delle spese legali riferibili alla costituita parte civile D.  G., per la costituzione nel presente giudizio e la partecipazione allo stesso, liquidate in euro 12.510,40 per onorari, oltre I.V.A., Cassa professionale avvocati e rimborso spese forfettario nella misura del 15%.
Visto l’art. 530 c.p.p.
ASSOLVE
M. P. dal reato a lui ascritto al capo C) perché il fatto non sussiste.
Visto l’art. 531 c.p.p.
DICHIARA
Non doversi procedere nei confronti di M. P. per il reato a lui ascritto al capo B) per intervenuta prescrizione del reato.
Visto l’art. 544, terzo comma, c.p.p.,
INDICA
In giorni novanta il maggior termine per il deposito della motivazione.
Siena, 29.4.2024
Il Giudice
Francesco Cerretelli