Cass. Sez. III n. 41583 del 12 novembre 2007 (Ud 9 ott. 2007)
Pres. Lupo Est. Squassoni Ric. Pagnotta ed altro
Rifiuti. Luogo di smaltimenti dei rifiuti

Nella autorizzazione deve essere precisato il luogo di smaltimento dei rifiuti e la sua individuazione costituisce un elemento essenziale del provvedimento autorizzatorio in quanto implica una valutazione positiva della competente autorità circa l'idoneità del sito allo scopo richiesto; consegue che l'utilizzo di una area diversa da quella cui si riferisce il provvedimento della Regione configura la fattispecie di gestione di rifiuti senza la prescritta autorizzazione

Motivi della decisione

Con sentenza 7 luglio 2006, il Tribunale di Orvieto ha ritenuto Pagnotta Patrizia e Merluzzo Valentino responsabili - condannandoli alla pena di giustizia - dei reati previsti dall’art. 51 c. 1 lett. a) e c. 2 D.L.vo 22/1997.

Per l’annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:

- che il Giudice ha ritenuto responsabile il Merluzzo solo perché proprietario del suolo non considerando che tale qualifica, anche unita alla consapevolezza dello abbandono dei rifiuti, non è sufficiente per integrare le fattispecie di reato in esame;

- che la condotta era sussumibile nella ipotesi prevista dall’art. 51 c. 4 D.L.vo 22/1997 (inosservanza delle prescrizioni);

- che l’attitudine al reimpiego dei materiale era in re ipsa per cui è stata violata la norma interpretativa della nozione di rifiuti (art. 14 D.L. 138/2002 conv. L. 178/2002).

Le deduzioni non sono meritevoli di accoglimento.

La prima censura è in astratto puntuale (dal momento che il proprietario di una area risponde dello abbandono di rifiuti, che altri soggetti abbiano scaricato sul suo sito, solo nel caso di concorso nel reato), ma è inconferente nella ipotesi che ci occupa; l’imputato è stato chiamato a rispondere di due violazioni dell’art. 51 D.L.vo 22/1997 nella sua qualità di legale rappresentante della società che ha posto in essere una attività di gestione di rifiuti non autorizzata.

La tesi difensiva della sua estraneità alla condotta antigiuridica (peraltro, priva della necessaria concretezza) non era stata prospettata al Giudice di merito ed implica la risoluzione di questioni in fatto che esulano dai limiti cognitivi della Cassazione.

Tanto premesso, la Corte rileva come il Tribunale abbia avuto cura di precisare quali fossero le espletate investigazioni e le fonti probatorie rappresentate dalle indagini del Nucleo Operativo Ecologico e dalla testimonianza di un accertatore - dalle quali ha tratto il convincimento sullo snodarsi dei fatti per cui è processo; tale ricostruzione, di estrema sintesi, avrebbe meritato nella sentenza una più articolata puntualizzazione.

Comunque, il testo del provvedimento in esame fa comprendere come gli imputati su di una area effettuavano attività di messa in riserva di rifiuti (derivanti dalla attività di costruzione e demolizione) per la quale non erano autorizzati; il Giudice ha esplicitato la ragione per cui, in relazione alla entità dello accumulo ed alla durata della giacenza del materiale, non si potesse configurare una ipotesi di deposito controllato (e su questa conclusione, i ricorrenti non hanno formulato censure).

Inoltre - secondo il Tribunale - gli imputati avevano gestito rifiuti, per i quali erano muniti di autorizzazione, ma in un sito non rientranti tra quelli facoltizzati per le operazioni di stoccaggio; i ricorrenti deducono (senza esplicitare gli argomenti a sostegno del loro assunto) che tale condotta andasse qualificata a sensi dell’art. 51 c. 4 D.L.vo citato.

La tesi non è fondata.

Nella autorizzazione deve essere precisato il luogo di smaltimento dei rifiuti, a sensi dell’art. 28 D.L.vo 22/1997, e la sua individuazione costituisce un elemento essenziale del provvedimento autorizzatorio in quanto implica una valutazione positiva della competente autorità circa l’idoneità del sito allo scopo richiesto; consegue che l’utilizzo di una area diversa da quella cui si riferisce il provvedimento della Regione configura la fattispecie di gestione di rifiuti senza la prescritta autorizzazione (Cassazione Sezione 3 sentenza 36499/2006).

Pertanto, la condotta è stata correttamente sussunta nelle ipotesi di reato contestate e ritenute in sentenza.

Relativamente alla residua censura, non è invocabile la norma introdotta dall’art. 14 D.L. 138/2002 conv. L. 178/2002 e vigente all’epoca del fatto (a parte la discussa questione della sua compatibilità con le disposizioni comunitarie) per la decisiva ragione che manca la prova della effettiva riutilizzazione dei rifiuti solo labilmente dedotta dagli imputati.