Cass. Sez. III n. 19251 del 21 maggio 2012 (Cc 22 mar 2012
Pres.Petti Est. Amoresano Ric. Midun
Modificazioni genetiche. Messa in coltura di prodotti sementieri OGM
L'autorizzazione della Commissione europea per l'immissione in commercio di prodotti sementieri geneticamente modificati (nella specie, sementi di mais) non comprende anche la messa in coltura degli stessi, per la quale è invece necessaria ulteriore autorizzazione della competente autorità nazionale, pena l'integrazione del reato di cui all'art. 1, comma primo, del d. lgs. n. 212 del 2001. (In motivazione la Corte ha affermato che la previsione in oggetto è compatibile con la normativa europea, avendo questa demandato agli Stati membri di assicurare la coesistenza tra colture transgeniche e colture tradizionali, al fine di impedire che le prime pregiudichino o danneggino le seconde).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 22/03/2012
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - rel. Consigliere - N. 719
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 41169/2011
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) Midun Stefano nato il 23.1.1963;
avverso l'ordinanza del 20.9.2011 del Tribunale di Udine;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Silvio Amoresano;
udite le conclusioni del P.G., Dr. Spinaci Sante, che ha chiesto rigettarsi il ricorso;
sentito il difensore, avv. Longo Francesco, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 20 settembre 2011 il Tribunale di Udine rigettava la richiesta di riesame, proposta nell'interesse di Midun Stefano, avverso i provvedimento di sequestro, emesso ai sensi dell'art. 253 c.p.p., dal P.M. presso la Procura della Repubblica di Udine in data 24.8.2011 ed avente ad oggetto due fondi siti nel Comune di Coseano e le piante di mais messe a coltura su detti fondi, ipotizzandosi nei confronti dell'indagato il reato di cui al D.Lgs. n. 212 del 2001, art. 1, comma 5.
Premetteva il Tribunale che non era in contestazione la messa a coltura di sementi di mais riferibili all'evento OGM "Mon 810" e l'assenza di autorizzazione alla semina, assumendosi, invece, dal ricorrente che, essendo tale OGM già autorizzato per l'immissione in commercio (con decisione della commissione n. 98/294), anche come seme per la coltivazione, ed essendo la varietà di mais seminata iscritta nel catalogo comune europeo, non erano necessarie ulteriori autorizzazioni per la semina.
Tanto premesso, riteneva il Tribunale che le autorizzazioni previste dal D.Lgs. n. 212 del 2001, art. 1 fossero conformi alla normativa comunitaria. Infatti l'art. 26 bis della direttiva 18/2001 (introdotto con l'art. 43 del reg.CE 1829/03) prevede la possibilità per gli Stati membri di adottare le misure opportune per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altri prodotti. Inoltre la raccomandazione 2003/556/CE, nel ribadire che nell'Unione debbono coesistere tutte le forme di coltivazione (agricoltura convenzionale, biologica o che si avvale di OGM), indica agli Stati membri di dare attuazione a misure relative alla coesistenza (ma tale finalità sarebbe vanificata se la semina di eventi OGM, già autorizzati, avvenisse liberamente). La raccomandazione 2010/C200/01, sostitutiva della precedente, ha rafforzato la possibilità per gli Stati membri di interventi idonei ad evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche. Tale raccomandazione è stata attuata con la L. n. 4 del 2005, che ha convertito il D.L. n. 297 del 2004. Assumeva, poi, il Tribunale che la decisione della Commissione europea del 2.9.2003, richiamata dal ricorrente, importava che lo Stato membro non potesse vietare genericamente l'impiego di OGM su tutto il territorio nazionale, ma non escludeva la conformità alla normativa comunitaria di un potere autorizzatone). L'esistenza di detto potere autorizzatorio si evinceva anche dalle sentenze del Consiglio n. 183/2010 e 1026/2009.
Secondo il Tribunale, quindi, l'utilizzo per la semina di mais contenente l'evento OGM, iscritto nel catalogo europeo, necessita di autorizzazione, per cui, essendo pacifica la mancanza di questa, ricorreva il fumus del reato ipotizzato. Assumeva, infine, il Tribunale che la pregiudiziale interpretativa che si chiedeva di sollevare non era pertinente, derivando la necessità di ulteriore autorizzazione alla semina dalla stessa normativa comunitaria e dalle raccomandazioni, e non costituendo il D.Lgs. n. 212 del 2001, art. 1 norma tecnica.
2. Ricorre per cassazione Midun Stefano, a mezzo del difensore. Dopo aver richiamato le argomentazioni dell'ordinanza impugnata, denuncia, con il primo motivo, la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche (Direttiva CEE n.2001/18, Direttiva CEE n.1998/34) di cui si sarebbe dovuto tener conto nell'applicazione della legge penale. Il Tribunale ha erroneamente ricostruito il quadro normativo di riferimento ed ha erroneamente interpretato il contenuto della direttiva 2001/18/CE. L'art. 1 di tale direttiva prevede una distinzione tra autorizzazione per l'emissione deliberata in ambiente di OGM a scopo diverso dall'immissione in commercio e autorizzazione per l'immissione in commercio (comprensiva quindi di aspetti legati alla semina ed alla successiva coltivazione). La parte B della direttiva (art. 6) riguarda la emissione deliberata di OGM per qualsiasi fine diverso dall'immissione in commercio (e cioè per fini sperimentali), mentre la parte C riguarda la procedura autorizzatoria (notificazione ex art. 13) di OGM per l'immissione in commercio.
A voler seguire l'interpretazione dell'ordinanza impugnata (secondo cui l'autorizzazione alla immissione in commercio non comprende anche la semina), si avrebbe una direttiva che non contempla una procedura autorizzatoria per la semina (emissione deliberata in ambiente) di OGM per motivi commerciali. Nè avrebbe significato l'art. 22, che pone il principio del divieto per gli Stati membri di porre limitazioni all'utilizzo ed all'impiego di OGM (attraverso l'ulteriore autorizzazione per la semina, infatti, uno Stato membro potrebbe opporre dei dinieghi anche per motivi diversi dall'art. 23 della direttiva).
La conferma di siffatta interpretazione si rinviene nella decisione della Commissione europea n.2003/653/CE del 2.9.2003, secondo cui l'autorizzazione all'immissione in commercio di sementi geneticamente modificate ai fini della loro coltivazione è disciplinata esclusivamente dalla direttiva 2001/18/CE (che, come si è visto, non prevede una distinta autorizzazione per la semina ai fini dell'immissione in commercio). Viene confermato cioè che l'immissione in commercio comporta anche l'emissione deliberata in ambiente di un OGM per fini commerciali.
L'immissione di un OGM in commercio deve seguire fa procedura prevista dagli artt. da 12 a 24 della direttiva 2001/18/CE. E, una volta espletata detta procedura, i prodotti di cui si chiede l'autorizzazione all'immissione in commercio (e quindi anche alla semina) posseggono i requisiti previsti, con conseguente possibilità di utilizzazione in tutti gli Stati membri, senza ulteriori notifiche. L'autorizzazione al divieto di utilizzazione di un OGM può essere chiesta alla Commissione, ma solo in base a quanto previsto dall'art. 23 (Clausola di salvaguardia).
Ne consegue che la previsione di un'autorizzazione ulteriore per seminare un OGM già "catalogato" costituisce una misura che limita l'immissione in commercio di quell'OGM.
L'evento genetico MON810 ha ottenuto autorizzazione scritta all'immissione in commercio, ai sensi della direttiva 90/220/CEE (abrogata dalla direttiva 2001/18/CE) e le varietà seminate o seminande, che contengono l'evento genetico in questione, sono tutte Iscritte al Catalogo Comune Europeo delle varietà.
Assume poi li ricorrente che il D.Lgs. n. 212 del 2001 non costituisce attuazione della Direttiva CEE n. 2001/18, essendo stata quest'ultima pubblicata sette giorni prima e non prevedendo il primo alcun espresso richiamo alla direttiva ed in particolare (contrariamente a quanto affermato dal Tribunale) all'art. 6 e non essendovi, comunque, alcuna connessione tra le due procedure. Con il secondo motivo denuncia la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche (direttiva CEE n. 1998/34) di cui si deve tener conto
nell'applicazione della legge penale.
Il D.Lgs. n. 212 del 2001 vieta la commercializzazione e l'utilizzo di un prodotto (OGM già autorizzato a livello europeo), per cui, anche se la normativa in esso contenuta fosse discesa (come ritiene il Tribunale) da quella comunitaria, essa andava preventivamente comunicata alla Commissione europea. Il Tribunale non indica neppure quale sia la norma europea recepita dalle disposizioni del decreto legislativo in questione (commi da 1 a 7). Prevedendo tali disposizioni il divieto di utilizzo di un OGM sul territorio italiano, andavano notificate alla Commissione europea. Con il terzo motivo denuncia la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche (art. 26 bis detta Direttiva 2001/18/CE e raccomandazione 2003/556/CE). Il Tribunale individua un nesso consequenziale tra l'art. 26 bis cit., e il D.Lgs. n. 212 del 2001, art. 1, commi da 1 a 7), senza tener conto, che, per le ragioni in precedenza esposte, non vi è alcun collegamento.
Netta direttiva in questione non vi era originariamente alcuna previsione in ordine alla "coesistenza". L'art. 26 bis fu introdotto dal Regolamento CE 1829/2003, emanato il 22.9.2003, per cui vi è assoluta incompatibilità temporale.
Peraltro le norme sulla coesistenza riguardano solo aspetti economici, dal momento che gli aspetti ambientali e sanitari sono stati già risolti dalla direttiva 2001/18/CE.
Il decreto legislativo, nel porre il divieto alla semina di OGM senza autorizzazione, prende, invece, in considerazione motivi santtari ed ambientali. Chiede, pertanto, la remissione alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento della UE, di tre questioni pregiudiziali e l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
2.1. Con memoria, depositata in cancelleria in data 5.3.2012, si approfondiscono le precedenti deduzioni e richieste, in particolare In ordine al nesso tra D.Lgs. n. 212 del 2001 e l'art. 26 bis della direttiva CE, al concetto di coesistenza, erroneamente interpretato dal Tribunale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è Infondato e va, pertanto, rigettato.
2. Fondamentale per la disciplina dell'utilizzo e della circolazione di OGM è la Direttiva 2001/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio. Tale direttiva ha lo scopo dichiarato (art. 1) di Ravvicinare, nel rispetto del principio precauzionale, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri e di tutelare la salute umana e l'ambiente, quando: - si emettono deliberatamente nell'ambiente organismi geneticamente modificati a scopo diverso dall'Immissione in commercio all'interno della Comunità, - si immettono in commercio all'interno della Comunità organismi geneticamente modificati come tali o contenuti in prodotti.
Come ricorda anche il ricorrente, la Direttiva in questione prevede un'autorizzazione per l'emissione deliberata in ambiente di OGM per qualsiasi fine diverso dall'immissione in commercio (Parte B). Secondo l'art. 6 chiunque intenda effettuare un'emissione di un OGM o di una combinazione di OGM è tenuto a presentare preventivamente una notifica all'autorità competente dello Stato membro sul cui territorio avverrà l'emissione, con allegata la documentazione specificamente indicata. Ed il notificante può procedere all'emissione solamente dopo l'autorizzazione scritta dell'autorità competente e rispettando tutte le condizioni in essa precisate. La parte C della Direttiva riguarda, invece, l'immissione in commercio di OGM come tali o contenuti in prodotti, che è soggetta ad una procedura comunitaria disciplinata dagli artt. 12 e 19. Una volta rilasciata, all'esito della procedura, l'autorizzazione scritta alla sua immissione sul mercato, l'OGM può essere utilizzato senza ulteriori notifiche in tutta la Comunità.
Mentre, quindi, per la emissione deliberata in ambiente di un OGM è necessaria un'autorizzazione a livello nazionale, per le immissioni in commercio bisogna far ricorso alla procedura comunitaria. 2. È pacifico, come da atto anche il Tribunale, che l'evento genetico "Mon 810" è stato già autorizzato per l'immissione in commercio con decisione della Commissione n.98/294/CE. Secondo il ricorrente l'autorizzazione all'Immissione in commercio comprenderebbe anche la semina. Si assume infatti che una volta espletate tutte le procedure, se i prodotti di cui si richiede l'autorizzazione all'Immissione in commercio posseggono tutti i requisiti, vengono autorizzati all'immissione in commercio. Il che include in sè anche un'autorizzazione a che l'OGM possa essere seminato, ovvero immesso deliberatamente in ambiente, direttamente dall'agricoltore senza dover chiedere un'ulteriore autorizzazione alle competenti Autorità nazionali (pag.13 ricorso). E sulla base di tale assunto si ritiene che la necessità di un'ulteriore autorizzazione, per la semina, da parte dello Stato membro (come previsto dal D.Lgs. 24 aprile 2001, n. 212) si ponga in contrasto con la Direttiva, in quanto si tratta di misura che limita, ostacola ed impedisce, vietandola, l'immissione in commercio di un OGM già autorizzato a livello comunitario.
La tesi difensiva non può trovare accoglimento.
Innanzitutto dalla Direttiva non risulta affatto che l'immissione in commercio comprenda anche la semina. L'art. 2, piuttosto, nel dare la definizione di "immissione in commercio" fa riferimento esclusivamente alla "messa a disposizione di terzi, dietro compenso o gratuitamente". E la semina certamente non è un'operazione che possa essere ricompresa in tale definizione. In secondo luogo non si tiene conto che l'art. 26 bis della medesima direttiva prevede espressamente che gli Stati membri possano adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti. Tale norma, introdotta dal Regolamento CE 1829/2003, venne emanata il 22.9.2003, e faceva seguito alla raccomandazione 2003/556/Ce del 23 luglio 2003. La Commissione europea, dopo aver considerato - che nell'Unione europea non deve essere esclusa alcuna forma di agricoltura, convenzionale, biologica o che si avvale di un OGM, che la capacità di mantenere filiere di produzione agricola separate costituisce un presupposto indispensabile per poter offrire un'ampia scelta al consumatori, - che la coesistenza attiene alla capacità degli agricoltori di operare una libera scelta tra agricoltura convenzionale, biologica o transgenica, - che la procedura di concessione definitiva dell'autorizzazione prevista dalla Direttiva 2001/18/CE prevedeva misure specifiche in materia di coesistenza sotto il profilo della salute umana e dell'ambiente, - che, invece, si intendeva prendere in considerazione l'aspetto della coesistenza riguardante il potenziale pregiudizio economico e l'impatto della commistione tra colture transgeniche e non transgeniche, nonché le misure di gestione più idonee che possono essere adottate per minimizzare il rischio di commistione, riteneva opportuno che gli Stati membri elaborassero o dessero attuazione a misure relative alla coesistenza.
Risulta evidente che la Commissione, avendo ravvisato un "vuoto" normativo, non essendo la coesistenza sotto il profilo del rischio di commistione (tra colture transgeniche e non) disciplinato dalia direttiva 2001/18/CE emetteva la raccomandazione. E significativamente quel "Vuoto" veniva colmato, inserendo proprio nella direttiva sopra richiamata, l'art. 26 bis che autorizzava espressamente gli Stati membri ad intervenire per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti (colture convenzionali o biologiche), vaie a dire ad assicurare la coesistenza tra colture transgeniche e non. La raccomandazione 2003/556/CE è stata poi abrogata e sostituita dalla Raccomandazione 2010/C200/01 del 13.7.2010 che ha ulteriormente ribadito la necessità di "combinare il sistema di autorizzazione dell'Unione Europea, basato sulla scienza, con la libertà per gli Stati membri di decidere se autorizzare o meno la coltivazione di OGM nel loro territorio". 3. Per quanto evidenziato in precedenza il D.Lgs. 24 aprile 2001, pur recependo "ratione temporis" le Direttive 98/95/CE e 98/96/CE, è assolutamente in "linea" e "compatibile" con la normativa europea, demandando questa, come si è visto, espressamente, agli Stati membri di assicurare la coesistenza tra colture transgeniche e colture tradizionali, ai fine di impedire che te prime costituiscano pregiudizio o danneggino le altre.
Contrariamente a quanto ritiene il ricorrente non è esatto che il predetto D.Lgs. si occupi di aspetti legati alla salute e all'ambiente e non a problematiche di ordine economico legate alla coesistenza di diverse filiere produttive (pag. 23 ricorso). L'art. 1, comma 2 prevede, invero, espressamente, che la "messa in coltura dei prodotti sementieri di cui al presente comma è soggetta ad autorizzazione con provvedimento del Ministero delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministero dell'Ambiente e del Ministero della Sanità, emanato previo parere della Commissione di cui al comma 3, nel quale sono stabilite misure idonee a garantire che le colture derivanti da prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate non entrino in contatto con colture derivanti da prodotti sementieri tradizionali..". E, difatti, la Commissione, costituita con Decreto del Ministro delle Politiche agricole e forestali (art. 1 comma 3), a) esprime pareri sulle condizioni tecniche da seguire nella messa a coltura di prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate al fine di garantire gli obiettivi del comma 2; b) definisce, nel caso di eventuali deroghe concesse ai sensi della L. n. 1096 del 1971, art. 37, comma 1, come sostituito dall'art. 10 del presente decreto, i criteri per il rispetto del principio di precauzione e delle disposizioni del D.Lgs. n. 92 del 1993 e successive modificazioni; c) accerta che sia stata verificata l'assenza di cui all'art. 20 bis, comma 1, lett. b), della L. n. 1096 del 1971, come aggiunto dall'art. 9 del presente decreto, d'intesa con le regioni interessate ai sistemi agrari soggetti alla verifica stessa..." (art. 1, comma 4). 4. Lungo la stessa linea, del resto, si muove il D.L. 22 novembre 2004, n. 279, conv. in L. n. 5 del 2005 (che da attuazione alla Raccomandazione 2003/556/CE, sopra richiamata), nel disciplinare il quadro normativo minimo per la coesistenza tra le colture transgeniche e quelle convenzionali e biologiche.
I diversi tipi di coltura debbono infatti essere praticati senza che l'esercizio di una di esse possa compromettere lo svolgimento delle altre (art. 2, comma 1), allo scopo di tutelare le peculiarità e le specificità produttive ed evitare ogni forma di commistione tra le sementi transgeniche e quelle convenzionali e biologiche (art. 2, comma 2). Le colture transgeniche debbono essere praticate senza alcun pregiudizio per le attività agricole preesistenti e senza comportare per esse l'obbligo di modificare o adeguare le normali tecniche di coltivazione e allevamento (art. 2, comma 2 bis). La Corte Costituzionale nel dichiarare, con la sentenza n. 116/2006, la illegittimità costituzionale del D.L. n. 279 del 2004, artt. 3, 4 e 6, commi 1 e 2, artt. 7 e 8, in quanto spetta alle Regioni disciplinare la produzione agricola, pur in presenza di colture tansgeniche, ha fatto salvi dal cit. D.L., artt. 1 e 2 e quindi il principio di coesistenza.
5. Il legislatore nazionale, pertanto, in aderenza ed in attuazione delle norme comunitarie, ha previsto una serie di misure per evitare la commistione tra colture transgeniche e non ed in tale ambito (limitato) rientra la necessità dell'autorizzazione prevista dal D.Lgs. n. 212 del 2001, art. 1, comma 2, la cui mancanza è sanzionata dal cir. D.Lgs., l'art. 1, comma 5.
È del tutto evidente che, perché possa essere garantita l'osservanza del principio di coesistenza, è necessario una verifica preventiva da parte degli organi competenti, altrimenti verrebbe frustrata l'esigenza di garantire, da un lato, la possibilità di scelta tra agricoltura convenzionale, biologica o transgenica, e, dall'altro, di impedire pregiudizi economici da commistione tra le varie colture.
6. Non contraddicono la linea interpretativa della normativa nazionale e comunitaria prospettata ne' le Decisioni della Commissione delle Comunità Europee, ne' la giurisprudenza amministrativa.
Con la decisione del 2.9.2003 in relazione alle disposizioni nazionali sul divieto di impiego di organismi geneticamente modificati nell'Austria Superiore, la Commissione, dopo aver ricordato che, a norma dell'art. 95, par. 5 del trattato CE, l'introduzione da parte di uno Stato membro di disposizioni nazionali in deroga a misure comunitarie di armonizzazione è subordinata a tre condizioni (le disposizioni devono essere fondate su nuove prove scientifiche inerenti alla protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro, deve esistere un problema specifico allo Stato membro che chiede la deroga e tale problema deve essere insorto dopo l'adozione della misura di armonizzazione), riteneva che la richiesta delle Autorità austriache di introdurre disposizioni nazionali destinate a vietare l'impiego di OGM nell'Austria Superiore non rispettasse le condizioni previste dall'art. 95 medesimo. Infatti non erano state fornite nuove prove scientifiche riguardanti la protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro, ne' era stato dimostrato l'insorgenza di un problema specifico dopo l'adozione della Direttiva 2001/18/CE tale da rendere necessaria l'adozione delle disposizioni nazionale notificate.
All'evidenza, nel caso sottoposto all'esame della Commissione, le disposizioni che si intendeva introdurre risultavano più restrittive sotto un duplice aspetto: a) il principio di base della direttiva 2001/18/CE è la vantazione dei rischio caso per caso, mentre la legge austriaca prevede un divieto generalizzato; b) la direttiva 2001/18/CE, in combinazione con le direttive sulle sementi, consente la libera circolazione delle sementi geneticamente modificate autorizzate a livello comunitario, mentre la legge austriaca vieta tutte le sementi geneticamente modificate, indipendentemente dal fatto che siano state autorizzate o meno. Come ha correttamente rilevato il Tribunale, tale decisione ribadiva che lo Stato membro, una volta autorizzato l'impiego di un OGM, non poteva genericamente vietarne il suo impiego su tutto il territorio. Tale divieto si poneva, infatti, in contrasto con l'art. 22 della Direttiva più volte richiamata, a meno che non ricorressero le condizioni previste dalla clausola di salvaguardia di cui all'art. 23. Altra cosa, invece, è l'autorizzazione, prevista dal D.Lgs. 24 aprile 2001, n. 212 che mira, caso per caso, a verificare il rispetto del principio di coesistenza ad evitare il rischio di commistione tra colture transgeniche e colture tradizionali.
Anche la sentenza del Consiglio di Stato n. 183/2010, dopo aver osservato che, una volta iscritto un OGM nel catalogo comune europeo non vi sono ostacoli, sotto il profilo sanitario o ambientale, alla messa a coltura e che non è consentito nelle more dell'adozione dei piani di coesistenza vietare in via transitoria coltivazioni transgeniche (il D.L. n. 279 del 2004, art. 8 era stato dichiarato incostituzionale con la sentenza della Corte Cost. n.116/2006), si limitava ad evidenziare che "il blocco generalizzato dei procedimenti di autorizzazione in attesa dei c.d. piani di coesistenza regionali, avrebbe esposto lo Stato Italiano a responsabilità sul piano comunitario, rendendo di fatto inapplicabile nell'ordinamento nazionale quello che è un principio imposto dal diritto comunitario".
Non riteneva, invece, in alcun modo che l'autorizzazione per la messa a coltura di OGM, prevista dalla normativa nazionale, per assicurare il principio di coesistenza, sì ponesse in contrasto o al di fuori di quella comunitaria. Piuttosto, implicitamente, ne riteneva la piena legittimità, tanto che ordinava all'Amministrazione di concludere il procedimento autorizzatorio nel termine di novanta giorni.
Il TAR Lazio, più di recente, con sentenza n. 5532 del 21.6.2011 ha ribadito che la disciplina comunitaria regolamenta gli aspetti che incidono sulla circolazione degli OGM, condizionandola a valutazioni di carattere ambientale e sanitario, tutelando quindi l'ambiente, la vita e la salute. Lo Stato membro, invece, ha il compito di adottare le norme per evitare la presenza non volontaria di OGM con altri prodotti, tutelando la libertà di iniziativa economica, la qualità e tipicità del settore agro-alimentare.
7. Infondati, infine, sono anche i motivi di ricorso, con i quali si assume che la normativa dei D.Lgs. n. 212 del 2001, vietando la commercializzazione e l'utilizzo di un prodotto (OGM già autorizzato a livello), andava comunque notificata alla Commissione europea. La Comunicazione della Commissione europea del 31.3.2011, richiamata dal ricorrente, pur affermando che la legislazione italiana sugli OGM non è stata notificata alla Commissione medesima ai sensi della direttiva 98/34/CE, precisa però che l'obbligo di notifica sussiste quando le misure nazionali rientrino nella definizione di "regola tecnica" e non siano inquadrabili nelle eccezioni previste dalla direttiva medesima.
Orbene, l'art. 1, comma 11 della Direttiva definisce "regola tecnica" una specificazione tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza è obbligatoria, de iure o de facto, per la commercializzazione, la prestazione di servizi, lo stabilimento di un fornitore di servizi o l'utilizzo degli stessi in uno Stato membro o in una parte importante di esso, nonché, fatte salve quelle di cui all'art. 10, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che vietano la fabbricazione, l'importazione, la commercializzazione o l'utilizzo di un prodotto oppure la prestazione o l'utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitore di servizi.
Le norme di cui al D.Lgs. n. 212 del 2001, art. 1, che disciplinano "la messa in coltura" del prodotti sementieri di varietà geneticamente modificata palesemente non possono considerarsi "regola tecnica" nei sensi precisati dalla Direttiva sopra richiamata. In ogni caso, a norma dell'art. 8 della Direttiva98/34/CE ogni progetto di regola tecnica va immediatamente comunicato alla Commissione, salvo che si tratti del semplice recepimento di una norma internazionale e europea.
E, come si è visto, la normativa nazionale in ordine alla disciplina della messa in cottura di prodotti sementieri di varietà geneticamente modificata recepisce e da attuazione ai principio di coesistenza regolamentato dalla normativa comunitaria (in particolare art. 26 bis Direttiva 2001/18/CE).
Non ricorrono, quindi, le condizioni per rimettere alla Corte di Giustizia le questioni pregiudiziali prospettate dal ricorrente. P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2012