Cass. Sez. III n. 22079 del 12 giugno 2025 (UP 15 mag 2025)
Pres. Ramacci Rel. Galanti Ric. Laterza
Polizia giudiziaria.Accertamenti ex art. 354 cod. proc. pen.

In tema di accertamenti ex art. 354 cod. proc. pen. la nullità derivante dall'omesso avviso all'interessato da parte della polizia giudiziaria che proceda ad accertamenti urgenti di cui all'art. 354 cod. proc. pen. della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia deve ritenersi sanata a norma dell'art. 182, secondo comma, cod. proc. pen., se la parte, presente, non la deduce immediatamente prima o immediatamente dopo il compimento dell'atto o comunque prima della sentenza di primo grado, mentre, ove l’indagato non fosse presente, non può più essere rilevata né dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado (art. 180 cod. proc. pen.).

PREMESSO IN FATTO 

1. Con sentenza del 15 luglio 2024, il Tribunale di Firenze dichiarava Laterza Andrea colpevole del reato di cui all’articolo 256, comma 1, lettera a), d. lgs. 152/2006 e, per l’effetto, condannava lo stesso alla pena di euro 1.734,00 di ammenda.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato.
2.1. Con un primo motivo, lamenta violazione di norme processuali previste a pena di nullità, inutilizzabilità o decadenza, in relazione agli artt. 191, 247, 250 e 352 c.p.p., in relazione all’ingresso degli operanti attraverso un buco della recinzione metallica che delimitava il confine dell’area di pertinenza della «Johnvideo s.r.l.» (di proprietà della Alba Leasing spa), operazione svolta in assenza di autorizzazione della autorità giudiziaria, ciò che renderebbe inutilizzabili i mezzi di prova costituiti dalle fotografie scattate in loco.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di norme processuali previste a pena di nullità, inutilizzabilità o decadenza, in relazione agli artt. 521 e 522, in riferimento alla parte di motivazione che parla di condotta omissiva e di responsabilità in vigilando, a fronte di una contestazione di condotta attiva (avere effettuato una attività di raccolta).
2.3. Con il terzo motivo, lamenta violazione dell’articolo 40 c.p., 185-bis e 256 d. lgs. 152/2006, nonché travisamento della prova.
L’imputato e due testi hanno confermato che i beni collocati all’esterno erano destinati al riutilizzo e, ove non riutilizzati, correttamente smaltiti.
La sentenza, laddove parla invece di rifiuti accumulati «in modo caotico», indistinto e confusionario, si scontra con la deposizione dei testimoni.
2.4. Con il quarto motivo, lamenta violazione di legge, mancanza e vizio di motivazione in riferimento all’articolo 131-bis c.p..

3. Nelle sue conclusioni, il Procuratore generale evidenzia quanto segue.
Quanto al primo motivo, ritiene che sia sufficiente richiamare quanto disposto dagli artt. 55 e 354 cod. proc. pen., dall’art. 13 della legge 689/81 e dall’art. 197 del d. lgs. 152/2006 per evidenziare come la motivazione della sentenza impugnata ha correttamente individuato i presupposti legittimi in forza dei quali gli operanti sono intervenuti nella immediatezza, hanno effettuato gli accertamenti e rilievi, peraltro in contraddittorio con gli incaricati presenti dell’imputato, così che neanche da questo punto di vista può escludersi una violazione dei diritti di difesa. 
Il secondo e il terzo motivo sono generici, in quanto nel ricorso non si contesta che la condotta materiale sia stata compiuta da dipendenti della società riconducibile all’imputato, ma solo che questi materialmente non l’abbia compiuta, senza introdurre alcun profilo di censura al fatto, che chiaramente si desume in sentenza, che gli addetti abbiano operato su disposizione del titolare, che non risultino da parte di costoro comportamenti estranei o del tutto eccentrici rispetto alle sue direttive, che in sostanza non vi sia una spiegazione diversa a quello che materialmente è stata la condotta contestata, eseguita da maestranze con ruolo esecutivo su ordine dell’imputato e quindi soggettivamente a lui addebitabile. Sul punto ci si può limitare a rilevare che non è certo necessario nella imputazione formulata, nell’ambito di una attività di impresa svolta in forma societaria, dover specificare se il suo titolare abbia posto materialmente in essere le condotte o le abbia fatte eseguire materialmente da soggetti con incarichi esecutivi privi di responsabilità, di cui ovviamente gli si deve attribuire la paternità, essendo sufficiente che nella motivazione della sentenza la condotta materiale sia congruamente attribuita all’imputato quale manifestazione della sua volontà. 

La ragione di quanto sopra chiarito trova fondamento nella legge, in quanto nelle definizioni di cui all’art 183 del TUA e nella descrizione della condotta contestata di cui all’art. 183-bis in relazione all’art. 256, comma 2, d. lgs. 152/2006, il riferimento è sempre al soggetto che giuridicamente è da ritenersi produttore o detentore del rifiuto, non certo il suo operaio avente ruolo meramente esecutivo. 
Correlata alla predetta censura di cui al terzo motivo, si innesta anche la censura del secondo motivo, volta a evidenziare che nella motivazione della sentenza il ricorrente si vedrebbe addebitare una condotta di omessa vigilanza (non precisata in imputazione) piuttosto che una condotta commissiva. 
Anche tale censura è manifestamente infondata perché non si confronta ancora una volta con il portato della disposizione incriminatrice del deposito incontrollato. Se infatti l’ammasso accertato è stato materialmente realizzato dai dipendenti della società del ricorrente, in capo a costui per espressa previsione normativa contenuta nell’art 185-bis del testo unico ambientale sussistevano gli specifici obblighi (anche di vigilanza) inerenti al rispetto dei quantitativi e della durata del deposito, che non risultano in tutta evidenza rispettati. 
Quanto all’altro profilo della censura, esso è del pari manifestamente infondato in quanto deve ritenersi rifiuto secondo la definizione di cui all’art. 183 del testo unico ambientale, ciò di cui il detentore ha l’obbligo di disfarsi o si disfa o intende disfarsi. Le condotte riconducibili alla creazione di un ammasso di materiali eterogenei di scarto e accumulati alla rinfusa è già di per sé condotta tipica di gestione di un rifiuto e quindi espressione della volontà di disfarsi. 
Si aggiunga che la censura rimane del tutto generica in ordine alla riutilizzabilità di parte degli oggetti costituenti il deposito, in quanto sfornita di adeguata illustrazione in ordine alla necessaria documentazione di una simile attività di riutilizzo. 
Quanto al 131-bis cod. pen., la sentenza di merito ha posto in evidenza come, nella condotta dell’odierno ricorrente, non solo non fosse riscontrabile alcuno degli indici di “tenuità” sopra indicati, ma, addirittura, fossero da apprezzare elementi sintomatici di cospicuo disvalore (ammasso di rifiuti eterogenei in quantità non marginale (oltre 33 metri cubi) ed esposti agli agenti atmosferici senza alcuna precauzione, e in area di piazzale di proprietà di un terzo che aveva concesso al ricorrente la locazione finanziaria, terzo che poi ha provveduto direttamente alla rimozione e smaltimento dei rifiuti. 
Sul punto, si veda Sez. 3 n. 5410 del 17/10/2019, dep. 2020, Rv. 278574 – 01: «in tema di deposito incontrollato di rifiuti, ai fini del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. non è sufficiente il riferimento al solo quantitativo di rifiuti depositato, ma deve valutarsi l'effettivo pericolo di danno all'ambiente o la sua compromissione in concreto conseguente alla specifica condotta», nonché Sez. 3 n. 50782 del 26/09/2019, Rv. 277674 – 01: «ai fini del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. non è sufficiente che il fatto sia occasionale, ma è necessario che l'offesa, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma primo, sia ritenuta di particolare tenuità».
Ed invero non risulta una allegazione di fatti specifici da parte dell’imputato che possano essere letti in segno contrario.

4. In data 7 maggio 2025, l’Avv. Sandro Guerra, per il ricorrente, depositava memoria in cui contestava le conclusioni del P.G. e insisteva per l’accoglimento del ricorso.
Quanto al primo motivo, sottolineava che nel ricorso si è segnalato come la Polizia Municipale operante si sia introdotta in una proprietà privata utilizzando un “varco” nella recinzione e si ritenesse che ciò non sia consentito dall’ordinamento, tanto più che non vi era alcuna ragione di urgenza.
Quanto al secondo e terzo motivo, le argomentazioni proposte nella requisitoria scritta sono contraddette da Sez. 3, n. 24080 del 29/05/2024 (Putortì, n.m.), secondo cui è vero che i titolari e responsabili di enti e imprese rispondono dell’abbandono o deposito incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo ma anche sotto il profilo dell’omessa vigilanza, con la seguente fondamentale precisazione: «[…] affinché possa ritenersi la responsabilità concorrente del titolare dell’impresa, non costituendo un’ipotesi di responsabilità oggettiva, occorrerà accertare che la condotta incriminata non sia frutto di una autonoma iniziativa dei lavoratori contro le direttive e ad insaputa dei datori di lavoro», ed è proprio questo il vizio fondamentale della motivazione della sentenza, che sul punto non spende una sola parola.
Contesta anche il difetto di specificità del motivo sul 131-bis cod. pen..

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La prima censura è inammissibile.
In primo luogo, infatti, essa si scontra irrimediabilmente con il tenore lettera degli articoli 352 e 354 cod. proc. pen..
Il primo articolo consente, in flagranza di reato (come nel caso in esame) agli ufficiali di polizia giudiziaria di procedere a perquisizione (personale o) locale quando hanno fondato motivo di ritenere che cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse si trovino in un determinato luogo, mentre il secondo, al comma 2, prevede che «se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose».
Il ricorrente, a fronte di una evidente flagranza di reato, omette di dedurre in relazione alla assenza degli elementi di fatto che consentono l’intervento autonomo della polizia giudiziaria prima dell’intervento dell’A.G., con conseguente genericità della doglianza.
A ciò va aggiunto l’articolo 197 del d. lgs. 152/2006, come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, il quale consente agli addetti al controllo di effettuare «ispezioni, verifiche e prelievi di campioni» all'interno di stabilimenti, impianti o imprese che producono o che svolgono attività di gestione dei rifiuti.
Ancora, quella lamentata dal ricorrente sarebbe, in ogni caso, una nullità a regime intermedio, la quale va prontamente eccepite, soprattutto ove l’interessato ha partecipato al compimento dell'atto.
Ed infatti, questa Corte, in tema di accertamenti ex art. 354 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 48344 del 02/12/2009, Onolfo, Rv. 245799 – 01), ritiene che (arg. ex art. 182 cod. proc. pen.) «la nullità derivante dall'omesso avviso all'interessato da parte della polizia giudiziaria che proceda ad accertamenti urgenti di cui all'art. 354 cod. proc. pen. della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia deve ritenersi sanata a norma dell'art. 182, secondo comma, cod. proc. pen., se la parte, presente, non la deduce immediatamente prima o immediatamente dopo il compimento dell'atto o comunque prima della sentenza di primo grado (Nella specie la nullità era stata dedotta in sede di ricorso per cassazione), mentre, ove l’indagato non fosse presente, non può più essere rilevata né dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado (art. 180 cod. proc. pen.).
Nel caso di specie, l’imputato omette di dedurre qualsivoglia elemento, sia sulla sua presenza o meno all’atto del controllo, sia sulla eventuale eccezione nel corso del giudizio di primo grado, la quale non si può desumere dal testo del provvedimento impugnato, in cui si riportano (pag. 1) solo la richiesta di assoluzione e quella di applicazione dell’articolo 131-bis cod. pen., con conseguente genericità della doglianza.
2.2. In ogni caso, il Collegio evidenzia che nel processo penale vige pacificamente il principio del male captum bene retentum. 
Si è a tal proposito ritenuto che, in applicazione di tale principio, l’irregolarità del verbale di sequestro operato dalla P.G. non travolge il provvedimento di convalida del pubblico ministero (Sez. 2, n. 31225 del 25/06/2014, Mykhailo, Rv. 260033 – 01; Sez. 3, n. 41957 del 19/10/2005, Garruti, Rv. 232747 - 01). 
Una risalente, ma mai superata, pronuncia delle Sezioni Unite della Corte, ha poi affermato che, anche in caso di perquisizione illegittima, allorché ricorra l'ipotesi prevista dall'art. 253, comma 1, cod. proc. pen., il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, costituendo un atto dovuto, rende del tutto irrilevante il modo con cui ad esso si sia pervenuti (Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, Sala, Rv. 204643 - 01).
Anche la Corte costituzionale, dal canto suo, ha dichiarato inammissibili (sent. n. 219 del 2019) le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 191 c.p.p. in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, co. 2, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, nella parte in cui tale disposizione non prevede che la sanzione dell’inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori (c.d. «frutto dell’albero avvelenato»); nel caso di specie, si trattava di prove acquisite tramite sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, o atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge, o comunque non convalidati dall’autorità giudiziaria con provvedimento motivato.
Il Giudice delle leggi ha, nella circostanza, ritenuto che in materia non possa trovare applicazione un principio di «inutilizzabilità derivata», istituto disciplinato solo per le nullità: non si possono infatti equiparare, senza invadere la discrezionalità del legislatore, fenomeni – quali quelli della nullità e della inutilizzabilità – del tutto autonomi e tutt’altro che sovrapponibili. 
È stata quindi esclusa la possibilità di trasferire nella disciplina della inutilizzabilità un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al tema delle nullità (principio recentemente ribadito con sentenza n. 247 del 2023).
Alla luce delle superiori considerazioni, il motivo è quindi doppiamente inammissibile.

3. Il secondo motivo è del pari inammissibile.
L’editto accusatorio incolpa il Laterza nella sua qualità di legale rappresentante della società «Johnvideo s.r.l.»: egli, in altre parole, risulta essere investito di una posizione di garanzia che gli impone non solo di non effettuare in prima persona attività di gestione dei rifiuti senza autorizzazione, ma (anche) di non consentire ad altri, che rientrano nella sua sfera di controllo, di fare altrettanto.
In tal senso, con la locuzione «effettuare una attività di raccolta» oppure un deposito incontrollato, la norma indica sia la effettuazione in prima persona dell’attività illecita che il consentire ad altri, che rientrano nella propria sfera di responsabilità, la condotta medesima (arg. ex art. 2049 cod. civ.). 
La posizione di garanzia del legale rappresentante in materia di gestione dei rifiuti implica, pertanto, che egli è responsabile di assicurare la corretta gestione dei rifiuti da parte dell'«azienda» nel suo complesso considerata e, pertanto, risponde degli illeciti ambientali commessi dai di lui dipendenti, ove ciò sia dovuto a culpa in vigilando, la cui esistenza non è neppure contestata dal ricorrente.
In tal senso, si è affermato che «in materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono (Sez. 3, n. 40530 del 11/06/2014 – dep. 01/10/2014, Mangone, Rv. 261383 – 01; Sez. 3, n. 23971 del 25/05/2011, Graniero, Rv. 250485 – 01; Sez. 3, n. 45974 del 27/10/2011, Spagnuolo, Rv. 251340 – 01; più di recente: Sez. 3, n. 24080 del 29/05/2024, Putortì; Sez. 3, n. 2234 del 09/07/2021, dep. 2022, Losardo; Sez. 3, n. 32744 del 03/07/2023, Passiante, non massimate).
Correttamente, il P.G. evidenzia come il ricorso difetti totalmente nell’allegare elementi di fatto da cui desumere che i dipendenti della società abbiano agito contro le espresse direttive del legale rappresentante, odierno imputato, con conseguente genericità della doglianza.

4. Il terzo motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
4.1. In primo luogo, infatti, sollecita a questa Corte una rivalutazione del compendio istruttorio e propone una ricostruzione «alternativa» della piattaforma probatoria, operazione non consentita nel giudizio di legittimità (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370 - 01) al di fuori dell’angusto perimetro della manifesta illogicità e della contraddittorietà della motivazione, sicuramente non sussistenti nel caso di specie, alla luce delle valutazioni operate dal Tribunale a pagina 3 della sentenza gravata, ove si riporta il contenuto delle operazioni di sopralluogo del 22/01/2022, da cui il giudice ha desunto la natura di ammasso eterogeneo e caotico dei rifiuti (costituiti da residui di lavorazioni edili, materiale elettronico dismesso, macchinette provenienti da sale giochi, fusti in metallo, un cartello riportante il nome Laterza, cartelloni pubblicitari riportanti il nome Johnvideo).
Ed infatti, il giudice di legittimità non può rivalutare le fonti di prova, in quanto tale attività è rimessa esclusivamente alla competenza dei giudici di merito. Pertanto, il ricorso per cassazione è inammissibile quando si fonda su motivi che postulano una inammissibile rivalutazione delle prove, in quanto ciò esula dalle attribuzioni del giudice di legittimità, il quale deve limitarsi a verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione adottata dai giudici di merito (Sez. 6, n. 43139 del 19/09/2019, Sessa, n.m.). 
Il sindacato di legittimità va infatti sollecitato sul «prodotto dell’ingegno» e non sul puro e semplice «materiale probatorio» (e men che meno su singoli «frammenti» di esso) e, pertanto, una volta indicati gli elementi probatori, il giudice di legittimità deve chiarire la ragione e sulla base di quali elementi sia stata elaborata una determinata ipotesi costruttiva e per quale ragione ne siano state scartate altre (Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, E., Rv. 276566 – 01; Sez. 5, n. 35816 del 18/06/2018, Blasi, n.m.; Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774 - 01).
4.2. In ogni caso, il motivo è anche manifestamente infondato.
Questa Corte, anche di recente (Sez. 3, n. 20841 del 09/05/2024, Michelini, n.m.), ha peraltro avuto modo di precisare che il «deposito temporaneo prima della raccolta» (art. 183, lett. bb, d.lgs. 152/2006), è «il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi dell'articolo 185-bis».
Esso è estraneo al perimetro della «gestione» dei rifiuti che, ai sensi della lettera n), concerne «la raccolta, il trasporto, il recupero, compresa la cernita, e lo smaltimento dei rifiuti, compresi la supervisione di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediari) e prodromico allo svolgimento delle relative attività».  
L’articolo 185-bis del Testo Unico stabilisce che affinché possa parlarsi di deposito «temporaneo», occorre che esso avvenga con il rispetto delle seguenti condizioni:
a) nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti (da intendersi quale l'intera area in cui si svolge l'attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci);
b) esclusivamente per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, anche di tipo volontario, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita;
c) per i rifiuti da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti.
Si prevede, inoltre, che:
a) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, siano depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
b) i rifiuti siano raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
c) i rifiuti siano raggruppati per categorie omogenee, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
d) i rifiuti siano trattati nel rispetto delle norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose.
Ove effettuato alle condizioni di cui sopra, il deposito temporaneo non necessita di autorizzazione da parte dell'autorità competente.
La giurisprudenza ha chiarito (da ultimo: Sez. 3, n. 20841 del  09/05/2024, Michelini, n.m.; Sez. 3, n. 16183 del 28/02/2013, Lazzi, n.m.) che solo l’osservanza di «tutte» le condizioni previste dalla legge per il deposito temporaneo – e quindi anche lo smaltimento con cadenza almeno annuale - solleva il produttore dagli obblighi previsti dal regime autorizzatorio delle attività di gestione, tranne quelli di tenuta dei registri di carico e scarico e per il divieto di miscelazione previsto dall'art. 187, mentre, in difetto di tali condizioni - la sussistenza delle quali deve essere dimostrata dall'interessato, trattandosi di norma di favore (Sez. 3 n. 15680, 23 aprile 2010; Sez. 3 n. 30647, 15 giugno 2004; Sez. 3 n. 21587, 17 marzo 2004) - l'attività posta in essere deve qualificarsi come gestione non autorizzata, penalmente sanzionabile, o abbandono.
Il Tribunale di Firenze (pag. 4) ha escluso la natura di deposito temporaneo dei rifiuti in ragione del loro quantitativo e delle modalità di stoccaggio degli stessi, rispettivamente superiore al limite di legge e con modalità non consentite, con ciò facendo buon governo dei principi elaborati da questa Corte, mentre l’alternativa ricostruzione del fatto proposta dal ricorrente non può trovare ingresso in questa fase di legittimità.

5. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. L’art. 131-bis cod. pen. prevede la «non punibilità del fatto quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale».
In particolare, la norma (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, n.m.), oltre allo sbarramento del limite edittale (la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena), richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. 
Il primo degli «indici-criteri» (così li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo) appena indicati, ossia la particolare tenuità dell’offesa, si articola a sua volta in due «indici-requisiti» (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la «modalità della condotta» e «l’esiguità del danno o del pericolo», da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, intensità del dolo o grado della colpa, nonché alla luce della condotta successiva al fatto, a seguito della modifica introdotta dal d. lgs. n. 150 del 10/10/2022). 
Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti», sussista l’«indice-criterio» della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della «non abitualità» del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
Correttamente il Procuratore generale rammenta che, secondo questa Corte (Sez. 3 n. 50782 del 26/09/2019, Rv. 277674 – 01), ai fini del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. non è sufficiente che il fatto sia occasionale, ma è necessario che l'offesa, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma primo, sia ritenuta di particolare tenuità.
Questa Corte ritiene (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678 - 01) che, «ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell'assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall'art. 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo» e che, in tal senso (Sez. 3 n. 50782 del 26/09/2019, Rv. 277674 – 01), «ai fini del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. non è sufficiente che il fatto sia occasionale, ma è necessario che l'offesa, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma primo, sia ritenuta di particolare tenuità».
5.2. La sentenza, in proposito, chiarisce in modo non manifestamente illogico o contraddittorio, che non può ritenersi applicabile l’articolo 131-bis cod. pen. in ragione del quantitativo non trascurabile di rifiuti (circa 33 metri cubi) e del fatto che ad occuparsi del loro successivo smaltimento è stata altra società, la “Alba Leasing”, e non anche la società amministrata dal ricorrente, escludendo quindi la non gravità del fatto.
Tale motivazione non appare manifestamente illogica o contraddittoria, né fa cattivo uso dei principi espressi da questa corte in tema di particolare tenuità del fatto.
La doglianza, che con tali principi non si confronta, è pertanto inammissibile per genericità.

6. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/05/2025.