Cass. Sez. III n. 12961 del 6 aprile 2021 (CC 26 feb 2021)
Pres. Sarno Est. Galterio Ric. Mantoni
Polizia Giudiziaria. Guardie zoofile ENPA

Le guardie zoofile ENPA, pur non rivestendo la qualità di agenti di polizia giudiziaria, sono pur sempre "guardie giurate volontarie di un'associazione protezionistica nazionale riconosciuta", atteso che la legge n. 611 del 1913, recante norme relative alle società protettrici degli animali, prevedeva espressamente la possibilità di nomina da parte delle stesse società di guardie, cui era da riconoscersi, ai sensi dell'art. 7 della legge medesima, la qualifica di agenti di pubblica sicurezza, possibilità questa confermata dalla legge n. 612 del 1938 n. 612, istitutiva dell'E.n.p.a.). Ora, se è vero che, in base al d.P.R. del 31 marzo 1979, l'ENPA ha perso il carattere di persona giuridica pubblica, è altrettanto vero che l'art. 5 del citato decreto presidenziale, pur avendo privato le guardie zoofile della qualifica di agenti di pubblica sicurezza, ha mantenuto alle stesse la qualifica di guardie giurate.

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza in data 20.10.2020 il Tribunale di Pesaro ha confermato il sequestro preventivo disposto d’urgenza dalle Guardie zoofile e convalidato dal GIP di un cane di proprietà di Marisa Mantoni in quanto trovato nella sua abitazione in condizioni di cattiva salute e malnutrizione ipotizzando nei confronti di costei i reati di cui agli artt. 727, secondo comma e 544 ter cod. pen..
2. Avverso il suddetto provvedimento l’indagata ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale lamenta che le guardie zoofile che in quanto collaboratori dell’E.N.P.A, non erano ufficiali di polizia giudiziaria ma semplici guardie giurate  avessero effettuato una perquisizione, in assenza dell’autorizzazione del magistrato ma a seguito di una segnalazione anonima, nella sua abitazione senza procedere all’avvertimento del diritto all’assistenza di un difensore e senza redigere un verbale degli atti non ripetibili, come contestato al Tribunale del Riesame senza ricevere alcuna risposta sul punto. In particolare, deduce che le spontanee dichiarazioni rese dalle persone indagate non erano state riportate in un verbale sottoscritto dai dichiaranti, ma unicamente richiamate nell’annotazione della polizia giudiziaria e che in ogni caso la prova acquisita in violazione dei diritti soggettivi dell’indagato, ovverosia attraverso una perquisizione non autorizzata non fosse utilizzabile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non può ritenersi ammissibile.
Manifestamente infondata è la contestazione relativa al difetto di legittimazione degli agenti che hanno proceduto al sequestro di urgenza. L'art. 6, comma 2, legge n. 189 del 2004 testualmente prevede che "La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute”. Al riguardo va puntualizzato che come sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, VI, n. 298 del 26/01/2007, peraltro in un caso riguardante proprio l'ENPA), le guardie zoofile di tale ente, pur non rivestendo la qualità di agenti di polizia giudiziaria, sono pur sempre "guardie giurate volontarie di un'associazione protezionistica nazionale riconosciuta", atteso che la legge n. 611 del 1913, recante norme relative alle società protettrici degli animali, prevedeva espressamente la possibilità di nomina da parte delle stesse società di guardie, cui era da riconoscersi, ai sensi dell'art. 7 della legge medesima, la qualifica di agenti di pubblica sicurezza, possibilità questa confermata dalla legge n. 612 del 1938 n. 612, istitutiva dell'E.n.p.a.); dunque, in presenza di un riconoscimento ex lege, ritenuto valido dal Consiglio di Stato, non appare pertinente l'obiezione difensiva circa l'assenza di un riconoscimento formale da parte dell'Autorità amministrativa. Ora, se è vero che, in base al d.P.R. del 31 marzo 1979, l'ENPA ha perso il carattere di persona giuridica pubblica, è altrettanto vero che l'art. 5 del citato decreto presidenziale, pur avendo privato le guardie zoofile della qualifica di agenti di pubblica sicurezza, ha mantenuto alle stesse la qualifica di guardie giurate.
Conseguentemente, non è perciò dubitale che gli agenti che hanno proceduto alla misura cautelare abbiano agito nel legittimo esercizio delle loro competenze, nel senso che anche a tali figure sono estesi quei poteri di vigilanza altrimenti riconosciuti agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. Invero, pur dovendo registrarsi un contrasto insorto in seno a questa stessa Corte sull’estensione del raggio di competenza delle guardie volontarie giurate delle associazioni zoofile riconosciute all’attività amministrativa compiuta con riferimento alla fauna selvatica, nessun problema interpretativo in ordine alla investitura degli operanti si pone invece nel caso di specie rientrando il cane, esemplare domestico per eccellenza, fra gli "animali da affezione".  
Ciò chiarito, deve escludersi che gli agenti abbiano proceduto ad alcuna perquisizione dell’abitazione dell’indagata nella quale risultano essere entrati, come rilevato dal Tribunale del riesame, con il consenso dei soggetti ivi presenti, senza quindi aver necessità di alcuna autorizzazione all’infuori di quella degli aventi diritto, ovverosia delle persone residenti nello stesso immobile.
Le ulteriori censure afferenti alla redazione del verbale dagli agenti intervenuti non risultano, per vero, essere mai state devolute al Tribunale abruzzese e non possono perciò trovare ingresso nella presente sede di legittimità. Deve essere al riguardo rilevato che nel giudizio di riesame, pur informato al principio decisorio, il quale si sostanzia nel potere per il Tribunale di annullare o riformare in senso favorevole all'imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell'atto di impugnazione, così come di confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell'ordinanza cautelare (Sez. 1, n. 3769 del 21/10/2015 - dep. 28/01/2016, Lomonaco, Rv. 266003), resta ferma la regola secondo la quale la parte impugnante ha l'onere di specificare le proprie doglianze, sia pur non necessariamente in termini contestuali alla presentazione del gravame stante la facoltatività, prevista dal sesto comma dell'art. 309 cod. proc. pen., della indicazione orale dei motivi a sostegno dello stesso. Essendo tale onere diretto a provocare il giudice del riesame a fornire risposte adeguate e complete, potendo altrimenti quest’ultimo fermarsi, in presenza di un provvedimento motivato, alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione della misura a condizione che dimostri di averlo valutato, ne consegue che, in mancanza di tale devoluzione, incorrono nella censura di inammissibilità le contestazioni svolte innanzi alla Corte di legittimità su punti che non possono trovare risposte per mancanza di cognizione addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere da parte di chi ha sollecitato il riesame (Sez. 6, n. 16395 del 10/01/2018 - dep. 12/04/2018, Contardo, Rv. 272982).
  Segue a tale esito la condanna del ricorrente, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 26.2.2021