Cass. Sez. III n. 43609 del 26 novembre 2021 (CC 8 ott 2021)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric. Piccolo
Polizia Giudiziaria.Legittimità videoriprese dell'ingresso e del piazzale di un'impresa eseguite a mezzo di impianti installati dalla polizia giudiziaria sulla pubblica via

Sono legittime e pertanto utilizzabili, senza che necessiti l'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, le videoriprese dell'ingresso e del piazzale di un'impresa eseguite a mezzo di impianti installati dalla polizia giudiziaria sulla pubblica via, non configurandosi, in tal caso, alcuna indebita intrusione nell'altrui domicilio. Né rileva la circostanza che siano state apposte barriere fisiche per impedire la visibilità dall’esterno di quanto avviene in tale luogo. Invero, trattandosi di luoghi esposti al pubblico e, pertanto, oggettivamente visibili da più persone, in virtù della percepibilità esterna da un luogo posizionato ad altezza superiore rispetto a tali barriere (nella specie, la telecamera montata sul tetto dell’edificio antistante), non sussiste alcuna intrusione nella privata dimora o nel domicilio e non sussistono, pertanto, le ragioni di tutela, sub specie di diritto alla riservatezza o alla 'privacy', ad essi connesse, potendosi, in tal caso, sostanzialmente equipararsi l'uso della videocamera ad una operazione di appostamento, eseguita nei limiti dell'autonomia investigativa, senza alcuna necessità di autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 23.04.2019, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza del tribunale di Benevento in data 8.05.2017, appellata dai ricorrenti PICCOLO Antonio, PICCOLO Ferdinando, PICCOLO Nicola e GRIECO Donato, rideterminava la pena inflitta, rispettivamente, al PICCOLO Ferdinando in 2 anni di reclusione, al PICCOLO Antonio e PICCOLO Nicola, in 1 anno e 10 mesi di reclusione ciascuno, ed al GRIECO Donato, in 1 anno di reclusione, riconoscendo a tutti gli imputati il beneficio della sospensione condizionale della pena, in quanto riconosciuti colpevoli dei delitti loro contestati e meglio descritti nei relativi capi di imputazione.

2. Contro la sentenza ha proposto congiunto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dei ricorrenti, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando un unico motivo, comune a tutti, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deducono, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 191, c.p.p., attesa l’inutilizzabilità derivata delle dichiarazioni rese in dibattimento dal teste di PG Vigliotta, ed aventi ad oggetto videoriprese realizzate in violazione della legge costituzionale, ovvero senza la necessaria autorizzazione ad hoc del GIP, contestando l’omessa considerazione sul punto della censura oggetto dell’appello e l’erronea applicazione della legge processuale penale, con correlato vizio di illogicità manifesta della motivazione.
In sintesi, la censura investe la sentenza impugnata per aver i giudici omesso di dichiarare inutilizzabili le dichiarazioni rese da un ufficiale di polizia giudiziaria, il teste Vigliotta Salvatore, il quale aveva riferito sul contenuto delle videoriprese effettuate presso l’opificio della ditta “Piccolo”, in violazione dell’art. 614, c.p. (e soprattutto dell’art. 15 Cost.), senza la preventiva autorizzazione del GIP, asserendo trattarsi del domicilio ove gli stessi ricorrenti esercitavano in modo stabile e continuativo la loro professione. Sul punto, la difesa rileva che l’edificio era chiuso da un cancello d’ingresso e da alte barriere che fungevano da protezione visiva esterna di quanto avveniva al suo interno, come del resto confermato dallo stesso teste Vigliotta in sede di audizione dibattimentale. La telecamera utilizzata dalla PG per eseguire le videoriprese sarebbe stata installata sul tetto di un edificio ubicato di fronte alla sede della ditta “Piccolo” al fine di inquadrare quanto si svolgeva all’esterno di esso (ossia all’ingresso, nel piazzale e nei capannoni) superando quindi abusivamente le barriere fisiche che erano poste proprio per impedire che dall’esterno di potesse vedere quanto accadesse nell’area della ditta “Piccolo”, ciò che parimenti era stata confermato dal teste Vigliotta. L’argomentazione della Corte d’appello, secondo cui le riprese di comportamenti non comunicativi non necessitavano dell’autorizzazione prevista per le intercettazioni ambientali sarebbe, secondo la difesa, censurabile, in quanto non tiene conto che tali videoriprese erano state compiute in una privata dimora, in violazione dell’art. 14 Cost.
Ne consegue, quindi, che essendo state tali videoriprese eseguite illegittimamente, erano da ritenersi inutilizzabili le dichiarazioni rese dal teste Vigliotta sugli esiti di tale attività di videoripresa, come del resto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3268/1996 citata in ricorso.
Quanto, poi, alla prova di resistenza, osserva la difesa dei ricorrenti che, accolta l’eccezione di inutilizzabilità, verrebbe meno anche il giudizio di responsabilità penale nei confronti di tutti gli imputati, costituendo la deposizione inutilizzabile del teste Vigliotta l’unica ed esclusiva prova, quantomeno in relazione al delitto più grave sub 1), ossia per il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ex art. 452-quaterdecies, c.p., all’epoca dei fatti contestato a norma dell’art. 260, D.lgs. n. 152 del 2006. Solo grazie all’esame testimoniale, si osserva, inerente agli esiti delle videoriprese eseguite illegittimamente per circa 2 mesi, i giudici hanno potuto accertare la sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi degli illeciti contestati (ripetitività, continuatività ed organizzazione degli sversamenti illeciti di rifiuti) ed individuare i soggetti responsabili, ciò che sarebbe confermato da quanto risulta a pag. 31 della motivazione resa dal primo giudice. A ciò andrebbe aggiunto, peraltro, che senza la deposizione del teste Vigliotta, le altre prove a carico non avrebbero sicuramente condotto al giudizio di colpevolezza, in quanto né i due verbali di sopralluogo né i formulari ed i registri di carico e scarico sarebbero sufficienti per pervenire al giudizio di condanna, non provando da soli la continua ed organizzata attività di illecito smaltimento dei rifiuti.

3. Con requisitoria scritta datata 17.09.2021, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
Segnatamente, il PG rileva come che non si rinviene nel provvedimento impugnato alcuna violazione di legge o vizio motivazionale; che, invero, secondo quanto risulta dal testo della motivazione nonché dallo stesso atto di ricorso, le videoriprese di cui si eccepisce l’inutilizzabilità hanno interessato un’area (ingresso, piazzale e capannoni dell’impianto di recupero di rifiuti) che per costante insegnamento di questa Corte non configura un’ipotesi di privata dimora o di “domicilio lavorativo”, dovendosi intendere come tale non qualsiasi luogo in cui si svolge l'attività di lavoro, ma quel luogo in cui a tale svolgimento si affianchi la possibilità di godere di riservatezza nell'esplicazione di atti della vita privata, escludendo ingerenze esterne indipendentemente dalla presenza della persona che ha la titolarità del domicilio (Sez. 5, n. 11419 del 17/11/2015 - Rv. 266372 - 01). Con la conseguenza che devono considerarsi legittime le videoriprese, eseguite dalla polizia giudiziaria, in assenza di autorizzazione del giudice, mediante telecamera esterna all'edificio e aventi per oggetto l'inquadramento del davanzale della finestra e del cortile dell'abitazione, trattandosi di luoghi esposti al pubblico e, pertanto, oggettivamente visibili da più persone. Ne deriva che, in virtù di detta percepibilità esterna, non sussiste alcuna intrusione nella privata dimora o nel domicilio e non sussistono, pertanto, le ragioni di tutela, sub specie di diritto alla riservatezza o alla 'privacy', ad essi connesse, potendosi, in tal caso, sostanzialmente equipararsi l'uso della videocamera ad una operazione di appostamento, eseguita nei limiti dell'autonomia investigativa, senza alcuna necessità di autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 10697 del 24/01/2012 - Rv. 252673 – 01). Ed ancora, in tema di prova atipica, sono legittime e pienamente utilizzabili senza alcuna autorizzazione dell'autorità giudiziaria le videoriprese, eseguite da privati, mediante telecamera esterna installata sulla loro proprietà, che consentono di captare ciò che accade nell'ingresso, nel cortile e sui balconi del domicilio di terzi, i quali, rispetto alle azioni che ivi si compiono, non possono vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza, trattandosi di luoghi, che, pur essendo di privata dimora, sono liberamente visibili dall'esterno, senza ricorrere a particolari accorgimenti (Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014 - Rv. 261053 – 01).
Ciò posto, per il PG deve qui ribadirsi come le videoriprese di comportamenti non aventi contenuto comunicativo, effettuate in luogo pubblico, aperto o, come nel caso di specie, esposto al pubblico costituiscano prove atipiche ai sensi dell’art. 189 cod. proc. pen., con conseguente inapplicabilità della disciplina sulle intercettazioni, dovendosi intendere, invece, per comportamenti comunicativi, intercettabili solo previo provvedimento di autorizzazione dell’A.G., quelli finalizzati a trasmettere il contenuto di un pensiero mediante la parola, i gesti, le espressioni fisiognomiche o altri atteggiamenti idonei a manifestarlo (Sez. 6, n.52595 del 04/11/2016, fattispecie in cui la S.C. ha annullato il provvedimento del tribunale del riesame, in quanto fondato sulle risultanze di intercettazioni ambientali – consistenti in riprese audio-video contenenti messaggi, parole e gesti comunicativi – inutilizzabili, per mancanza in atti dei decreti di autorizzazione e dei successivi provvedimenti di proroga). Nel caso in esame è pacifico che l’attività investigativa condotta dalla PG abbia avuto ad oggetto comportamenti non comunicativi, consentendo da un lato di accertare la fattispecie criminosa richiedente sversamenti illeciti ripetuti, continui e organizzati e dall’altro di individuarne i responsabili.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi, trattati cartolarmente in assenza di una richiesta di trattazione orale, sono inammissibili per manifesta infondatezza.

2. Ed invero, la censura difensiva si fonda sull’erroneo presupposto fattuale secondo cui l’opificio oggetto delle videoriprese, su cui ebbe a deporre il teste Vigliotta, fosse un luogo davvero qualificabile come tale (e, dunque, idoneo a rientrare nella categoria del domicilio, oggetto di tutela costituzionale ex art. 14, Cost.), ossia in cui fosse interdetto l’accesso al pubblico.
Sul punto, come correttamente evidenzia il PG nella requisitoria scritta, la difesa dei ricorrenti non tiene conto di quanto più volte affermato da questa Corte, secondo cui sono legittime e pertanto utilizzabili, senza che necessiti l'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, le videoriprese dell'ingresso e del piazzale di un'impresa eseguite a mezzo di impianti installati dalla polizia giudiziaria sulla pubblica via, non configurandosi, in tal caso, alcuna indebita intrusione nell'altrui domicilio (tra le tante: Sez. 1, n. 4422 del 18/12/2008 - dep. 02/02/2009, Galati Sansone e altri, Rv. 242793 – 01).
Nella specie, si osserva, come dallo stesso ricorso emerge chiaramente che le telecamere con cui vennero eseguite le videoriprese, su cui verteva la deposizione del teste Vigliotta, erano state ubicate nell’edificio antistante l’opificio dei ricorrenti “al fine di inquadrare furtivamente l’ingresso, il piazzale ed i capannoni dello stabile” (v. pag. 3 ricorso). Quindi è evidente che la deposizione del teste Vigliotta aveva riguardato gli esiti di tali attività di videoripresa “esterna” dell’opificio della ditta “Piccolo”, del tutto legittima in base a quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte.

2.1. Né rileva, si noti, la circostanza che fossero state apposte barriere fisiche per impedire la visibilità dall’esterno di quanto avveniva in tale luogo.
Ed invero, è già stato chiarito che, trattandosi di luoghi esposti al pubblico e, pertanto, oggettivamente visibili da più persone, in virtù di detta percepibilità esterna da un luogo posizionato ad altezza superiore rispetto a tali barriere (nella specie, la telecamera montata sul tetto dell’edificio antistante), non sussiste alcuna intrusione nella privata dimora o nel domicilio e non sussistono, pertanto, le ragioni di tutela, sub specie di diritto alla riservatezza o alla 'privacy', ad essi connesse, potendosi, in tal caso, sostanzialmente equipararsi l'uso della videocamera ad una operazione di appostamento, eseguita nei limiti dell'autonomia investigativa, senza alcuna necessità di autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria (in termini: Sez. 4, n. 10697 del 24/01/2012 - dep. 19/03/2012, Aidi Parietti e altri, Rv. 252673 – 01).
A ciò va aggiunto che, comunque, quanto avviene in luoghi adibiti ad attività lavorativa non può essere qualificato come domicilio ex art. 614, c.p., in quanto tale necessitante l’autorizzazione del giudice. Ed invero quei luoghi costituivano (e costituiscono) luogo di lavoro, come espressamente sostenuto in ricorso (pag. 3), rientrando quindi la videoripresa in quei casi ritenuti legittimi dalle stesse Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006 - dep. 28/07/2006, Prisco, Rv. 234270; Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017 - dep. 22/06/2017, D’Amico, Rv. 270076).

2.2. A ciò si aggiunge, osserva il Collegio, la necessità di perimetrare correttamente, in assenza di una specifica disciplina legislativa che tassativamente indichi i casi e i modi in cui sia consentita la limitazione della "libertà domiciliare" mediante videoriprese, la nozione di privata dimora alla luce della nozione di domicilio la cui libertà è costituzionalmente garantita dall’art. 14.
Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (Sez. U, n. 31345/2017, cit.),  in ciò seguendo le linea interpretativa segnata dalla Corte costituzionale che aveva avuto modo di affermare che “le tipologie di «limitazione» del diritto alla inviolabilità del domicilio, come indicate dal comma 2 dell'art. 14 della Carta, non rappresentano una lista chiusa, cristallizzata sulla base delle forme di investigazione conosciute all'epoca della Costituente, e dunque non configurano una tolleranza per le sole forme palesi di intrusione dell'Autorità, che solo l'evoluzione tecnologica successiva ha reso oggetto di specifica attenzione da parte dell'ordinamento; si tratta semplicemente, per il legislatore, di regolare il fenomeno attraverso adeguati istituti e procedimenti di garanzia” (Corte cost., 24 aprile 2002, n. 135). La nozione di domicilio accolta dal legislatore costituente è diversa e più ampia di quella accolta dal codice penale (e del resto seguita dalla richiamata decisione delle Sezioni Unite), posto che la tutela costituzionale si riferisce non solo alle private dimore e ai luoghi che, pur non costituendo dimora, consentono una sia pur temporanea ed esclusiva disponibilità dello spazio ma anche dei luoghi nei quali è temporaneamente garantita un'area di intimità e di riservatezza.
Si tratta dell’unica soluzione compatibile con l'art. 8 Convenzione europea dei diritti umani, la quale sancisce il diritto di ogni persona al «rispetto della sua vita privata», facendo divieto di ogni «interferenza di una autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto a meno che l'ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura (...) necessaria (...) per la prevenzione dei reati (...)». Una definizione, comunque, appagante del concetto di privata dimora, che anche alla luce della esegesi giurisprudenziale seguitane, consente di poter ritenere tale (Sez. 2, n. 2103 del 20/11/1996 - dep. 19/02/1998, Marras, Rv. 209929; Sez. 1, n. 1904 del 22/01/1996 - dep. 17/02/1996, Porcaro, Rv. 203799; Sez. 1, n. 5032 del 20/12/1991 - dep. 11/03/1992, Marsella, Rv. 190009), quello adibito all’esercizio di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente senza turbativa da parte di estranei. Deve cioè trattarsi di luoghi che assolvano attualmente e concretamente la funzione di proteggere la vita privata di coloro che li posseggono, i quali sono titolari dello ius excludendi alios al fine di tutelare il diritto alla riservatezza nello svolgimento delle manifestazioni della vita privata della persona che l’art. 14 Cost. garantisce, proclamando l’inviolabilità del domicilio.
Caratteristica, questa, che non può certo essere riconosciuta al perimetro esterno dell’opificio di cui si discute, che è un luogo esposto al pubblico, il cui accesso è consentito solo dai titolari dello ius excludendi alios. La natura di luogo "esposto al pubblico" del perimetro esterno di un edificio e il carattere imprenditoriale dell'attività ivi esercitata emergono del resto in modo univoco e concorde dagli elementi istruttori acquisiti e rappresentati nello stesso ricorso.  Elementi, tutti, dunque idonei ad escludere che, nel caso di specie, si fosse in presenza di un luogo di “privata dimora” tale da giustificare le garanzie “domiciliari” indicate dall’art. 14 Cost.

2.3. A ciò, infine, circostanza non meno rilevante, deve poi aggiungersi che, nel caso in esame, si è in presenza di attività del tutto differente dall’usuale azione intercettativa, versandosi nella tipica ipotesi di captazione di comportamenti non comunicativi, ossia quella (per dirla con Sez. 6, n. 4397 del 10/11/1997 - dep. 21/01/1998, Greco, Rv. 210063) di “captare immagini relative alla mera presenza di cose o persone o ai loro movimenti, non funzionali alla captazione di messaggi”.
In questa seconda ipotesi l’attività di indagine, prettamente visiva, è finalizzata a provare la presenza di uno o più soggetti in un luogo, in un preciso momento.  
Ne consegue - seguendo la più recente e condivisa giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di videoregistrazioni, le riprese di comportamenti "non comunicativi", che rappresentano la mera presenza di cose o persone ed i loro movimenti, costituiscono prove atipiche se eseguite in luoghi pubblici, aperti al pubblico o esposti al pubblico, anche d'iniziativa della polizia giudiziaria ovvero in ambienti privati, diversi dal "domicilio", nei quali deve essere garantita l'intimità e la riservatezza, essendo necessario, solo in tale ultimo caso, ai sensi dell'art. 189 cod. proc. pen., per la loro utilizzabilità, un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria che le giustifichi rispetto alle esigenze investigative e all'invasività dell'atto, mentre sono da qualificarsi come prove illecite, di cui è sempre vietata la acquisizione e l'utilizzazione, ove eseguite all'interno di luoghi riconducibili alla nozione di "domicilio", in quanto lesive dell'art. 14 Cost. (Sez. 3, n. 15206 del 21/11/2019 - dep. 15/05/2020, P., Rv. 279067 – 04) – che, esclusa la natura di luogo riconducibile al “domicilio” del perimetro esterno dell’opificio della ditta “Piccolo” in cui vennero eseguite le videoriprese, che i risultati di queste ultime, in quanto rappresentanti la mera presenza di cose o persone ed i loro movimenti, senza alcun nesso funzionale con l'attività di scambio o trasmissione di messaggi tra più soggetti – valutazione che richiederebbe una ricognizione fattuale che esula dai compiti di questa Corte – ben possono essere qualificate come prove atipiche in quanto eseguite in luogo esposto al pubblico.

2.4. Non essendovi, pertanto, alcun dubbio sull’utilizzabilità degli esiti delle operazioni di videoripresa, sono parimenti utilizzabili le dichiarazioni rese dal teste Vigliotta che ha riferito sui predetti esiti, posto che non può ritenersi violativa del divieto di testimonianza indiretta previsto dall'art. 195, comma 4, cod. proc. pen. la deposizione resa dal verbalizzante in ordine agli esiti di un’attività di videoripresa legittimamente eseguita, poiché l'agente di polizia giudiziaria riferisce non su quanto ha appreso da altri ma sui fatti avvenuti in sua presenza ed oggetto della sua diretta percezione nel corso dell'attività di indagine (si veda, in tal senso, per un caso di avvenuto riconoscimento fotografico dell'imputato da parte del testimone, su cui aveva riferito il teste di PG: Sez. 5, n. 28550 del 06/03/2018 - dep. 20/06/2018, Monachello, Rv. 273327 – 01).

3. A norma dell’art. 616, cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, si condannano i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, conseguentemente, al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.  
Così deciso, l’8 ottobre 2021