Il personale ARPA quando svolge funzioni di p.g. dipende esclusivamente dall’A.G.

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su osservatorioagromafie,it. Si ringraziano Autore ed Editore

1. Premessa

Quando si applica la normativa penale a tutela dell’ambiente spesso ci si trova di fronte al problema della attribuzione della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria al personale delle ARPA (l’organo tecnico di controllo).

Di certo, non si tratta di un problema secondario, in quanto, come è stato ricordato in dottrina, se si riconosce loro tale qualifica, <<nell’immediatezza dell’intervento su reati ambientali e in corso di indagine essi possono procedere - senza necessità di coinvolgere altri operanti - al sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 3-bis, c.p.p., ad assunzione di sommarie informazioni ai sensi dell’art. 350 c.p.p., ad accertamenti e sequestri ai sensi dell’art. 354 c.p.p., allo svolgimento di attività delegate dal pubblico ministero, alla redazione di atti destinati alla piena utilizzabilità procedimentale e processuale; tutto ciò agendo con le competenze tecniche proprie della loro tipica funzione di tutela ambientale e dunque con significativa efficacia>> 1. Tanto più dopo la legge (cd. sugli ecoreati) n. 68/2015 che ha introdotto la (nuova) parte sesta del D. Lgs 152/06, relativa alla procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali, la quale, oltre la p.g., individua l'" organo di vigilanza" e l'"organo accertatore", affidando (art. 318-ter) all' " organo di vigilanza nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 c.p.p. ", ovvero alla "polizia giudiziaria" il potere di impartire al contravventore <<un'apposita prescrizione asseverata tecnicamente dall'ente specializzato competente nella materia trattata>> (cioè l’ARPA).

Diciamo subito che per il futuro il problema dovrebbe essere risolto in quanto l’art. 14, comma 7 della legge 28 giugno 2016 n.132 di riforma del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente stabilisce che <<il presidente dell’ISPRA e i legali rappresentanti delle agenzie possono individuare e nominare, tra il personale di cui al presente articolo, i dipendenti che, nell’esercizio delle loro funzioni, operano con la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria. A tale personale sono garantite adeguata assistenza legale e copertura assicurativa a carico dell’ente di appartenenza>>; manca ancora, tuttavia, il relativo regolamento di esecuzione 2 .

Per il presente, invece, appare ancora consistente l’opinione di chi, forte anche di un parere del Consiglio di Stato del 2012, ritiene che la qualifica di UPG spetta solo al personale ARPA che ne abbia ricevuto specifica investitura prefettizia o regionale; e di chi, invece, forte di una sentenza della Cassazione del 2016, ritiene che <<poiché la tutela dell'ambiente è materia presidiata dalla legge penale, le funzioni di vigilanza e controllo che la citata normativa statale riconosce .... ai Tecnici delle Agenzie Regionali, non possono non essere ricondotte nell'alveo della previsione di cui all'art. 55 c.p.p. e, quanto alla qualifica spettante ai soggetti che ne sono titolari, alla generale previsione di cui al citato terzo comma del successivo art. 57 c.p.p .>>; con la conseguente, automatica attribuzione di tale qualifica in virtù delle funzioni svolte.

Senza ripetere quanto già scritto 3, se oggi torniamo sull’argomento è per segnalare due importanti interventi giurisprudenziali successivi al 2016.

2. La conferma della Cassazione

Il primo consiste in una recente sentenza della Cassazione 4, la quale ripropone e conferma, ritenendole “condivisibili”, le argomentazioni già svolte nel 2016, negando che la richiamata legge n. 132 del 2016 possa significare la <<inesistenza di una valida base normativa per l’attribuzione della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria al personale ARPA, perché ciò non si ricava dal tenore della disposizione, che indica il soggetto competente ad individuare e nominare i dipendenti che operano con tale qualifica ed anche perché, in precedenza, altre disposizioni di legge avevano preso in considerazione la questione ….>>, ed evidenziando, in particolare, che la formulazione dell’art. 318-ter <<si riferisce all’ ”organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'articolo 55 del codice di procedura penale”, operando una distinzione dalla polizia giudiziaria a competenza generale richiamata subito dopo, dando implicitamente conto della sussistenza di tali attribuzioni in capo a tale soggetto>>.

Aggiunge, tuttavia, alcune considerazioni particolarmente rilevanti per valutare la legittimità dell’operato dei funzionari dell’ARPA, precisando che la conclusione affermativa (la qualifica di ufficiali di p.g.) sopra richiamata è valida solo quando essi pongono in essere autonomamente atti tipici di p.g. mentre a conclusione opposta deve pervenirsi qualora essi svolgano tale attività, ai sensi dell’art. 348, comma 4 c.p.p., <<per mero ausilio tecnico di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria a competenza generale quando sono costoro a provvedere al materiale espletamento dell’atto di indagine>>; e sono, quindi, chiamati ad intervenire come tecnici. Peraltro, se si tratta di <<mere attività ispettive e di vigilanza svolte dal personale ARPA>>, la Suprema Corte, richiamando la sua pregressa giurisprudenza, ricorda l’obbligo di applicare, comunque, gli artt. 220 e 223 disp. att. c.p.p. a tutela del diritto di difesa qualora, nel corso dell’attività emerga la <<mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall'inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata>>, soprattutto con riferimento al prelievo ed all’analisi di campioni.

3. La precisazione della Corte costituzionale sulle informative della p.g. ai superiori gerarchici

Il secondo intervento giurisprudenziale si deve alla Corte costituzionale, è del 20185 e, pur non riguardando direttamente la problematica ARPA-polizia giudiziaria, svolge alcune interessanti considerazioni per quanto concerne gli obblighi di comunicazione del proprio operato da parte della p.g. nei confronti dei suoi dirigenti. La norma in discussione era l’art. 18, comma 5, del D.Lgs. n. 177 del 2016 (“Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato”) la quale prevedeva che <<al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale>>.

Disposizione che era stata impugnata dal Procuratore della Repubblica di Bari il quale lamentava, tra l’altro, che la introduzione di una rilevante deroga al segreto investigativo (art. 329 del codice di procedura penale) si poneva in violazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.), cui il segreto investigativo sarebbe strettamente inerente, nonché dell’art. 109 Cost., secondo il quale l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.

Il ricorso veniva accolto dalla Consulta la quale, pur riconoscendo che “ le esigenze di coordinamento informativo poste a fondamento della disposizione impugnata siano meritevoli di tutela ”, annullava la disposizione ritenendo che la previsione di obblighi di trasmissione di notizie relative alle indagini, in capo alla polizia giudiziaria e in favore di superiori gerarchici privi della qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, anche in deroga al segreto investigativo, sia lesiva delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero garantite dall’articolo 109 Cost.

Più in particolare, la Corte evidenziava che rientra indubbiamente tra gli atti coperti dal segreto investigativo <<quello attraverso il quale, ai sensi dell’art. 347 cod. proc. pen., la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di un reato, ne riferisce senza ritardo e per iscritto al pubblico ministero>>, e ricordava che <<l’art. 109 Cost., prevedendo che l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, ha il preciso e univoco significato di istituire un rapporto di dipendenza funzionale della seconda nei confronti della prima, escludendo interferenze di altri poteri nella conduzione delle indagini, in modo che la direzione di queste ultime ne risulti effettivamente riservata all’autonoma iniziativa e determinazione dell’autorità giudiziaria medesima>>, concludendo che <<tale rapporto di subordinazione funzionale, se non collide con l’organico rapporto di dipendenza burocratica e disciplinare della polizia giudiziaria nei confronti del potere esecutivo (secondo la logica della duplice soggezione, che lo stesso art. 109 Cost. delinea: sentenza n. 394 del 1998), non ammette invece che si sviluppino, foss’anche per legittime esigenze informative ed organizzative, forme di coordinamento investigativo alternative a quello condotto dal pubblico ministero competente>>.

In altri termini, vi è il rischio, secondo la Consulta, che << una notevole quantità di dati e informazioni di significato investigativo, ultronei rispetto alle necessità di coordinamento e di organizzazione >> siano concentrati presso soggetti posti ai vertici delle Forze di polizia che non rivestono la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 57 c.p.p.; con il pericolo << che ne risultino interferenze nella diretta conduzione delle indagini da parte dell’autorità giudiziaria, in lesione, innanzitutto, dell’art. 109 Cost .>>.

Appare, quindi, evidente che questa sentenza riguarda (per usare il linguaggio della Cassazione) sia la P.G. “a competenza generale” sia la P.G. a competenza particolare, in cui rientrano gli ispettori ARPA quando esercitano le funzioni di vigilanza e controllo che la normativa statale loro riconosce, restando, così ricompresi nell’alveo degli artt. 55 e 57 c.p.p.

4. Conclusioni

In conclusione, quindi, adesso diritti e doveri del personale ARPA che svolge funzioni di p.g. appaiono meglio delineati. In primo luogo, infatti, essi devono svolgere queste funzioni alla "dipendenza e sotto la direzione dell'Autorità giudiziaria" (art. 56 c.p.p.), ricordando che, ai sensi dell’art. 327 c.p.p., il P.M. <<dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria>>.

E, ovviamente, visto che rientrano nell’alveo dell’art. 55 c.p.p. devono svolgere ogni indagine ed attività disposta o delegata dall'Autorità giudiziaria, nonchè, <<anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale>>; adeguandosi, quindi, a quanto disposto dagli artt. 347- 357 c.p.p. Di contro, in caso di comportamenti irregolari o illeciti, ad essi si applicano le sanzioni previste per la polizia giudiziaria: ad esempio, in caso di omessa denunzia di reato, saranno soggetti alla pena più grave prevista dall’art. 361, comma 2, c.p. <<se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria>> 6.

In secondo luogo, così come chiarito dalla Corte costituzionale, essi, quando operano come ufficiali di p.g., non possono essere obbligati a trasmettere a superiori gerarchici privi della qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, in deroga al segreto investigativo, notizie relative ad indagini; ricordando sempre, peraltro, che l’art. 109 della Costituzione, non ammette che <<si sviluppino, foss’anche per legittime esigenze informative ed organizzative, forme di coordinamento investigativo alternative a quello condotto dal pubblico ministero competente>>.

Precisazione di grande importanza, visto che molto spesso i superiori gerarchici degli ispettori ARPA male sopportano che essi agiscano ed operino autonomamente o direttamente su ordine dell’A.G., senza neanche informarli delle indagini svolte e del loro esito.

Infine, appare opportuno ricordare che, ai sensi dell’art. 452-septies c.p. (<<Impedimento del controllo>>), introdotto dalla legge n. 68 del 2015, <<salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, negando l'accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l'attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni>>.

Trattasi di disposizione poco applicata nonostante la dottrina ne abbia opportunamente evidenziato l'ampiezza, osservando che " le applicazioni pratiche, avuto riguardo al tenore letterale della disposizione, paiono molteplici, perché vanno dal mero diniego di accesso ai luoghi ove deve essere effettuato il controllo, a comportamenti che rendono più difficoltoso il controllo o lo eludono, cosicché potrebbero rientrare nella fattispecie in esame condotte frequenti e ben note a chi opera nel settore della tutela penale dell'ambiente, quali, ad esempio, la predisposizione di bypass degli scarichi, il sottrarre alla vista una massiccia diluizione degli stessi, la mirata riduzione dell'attività di un impianto, l'occultamento di specifiche attività incidenti sul carico inquinante di un determinato processo produttivo e, finanche, il rifiuto della doverosa e necessaria collaborazione che determini le conseguenze descritte dalla norma in esame " 7 . Cui possiamo aggiungere, continuando l'esemplificazione, anche l'occultamento di documentazione esistente presso l'azienda, il girobolla e l'informativa falsa o carente circa l'attività dell'azienda (necessaria per impostare e valutare correttamente i controlli, rischiando, altrimenti di compromettere gli esiti degli stessi) ecc.

1 BATTARINO, Agenzie anbientali e funzioni di polizia giudiziaria, in Quale Giustizia, dicembre 2016

2 Per approfondimenti, si rinvia al nostro La nuova legge sui controlli ambientali: un primo sguardo in www.lexambiente.it, luglio 2016.

3 Cfr., anche per richiami, il nostro La Cassazione smentisce il Consiglio di Stato: i tecnici arpa hanno la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria. I riflessi sulla legge n. 68/2015 , in www.industrieambiente.it , gennaio 2017

4 Cass. Pen., Sez. 3, 15 marzo 2021 (PU 19 gen 2021), n. 9954, Tozzi, in www.lexambiente.it, 16 marzo 2021

5 Corte costituzionale, 6 dicembre 2018, n. 229 in G. U. 12 dicembre 2018 n. 49

6 In giurisprudenza, merita di essere segnalata Cass. Pen., Sez. 3, 1 febbraio 2011 (c.c. 15 dicembre 2010), n. 3634, Zanello, in www.ambientediritto.it, la quale, ben prima del chiarimento della Cassazione del 2016, ha ritenuto fossero concorrenti nel reato di gestione illecita di rifiuti (art. 257 D. Lgs. 152/06) la dirigente ed un funzionario di una ASL i quali << consapevoli della esistenza dei rifiuti ospedalieri sul sito da bonificare, sia perché portate a conoscenza della esistenza di tali rifiuti telefonicamente e tramite comunicazione scritta, sia per averne constatata la presenza in sito e sulla base di documentazione fotografica, non procedevano ad alcun controllo sostanziale sulle operazioni di rimozione e smaltimento del rifiuto, di tal ché non impedivano che lo stesso fosse gestito come semplice terra, consentendone il conferimento con il codice errato in discarica non autorizzata>>, ritenendoli <<titolari di una posizione di garanzia in relazione all’impedimento dei reati commessi dai terzi e, pertanto, qualora, venuti a conoscenza dell’effettuazione irregolare di operazioni di gestione di rifiuti, omettano di intervenire, sono responsabili ex art. 40, 2° comma, c.p. dell’illecito smaltimento del rifiuto>>

7 RAMACCI, Prime osservazioni sull'introduzione dei delitti contro l'ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della legge 22 maggio 2015 n. 68 , in www.lexambiente.it, 8 giugno 2015., pag. 7. Cfr., più di recente, l’approfondita analisi di GALANTI, I delitti contro l’ambiente, Pacini, Pisa 2021, pag. 107 e segg., il quale ritiene che il delitto possa essere commesso <<non solo attraverso la predisposizione di ostacoli “fisici”, come bypass, offendicula o altro, ma anche attraverso la artificiosa predisposizione di ostacoli amministrativi>>, nonchè con abuso del diritto di difesa.