Cass. Sez. III n. 27085 del 4 luglio 2008 (Ud.. 20 mag. 2008)
Pres. Onorato Est. Teresi Ric. Giarratano
Rifiuti. Fanghi di depurazione

La disciplina in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti si applica anche ai fanghi di depurazione, sicché l\'accumulo di detti fanghi costituisce attività di stoccaggio degli stessi, ossia un\'attività di smaltimento consistente in operazioni di deposito preliminare di rifiuti, nonché di recupero degli stessi, consistente nella messa in riserva di materiali.
Le condizioni previste per la applicazione della disciplina dei sottoprodotti devono sussistere contestualmente, sicché la mancanza di una sola di esse comporta l\'assoggettamento del materiale alla disciplina sui rifiuti.

Con sentenza 9.07.2007 il Tribunale di Enna condannava Saverio Giarratano alla pena dell’ammenda ritenendolo responsabile di avere, quale titolare della ditta MGR, smaltito, senza la preventiva autorizzazione, rifiuti non pericolosi [fanghi di decantazione e sfridi di produzione] prodotti nella lavorazione della pietra.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge sulla configurabilità del reato che era stata ritenuta per rifiuti che, secondo i funzionari dell’ARPA, potevano essere avviati al recupero e al riutilizzo, e senza considerare che l’art. 185 d. lgs. n. 152/2006 esclude dal suo campo d’applicazione i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento di cave.

Aggiungeva che il materiale risultante dalla lavorazione della pietra non rientra nella nozione di rifiuto perché qualificabile come sottoprodotto, potendo essere riutilizzato in un successivo processo produttivo senza alcuna trasformazione preliminare.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Rilevata la genericità delle osservazioni preliminari del ricorrente in tema di attività di recupero dei rifiuti [assoggettata al regime autorizzatorio o al rispetto della normativa sulla procedura semplificata] e in tema di esclusione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti di quelli indicati nell’art. 185, comma 1 lettera D d. lgs. n. 152/2006, tra cui non rientrano i fanghi di depurazione e gli sfidi della produzione artigianale dell’imputato, va osservato che la disciplina in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti si applica anche ai fanghi di depurazione, sicché l’accumulo di detti fanghi costituisce attività di stoccaggio degli stessi, ossia un’attività di smaltimento consistente in operazioni di deposito preliminare di rifiuti, nonché di recupero degli stessi, consistente nella messa in riserva di materiali.

Inoltre, non è pertinente, per escludere i suddetti materiali dalla disciplina dei rifiuti, il riferimento alla nozione di sottoprodotto di cui all’art. 183 lettera n) del suddetto decreto.

A tal fine il sottoprodotto si configura quando:

• l’impresa che li produce non se ne disfi, non è obbligata a disfarsene e non ha deciso di disfarsene;
• sia impiegato direttamente dall’impresa che lo produce o sia commercializzato a condizioni favorevoli per l’impresa stessa direttamente per il consumo o per l’impiego senza necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo;
• l’utilizzazione sia certa e non eventuale e, a tale scopo, deve essere verificata la rispondenza agli standards merceologici, nonché alle norme tecniche, di sicurezza e di settore e deve essere attestata la destinazione del sottoprodotto a effettivo utilizzo, in conformità a tali standards e norme, tramite una dichiarazione del produttore o del detentore, controfirmata dal titolare dell’impianto dove avviene l’effettivo utilizzo;
• il suo utilizzo non comporti per l’ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive.

Tali condizioni devono sussistere contestualmente, sicché la mancanza di una sola di esse comporta l’assoggettamento del materiale alla disciplina sui rifiuti.
Nel caso in esame, non risulta che gli sfidi siano stati impiegati direttamente dall’impresa, né che siano stati commercializzati; non è certa la riutilizzazione, né la mancanza di danno per l’ambiente, sicché correttamente è stato ritenuto che tali decisivi elementi, minimizzati nei motivi di ricorso, depongano inequivocabilmente per la configurabilità del reato.

Grava sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento.