Cass. Sez. III n. 26785 del 21 giugno 2023 (UP 15 feb 2023)
Pres. Ramacci Rel. Macrì Ric. Orlando
Rifiuti.Ambito di applicazione del decreto legislativo 36 del 2003
Il d.lgs. n. 36 del 2003 non ha previsto esenzioni e si applica a tutte le discariche, senza distinguere se aperte o chiuse, e quindi deve ritenersi anche a quelle chiuse per cui è prevista una specifica disciplina con riferimento alla gestione post-operativa.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 27 maggio 2022 la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza in data 5 ottobre 2020 del Tribunale di Pescara, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Domenico Orlando in ordine al reato dell’art. 257 d.lgs. n. 152 del 2006 perché estinto per prescrizione e ha rideterminato la pena per il residuo reato di cui agli art. 452-bis e quinquies cod. pen. in mesi sei di reclusione ed euro 3.000 di multa.
2. Ricorre per cassazione l’imputato sulla base di due motivi.
Con il primo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione perché l’art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 121 del 2020 stabilisce che l’art. 1, lett. i), n) e o), del medesimo decreto si applica alle discariche di nuova realizzazione o ai nuovi lotti di discariche esistenti. Invoca pertanto l’abolitio criminis, perché il reato sarebbe configurabile solo a carico del gestore di una discarica attiva, mentre lui è stato il gestore di una discarica chiusa in data anteriore al recepimento della direttiva comunitaria 1999/31/CE da parte del d.lgs. n. 36 del 2003. Lamenta altresì che l’art. 17 del citato decreto legislativo ha erroneamente recepito il considerando 25, secondo cui la direttiva non avrebbe dovuto applicarsi alle discariche già chiuse al momento della sua entrata in vigore.
Con il secondo motivo, enunciato nelle conclusioni, insiste sulla immediata applicabilità della direttiva.
Nella memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale il difensore insiste nella tesi dell’abolitio criminis.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
I Giudici di merito hanno accertato che l’imputato è responsabile del reato d’inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., commesso con colpa, perché, in qualità di commissario ad acta per la messa in sicurezza della discarica pubblica ubicata in località Villa Carmina del Comune di Montesilvano, ha omesso di adottare le precauzioni dovute con la conseguenza che, in seguito alle piogge, il percolato è penetrato nella parte più vecchia della discarica, non impermeabilizzata, inquinando il fiume e il terreno circostante dove sono state trovate cospicue quantità di cromo, cadmio, arsenico e zinco.
Il ricorrente non contesta il fatto nella sua materialità, ma la rilevanza giuridica della condotta.
Sostiene che il decreto legislativo n. 36 del 2003 si applica solo alle discariche aperte e non a quelle chiuse, poiché ha recepito la direttiva 1999/31/CE che al considerando 25 ne esclude l’applicabilità alle discariche già chiuse al momento della sua entrata in vigore. Aggiunge che comunque il d.lgs. n. 121 del 2020, che ha novellato il d.lgs. n. 36 del 2003, ha ribadito che la disciplina della gestione post-operativa vale solo per le discariche nuove o per lotti nuovi di discariche preesistenti e non per quelle già chiuse. Sostiene ancora che la discarica è stata chiusa negli anni ’90 e che lui è stato nominato commissario ad acta nel 2013, per cui non gli è applicabile né la direttiva né la legge di recepimento.
Ritiene il Collegio che la ricostruzione normativa proposta dalla difesa non sia corretta.
Innanzi tutto, i “considerando” hanno un valore circoscritto alla spiegazione delle ragioni dell’intervento normativo ma non hanno a loro volta una funzione normativa (Sez. 5 civ., n. 7280 del 07/03/2022, Rv.664097-01). Pertanto, non se ne può predicare l’applicazione diretta o l’efficacia vincolante né si può far discendere dalla loro eventuale violazione la disapplicazione della norma nazionale di recepimento.
Peraltro, nel caso in esame il considerando è formulato con espressioni verbali temperate “considerando che le discariche chiuse anteriormente alla data di recepimento della presente direttiva non dovrebbero essere soggette alle disposizioni da essa previste per la procedura di chiusura”, in cui il modo condizionale contempla o quanto meno non esclude una diversa scelta degli Stati membri.
Sta di fatto che il d.lgs. n. 36 del 2003 non ha previsto delle esenzioni e che il Consiglio di Stato ha in più di un’occasione affermato che tale disciplina si applica a tutte le discariche (Cons. Stato V, 3 settembre 2009, n. 5169; Cons. Stato IV, 8 aprile 2014, n. 1662; Cons. Stato V, 25 giugno 2015, n. 4595; Cons. Stato IV, 31 gennaio 2020, n. 803; Cons. Stato II, 11 novembre 2020, n. 6935), senza distinguere se aperte o chiuse, e quindi deve ritenersi anche a quelle chiuse per cui è prevista una specifica disciplina con riferimento alla gestione post-operativa.
Correttamente, quindi, la Corte di appello di L’Aquila ha ritenuto che tale normativa fosse applicabile alla discarica in oggetto, che al momento del recepimento della direttiva UE era nella fase della gestione post-operativa.
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto, il d.lgs. n. 121 del 2020 non ha inciso sulla fattispecie in termini di abolitio criminis. E’ vero che l’art. 2, comma 2 stabilisce che “Le disposizioni di cui all'articolo 1, lettere i), n) e o), si applicano alle discariche di nuova realizzazione, nonché alla realizzazione di nuovi lotti delle discariche esistenti le cui domande di autorizzazione siano state presentate dopo la data dell'entrata in vigore del presente decreto”. Tuttavia, le lett. i, n, o dell’art. 1, relative rispettivamente alle modifiche dell’art. 8 comma 1 (capacità totale della discarica), dell’art. 12, comma 2 (modalità di chiusura della discarica), dell’art. 13 d.lgs. n. 36 del 2003 (documentazione della cessazione della gestione post-operativa) non ineriscono alla questione in esame.
Più in generale, deve osservarsi che, al di là della prospettazione difensiva, il d.lgs. n. 36 del 2003 non interferisce con il reato dell’art. 452-bis cod. pen. che è stato introdotto dalla l. 22 maggio 2015, n. 68 e che colpisce chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile delle acque, dell’aria, di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo, di un ecosistema, della biodiversità, o produca l’inquinamento in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico, archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette (Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, Simonelli, Rv. 268059-01; n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269489 e 269490; n. 28732 del 27/04/2018, Melillo, Rv. 273566-01; n. 50018 del 19/09/2018, Izzo, Rv. 274864-01; n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015-01 e -02; n. 9736 del 30/01/2020, Forchetta, Rv. 278405-01).
Il reato, quindi, dipende da una condotta dannosa per l’ambiente che può prescindere dalla gestione della discarica e analogamente la sua formulazione normativa può prescindere dalla violazione di una prescrizione regolamentare, non essendo richiesta una colpa specifica e bastando quella generica. Pertanto, il riferimento alla mancata adozione delle necessarie precauzioni e prescrizioni previste dall’art. 13 del d.lgs. n. 36 del 2003 relativo alla gestione operativa e dall’allegato 1 del medesimo decreto legislativo è sovrabbondante. Non a caso, la Corte di appello di L’Aquila, dopo aver accertato la violazione di legge, ha accertato anche la violazione delle ordinarie regole di diligenza connesse all’incarico del commissario ad acta. Infatti, ha evidenziato che la manutenzione delle opere, in particolare dell’impermeabilizzazione esterna e dei canali di captazione delle acque meteoriche, rientrava nei compiti del commissario, il quale avrebbe dovuto mettere in sicurezza la discarica proprio in attesa della bonifica definitiva ha individuato la violazione. Invece, la mancata manutenzione del telo di copertura che era squarciato in più punti e del sistema di canalizzazione delle acque meteoriche, completamente ostruito perché coperto di terra e di vegetazione spontanea, aveva determinato l’infiltrazione delle acque meteoriche che avevano causato la penetrazione del percolato nel terreno dal quale trasudava, defluendo nel fiume. I Giudici hanno altresì accertato che il percolato fuoriusciva proprio dal perimetro della discarica per cui era escludo che gli agenti inquinanti provenissero da siti diversi dalla discarica di cui era commissario l’imputato.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 15 febbraio 2023