Cass.Pen. Sez. III n. 29818 del 10 luglio 2023 (UP 16 mar 2023)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Filippi
Rifiuti.Gestione illecita quale reato di pericolo

L’art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006, configura un reato di pericolo, sicché la valutazione in ordine all'offesa al bene giuridico protetto deve avvenire al momento della condotta secondo un giudizio prognostico "ex ante", quando deve essere probabile, secondo l' "id quod plerumque accidit", che alla condotta consegua l'evento lesivo, essendo irrilevante l'assenza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsivoglia lesione. Dunque, il fatto, astrattamente pericoloso, ancorché concretamente non dannoso e non pericoloso, è comunque punibile ai sensi dell’art. 256, d.lgs. n. 152, cit.


RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

        1. I sigg.ri Marco Filippi e Gerardo Vuocolo ricorrono per l’annullamento della sentenza del 05/07/2022 del Tribunale di Genova che li ha dichiarati colpevoli del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 256, commi 1, lett. a), e 2, d.lgs. n. 152 del 2006, e li ha condannati alla pena di 4.000,00 euro di ammenda ciascuno.
            1.1. Con il primo motivo deducono l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e il vizio di insufficienza, mancanza o contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Lamentano che la decisione del Tribunale fa riferimento esclusivamente all’oggetto dell’appalto, all’entità del materiale immesso e all’estensione dello sversamento. Non sono stati presi in considerazione, affermano le modalità della condotta, il grado di colpevolezza, l’entità del danno o del pericolo cagionato (danno del tutto mancante), il titolo della responsabilità, siccome chiamati a rispondere del reato in ragione del ruolo ricoperto (responsabile del cantiere MGA Srl il Filippi, del cantiere Soteco Srl il secondo) non quali autori materiali della condotta, peraltro occasionale. Manca, in conclusione, una valutazione complessiva e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta.
            1.2.  Con il secondo motivo deducono l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 163 cod. pen. nonché l’insufficienza, la mancanza o la contraddittorietà della motivazione in relazione al beneficio della sospensione condizionale della pena immotivatamente concessa nonostante la condanna alla pena dell’ammenda, senza che i ricorrenti ne avessero fatto richiesta e contro il loro stesso interesse.

    2. Le ragioni a sostegno dei motivi di ricorso sono state ribadite con la memoria difensiva dell’8/03/2023, depositata in replica alla richiesta del PG di declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

        3. I ricorsi sono inammissibili.

        4. I ricorrenti rispondono dei reati loro ascritti perché, quali responsabili di cantiere, rispettivamente, per conto della società «M.G.A. S.r.l. Manutenzioni generali autostrade S.r.l.» il Filippi, per conto della società «SOTECO S.r.l.» il Vuocolo, società impegnate, quali RTI, nell’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e consolidamento delle calotte di una galleria lungo la autostrada A12 (Genova-Sestri Levante) appaltati dalla società «Autostrade per l’Italia», avevano provocato l’immissione nelle acque superficiali del Rio Cereghetta di rifiuti speciali non pericolosi (acque di perforazione e residui di cemento e di cemento e calcestruzzo) derivanti dagli interventi sopra indicati tramite le caditoie poste sulla sede autostradale e il relativo canale di scolo delle acque meteoriche recapitante nell’alveo del citato Rio Cereghetta.
            4.1. Il Tribunale ha negato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto «in considerazione del tipo di lavorazioni oggetto dell’appalto di lavori dal quale il materiale è originato, nonché dell’oggettiva entità del materiale immesso e dell’estensione dello sversamento». Ai fini della applicazione delle circostanze attenuanti generiche ha dato atto della bonifica dei luoghi e del fatto che non sono residuate conseguenze per la matrice ambientale.
            4.2. L’esiguità del danno (o del pericolo) costituisce, insieme con «le modalità della condotta», una condizione imprescindibile dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. Sicché, se il danno (o il pericolo) non è “esiguo”, il fatto, pur globalmente considerato, non può mai essere considerato di particolare tenuità.
            4.3. L’art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006, configura un reato di pericolo, sicché la valutazione in ordine all'offesa al bene giuridico protetto deve avvenire al momento della condotta secondo un giudizio prognostico "ex ante", quando deve essere probabile, secondo l' "id quod plerumque accidit", che alla condotta consegua l'evento lesivo, essendo irrilevante l'assenza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsivoglia lesione (Sez. 3, n. 4973 del 18/10/2018, Mastroianni, Rv. 275740 - 01; Sez. 3, n. 19439 del 17/01/2012, Miotti, Rv. 252908 - 01).
            4.4. Dunque, il fatto, astrattamente pericoloso, ancorché concretamente non dannoso e non pericoloso, è comunque punibile ai sensi dell’art. 256, d.lgs. n. 152, cit.
            4.5. L’assenza di danno o pericolo concreto e attuale alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette costituisce condizione del procedimento di estinzione delle contravvenzioni ambientali previste dal d.lgs. n. 152 del 2006 disciplinato dagli artt. 318-bis e segg. del medesimo decreto, non della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. Come precisato da questa Corte, la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale, prevista dagli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006 si applica tanto alle condotte esaurite - come tali dovendosi intendere quelle prive di conseguenze dannose o pericolose per cui risulti inutile o impossibile impartire prescrizioni al contravventore - quanto alle ipotesi in cui il contravventore abbia spontaneamente e volontariamente regolarizzato l'illecito commesso prima dell'emanazione di prescrizioni (Sez. 3, n. 36405 del 18/04/2019, Rossello, Rv. 276681 - 01).
            4.6. L’assenza del danno (o del pericolo concreto e attuale del danno) non può, dunque, costituire argomento spendibile ai fini dell’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., né può essere valotrizzato il comportamento post-factum di bonifica delle matrici ambientali spontaneamente posto in essere dall’autore del reato (pure astrattamente valorizzabile ai sensi dell’art. 131-bis, comma primo, cod. pen., come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. c, n. 1, d.lgs. n. 150 del 2022). Tale comportamento può, semmai, rilevare ai fini della estinzione del reato stesso non ai fini della applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto quando il danno (o il pericolo di danno) non sia comunque esiguo secondo la valutazione prognostica indicata al § 4.3 che precede.
            4.7. Nel caso di specie, le considerazioni del Tribunale sfuggono al sindacato di legittimità nella misura in cui, con motivazione immune da vizi e non inficiata da travisamenti di sorta, è stata esclusa la esiguità del danno (o comunque del concreto pericolo di danno) in considerazione dell’entità dello sversamento, del materiale sversato e della matrice ambientale attinta.
 
        5. Il secondo motivo è inammissibile.
            5.1. Secondo l’ormai prevalente (e consolidato) insegnamento della Corte di cassazione (che i ricorrenti ignorano), è ammissibile l'impugnazione proposta dall'imputato avverso una sentenza di condanna a pena pecuniaria che sia stata condizionalmente sospesa senza sua richiesta, qualora l'impugnazione concerna interessi giuridicamente apprezzabili poiché correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella "individualizzazione" della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato, e non si risolva nella prospettazione di motivi di mera opportunità, come quello di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi (Sez. 1, n. 35135 del 25/03/2022, Terranova, Rv. 283475 - 01; Sez. 3, n. 17384 del 28/01/2021, Bianco, Rv. 281539 - 01; Sez. 3, n. 46568 del 03/10/2019, Marchi, Rv. 277280 - 02).
            5.2. L’interesse dedotto dai ricorrenti è quello relativo alla dedotta impossibilità di eliminare l’iscrizione della condanna dal casellario giudiziale.
            5.3. Si tratta di lettura errata dell’art. 5, comma 2, lett. d), d.P.R. n. 313 del 2002, secondo il quale sono eliminate le iscrizioni «ai provvedimenti giudiziari di condanna per contravvenzioni per le quali è stata inflitta la pena dell'ammenda, salvo che sia stato concesso alcuno dei benefici di cui agli articoli 163 e 175 del codice penale, trascorsi dieci anni dal giorno in cui la pena è stata eseguita ovvero si è in altro modo estinta». Con sentenza n. 287 del 2010, la Corte costituzionale, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma limitatamente all'inciso «salvo che sia stato concesso alcuno dei benefici di cui agli articoli 163 e 175 del codice penale». Sicché non è vero quanto sostengono i ricorrenti. E’ piuttosto vero il contrario: decorsi due anni dalla irrevocabilità della sentenza senza che siano stati commessi altri reati, l’iscrizione della condanna può essere senz’altro eliminata.  

            6. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16/03/2023.