Cass. Sez. III n. 43118 del 21 ottobre 2019 (UP 17 lug 2019)
Pres. Izzo Est. Gai Ric. Giambra
Rifiuti.Contravvenzione di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni

La contravvenzione di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, prevista e punita dall’art. 256, comma 4, d.l.gs. 3 aprile 2006, n. 152, è reato formale di pericolo, il quale si configura in caso di violazione delle prescrizioni imposte per l'attività autorizzata di gestione di rifiuti, non essendo richiesto che la condotta sia anche idonea a ledere in concreto il bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice. Trattasi di reato formale, la cui configurabilità è ipotizzabile sulla base della semplice effettuazione di una delle attività soggette a titolo abilitativo senza osservarne le prescrizioni. Inoltre, la natura di reato di mera condotta fa sì che, per l'integrazione della fattispecie, non assuma rilievo l'idoneità della condotta medesima a recare concreto pregiudizio al bene finale, atteso che il bene protetto è anche quello strumentale del controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione


RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 21 dicembre 2018, il Tribunale di Caltanissetta ha ritenuto responsabili Giambra Carmela e Giardina Giuseppe dei reati di cui agli artt. 81, 110, 40 comma 2 cod.pen., 256 comma 4 del d.lgs 3 aprile 2006, n. 152  - capo 1) – e il solo Giardina del reato di cui all’art. 256 comma 1 lett. a) del d.lgs 3 aprile 2006, n. 152, come diversamente qualificato il reato contestato, - capo 3) – e li ha condannati, rispettivamente, alla pena sospesa di € 3.000,00 di ammenda (Giambra) e € 10.000,00 di ammenda (Giardina).
Con la medesima sentenza, il Tribunale ha assolto gli imputati dal reato di cui all’art. 260 del d.lgs 3 aprile 2006, n. 152 - capo 2) – perché il fatto non sussiste, nonché la Giambra Carmela dal reato di cui al capo 3), per non avere commesso il fatto, e ha dichiarato insussistente il correlato illecito amministrativo contestato alla EDILCAVA di Giambra Carmela e & s.n.c., perché il fatto di reato presupposto non sussiste.
2. Avverso la sentenza, gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione e ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione come disposto dall’art. disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Col primo motivo deducono la violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 256 comma 4, del d.lgs 3 aprile 2006, n. 152, nonché il correlato vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità penale in ordine al capo 1).
Argomentano i ricorrenti che il Tribunale avrebbe errato nell’applicazione della legge penale in quanto non avrebbe considerato che la norma di cui al comma 4 del citato decreto, impone una puntuale indagine tra il contenuto dell’autorizzazione rilasciata ai ricorrenti, per l’attività di gestione di rifiuti speciali non pericolosi (giusta autorizzazione con DDS 1202/2012) e ciò che non è stato ottemperato. In tale ambito l’unica inottemperanza alle prescrizioni dovrebbe essere individuata nella difformità della recinzione metallica sovrastante i muretti su due lati della recinzione, in quanto le altre inottemperanze indicate nella sentenza non troverebbe alcun riferimento prescrittivo nell’autorizzazione. I ricorrenti avevano trasmesso il progetto, che riportava la situazione di fatto accertata, al dipartimento competente che preso atto non aveva sollevato questioni sulla recinzione. Difetterebbe poi la motivazione congrua con riferimento all’elemento soggettivo del reato, tenuto conto che i ricorrenti, persone non esperte nella materia, si erano affidate a professionisti del settore.
2.2. Col secondo motivo denunciano la violazione di cui all’articolo 606 comma 1, lett. e) cod.proc.pen., in relazione all’illogicità della motivazione sull’affermazione della responsabilità penale in relazione al reato di cui all’art. 256 comma 1 lett. a) d.lgs 3 aprile 2006, n. 152, quanto a Giardina Giuseppe. Il Tribunale non avrebbe valutato le deposizioni testimoniali dalle quali risultava che la ex cava, ove erano stati rivenuti cumuli di rifiuti, costituiti da materiali provenienti da demolizioni e scavi, cava adiacente all’impianto di trattamento, si trovava nelle medesime condizioni in cui si trovava al momento dell’acquisto da parte degli imputati in data 26/05/2011. La condotta di abbandono dei rifiuti nella ex cava sarebbe precedente all’acquisito della stessa da parte dell’imputato e, dunque, al medesimo non potrebbe essere imputata la condotta di reato.
2.3. Con il terzo motivo deducono la violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) cod.proc.pen. e il correlato vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio in difetto di motivazione tenuto conto della sanzione prossima ai medi edittali.
3. Il Procuratore generale ha chiesto, in udienza, l’inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. – I ricorsi sono inammissibili perché propongono motivi manifestamente infondati, di natura prettamente fattuale e generici.
5. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso con cui si censura la violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’art. 256 comma 4, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
La contravvenzione di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, prevista e punita dall’art. 256, comma 4, d.l.gs. 3 aprile 2006, n. 152, è reato formale di pericolo, il quale si configura in caso di violazione delle prescrizioni imposte per l'attività autorizzata di gestione di rifiuti, non essendo richiesto che la condotta sia anche idonea a ledere in concreto il bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice (Sez. 3, n. 6256 del 02/02/2011, Mariottini, Rv. 249577 – 01). In tale pronuncia, si è chiarito che, con riferimento alla natura del reato, trattasi di reato formale, la cui configurabilità è ipotizzabile sulla base della semplice effettuazione di una delle attività soggette a titolo abilitativo senza osservarne le prescrizioni (Sez. 3, n. 38186, 8/10/2003). Inoltre, la natura di reato di mera condotta fa sì che, per l'integrazione della fattispecie, non assuma rilievo l'idoneità della condotta medesima a recare concreto pregiudizio al bene finale, atteso che il bene protetto è anche quello strumentale del controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione (Sez. 3, n. 15560 del 14/03/2007, Andreani, Rv. 236341 – 01).  In altra risalente pronuncia (Sez. 3, n. 35621, 27 settembre 2007), si è chiarito che, nel reato in esame, lo scopo del legislatore è quello di apprestare una difesa anticipata del bene giuridico protetto, facendo sì che alcune condotte eminentemente formali e non collegate alla tutela di un interesse esplicitamente indicato e neppure immediatamente percepibile siano scrupolosamente osservate, con la conseguenza che la loro violazione viene punita indipendentemente da qualsiasi accertamento di una qualsiasi lesione concreta e da qualsiasi concreto interesse.
Tutto ciò premesso, la sentenza impugnata, sulla scorta dell’accertamento fattuale, all’esito del sopralluogo che aveva rilevato l’inosservanza all’art. 5 punti 7,12 e 23, punto 14, allegato 5, punti del D.M. 05/04/2006, n. 186, nonché era stata accertata l’omessa recinzione su due lati del sito, ha condannato gli imputati per la contravvenzione di cui al comma 4 cit. Ora, i ricorrenti non contestano l’inosservanza della prescrizione relativa alla recinzione, che pacificamente è ammessa, inosservanza che per ciò solo integra la contravvenzione. Quanto agli ulteriori profili, mette conto di rilevare che la piena consapevolezza in capo agli imputati dell’inosservanza della prescrizione riguardante alla recinzione esclude la buona fede e costituisce prova dell’elemento soggettivo del reato.
6.- Di carattere prettamente fattuale è il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Giardina Giuseppe. Secondo quanto accertato dal Tribunale, e non sindacabile in presenza di congrua motivazione, a seguito di ispezione presso la ex cava, adiacente all’impianto di trattamento dei rifiuti, era stata accertata la presenza di cumuli di rifiuti proveniente da demolizioni, rocce e terre da scavo, ammassati a fini di riempimento, tracce di mezzi cingolati che smentivano la tesi difensiva dell’abbandono ad opera di terzi in epoca precedente all’acquisito della ex cava. Sulla scorta dati di fatto, l’imputato Giardina è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 256 comma 1 lett. a) d.lgs 3 aprile 2006, n. 152, con motivazione congrua e corretta in diritto, rispetto alla quale il denunciato travisamento probatorio si risolve in una richiesta di rivalutazione probatoria non consentita in questa sede.
7. Il terzo motivo di ricorso, afferente al trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato e generico.
Sotto un primo profilo, i ricorrenti non indicano gli elementi positivi di valutazione a fini del riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62 bis cod.pen., limitandosi ad esprimere dissenso rispetto alla decisione del giudice.
Come questa Corte ha più volte affermato, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900) che i ricorrenti non allegano.
 Quanto al trattamento sanzionatorio, deve rammentarsi che l’obbligo della motivazione in ordine alla entità della pena irrogata deve ritenersi sufficientemente osservato qualora il giudice, richiamati i criteri di cui all’art. 133 cod.pen.,  dichiari di ritenere "adeguata" o "congrua" o "equa" la misura della pena applicata o ritenuta applicabile nel caso concreto, la scelta di tali termini, infatti, è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall'art. 133 cod. pen., principio che deve essere riaffermato nel caso in cui, come quello in esame, la misura della pena irrogata è stata esplicitamente applicata in misura media che consente di ritenere adeguata la motivazione mediante richiamo ad espressioni del tipo "pena congrua" (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino,Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv 256197; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356) e il giudice ha fatto espresso richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod.pen.

8.- I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 17/07/2019