Cass. Sez. III n. 42338 del 15 ottobre 2013 (Ud. 9 lug 2013)
Pres. Fiale Est. Franco Ric. Delle Cave
Rifiuti. Raccolta e trasporto di rifiuti speciali in difetto di titoli abilitativi
L'attività di raccolta e trasporto di rifiuti speciali in difetto di titoli abilitativi costituisce reato anche in mancanza della qualità di imprenditore ovvero di un'organizzazione imprenditoriale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Dott. FIALE Aldo - Presidente - del 09/07/2013
Dott. FRANCO Amedeo - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 2039
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - N. 2538/2013
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
Delle Cave Sandro, nato a Mansos Hill Bromley il 12.4.1962;
avverso la sentenza emessa il 17 aprile 2012 dalla corte d'appello di Napoli;
udita nella pubblica udienza del 9 luglio 2013 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. FRATICELLI Mario che ha concluso per
l'inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Napoli confermò la sentenza emessa il 16.4.2009 dal giudice del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che aveva dichiarato Delle Cave Sandro colpevole del reato di cui alla L. n. 210 del 2008, art. 1, comma 1, lett. d), per avere trasportato rifiuti speciali (breccia e sabbione cemento) a mezzo di un autoarticolato con rimorchio, e lo aveva condannato alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 7.000,00 di multa, con la confisca del veicolo. Osservò in particolare la corte d'appello che non si trattava ne' di materie prime secondarie ne' di sottoprodotti, ma di residui ottenuti dal lavaggio delle betoniere, e quindi di fanghi di cemento. Non era poi applicabile l'art. 47 cod. pen. perché non si trattava di un errore sul fatto ma semmai di un errore di diritto sul precetto penale.
L'imputato, a mezzo dell'avv. Carlo De Stavola, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione della L. n. 210 del 2008, art. 1, comma 1, lett. d), e mancanza di motivazione sulle specifiche eccezioni proposte con l'appello dalla difesa, che a-veva rilevato che non si trattava di rifiuti ma di materia prima secondaria o di sottoprodotto. Circa la qualificazione come materia prima secondaria la corte sottoprodotto. Circa la qualificazione come materia prima secondaria la corte d'appello non ha speso una parola; circa la natura di sottoprodotto la motivazione è apodittica. Nella specie i residui di calcestruzzo, sottoposti a lavaggio, erano riutilizzati nel ciclo produttivo per la formazione di nuovo calcestruzzo e non erano trattati ma solo lavati. 2) violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla L. n. 210 del 1988, art. 6, comma 1, lett. d). Lamenta che la corte d'appello ha risposto in modo apodittico alla eccezione che la condotta dell'imputato non rientrava nel concetto di attività, la quale richiede qualcosa in più del semplice trasporto. 3) violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione all'art. 47 cod. pen.. Osserva che la corte d'appello non ha assolutamente motivato sulla eccezione della difesa secondo cui la fattispecie rientrava nell'ambito dell'art. 47 cod. pen., avendo l'imputato ritenuto che poteva trasportare il materiale, che considerava non essere rifiuto perché avrebbe dovuto essere riutilizzato in un piazzale della stessa ditta.
4) violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla L. n. 210 del 2008, art. 6, comma 1 bis. Lamenta che la corte d'appello ha omesso di motivare su tale disposizione in relazione alla confisca del veicolo, nonché sulla eccezione che l'autocarro era di proprietà di un soggetto estraneo al processo penale. MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato.
Quanto al primo motivo, si ritiene che la corte d'appello abbia fatto corretta applicazione delle norme vigenti all'epoca del fatto escludendo che si trattasse di materia prima secondaria, in quanto dette norme subordinavano l'acquisizione di tale qualifica al completamento delle operazioni di recupero ed alla non necessità di ulteriori trattamenti, mentre nella specie non risultavano essere state effettuate operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero. È altresì congrua ed adeguata la motivazione con la quale è stata esclusa la qualità di sottoprodotto, non ricorrendo le condizioni previste dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. p), introdotto dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, art. 20, comma 2, e vigente al momento del fatto, e precisamente perché mancavano i requisiti previsti dai nn. 3 e 4 di tale disposizione, dal momento che l'eventuale riutilizzo del materiale in questione richiedeva l'espletamento di trattamenti preventivi anche complessi finalizzati alla pulitura dai residui di cemento, atteso che gli stessi non possedevano i requisiti merceologici e di qualità di cui al punto 3) sin dalla fase della produzione. Era quindi necessario, per il riutilizzo, un trattamento preventivo, consistente appunto nella pulitura per eliminare i residui di cemento. La massima citata nel ricorso è, nel caso di specie, inconferente, perché si riferisce all'ambito della nozione di "prima pulitura" (se comprende anche il lavaggio oltre la setacciatura o grigliatura) del materiale estratto da cava.
Le conclusioni della corte d'appello restano valide anche applicando le norme del sopravvenuto art. 184 bis, introdotto dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 12 che richiede anch'esso che la sostanza possa essere utilizzata direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale e che soddisfi, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente. In ogni caso è richiesto che la sostanza sia originata da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la sua produzione, mentre nella specie non si trattava di sostanza originata da un processo produttivo. Quanto al secondo motivo, ritiene il Collegio che la corte d'appello abbia correttamente ritenuto che per la sussistenza del reato in questione non occorra che il soggetto svolga una attività di trasporto rifiuti con carattere imprenditoriale o comunque continuativo. Secondo la giurisprudenza, invero, "L'attività di raccolta e trasporto di rifiuti speciali in difetto di titoli abilitativi costituisce reato del D.L. 6 novembre 2008, n. 172, (art. 6, lett. d) conv., con modd., in L. 30 dicembre 2008, n. 210) anche in mancanza della qualità di imprenditore ovvero di
un'organizzazione imprenditoriale" (Sez. 3, 28.10.2009, n. 79 del 2010, Guglielmo, m. 245709).
Il terzo motivo è anch'esso infondato. Si sostiene che l'imputato avrebbe erroneamente ritenuto che non si trattava di rifiuti e che quindi poteva legittimamente trasportare il materiale. È quindi evidente che è stata invocata la sussistenza di un errore di diritto sulla portata delle norme relative alla qualificazione del materiale in questione. Ne deriva che l'errore in cui sarebbe caduto l'imputato sulle caratteristiche e la qualificazione del materiale, sarebbe stato comunque un errore certamente evitabile, e dunque inescusabile. Ed infatti, secondo la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, al fine di valutare se si tratti di un errore inescusabile, e quindi colpevole, deve tenersi conto che l'imputato svolgeva attività professionale nel settore, e quindi non può ritenersi scusabile un errore sulla qualificazione del materiale di quel tipo. Invero, la nota sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, che dichiarò incostituzionale l'art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile, mise però in evidenza come sicuramente "in evitabile, rimproverabile ignoranza della legge penale versa chi, professionalmente inserito in un determinato campo d'attività, non s'informa sulle leggi penali disciplinanti lo stesso campo".
Quanto al quarto motivo, il Collegio ritiene che esso sia inammissibile per carenza di interesse del ricorrente a proporlo, dal momento che egli stesso sostiene di non essere il proprietario del veicolo in questione, appartenente invece alla società CLS, e non prospetta la presenza di un diverso concreto interesse ad impugnare la statuizione sulla confisca. Tale statuizione, del resto, non fa stato nei confronti del proprietario del veicolo, che è rimasto estraneo al presente procedimento penale.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 9 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2013