Cass. Sez. III n. 2339 del 20 gennaio 2023 (UP 6 ott 2022)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric. Forastiere
Rifiuti.Reato di abbandono

Il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, sia un reato proprio che può essere commesso solo dal titolare dell’impresa, dai responsabili di enti e da coloro che, comunque, di fatto esercitano o poteri gestori dell’impresa; tale qualità, tuttavia, può essere dimostrata in qualsiasi modo ed essere desunta anche dalle modalità stesse di consumazione del reato non essendo necessaria, ai fini della consumazione del reato stesso, la qualifica formale di imprenditore


RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

        1. Il sig. Giuseppe Forestiere ricorre per l’annullamento della sentenza del 18/10/2021 del Tribunale di Lagonegro che l’ha dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 192, commi 1 e 2, 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, commesso il 18/06/2015, e l’ha condannato alla pena di 2.600,00 euro di ammenda.
            1.1. Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006.
Deduce che la qualità di imprenditore non è stata provata in alcun modo, né mediante la produzione di visure camerali, né mediante l’unica prova testimoniale dell’operante Epifani il quale, pur avendo affermato di conoscere personalmente l’imputato, non ha mai dichiarato di conoscerne la qualità di imprenditore (alcuna domanda in tal senso, del resto, gli è mai stata posta). Apodittica, pertanto, è la motivazione sul punto.
            1.2. Con il secondo motivo deduce la nullità della sentenza sotto il duplice profilo della totale mancanza di motivazione sulla esistenza di un elemento costitutivo essenziale della fattispecie del reato proprio a lui ascritto (la propria qualifica di imprenditore), con conseguente inosservanza dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., e dell’art. 546, lett. e), n. 1, cod. proc. pen. (mancata indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione di una prova decisiva). La mancanza di prova della qualità di imprenditore se non determina di per sé la nullità della sentenza per assenza della relativa motivazione, comporta comunque l’applicazione della sola sanzione amministrativa di cui all’art. 255, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006.
            1.3. Con il terzo motivo deduce: a) l’inosservanza degli artt. 62, comma 1, e 191, cod. proc. pen., in conseguenza della utilizzazione delle dichiarazioni da lui rese in assenza del difensore nel corso dell’accertamento e riferite in dibattimento dall’operante; b) la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta riconducibilità a lui dell’attività di sversamento dei cumuli di rifiuti rinvenuti abbandonati sul terreno, oltre a quello constatato dall’operante, riconducibilità giustificata dalla medesima origine del materiale.
L’inosservanza delle norme processuali appena indicate, aggiunge, insieme con la manifesta illogicità della motivazione, ha prodotto il risultato di ritenerlo responsabile non dell’episodico abbandono dell’unico, piccolo mucchietto di detriti notato “de visu” dall’operante ma dell’abbandono di tutti e più imponenti mucchi di rifiuti sparsi sul terreno, ciò che ha impedito al Tribunale di valutare la applicabilità delle circostanze attenuanti generiche e della causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen.
            1.4. Con il quarto motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 192, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, nonché la mancata indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova della immissione dei rifiuti nelle acque superficiali e sotterranee da parte sua, posto che di tale immissione non v’è prova alcuna, né documentale, né testimoniale. Sul punto, pure oggetto di richiesta di assoluzione, non v’è traccia di motivazione benché, aggiunge, il capo di imputazione, rimasto inalterato per tutto il corso processo e non emendato nemmeno nel dispositivo, espressamente gli attribuisca tale specifica condotta.

        2. Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.

        3. Osserva il Collegio:
            3.1. il ricorrente risponde del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, perché, quale titolare dell’impresa individuale «Edilizia artigiana Forastiere Giuseppe», in assenza di autorizzazione, aveva depositato in modo incontrollato, all’interno di un terreno agricolo in sua disponibilità, rifiuti speciali non pericolosi (calcinacci da costruzione e demolizione, pietre, tubi, materiale in plastica, secchi in ferro, pezzi di ferro, blocchi, ferraglia e materiale vario);
            3.2. la sua condanna si basa sulla testimonianza di un brigadiere dei Carabinieri che, libero dal servizio, aveva notato il ricorrente transitare alla guida di un mezzo di cantiere mentre stava trasportando i rifiuti sopra indicati i quali sarebbero poi stati scaricati all’interno di un terreno condotto in affitto dall’imputato stesso, terreno nel quale erano presenti altri cumuli di materiali di risulta; al momento dell’intervento dell’ufficiale di polizia giudiziaria, l’uomo stava procedendo a spostare con una pala manuale i calcinacci appena scaricati;
            3.3. da questi dati di fatto il Tribunale ha desunto il convincimento della natura non occasionale del deposito dei rifiuti riconducibili, per loro omogenea caratteristica, all'attività svolta dal ricorrente che, per il loro trasporto, si era anche avvalso di un mezzo di cantiere da lui stesso condotto;
            3.4. in altre parole, nell'ottica della decisione impugnata il fatto, così come ricostruito, costituisce manifestazione non equivoca dell’esercizio professionale ed organizzato di un’attività economica che il nome dell’impresa indica (“edilizia artigiana”, appunto) ed alla quale ricondurre la specifica condotta incriminata;
            3.5. sicché, lamentare, in assenza di travisamenti di sorta, la mancanza di prova della qualità di imprenditore del ricorrente (e della relativa mancanza di motivazione) è deduzione manifestamente infondata che oltretutto ignora la copiosa giurisprudenza della Corte di cassazione sul punto;
            3.6. non v’è dubbio che il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, sia un reato proprio che può essere commesso solo dal titolare dell’impresa, dai responsabili di enti e da coloro che, comunque, di fatto esercitano o poteri gestori dell’impresa (Sez. 3, n. 37603 del 09/09/2021, Pardo, Rv. 282332 - 01; Sez. 3, n. 5042 del 17/01/2012, Golfrè, Rv. 252131 - 01; Sez. 3, n. 33766 del 10/05/2007, Merlo, Rv. 238859 - 01; Sez. 3, n. 42377 del 19/09/2003, Sfrappini, Rv. 226585 - 01);
            3.7. tale qualità, tuttavia, può essere dimostrata in qualsiasi modo ed essere desunta anche dalle modalità stesse di consumazione del reato non essendo necessaria, ai fini della consumazione del reato stesso, la qualifica formale di imprenditore;
            3.8. è stato, infatti, precisato (e deve essere ribadito) che il reato di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell'esercizio, anche di fatto, di una attività economica, indipendentemente dalla qualifica formale dell'agente o della natura dell'attività medesima (Sez. 3, n. 56275 del 24/10/2017, Marcolini, Rv. 272356 - 01; Sez. 3, n. 30133 del 05/04/2017, Saldutti, Rv. 270323 - 01; Sez. 3, n. 38364 del 27/06/2013, Beltipo, Rv. 256387 - 01);
            3.9. di qui la speciosità della questione posta con i primi due motivi non rilevando la qualifica formale dell’autore della condotta, quanto la riconducibilità della stessa ad una attività oggettivamente imprenditoriale, qualunque essa sia;
            3.10. è generico e manifestamente infondato anche il terzo motivo: a) la disponibilità (non occasionale) del terreno da parte del ricorrente è stata desunta dal contratto di affitto (del quale non è stato dedotto il travisamento), non dalla testimonianza dell’ufficiale di polizia giudiziaria; b) è tutt’altro che illogico dedurre dalla condotta certamente tenuta dall’imputato, dalla compresenza di altri analoghi cumuli di rifiuti sullo stesso terreno da lui condotto in affitto, la conclusione che tali rifiuti fossero stati precedentemente depositati da lui;
            3.11. il terzo motivo, inammissibilmente supportato da continui richiami al contenuto dei verbali di testimonianza, si risolve, oltre tutto, nella altrettanto inammissibile richiesta di rivalutazione del materiale probatorio, operazione non consentita in questa sede di legittimità ove il perimetro della cognizione è segnato dal testo del provvedimento impugnato rilevando non come il giudice avrebbe potuto decidere, ma come ha deciso;
            3.12. totalmente infondato è anche l’ultimo motivo;
            3.13. oggetto di condanna (e di conforme addebito) è la condotta specificamente descritta dalla rubrica: il deposito di rifiuti, non la loro immissione in acque superficiali e/o sotterranee;
            3.14. l’imputato confonde il precetto (il divieto generalmente imposto dall’art. 192, commi 1 e 2, d.lgs. n. 152 del 2006) con la specifica condotta che lo ha infranto (il deposito incontrollato); né considera che, ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto, non l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, Franzo, Rv. 216430 - 01; Sez. 1, n. 30141 del 05/04/2019, Poltrone, Rv. 276602 - 01; Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258920 - 01; Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013, Nappello, Rv. 255772 - 01; Sez. 4, n. 39533 del 17/10/2006, Romano, Rv. 235373 - 01).

            4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso (che osta alla rilevabilità di ufficio della prescrizione) consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 06/10/2022.