Cass. Sez. III n. 29415 del 10 luglio 2013 (Ud. 3 mag. 2013)
Pres. Gentile Est. Sarno Ric. De Paoli
Rifiuti. Reflui stoccati in attesa di successivo smaltimento

Sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido i reflui stoccati in attesa di un successivo smaltimento, fuori del caso delle acque di scarico, ossia quelle oggetto di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento.  L'individuazione della disciplina da applicare in concreto è evidentemente legata all'accertamento di aspetti fattuali che non può essere rimesso al giudice di legittimità

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Torino, con la sentenza in epigrafe, all'esito di opposizione a decreto penale di condanna, ha condannato D.P. G. alla pena di Euro 4000 di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 16, comma 2, contestato per non avere - nella sua qualità di responsabile ambientale della società FENICE S.p.A GRUPPO E.D.F. e gestore dell'impianto denominato IREO, la cui funzione è il trattamento di emulsioni oleose prodotte da terzi e dalle ditte presenti nel sito di (OMISSIS) presso il comprensorio industriale Fiat Mirafiori - osservato le prescrizioni autorizzate previste nell'AL4 (Autorizzazione Integrata Ambientale) n. 161-782657/2007.

Nel corso del sopralluogo effettuato in data 8/5/2008 da personale del TARPA al fine di verificare e controllare il rispetto delle prescrizioni dell'Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), rilasciata a "Fenice spa" anche in relazione all'impianto IREO, inserito all'interno del comprensorio industriale FIAT MIRAFIORI, era stato accertato:

- la presenza di serbatoi di stoccaggio delle emulsioni oleose in conto terzi definiti in autorizzazione A, B, C e D che risultavano privi di etichette e targhe indicanti la classificazione, stato fisico, tipologia e pericolosità dei rifiuti ivi contenuti, in violazione al punto B2 allegato B dell'autorizzazione A.I.A.;

- i 2 serbatoi da 25 mc di olio recuperato, risultavano privi delle etichette come al punto a);

- le vasche esterne denominate n. 0 e 2 contenenti emulsioni oleose, in arrivo dal comprensorio industriale, risultavano anch'esse prive delle previste etichette di identificazione ed erano inoltre riempite oltre il limite previsto, ovvero il 90% della loro capacità; tale condizione era stata ottenuta occludendo le tubazioni di "troppo pieno" con tappo metallico filettato, permettendo in tal modo il riempimento oltre misura delle vasche.

1.1 Il tribunale ha in particolare evidenziato che come emerso dalla documentazione e dalle deposizioni testimoniali emergeva chiaramente che, in forza alla procura speciale acquisita in atti, l'imputato era responsabile in campo ambientale in relazione alla gestione dell'impianto e che non vi erano ulteriori deleghe che attribuivano ad altri soggetti compiti e/o responsabilità specifiche in campo ambientale con riferimento alla gestione degli impianti ed in particolare all'apposizione e al mantenimento delle etichette apposte sui serbatoi dello stoccaggio delle emulsioni trattate dall'impianto in esame.

Inoltre ha sottolineato che l'impianto oggetto di AIA è destinato al trattamento di emulsioni oleose provenienti sia dalle ditte presenti nel comprensorio sia da soggetti terzi e che le prescrizioni dell'AIA concernono sia il trattamento delle emulsioni oleose provenienti dalle officine meccaniche del comprensorio Fiat sia quello delle emulsioni oleose provenienti da terzi.

E, dunque, sulla base di quanto detto, ha ritenuto che anche le vasche denominate 0 e 2, che ricevono i reflui delle officine meccaniche, fanno parte dell'impianto di trattamento e sono soggette alla prescrizioni dell'AIA. 2. L'imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo:

2.1 la erronea applicazione del D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 16, comma 2, nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta insussistenza di una delega che attribuiva a soggetto diverso dall'Imputato i compiti di vigilanza in ordine all'apposizione e al mantenimento in vista delle etichette sui serbatoi.

Rileva in particolare il ricorrente che il ragionamento del tribunale non tiene conto dei principi affermati da questa Corte secondo cui la delega di funzioni nell'ambito di un'impresa articolata e complessa dai vertici aziendali ai sottoposti non richiede necessariamente un atto scritto ed è idonea ad escludere la responsabilità penale del delegante, purchè in equivoca nel contenuto e finalizzata ad investire persona dotata delle necessari e nozioni e capacità tecniche, alla quale devono essere attribuiti poteri decisionali e di intervento anche finanziario nel settore di competenza. Al riguardo si ritiene pretermessa la testimonianza di L.C., responsabile degli impianti della FENICE S.p.A. presso il comprensorio FIAT Mirafiori, il quale ha riferito che l'organizzazione aziendale della società prevede che per gli impianti vi siano dei responsabili specifici e che nel caso dei trattamenti di specie, questi è l'ingegnere Chimico che si interessa di tutti gli impianti di trattamento e che il compito di occuparsi delle etichette era affidato all'Ing. C.M., all'epoca dei fatti "responsabile dell'impianto". Il dato avrebbe trovato conferma, secondo il ricorrente, anche nelle dichiarazioni rese nel corso del dibattimento da uno degli ufficiali di polizia giudiziaria, Fiore, il quale ha riferito in dibattimento che, partecipando al sopralluogo, aveva avuto contatto con i due responsabili da ultimo citati.

2.2 l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 16, comma 2, nonchè per la mancanza, contraddittorietà e manifesta iilogicità della motivazione con riferimento aila ritenuta assoggettabilità delle vasche denominate 0 (ZERO) e 2 alle prescrizioni dell'Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata alla Società FENICE S.p.A.. La sentenza impugnata, secondo il ricorrente, sarebbe viziata da un errore di fondo in quanto fondata sull'assunto che quando la società ha deciso di trattare anche reflui provenienti da terzi, ha sostituito la precedente autorizzazione rilasciata ai sensi D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 27 e 28, per l'esercizio dell'attività di trattamento dei reflui che provenivano dalle officine meccaniche, con quella integrata ambientale e che, pertanto, quest'ultima copriva entrambe le attività. Al riguardo rappresenta che le vasche in questione erano già presenti nell'impianto originario destinato a trattare i reflui delle lavorazioni meccaniche del comprensorio FIAT Mirafiori e che in esse non confluiscono emulsioni oleose classificabili come rifiuti, ma soltanto reflui derivanti dal ciclo produttivo delle officine meccaniche di FIAT Mirafiori.

Sostiene il ricorrente l'impossibilità di assoggettare alle prescrizioni dell'AIA le vasche n. 0 e 2 in quanto quest'ultima attiene unicamente al trattamento dei rifiuti e che l'attività in questione non poteva nemmeno essere oggetto della autorizzazione di cui agli artt. 28 e 29 citati in quanto rientrante nella disciplina sull'inquinamento dalle acque. A riprova si rileva che la data della deliberazione con cui la Giunta provinciale ha rilasciato alla Società l'autorizzazione ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, è quella del 19 aprile 2005 e che sarebbe contrario alla logica pensare che soltanto nel 2005 sia stata chiesta l'autorizzazione per un'attività di smaltimento e recupero rifiuti che veniva svolta, con le stesse modalità, già prima dell'entrata in vigore del decreto medesimo. Infine si rileva che il tribunale avrebbe omesso di considerare che l'A.I.A. può essere anche parziale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

3.1 In relazione al primo motivo il ricorrente mostra di essere pienamente consapevole della evenienza che il motivo di ricorso possa essere ricondotto ad una censura di merito, inammissibile come tale in questa sede, riguardando la validità e l'attualità della delega.

Ritiene tuttavia di ovviare a tale possibile contestazione per un verso deducendo l'omessa applicazione dei principi generali in materia di delega e, per altro verso, l'omessa motivazione da parte del primo giudice in ordine alla rilevanza di prove acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale.

Nessuno dei due rilievi è tuttavìa fondato.

In relazione al primo profilo questa Corte ha più volte affermato che in materia ambientale, per attribuirsi rilevanza penale all'istituto della delega di funzioni, è necessaria la compresenza di precisi requisiti: a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell'impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa; d) la delega deve riguardare non solo te funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; e) l'esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo, (da ultimo Sez. 3, n. 6420 del 07/11/2007 Rv. 238980).

Nell'occasione si è evidenziato come tale orientamento - dapprima limitato al campo dell'inquinamento idrico - è stato successivamente esteso anche al settore dei rifiuti, pervenendo a conclusioni analoghe a quelle elaborate in tema di sicurezza sul lavoro.

E, dunque, solo l'esistenza di una prova compiuta in relazione a tutti gli aspetti indicati si sarebbe potuta ritenere decisiva per elidere la responsabilità del ricorrente.

In mancanza di essa non è possibile escludere, come correttamente ritenuto dal tribunale, la responsabilità dell'imputato quantomeno concorrente con quella di altri soggetti.

I riferimenti a questi ultimi sono peraltro del tutto generici.

Non è dato sapere con certezza da chi ed in quali forme sia stata conferita a quest'ultimi la delega nè le ragioni per le quali non sia stata contestualmente revocata all'imputato.

Correttamente pertanto il tribunale, in mancanza di allegazioni sul punto il cui onere non poteva che ricadere su chi contestava la situazione formalmente accertata, ha ritenuto di non attribuire decisività alle dichiarazioni citate nel motivo di ricorso.

Nè è prospettabile alcun profilo di illogicità della motivazione al riguardo.

Va anzitutto premesso al riguardo che "dedurre il vizio di manifesta illogicità della motivazione significa dimostrare che il testo del provvedimento è macroscopicamente carente di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa valutazione degli stessi, magari altrettanto logica" (ss.uu., 19 giugno 1996, Di Francesco) e ciò per la evidente ragione che la interpretazione e valutazione degli atti è quaestio facti riservata al giudizio di merito, soltanto nel quale, dunque, è legittimo contrapporre, nella dialettica delle parti, logica a logica. Ne consegue che il giudice di legittimità deve limitarsi ad accertare se il giudice di merito abbia fatto propria, logicamente, con correttezza logica, una delle possibili interpretazioni o valutazioni degli atti e, accertato il rispetto delle regole della logica, non può che disattendere la censura di manifesta illogicità che sia stata proposta affermandosi - ed è quod plerumque accidit - che alla interpretazione o valutazione degli atti data dal giudice di merito è possibile opporne un'altra.

Ciò posto deve ritenersi correttamente motivata la decisione che si limita ad evidenziare l'esistenza di una delega formale solo in capo all'imputato.

E ciò in quanto l'esistenza di deleghe attribuite al solo imputato e la mancata iniziativa per formalizzare l'attribuzione di compiti a terzi esonerando il primo, proprio sotto il profilo logico, ben può trovare spiegazione nella volontà della società di mantenere una responsabilità concorrente per l'imputato quantomeno a titolo di vigilanza sul comportamento di altri incaricati.

3.2 Sostanzialmente inammissibile è invece il secondo motivo.

Non è riscontrabile nella specie alcun travisamento probatorio.

Il tribunale ha motivato l'assoggettamento delle vasche 0 e 2 alle prescrizioni dell'AIA desumendola dal fatto che, "proprio dopo i rilievi formulati a seguito del sopralluogo dell'8.5.2008, era stato emesso in data 16.7.2008 dal dirigente servizio gestione rifiuti e bonifiche delle Provincia di Torino un provvedimento di diffida che faceva specifico riferimento alle vasche 0 e 2 e in data 11.12.2008 un provvedimento di aggiornamento dell'AIA, che prende atto delle modifiche effettuate da Fenice spa in ottemperanza al provvedimento di diffida ed in più punti fa specifico riferimento alle vasche 0 e 2 sia in relazione alle etichette sia in relazione alla copertura. Al riguardo cita documenti e le dichiarazioni di M. a pag. 10-11 delle trascrizioni, che ha sottolineato come la stessa Fenice S.p.A. ottemperando alla diffida, abbia implicitamente riconosciuto che le vasche 0 e 2 sono coperte dall'AIA, nonchè la circostanza che l'AIA in numerosi passi, fa esplicito riferimento al trattamento delle emulsioni oleose raccolte nelle officine meccaniche appartenenti al comprensorio industriale dello stabilimento Fiat Mirafiori, oltre a quelle provenienti da terzi.

Si tratta di rilievi di carattere fattuale che l'esame diretto della documentazione citata - di cui la tipologia dell'eccezione legittima il riscontro diretto - consente di poter confermare senza timore di smentita.

Le considerazioni del ricorrente prescindono dalla situazione fattuale descritta e si incentrano sulla riconducibilità della fattispecie in esame alla disciplina dell'inquinamento Idrico piuttosto che a quella dei rifiuti nel tentativo di dimostrare che l'attività contestata con riferimento alle vasche 0 e 2 non era assoggettabife all'A.I.A. ed, in precedenza, alla autorizzazione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 27 e 28.

Ora a prescindere da ogni altra considerazione e, fermo restando che, come più volte affermato da questa Corte, sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido i reflui stoccati in attesa di un successivo smaltimento, fuori del caso delle acque di scarico, ossia quelle oggetto di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento (così, ad esempio, Sez. 3, n. 22036 del 13/04/2010 Rv.247627), non si può non rilevare in questa sede che l'individuazione della disciplina da applicare in concreto è evidentemente legata all'accertamento di aspetti fattuali che non può essere rimesso a questa sede.

Il tribunale, con motivazione certamente congrua ha evidenziato che le emulsioni oleose prodotte nelle varie unità del comprensorio sono temporaneamente immagazzinate e stoccate in tre serbatoi dislocati in prossimità dei luoghi di produzione, mentre le emulsioni conferite da terzi sono stoccate in 4 serbatoi dislocati in area diversa e che le due vasche esterne denominate rispettivamente "0" e "2", poste sotto una tettoia adiacente all'impianto sono coinvolte nell'attività di trattamento.

E, dunque, non può essere in questa sede sindacata la riconducibilità all'A.I.A. dell'attività svolta utilizzando anche le vasche in questione.

Peraltro, come logicamente sottolineato dal tribunale, non solo non risulta che la società Fenice abbia mai sollevato questioni sul punto dinanzi ai competenti organi amministrativi ma emerge anzi che in realtà la società stessa si sia attivata per la regolarizzazione delle vasche secondo le prescrizioni impartite per rimuovere gli aspetti di non conformità all'autorizzazione, ottemperando cosi alla diffida che ha fatto seguito al sopralluogo.

Al rigetto del ricorso consegue l'onere per la ricorrente del pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2013.