Cass. Sez. III n. 45844 del 12 novembre 2019 (Cc 4 lug 2019)
Pres. Di Nicola Est. Noviello Ric. Signore
Rifiuti.Spostamento di sedimenti in ambito portuale   

La fattispecie dello “spostamento” di sedimenti in ambito portuale, di cui al combinato disposto degli artt. 1 comma 2 lett. a) e 2 lett. f) del DM 173/2016, deve essere costruita come descrittiva di un’attività connotata dal ridotto impatto ambientale. Solo tale intrinseca caratteristica giustifica l’esclusione dal regime autorizzatorio di cui all’art. 109 comma 2 Dlgs. 152/06 il quale, data la notevole incidenza ambientale delle attività da esso contemplate, si connota per un’articolata procedura di progettazione, delimitazione delle aree interessate, individuazione delle quantità di materiali movimentati, campionamento e analisi delle zone di escavo, delineata con il citato DM 173/2016. Il conseguente carattere “eccezionale” della previsione, espressivo della  ratio ispiratrice di individuare e delimitare solo casi in cui sia altamente probabile l’esclusione di rischi di alterazioni ambientali, ne impone altresì una interpretazione rigorosamente restrittiva, che come tale deve valorizzare gli elementi strutturali e finalistici, in cui si articolano i citati “spostamenti”, in un’ottica di ridotto impatto e pregiudizio per il sito di riferimento.


RITENUTO IN FATTO

    1. Il Tribunale di Gorizia sezione del riesame, veniva adito ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen. nell’interesse di Signore Sergio e Polese Pio per l’annullamento della ordinanza emessa in data 11 giugno 2018 dal G.i.p. presso il tribunale di Gorizia, con la quale, previa richiesta del PM, era stato disposto il sequestro preventivo dell’intera area dei fondali del bacino di evoluzione del porto di Monfalcone e di quella di accosto interessata dai dragaggi, in relazione al fumus del reato di cui agli artt. 110 cod. pen. 256 commi 1 e 2 Dlgs 152/06 per avere, nelle rispettive qualità di cui al capo di incolpazione ed al di fuori dei casi di cui all’art. 2 lett. f) del DM 173/16 - non trattandosi di “spostamenti in ambito portuale”  bensì di “escavo di fondali marini” di cui al citato art. 2 lett. e) consistenti come tali nel dragaggio di sedimenti marini per il mantenimento il miglioramento o il ripristino delle funzionalità di bacini portuali - dato corso al progetto esecutivo di “manutenzione dei fondali del porto di Monfalcone” con dragaggio, tra l’altro, di alcuni tratti del fondale del bacino sopra indicato, in assenza di autorizzazione di cui all’art. 109 del Dlgs. 152/06.
 
2. Con ordinanza del 2 luglio 2018, il Tribunale accoglieva il riesame annullando l’ordinanza del g.i.p. ed ordinando la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto. In sintesi, il tribunale rilevava che l’attività in esame andava inquadrata nell’ambito di un intervento di spostamento di cumuli di sedimenti all’interno del bacino del porto, non integrante un’operazione di scavo diretta ad abbassare interamente il fondale bensì volta al mero livellamento del medesimo, mediante la rimozione dei sedimenti in eccesso rispetto alla quota già esistente. Attività come tale inquadrabile nella fattispecie di cui all’art. 2 lett. f) del D.M. 173/2016 che esenta da autorizzazione gli “spostamenti in ambito portuale” intesi come “movimentazione dei sedimenti all’interno delle strutture portuali per l’attività di rimodellamento dei fondali al fine di garantire l’agibilità degli ormeggi, la sicurezza delle operazioni di accosto ovvero il ripristino della navigabilità con modalità che evitino una dispersione dei sedimenti al di fuori del sito di intervento”.

    3.  Avverso la predetta ordinanza propone ricorso il PM presso il Tribunale di Gorizia sollevando un unico motivo di impugnazione.

    4. Il ricorrente deduce la violazione di legge ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 2 lett. f) D.M. 173/2016, per avere il tribunale inquadrato erroneamente l’attività progettata ed avviata nell’ambito dell’art. 2 lett. f) citato, anziché nel quadro della diversa fattispecie di cui alla lettera e) del medesimo articolo. Ciò in quanto si tratterebbe di un intervento riguardante 82.730,00 mc di materiale che, per la notevole quantità non può essere ricompreso nell’ambito di un mero rimodellamento di fondali, tantomeno funzionale agli scopi contemplati nella citata lettera f), ove si consideri che tali finalità non risulterebbero contemplate nel progetto approvato che, invece, mirerebbe a migliorare la funzionalità dell’intero bacino, così perseguendo un obiettivo tipicamente previsto dall’art. 2 lett. e) del DM 173/16.

5. Con memoria del giugno 2019, Sergio Signore e Pio Polese per il tramite dei rispettivi difensori, hanno chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile ovvero rigettato, aderendo alle argomentazioni del Tribunale del Riesame.


                     CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è fondato. L’articolo 109 del Dlgs. 152/2006, disciplina l’immersione in mare di diverse tipologie  di materiali, quali:
    • i materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi (comma 1 lett. a);
    • gli inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l’innocuità ambientale (comma 1 lett. b);
    • il materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in mare o laguna o  stagni salmastri (comma 1 lett. c).
Il medesimo articolo, nell’escludere il rilascio di un titolo autorizzatorio per l’immersione dei materiali di cui al comma 1 lett. c) ( cfr. comma 4 dell’art. cit.), prevede invece il rilascio di un’autorizzazione regionale per l’immersione in mare dei materiali di cui al comma 1 lett. b), salvo peculiari eccezioni di cui al comma 3 dell’articolo medesimo.
Per l’immersione in mare dei materiali di cui al comma 1 lett. a) invece, si stabilisce che la stessa debba essere preceduta da un’autorizzazione regionale oppure da un’autorizzazione rilasciata dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, allorquando si tratti di interventi ricadenti in aree protette nazionali di cui alle leggi 31 dicembre 1982 n. 979 e 6 dicembre 1991 n. 394.
Le citate autorizzazioni devono essere rilasciate in conformità alle modalità stabilite con decreto del predetto Ministero, adottato di concerto con altri ministeri ed enti specificamente indicati (cfr. art. 109 Dlgs. 152/2006 comma 2 ultima parte).  
In correlazione con quest’ultima previsione, sono stati emessi due decreti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 208 del 6 settembre 2016.
Il primo, del 15 luglio 2016 n. 172, è il decreto relativo al “Regolamento recante la disciplina delle modalita' e delle norme tecniche per le operazioni di dragaggio nei siti di interesse nazionale, ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 6, della legge 28 gennaio 1994, n. 84”.
Il secondo, del 15 luglio 2016, n. 173, detta la disciplina relativa alle “modalità e criteri tecnici per l'autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di escavo di fondali marini”. Si tratta di provvedimento di specifico interesse per il caso di specie, non emergendo attività di dragaggio inerenti siti di interesse nazionale, cui fa invece riferimento il decreto n. 172.
Il predetto decreto n. 173, in correlazione alla previsione di cui al comma 3 dell’art. 185 Dlgs 152/06 - secondo cui “fatti salvi gli obblighi derivanti dalle normative comunitarie specifiche, sono esclusi dall’ambito di applicazione della Parte Quarta del presente decreto (e quindi dal novero dei rifiuti, ndr.) i sedimenti spostati all’interno di acque superficiali o nell'ambito delle pertinenze idrauliche ai fini della gestione delle acque e dei corsi d’acqua o della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti di inondazioni o siccità o ripristino dei suoli se è provato che i sedimenti non sono pericolosi ai sensi della decisione 2000/532/CE della Commissione del 3 maggio 2000, e successive modificazioni” -, da una parte (cfr. art. 1 comma 1 lett. a), regolamenta le modalità per il rilascio dell'autorizzazione di cui all'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per l'immersione deliberata in mare dei materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi di cui al comma 1, lettera a) del medesimo articolo 109; dall’altra (cfr. art. 1 comma 2 lett. a) e b), esclude dal suo ambito di operatività: a) gli spostamenti in ambito portuale e le operazioni di ripristino degli arenili, cosi' come definite al successivo articolo 2 del decreto medesimo; b) le movimentazioni di sedimenti in loco funzionali all'immersione dei materiali di cui all'articolo 109, comma 1, lettera b, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Consegue che per tali attività non è richiesto il rilascio di alcun titolo autorizzatorio.
Il successivo art. 2 del predetto D.M. 173/2016, nello specificare taluni concetti  rilevanti nel quadro della complessiva disciplina delineata, stabilisce, tra l’altro, alla lettera e), la nozione di “escavo di fondali marini” – riconducibile alle attività richiedenti autorizzazione di cui all’art. 109 comma 1 lett. a) cit. – e, alla successiva lettera f), quella di “spostamenti in ambito portuale” – non necessitanti autorizzazione ai sensi del già riportato art. 1 comma 2 del DM 173/2016.
In particolare, per “escavo di fondali marini” deve intendersi il “dragaggio di sedimenti marini per il mantenimento, il miglioramento o il ripristino delle funzionalita' di bacini portuali, della riapertura di foci fluviali parzialmente o totalmente ostruite per la realizzazione di infrastrutture in  ambito portuale  o  costiero  o  per  il  prelievo  di  sabbie  a  fini   di ripascimento”; gli “spostamenti in ambito portuale” invece, consistono nella “movimentazione  dei  sedimenti all'interno di strutture portuali per le attivita' di  rimodellamento dei fondali al fine  di  garantire  l'agibilita'  degli  ormeggi,  la sicurezza delle operazioni di accosto ovvero per il ripristino  della navigabilita',  con  modalita'  che  evitino  una   dispersione   dei sedimenti al di fuori del sito di intervento”;
Si tratta di concetti tra loro distinti che, anche a fronte del diverso regime di operatività, devono essere ben chiariti.

    2. L’escavazione dei fondali così come lo scarico in mare dei materiali derivatine, costituisce un’attività di notevole impatto ambientale, atteso il rilevante rischio di diffusione dei contaminanti così raccolti e presenti nei sedimenti dei fondali, in ragione delle attività industriali e commerciali che incidono sulle aree portuali.
Tali considerazioni sono alla base della ratio ispiratrice del predetto regime autorizzatorio e delle eccezioni ex art. 1 comma 2 del DM 173/2016, coordinate (in particolare con riguardo alla lett. a) con l’esclusione dall’ambito dei rifiuti ex art. 185 Dlgs 152/06 dei “ sedimenti spostati all’interno di acque superficiali o nell'ambito delle pertinenze idrauliche ai fini della gestione delle acque e dei corsi d’acqua o della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti di inondazioni o siccità o ripristino dei suoli se è provato che i sedimenti non sono pericolosi (…)”.
Ciò significa che la fattispecie dello “spostamento” di sedimenti in ambito portuale, di cui al combinato disposto degli artt. 1 comma 2 lett. a) e 2 lett. f) del DM 173/2016, deve essere costruita come descrittiva di un’attività connotata dal ridotto impatto ambientale. Solo tale intrinseca caratteristica giustifica l’esclusione dal regime autorizzatorio di cui all’art. 109 comma 2 Dlgs. 152/06 il quale, data la notevole incidenza ambientale delle attività da esso contemplate, si connota per un’articolata procedura di progettazione, delimitazione delle aree interessate, individuazione delle quantità di materiali movimentati, campionamento e analisi delle zone di escavo, delineata con il citato DM 173/2016.
Il conseguente carattere “eccezionale” della previsione, espressivo della  ratio ispiratrice di individuare e delimitare solo casi in cui sia altamente probabile l’esclusione di rischi di alterazioni ambientali, ne impone altresì una interpretazione rigorosamente restrittiva, che come tale deve valorizzare gli elementi strutturali e finalistici, in cui si articolano i citati “spostamenti”, in un’ottica di ridotto impatto e pregiudizio per il sito di riferimento.
Ne deriva che la descrizione normativa degli “spostamenti” in parola, in termini di rigorosa delimitazione degli stessi “all'interno di strutture portuali”, per il mero “rimodellamento dei fondali” finalizzato ad assicurare “l'agibilita'  degli  ormeggi,  la sicurezza delle operazioni di accosto ovvero per il ripristino  della navigabilita'”, secondo “modalita'”  che  evitino  una   dispersione   dei sedimenti “al di fuori del sito di intervento”, porta a considerare come dati ineludibili della fattispecie in esame, incidenti sulla configurabilità dei profili strutturali e finalistici sopra esposti e quindi sul rispetto dell’ispirazione di fondo delle disposizioni i seguenti aspetti:
    • il limitato quantitativo di materiale coinvolto;
    • la permanenza dei sedimenti sul medesimo sito di rinvenimento – quale luogo caratterizzato dalle medesime caratteristiche morfologiche e ambientali così da potersi ritenere immutate le stesse e tendenzialmente insussistente il “rischio” ambientale;
    •  la esclusiva finalizzazione, non meramente formale ma sostanziale, degli “spostamenti” in parola, verso gli obiettivi indicati dall’art. 2 lett. f) citato (l'agibilita' degli ormeggi,  la sicurezza degli accosti, il ripristino della navigabilità).
Si tratta di circostanze da intendersi come espressive di profili di ordinario funzionamento dei bacini marini, così da disegnare complessivamente gli interventi in esame in termini di sostanziale quanto ordinaria attività di manutenzione, estranea come tale ad operazioni di modifica dello stato dei luoghi e ancor di più a complesse operazioni di modifica e riorganizzazione dei siti.
Va aggiunto che non può essere estranea alla valutazione delle attività portuali, nella prospettiva dell’inclusione o meno delle stesse nelle operazioni di “spostamento” in parola, anche l’eventuale considerazione di più complessi interventi, ancorchè ancora in divenire, rispetto ai quali, in concreto, la movimentazione dei sedimenti appaia funzionale.
Conforta la predetta ricostruzione anche la valutazione, in un’ottica di sistema, di altre disposizioni contenute nel citato DM 173/2016 e relative ad operazioni portuali diverse dai citati “spostamenti”, sottoposte ad autorizzazione.
Si fa riferimento, in particolare, alla previsione di cui al paragrafo 3.4. dell’allegato tecnico al DM 173/2016, riguardante la “movimentazione di sedimenti portuali in aree contigue” che si inserisce, con sue peculiarità, nell’ambito delle operazioni di “escavo” ex art. 2 lett. e) del D.M. citato. Esso stabilisce che «le movimentazioni di sedimenti portuali, diversi dagli spostamenti in ambito portuale di cui all'art. 2, lettera f) ed effettuate  mediante il semplice spostamento di sedimenti in aree immediatamente contigue per il ripristino  della  navigabilita', nonche' per agevolare l'operativita' portuale, sono consentite sulla base delle risultanze delle sole  analisi  ecotossicologiche  (Capitolo  2)  alle  seguenti condizioni:
  • i quantitativi coinvolti siano inferiori a 10.000 m³;
  • i sedimenti coinvolti presentino tossicita'  "assente"  (Capitolo 2);
  • siano esclusi impatti su biocenosi sensibili presenti in loco».
Si tratta di una norma che, nell’ambito del regime autorizzatorio delle attività di “escavo di fondali marini”, ritaglia uno spazio di minore articolazione dei controlli funzionali alla tutela dell’ambiente in favore di movimentazioni di sedimenti “ridotte”, significativamente individuate come tali attraverso il contenuto quantitativo dei materiali coinvolti, l’incidenza su aree vicine a quelle di prelievo (contigue), e il perseguimento di finalità meno incisive rispetto a quelle tipicamente previste per gli “escavi” riconducibili all’art. 2 lett. e) del DM 173/2016.
Essa rileva, nell’ottica esegetica in corso rispetto alla fattispecie di cui all’art. 2 lett. f) del DM 173/2016 esame, nel senso di una conferma dell’indirizzo legislativo e regolamentare volto ad escludere o mitigare il regime autorizzatorio delle movimentazioni di sedime sottomarino limitatamente ad operazioni di ridotto impatto quantitativo, geomorfologico, ambientale e finalistico.
Ed invero, a fronte della citata disciplina di cui al suindicato paragrafo 3.4. dell’allegato tecnico al DM 173/2016, il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare con il “Manuale della movimentazione dei sedimenti marini” (agosto 2006) ha significativamente evidenziato come “in ambiente sommerso il semplice spostamento di sedimenti in aree immediatamente contigue è compatibile unicamente in relazione al ripristino della navigabilità in ambito portuale o di corsi d’acqua nonchè al fine di realizzare imbasamenti di opere marittime o agevolare l’operatività portuale. Tale attività viene ritenuta ambientalmente compatibile solo alle seguenti condizioni: i quantitativi coinvolti siano inferiori a 25 .000 mc3; i sedimenti coinvolti siano di classe A (1 e 2) o di classe B1 […]; l’area sulla quale vengono spostati i sedimenti abbia le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dell’area di provenienza; sia da escludere qualsiasi impatto su biocenosi sensibili presenti in loco”.
L’esposta ricostruzione della fattispecie di cui alla lettera f) dell’art. 2 citato, trae conforto, infine, anche dal confronto con la distinta ipotesi di cui alla lettera e) dell’art. 2 citato. Il dragaggio di sedimenti marini per il mantenimento, il miglioramento o il ripristino delle funzionalita' di bacini portuali, della riapertura di foci fluviali parzialmente o totalmente ostruite, per la realizzazione di infrastrutture in ambito portuale o costiero o per il prelievo di sabbie a fini di ripascimento sono, invero, attività che denotano complessi interventi di modifica o ricostituzione e riorganizzazione dei siti, dal significativo impatto ambientale. Come tali compatibili, diversamente dalla fattispecie di cui all’art. 2 lett. f) citata,  con l’interessamento di significative quantità di materiali sommersi e con la previsione e elaborazione di ampi progetti oltre che con lo spostamento di sedimenti anche in aree distanti e/o distinte da quelle di movimentazione. Così da rendere necessario e giustificare un regime di autorizzazione e controllo quale quello espressamente previsto per la predetta fattispecie.

    3. Alla luce del suesposto quadro normativo e interpretativo, deve ritenersi fondato il ricorso proposto. Emerge invero che il collegio della cautela, pur correttamente rilevando, in via preliminare, la diversa ratio sottesa alle due discipline in esame, nel considerare i dati disponibili non ha fatto corretta applicazione dei parametri caratterizzanti e al tempo stesso differenziali tra le fattispecie di cui all’art. 2 lett. e) ed f) citato, inclinando verso una linea interpretativa che rischia di sfumare i consistenti profili distintivi esistenti: con particolare riguardo ai quantitativi di materiale interessato (all’apparenza trascurati in favore della mera indicazione dei livelli di quota sottomarina da raggiungere), alla individuazione delle aree di movimentazione e riposizionamento e delle loro caratteristiche ambientali, alle finalità sostanzialmente, e non solo formalmente, perseguite, nel quadro dei complessivi interventi in cui eventualmente si inseriscano le movimentazioni in esame.  

    4. Consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo esame, da svolgersi alla luce dei principi sopra illustrati, al tribunale di Gorizia.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Gorizia, sezione riesame.
Così deciso il 4/07/2019.