Raccolta e trasporto, ex art. 212 c.8 del TUA
Dott. Filippo Bonfatti
La lettura del disposto normativo enunciato dall’art.212 comma 8 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 evidenzia un punto oscuro nel titolo abilitativo al trasporto in proprio dei rifiuti da parte del produttore degli stessi.
Si ricorda che a mente ex art.212 c.8, del suddetto TUA (Testo Unico Ambientale), le imprese che esercitano la raccolta ed il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare nonche' le imprese che trasportano i propri rifiuti pericolosi in quantità che non eccedano trenta chilogrammi al giorno o trenta litri al giorno non sono sottoposte alla prestazione delle garanzie finanziarie di cui al comma 7 e sono iscritte all'Albo nazionale gestori ambientali a seguito di semplice richiesta scritta alla sezione dell'Albo regionale territorialmente competente senza che la richiesta stessa sia soggetta a valutazione relativa alla capacità finanziaria e alla idoneità tecnica e senza che vi sia l'obbligo di nomina del responsabile tecnico. Tali imprese sono tenute alla corresponsione di un diritto annuale di iscrizione pari a 50 euro rideterminabile ai sensi dell'articolo 21 del decreto del Ministro dell'ambiente 28 aprile 1998, n. 406.
Se poniamo attenzione alla prima parte del disposto, notiamo che la disciplina semplificata occorre nel caso dei rifiuti non pericolosi per le fasi di raccolta e trasporto, mentre per i rifiuti pericolosi solamente per la fase di trasporto.
L’ultima edizione del TUA, come modificata dal Consiglio dei Ministri in data 12 ottobre 2006, così come quella iniziale, non ha variato quanto disposto in termini di definizione dell’operazione di “raccolta”.
L’operazione di prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto, ex art.183 comma 1, lettera e), è definita “raccolta”.
Non vi è dubbio alcuno dunque che un produttore che produca rifiuti non pericolosi e che li raccolga presso il proprio deposito temporaneo per poi trasportarli regolarmente verso un impianto autorizzato ex artt. 208 e 216 del TUA, necessiti di tale iscrizione come titolo abilitativo. E’ altresì ben chiaro che qualora l’attività non sia ordinaria e regolare ovvero avvenga senza cadenza prestabilita ed in occasioni non prevedibili tale autorizzazione “light” non sia necessaria.
Il problema si pone quando il produttore in questione, in un’ottica di attività prevedibile, ordinaria e regolare raccolga e trasporti i propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedenti i 30 kg/litri al giorno. Il disposto infatti mostra precisione nel ribadire il concetto di trasporto, ma non fa alcun riferimento in questo secondo caso all’operazione di “raccolta”.
La questione apparentemente semplice nasconde in realtà un problema interpretativo in determinati caso gestionali. Sebbene la raccolta sia individuata come operazione preliminare al trasporto, quindi parrebbe sottointesa ad esso, ci chiediamo perché il legislatore non l’abbia specificato anche nel caso dei pericolosi.
Sempre più spesso, dal lato pratico, si osserva la cd. “gestione del reso”, tipicamente applicata agli imballaggi. Le aziende chimiche, ad esempio, vendono un prodotto e poi dopo qualche tempo vanno a ritirare l’imballaggio contaminato per portarlo presso il proprio stabilimento e valutarne il riutilizzo.
Qualora il contratto di acquisto preveda la restituzione dell’imballaggio e il viaggio sia accompagnato da regolare bolla di reso, debitamente identificativa dell’imballaggio originale, la merce può essere trasportata presso la propria sede e qui essere riutilizzata per contenere la nuova merce di stessa natura, nel rispetto del concetto di “riutilizzo”.
Qualora invece il contratto non preveda il “reso”, allora trattasi indiscutibilmente di rifiuto e come tale esso deve essere avviato a regolari operazioni di trattamento (smaltimento o recupero).
Ci chiediamo a questo punto dove inizia la volontà di disfarsi dell’imballaggio da parte dell’utilizzatore del prodotto chimico e dove inizia il concetto di “reso” al fabbricante, titolare secondo contratto, del contenitore?
In alcuni casi pratici si osservano contratti in cui il fabbricante del prodotto dichiara di mantenere la proprietà dell’imballaggio, per cui a sua discrezione al momento del reso tale imballaggio rimarrà materia prima (per essere riempito nuovamente presso la propria sede) o diverrà rifiuto. In questo caso il fabbricante cha ha mantenuto la titolarità dell’imballaggio è a tutti gli effetti nel rispetto dei dettami ex art.212 c.8, il trasportatore di un rifiuto proprio.
In questo caso, salvo l’obbligo di redigere apposito formulario di identificazione del rifiuto ex art. 190 del TUA e di portarlo ad impianti autorizzati, se il rifiuto è non pericoloso sarà sufficiente l’autorizzazione “light”, ma se è pericoloso pur costituendo essa titolo abilitativo al trasporto, non ne consente la “raccolta”.
Chiaramente in assenza del contratto di titolarità dell’imballaggio, le autorizzazioni in gioco dovranno essere quelle previste dal regolamento dell’Albo Gestori Ambientali (categorie 2,3,4,5) in quanto il trasportatore effettuerà il trasporto di rifiuti di titolarità di terzi.
Questo semplice caso pratico è fornito ad exemplum di un problema più ampio: se il legislatore ha semplicemente sotteso l’operazione di raccolta al trasporto e quindi è una questione lessicale o se, tralasciando la parola “raccolta”, ha voluto implicitamente portare sul percorso autorizzativo ordinario/semplificato le aziende coinvolte nella gestione dei rifiuti pericolosi, seppur propri ed in quantità ridotte.
A parere di chi scrive l’ipotesi più probabile è la seconda anche se ciò limita notevolmente il campo applicativo del disposto in questione. In realtà si ha l’impressione che il comma 8 rappresenti una soluzione semplificativa incompiuta: un’messaggio solo parzialmente arrivato a buon fine.



Dott..Filippo Bonfatti
Ecoricerche S.r.l. (Sassuolo)