Consiglio di Stato Sez. IV n. 2986 del 2 aprile 2024
Acque.PFAS e nozione di inquinamento

Ai sensi dell’art. 74 del d. lgs. 152/2006 l’inquinamento è ravvisabile non solo quando nell’ambiente siano introdotte sostanze sicuramente nocive, ma anche nel caso di pericolosità solo potenziale, ovvero di sostanze che “possono nuocere” alla salute umana. L’inquinamento poi si verifica, sempre secondo la norma, per il solo fatto che la sostanza con queste proprietà venga introdotta nell’ecosistema, non richiedendosi che essa in concreto abbia già raggiunto concentrazioni superiori ai valori limite; in altre parole, legittima non solo interventi successivi ad un pregiudizio già verificatosi, ma anche interventi di prevenzione. Infine, sempre secondo le norme citate, lettera gg) del comma 2, il concetto di sostanza inquinante comprende “in particolare” le sostanze tabellate, ma non è esaustivo, riflettendo con ciò un dato scientifico scontato, per cui la pericolosità di una sostanza può emergere dopo periodi anche lunghi di uso in cui la si ritiene innocua.


Pubblicato il 02/04/2024

N. 02986/2024REG.PROV.COLL.

N. 01430/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1430 del 2023, proposto da A.D.A.- Azienda Depurazione Acque S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Leonardo Zanco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sergio Fedeli in Roma, via Premuda 1;

contro

la Regione del Veneto, non costituitasi in giudizio;

nei confronti

dell’A.R.P.A.V. - Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto, della Provincia di Treviso, del Comune di Conegliano e della Piave Servizi S.r.l., non costituiti in giudizio;

per l’annullamento ovvero la riforma

della sentenza del T.a.r. Veneto, sez. II, 1 luglio 2022 n. 1127, che ha pronunciato sul ricorso n. 1157/2018 R.G. integrato da motivi aggiunti proposto per l’annullamento dei seguenti atti della Regione Veneto, concernenti l’impianto di smaltimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi situato in via Luigi Manzoni 30 a Conegliano (TV), gestita dalla ADA- Azienda Depurazione Acque S.r.l. e autorizzato con autorizzazione integrata ambientale – AIA rilasciata con decreto del Direttore regionale 6 dicembre 2016 n.42:

(ricorso principale)

a) del verbale 8 gennaio 2018 della Conferenza di servizi afferente la procedura di riesame dell'AIA suddetta avviata con nota 15 giugno 2017 prot. n. 235878;

(I motivi aggiunti, depositati il giorno 2 luglio 2019)

b) del decreto 8 aprile 2019 n.41, comunicato con nota 9 aprile 2019 prot. n. 142450 trasmessa con pec lo stesso giorno, con il quale il Direttore dell’Area tutela e sviluppo del territorio ha disposto in merito ai valori provvisori allo scarico per le sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate- PFAS;

(II motivi aggiunti- depositati il giorno 17 marzo 2020)

c) del decreto 23 dicembre 2019 n.657, comunicato con nota 31 dicembre 2019 prot. n. 561821 con pec lo stesso giorno, con il quale il predetto Direttore ha disposto modifiche alle prescrizioni dell’AIA sulla accettazione dei rifiuti con riferimento ai PFAS;

e in ogni caso di qualsivoglia altro atto connesso per presupposizione e consequenzialità.

In particolare, la sentenza ha respinto il ricorso principale ed i primi motivi aggiunti, accolto in parte i secondi motivi aggiunti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2024 il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente appellante è titolare di un impianto di smaltimento di rifiuti liquidi pericolosi e non pericolosi, che si trova a Conegliano Veneto, in via Luigi Manzoni 30 ed è stato originariamente autorizzato con il decreto del Presidente della Giunta regionale del Veneto 22 marzo 1995 n.614 (doc. 22 in I grado ricorrente appellante), autorizzazione sempre rinnovata nel corso degli anni, da ultimo con decreto del Direttore dell’Area tutela e sviluppo del territorio della Regione Veneto 6 dicembre 2016 n.42 (doc. 3 in I grado ricorrente appellante).

2. Per quanto qui interessa, le acque reflue trattate da quest’impianto recapitano nella condotta fognaria comunale, la quale confluisce nel depuratore pubblico che si trova sempre a Conegliano, in via Ca’ di Villa ed è gestito da altra società, la Piave Servizi S.r.l.., estranea a questo processo; giunte nel depuratore pubblico, queste acque vengono nuovamente trattate, assieme ad altri reflui conferiti al depuratore in questione, e recapitate, attraverso il canale Fossalon, nel fiume Monticano che, a sua volta, fa parte del bacino idrografico del fiume Livenza (cfr. doc. 23 in I grado ricorrente appellante, relazione tecnica di parte, p. 3; si tratta comunque di fatti storici non contestati come tali). È poi fatto localmente notorio e non contestato in causa che le acque del Livenza vengono utilizzate per scopi idropotabili, ovvero per rifornire alcuni acquedotti della zona, che servono la popolazione.

3. Con nota 9 giugno 2017 prot. n.227000 (doc. 4 in I grado ricorrente appellante), la Regione ha comunicato alla società in questione, sulla base di analisi effettuate dall’Agenzia regionale di protezione ambientale – ARPAV che “sono state rilevate elevate concentrazioni di PFAS nelle acque reflue scaricate in rete fognaria e nei fanghi prodotti dai trattamenti”; contestualmente ha fatto presente che “al momento… non sono stati fissati, per il parametro PFAS, valori limite per gli scarichi a livello nazionale, ma sono stati imposti, esclusivamente nella zona di contaminazione verificatasi in area Vicenza/Verona, i valori limite di performance tecnologica proposti da ISS con nota prot. 9818 del 06 aprile 2016”, ha poi avvertito di essersi attivata per “il coordinamento a livello regionale finalizzato alla fissazione di valori limite da applicare agli scarichi per quanto concerne il parametro PFAS” e che in attesa di esiti ritiene preferibile che i fanghi prodotti dall’impianto siano smaltiti per combustione.

4. Per chiarezza, sono necessarie alcune precisazioni di ordine tecnico.

4.1 PFAS è una sigla che sta per perfluorinated alkylated substances, ovvero sostanze perfluoroalchilate. Si tratta di una famiglia di composti chimici organici alifatici, costituiti da catene di atomi di carbonio a lunghezza variabile, legate in particolare ad atomi di fluoro. In concreto, i PFAS vengono utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all'acqua tutta una serie di materiali di uso comune, come i tessuti, i tappeti, la moquette, la carta e i contenitori per alimenti; trovano poi impiego per fissare il rivestimento delle pentole antiaderenti, per fabbricare schiume antincendio, pitture e vernici, ovvero quale rivestimento antipolvere per apparecchi elettronici, come i microfoni dei telefonini, e si trovano anche nei cosmetici e in alcun farmaci.

4.2 Come è facile comprendere anche in base a questa sintetica esposizione, si tratta di composti di uso molto ampio, che per questa ragione si trovano dispersi nell’ambiente pressoché ovunque; la criticità viene dal fatto che si tratta di composti molto poco biodegradabili, da tempo sotto l’attenzione della comunità scientifica internazionale, e delle autorità di protezione ambientale, in quanto sospettate di effetti dannosi sulla salute umana, soprattutto a causa del loro accumulo nell’organismo. Si sospettano principalmente un ruolo nel determinare alti livelli di colesterolo ed acido urico nel sangue, nonché una possibile correlazione con taluni tipi di cancro al fegato, al rene, al testicolo e alla tiroide (fatti notori nell’ambito specifico, comunque riportati da fonti ufficiali del Ministero della salute, in rete al sito https://www.salute.gov.it/portale/temi/documenti/acquepotabili/parametri/PFOS_PFOA.pdf, nonché della Regione Veneto, in rete al sito https://www.regione.veneto.it/web/sanita/pfas).

4.3 Al momento presente, non esistono, né esistevano all’epoca della nota 9 giugno 2017 citata, che correttamente lo evidenzia, valori limite per le PFAS contenute negli scarichi fissati in via generale, né a livello di Unione Europea, né a livello nazionale; neppure esistono valori raccomandati a livello internazionale dall’Organizzazione mondiale della sanità.

4.4 Esiste invece, fissato dall’art. 1 del d.lgs. 13 ottobre 2015 n.172, modificativo degli artt. 74 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006 n.152, uno standard di qualità ambientale-SQA per le acque superficiali- che come tale considera non le concentrazioni di sostanza riscontrate negli scarichi, ma solo quelle riscontrate a valle, nel corpo recettore- standard che considera anche le PFAS.

4.5 Nella Regione Veneto, e in particolare fra le province di Vicenza, Verona e Padova, si è poi determinata la situazione particolare di cui subito. In provincia di Vicenza, a Trissino, esisteva uno stabilimento, oggi inattivo, che approssimativamente dal 1965 al 2018 ha prodotto PFAS senza particolari attenzioni per l’ambiente, determinando quindi l’immissione di notevoli concentrazioni di queste sostanze nella falda freatica utilizzata per alimentare gli acquedotti della zona e quindi per l’agricoltura e l’alimentazione umana.

4.6 Su denuncia delle forze politiche e sociali, la Regione Veneto si è attivata e ha ottenuto un primo parere 7 giugno 2013 da parte dell’Istituto superiore di sanità, che pur escludendo pericoli immediati per la popolazione esposta, consigliava di adottare misure idonee di prevenzione, mitigazione e controllo. Di conseguenza, la Regione stessa, all’interno di una “zona rossa” costituita dai Comuni interessati dalla contaminazione ha fra le altre misure imposto limiti alla concentrazione di PFAS ammessa negli scarichi, limiti che risultano dal citato parere, sempre dell’Istituto superiore di sanità, 6 aprile 2016 prot. n.9818 (fatti localmente notori, comunque risultanti da fonti ufficiali, il citato sito della Regione Veneto https://www.regione.veneto.it/web/sanita/pfas).

4.7 Il parere 6 aprile 2016 prot. n.9818 (doc. 13 in I grado ricorrente appellante) riguarda appunto “la definizione di limiti allo scarico in acque superficiali in merito ai composti PFAS” ed è dichiaratamente reso con riguardo alle circostanze del caso specifico, ciò posto, esso si riassume così come segue.

4.7.1 In primo luogo, il parere, partendo dalla premessa già evidenziata, per cui al momento limiti generali alla presenza di PFAS negli scarichi non ne esistono, ricorda la già citata disciplina del d. lgs. 172/2015, che invece fissa questi limiti per le acque superficiali, e afferma che i limiti per gli scarichi devono essere previsti in modo da tener conto della necessità di rispettare i primi.

4.7.2 Ciò posto, dopo avere riassunto le caratteristiche delle PFAS già esposte sopra, il parere afferma che “tenuto conto dello stato di qualità dei corpi idrici superficiali interessati e considerato che la contaminazione di detti corpi idrici proviene sia da fonti di tipo puntiforme (es: scarichi tenui urbani) che di tipo diffuso (es. interazione con corpi idrici sotterranei, dilavamento di suoli) si ritiene che i valori limite allo scarico di tali sostanze dovrebbero essere più bassi possibile raggiungibili attraverso l'applicazione delle migliori tecnologie di trattamento disponibili, pur essendo cautelativi per la protezione della salute”.

4.7.3 Su questa premessa, il parere fissa una serie di limiti, e afferma: “l'obiettivo per le sostante perfluoroalchiliche dovrà essere quello della virtuale assenza in tutte te emissioni e scarichi nei corpi idrici. Nella consapevolezza dei limiti tecnologici esistenti, si raccomanda pertanto di adottare le migliori tecnologie, idonee a mantenere i valori più bassi possibili in scarico per le sostanze in oggetto, rispettando, in via provvisoria, i seguenti valori limite di performance tecnologica: PFOS: s.[oglia] 0,03 microg/litro; PFOA: s. 0,5 microg/litro; PFBA: s. 0,5 microg/litro; PFBS: s. 0,5 microg/litro; altri PFAS: s 0,5 microg/litro”, ove le sigle in lettere maiuscole indicano i vari composti del gruppo.

4.7.4 Il parere fissa quindi i limiti in termini di “valore limite di performance tecnologica”, ovvero tenuto conto di quanto raggiungibile con le tecnologie a disposizione, e aggiunge due considerazioni ulteriori.

4.7.5 La prima è che “sebbene basati su valutazioni di tipo tecnologico e identificati come valori obiettivo raggiungibili con le tecnologie attualmente disponibili (considerando lo stato di contaminazione in essere nei territori interessati), i citati valori limite allo scarico risultano comunque rispondenti agli obiettivi di SQA e cautelativi per la protezione della salute, tenendo conto delle possibili interazioni ambientali tra i corpi idrici recettori e le acque captate per consumo umano”; in altre parole, si tratta di valori che, pur elaborati tenendo conto delle possibilità tecniche attuali, garantiscono pur sempre la salute del cittadino.

4.7.6 La seconda è che “le considerazioni e raccomandazioni citate in questa nota riguardano le circostanze territoriali oggetto della richiesta e sono espresse per gli aspetti di competenza di questo istituto; per quanto riguarda altre valutazioni in merito alla definizione di valori limite allo scarico delle sostanze in oggetto esse potranno essere considerate nell'ambito delle attività del Gruppo di Lavoro Tecnico”, che è tuttora attivo presso il Ministero dell’ambiente e che però, come si è detto, ancora non ha portato all’introduzione di una disciplina complessiva.

4.8 Nella Regione Veneto, pertanto, limiti ai valori di PFAS presenti negli scarichi sono stati fissati limitatamente alla zona rossa di cui si è detto, e per quanto risulta sono ancora in vigore, ma sono stati determinati con le modalità particolari appena esposte. Peraltro, la Regione Veneto ha proseguito nella sua attività di contrasto all’inquinamento da PFAS prendendo in considerazione anche altre zone del proprio territorio, non direttamente interessate da una contaminazione della falda, e da ciò trae origine, come ora si vedrà, la vicenda per cui è processo.

5. Tutto ciò posto, si ritorna all’esposizione dei fatti storici rilevanti ai fini di causa. La Regione ha successivamente indirizzato all’impresa ricorrente appellante l’ulteriore nota 15 giugno 2017 prot. n.235878 (doc. 2 in I grado ricorrente appellante), con la quale ha annullato la precedente nota del 9 giugno 2017, ha prescritto di interrompere ogni scarico in fognatura contenente PFAS, di isolare i flussi contenenti queste sostanze, individuare la fonte di contaminazione e comunicare all’autorità le relative informazioni raccolte; ha poi comunicato l’avvio “ai sensi dell’art. 29 octies comma 1 lettera a)” del d. lgs. 152/2006 del procedimento di riesame dell’AIA rilasciatale, finalizzato “alla fissazione dei limiti allo scarico in fognatura delle sostanze PFAS”.

6. Il riferimento, secondo logica, è all’art. 29 octies comma 4 lettera a) del d. lgs. 152/2006, per cui il riesame dell’AIA è disposto “sull'intera installazione o su parti di essa, dall'autorità competente, anche su proposta delle amministrazioni competenti in materia ambientale, comunque quando” a giudizio dell’autorità stessa, “a)… l'inquinamento provocato dall'installazione è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione fissati nell'autorizzazione o l'inserimento in quest'ultima di nuovi valori limite, in particolare quando è accertato che le prescrizioni stabilite nell'autorizzazione non garantiscono il conseguimento degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di pianificazione e programmazione di settore”.

7. La società ha contestato quanto intimatole con una nota 14 luglio 2017 (doc. 5 in I grado ricorrente appellante) ed ha chiesto l’archiviazione del procedimento; nondimeno, ha ritenuto (doc. ti 6-8 in I grado ricorrente appellante) di comunicare ugualmente alla Regione e all’ARPAV i dati relativi ai PFAS presenti nei rifiuti ricevuti.

8. A fronte di ciò, la Regione Veneto, con nota 14 settembre 2017 prot. n.383856, ha convocato una prima conferenza di servizi, che nella riunione del giorno 20 settembre 2017 ha avuto un esito in sostanza interlocutorio (doc. 9 in I grado ricorrente appellante, verbale relativo).

9. La Regione, con nota 21 dicembre 2017 prot. n.534512, ha poi convocato una nuova conferenza, la quale nella riunione del giorno 8 gennaio 2018 ha deciso (doc. 1 in I grado ricorrente appellante, verbale relativo) di imporre alla società una serie di limiti per i PFAS presenti negli scarichi, determinati nel modo ora spiegato.

9.1 Come va premesso secondo logica, la conferenza dà atto che “fino all'introduzione dell'addendum PFAS nel PTA [piano tutela acque] l'approccio al tema deve essere sito specifico nel senso che il riferimento deve essere posto sui corsi d'acqua specifici. Per questo va affrontato oggi con un metodo, puntato sulla tutela del Monticano, del Livenza, che va esteso al resto del Veneto con lo stesso approccio”.

9.2 Nelle intenzioni della conferenza, il provvedimento da prendere doveva poi essere provvisorio e limitato nel tempo, nel senso che “il primo periodo transitorio sia fissato in un anno a far data dalla notifica del provvedimento. Entro questo termine sarà svolto un numero minimo dì 12 campioni: a conclusione, la mediana dovrà essere confrontata con il VLE [valore limite di emissione] Viene ribadito che il provvedimento dovrà contenere la prescrizione inerente la rivalutazione continua dei VLE e dei criteri di individuazione, sulla base delle evidenze. La rivalutazione deve tenere conto della necessità di miglioramento continuo e conseguentemente del progressivo abbassamento dei limiti”.

9.3 Ciò posto, sul punto specifico della metodologia seguita per fissare i valori limite, la conferenza dà atto che “sono stati elaborati i risultati di due differenti intervalli temporali: (caso 1) elaborazione su tutte le analisi da ottobre 2016 a dicembre 2017 ed elaborazione (caso 2) sulle analisi svolte negli ultimi mesi del 2017 (da agosto a dicembre), periodo nel quale la ADA ha ridotto la presenza di PFAS a seguito di alcune modifiche apportate nella gestione dei rifiuti trattati presso il proprio impianto. Come concordato, la proposta si fonda sull'elaborazione statistica dei risultati analitici per la determinazione del valore limite di emissione, individuabile nella mediana delle concentrazioni rilevate. Tale VLE, da confrontarsi con la mediana delle concentrazioni che saranno rilevate nel periodo temporale fissato (un anno), potrà essere raggiunto nel rispetto comunque di valori massimi di emissione, individuabili negli Standard di qualità ambientale fissati dal decreto 152/2006, come modificato dal decreto 172/2015. Ciò premesso, osservando i risultati delle due differenti elaborazioni, si ritiene di considerare come standard attuale di trattamento la seconda (caso 2), cioè già in applicazione della BAT [best available technology, ovvero miglior tecnologia disponibile] di segregazione da parte della Ditta, tenuto conto del raffronto dei valori esitati con gli SQA-MA, nonché con i limiti fissati da ISS per le acque potabili, proprio al fine di individuare le concentrazioni massime, ossia i cosiddetti "picchi". Tuttavia va sottolineato che le concentrazioni di PFOA e PFOS presentano valori incoerenti rispetto ai criteri proposti, in quanto la mediana delle concentrazioni rilevate è superiore agli SQA. Conseguentemente il VLE e il valore dí picco dovrebbero coincidere”.

9.4 In parole più semplici, per fissare i valori da rispettare, la conferenza non ha applicato meccanicamente i valori stabiliti nel parere dell’ISS 6 aprile 2016 per le acque potabili della zona rossa, ma li ha considerati assieme ad altri dati, ovvero il valore ammesso nelle acque superficiali dal d. lgs. 172/2015 e le concentrazioni in fatto rilevate negli scarichi di cui si tratta, dipendenti dalla tecnologia disponibile.

10. Contro questo verbale 8 gennaio 2018, la società ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, poi ritualmente trasposto in sede giurisdizionale come ricorso principale avanti il T.a.r. Veneto.

11. Successivamente, la Regione ha emesso il provvedimento 8 aprile 2019 n.41 di cui in epigrafe, con il quale (doc. 21 in I grado ricorrente appellante), all’esito della revisione dell’AIA, fissa “i valori provvisori allo scarico delle sostanze PFAS” per l’impianto della ricorrente appellante, valori puntualmente indicati nel testo, con la motivazione che per quanto di rilievo si riassume.

11.1 Il provvedimento sintetizza anzitutto la problematica delle PFAS nella Regione Veneto di cui si è detto più volte e osserva che “la principale via di esposizione umana ai PFAS” nella documentazione scientifica disponibile, puntualmente citata, “è individuata nell'ingestione attraverso acqua e cibo contaminati… e, inoltre, che l'origine della contaminazione delle acque è individuabile, per il caso verificatosi in Veneto, negli scarichi in corpo idrico superficiale”.

11.2 Il provvedimento osserva poi, sempre citando le fonti, che “i rifiuti prodotti da molteplici aziende e attività possono contenere composti PFAS in ragione del diffuso impiego di tali sostanze nei cicli produttivi, e, per conseguenza, gli impianti di trattamento dei rifiuti liquidi possono rappresentare un canale attraverso il quale i composti PFAS vengono veicolati nel sistema degli scarichi”.

11.3 Ciò posto, come fonte del proprio potere di provvedere, la Regione cita il principio di precauzione di cui all’art. 3 ter del d. lgs. 152/2006 nonché il comma 16 dell'art. 6 del d.lgs. n. 152/2006, secondo il quale l'autorità competente, nel determinare le condizioni per l'autorizzazione integrata ambientale, deve garantire che siano "prese le opportune misure di prevenzione dell'inquinamento" e non si verifichino "fenomeni di inquinamento significativi” e inoltre l'Allegato XI alla Parte II del d.lgs. n. 152/2006, che, tra le considerazioni da tenere presenti nella determinazione delle migliori tecniche disponibili, tenuto conto dei costi e dei benefici e del principio di precauzione e prevenzione, annovera, al punto 6, "natura, effetti e volume delle emissioni" e, al punto 10, "la necessità di prevenire o di ridurre al minimo l'impatto globale sull'ambiente delle emissioni e dei rischi”.

11.4 Su questa premessa, il provvedimento richiama i risultati dell’istruttoria, da cui risulta che effettivamente PFAS sono presenti negli scarichi della ricorrente appellante, e fissa per gli scarichi stessi i valori limite indicati dalla conferenza di servizi 8 gennaio 2018, aggiungendo che i valori così stabiliti “hanno validità di un anno dalla notifica del presente provvedimento e comunque fino a rinnovo con successivo provvedimento”.

11.5 A ulteriore precisazione, il provvedimento dà atto che “l'installazione scarica le acque reflue industriali derivanti dall'attività di trattamento di rifiuti in pubblica fognatura e che per il corpo idrico in cui scarica il relativo depuratore pubblico non sono ad oggi noti fenomeni di contaminazione per i parametri PFAS”, e quindi che allo stato il Monticano e il Livenza non sono inquinati da PFAS.

11.6 Dà poi atto che “la tabella 3 dell'Allegato 5 alla Parte III del d.lgs. n. 152/2006 recante i Valori Limite di Emissione in acque superficiali e in fognatura, non riporta alcun Valore Limite di Emissione per i PFAS, così come definiti dall'art. 5 comma I punto i-octies; che al di fuori della "zona rossa" di cui alla DGR n. 2133/2016 non risultano emergenze sanitarie riferite a tali sostanze; che non sono ad oggi individuate specifiche BAT per l'abbattimento di tali sostanze in matrici costituite da rifiuti, ad esclusione della segregazione degli scarichi contenenti PFAS per destinarli a smaltimento differenziato, senza che vengano immessi in fognatura … e pertanto non sono definiti corrispondenti BAT-AEL [associated emission limits, ovvero migliori tecnologie disponibili in rapporto ai limiti di emissione]; che la determinazione delle concentrazioni di PFAS per alcune tipologie di rifiuti in ingresso agli impianti di trattamento rifiuti è di complessa esecuzione e soggetta ad ampi margini di incertezza analitica”.

11.7 Su questa premessa, osserva che “al di fuori della "zona rossa", non è possibile fissare Valori Limite di Emissione ai sensi dell'art. 29-sexies comma 4-bis del d.lgs. n. 152/2006, e quindi l'introduzione di valori allo scarico provvisori e sperimentali per le sostanze PFAS avviene ai sensi dell'art. 29-sexies comma 5-ter del d.lgs. n. 152/2006, secondo cui "l'autorità competente, consultato il gestore, stabilisce le condizioni dell'autorizzazione tenendo conto dei criteri di cui all'Allegato XI", tra i quali criteri rientrano, come già richiamato, "natura, effetti e volume delle emissioni" (punto 6) e "la necessità di prevenire o di ridurre al minimo l'impatto globale sull'ambiente delle emissioni e dei rischi" (punto 10)”.

11.8 Per chiarezza, si ricorda che il testo completo dell’art. 29 sexies comma 5 ter del d. lgs. 152/2006 stabilisce: “Se un'attività, o un tipo di processo di produzione svolto all'interno di un'installazione non è previsto, né da alcuna delle conclusioni sulle BAT, né dalle conclusioni sulle migliori tecniche disponibili, tratte dai documenti pubblicati dalla Commissione europea in attuazione dell'articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 96/61/CE o dell'articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2008/01/CE o, se queste conclusioni non prendono in considerazione tutti gli effetti potenziali dell'attività o del processo sull'ambiente, l'autorità competente, consultato il gestore, stabilisce le condizioni dell'autorizzazione tenendo conto dei criteri di cui all'Allegato XI”.

12. Contro questo provvedimento 8 aprile 2019, la società ha proposto i primi motivi aggiunti di I grado.

13. Con il successivo provvedimento 23 dicembre 2019 n.657 (doc. 26 in I grado ricorrente appellante), la Regione ha infine modificato ulteriormente le prescrizioni dell’AIA quanto all’accettazione dei rifiuti all’ingresso dell’impianto, soggetta in generale alla sola valutazione preventiva del responsabile tecnico circa la possibilità di trattarli efficacemente. Il provvedimento in questione infatti per i soli parametri PFAS la modifica nel senso che per essi il responsabile tecnico sia tenuto a “documentare il controllo del processo mediante analisi sui flussi in ingresso ed uscita (reflui/rifiuti) delle diverse sezioni impiantistiche dell'installazione, al fine di individuare gli effetti che subiscono tali inquinanti nel processo di trattamento”.

14. Contro questo provvedimento 23 dicembre 2019, la società ha proposto i secondi motivi aggiunti di I grado.

15. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha respinto il ricorso principale e i primi motivi aggiunti e ha accolto soltanto i secondi motivi aggiunti.

15.1 Nella motivazione, in via preliminare ha ritenuto, previo contraddittorio sul punto, ancora sussistente l’interesse alla decisione, messo in dubbio in base alla clausola del provvedimento 8 aprile 2019 che parla, come detto sopra, di misure temporanee. Il T.a.r. ha infatti dato atto che sia la ricorrente sia la Regione hanno interpretato il provvedimento stesso come destinato a valere a tempo indeterminato. Questo capo della sentenza non consta impugnato.

15.2 Nel merito, il T.a.r. ha ritenuto in sintesi che la Regione sia in effetti titolare del potere di imporre i valori limite ai PFAS negli scarichi per cui è causa, e che nel caso di specie lo abbia esercitato in modo corretto e congruo; ha ritenuto invece immotivata, e quindi ha annullato il relativo provvedimento, la prescrizione ulteriore contenuta nel provvedimento 23 dicembre 2019.

16. Contro questa sentenza, la società ha proposto impugnazione, con appello che contiene dieci motivi, di riproposizione dei corrispondenti motivi di I grado e di critica alla sentenza impugnata per non averli accolti.

17. Con il primo di essi, alle pp. 8-16 dell’atto, deduce violazione degli artt. 117 Cost. nonché dell’art.75 commi 1, 3 e 4, dell’art. 76 commi 1 e 7, dell’art 101 commi 1 e 2, dell’art. 195 commi 1 e 2 e dell’art. 196 comma 1 del d. lgs. 152/2006, e sostiene in sintesi estrema che la Regione non sarebbe titolare di alcun potere di imporre per gli scarichi valori limite di concentrazione di sostanze inquinanti, nella specie di PFAS, non tabellate, ovvero non previste espressamente nell’allegato 5 alla parte III del d. lgs. 152/2006 stesso.

17.1 Ad avviso della parte ricorrente appellante, il Giudice di I grado sarebbe arrivato alla conclusione opposta, ovvero alla spettanza del relativo potere in capo alla Regione, sulla base di due norme. La prima di esse sarebbe l’art. 76 del d. lgs. 152/2006, che al comma 1 stabilisce “Al fine della tutela e del risanamento delle acque superficiali e sotterranee, la parte terza del presente decreto individua gli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici significativi e gli obiettivi di qualità per specifica destinazione per i corpi idrici di cui all'articolo 78, da garantirsi su tutto il territorio nazionale”, ma aggiunge al comma 7 “Le regioni possono definire obiettivi di qualità ambientale più elevati, nonché individuare ulteriori destinazioni dei corpi idrici e relativi obiettivi di qualità”. La seconda sarebbe l’art. 101 dello stesso decreto, che al comma 1 stabilisce “Tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limite previsti nell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto”, ma aggiunge al comma 2 che le Regioni possono nell’esercizio della loro autonomia prevedere valori limite più restrittivi. Il Giudice di I grado avrebbe poi affermato che lo strumento per far questo è il piano regionale di tutela delle acque- PTA, di cui all’art. 121 sempre del decreto citato.

17.2 La parte ricorrente appellante critica questa affermazione, osservando che il PTA della Regione Veneto, come pacifico in causa, non conteneva e non contiene tuttora alcuna previsione in merito alle PFAS. Sostiene quindi che la Regione stessa avrebbe violato le proprie competenze, come definite dall’art. 117 Cost. e da tutte le norme del d. lgs. 152/2006 sopra citate, secondo le quali la Regione ha competenza nell’ambito di quanto stabiliscono le leggi dello Stato, le quali non le assegnerebbero il potere in questo caso esercitato.

17.3 La parte ricorrente appellante sostiene infatti che la Regione, anche a prescindere dalle previsioni del PTA, non potrebbe in alcun modo fissare limiti allo scarico per sostanze non tabellate, nel senso di cui si è detto. Ciò discenderebbe dal già citato comma 2 dell’art. 101 d. lgs. 152/2006, per cui le Regioni possono prevedere “valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto”, da intendere però secondo la parte limitati alle sostanze che l’allegato stesso prevede, nonché dall’art. 75 commi 1, 2 e 3, per cui la determinazione del contenuto dell’allegato in questione è di competenza statale.

17.4 La parte sostiene infine che la competenza regionale non si potrebbe nemmeno riportare a quella prevista in materia di salute, dato che (appello, p.16 ultime righe) non sarebbe “in alcun modo esplicitato il nesso eziologico tra lo scarico in fognatura di acque contenenti PFAS ed il presunto pericolo per la salute umana. In particolare, non è chiaro in quale modo si concretizzerebbe un eventuale pericolo per la salute umana”.

18. Con il secondo motivo, alle pp.17-21 dell’atto, deduce violazione ovvero falsa applicazione del citato art. 29 sexies comma 5 ter del d. lgs. 152/2006 in rapporto alla decisione di esecuzione della Commissione europea 2018/1147 del 10 agosto 2018.

18.1 Come si è detto, l’art. 29 sexies comma 5 ter consente di apporre all’AIA particolari condizioni di esercizio quando sul punto specifico non dispongano le BAT approvate in sede europea. A dire del Giudice di I grado, ciò si verificherebbe nel caso in esame, dato che le BAT approvate con la decisione 2018/1147 in materia di PFAS si limitano a prevedere un monitoraggio (sentenza impugnata, § 2).

18.2 La parte ricorrente afferma che ciò sarebbe erroneo, e che in realtà la citata previsione delle BAT europee sarebbe da ritenere esaustiva; in altre parole, se la decisione europea prevede solo il monitoraggio, ciò significherebbe per implicito che nessun’altra misura è necessaria, e quindi dell’art. 29 sexies comma 5 ter mancherebbe il presupposto di applicazione.

18.3 La parte afferma ancora che non sarebbe nemmeno sufficiente il richiamo fatto dal Giudice di I grado alle conclusioni dell’ISS in tema di pericolosità delle sostanze in questione e ai limiti da esso stabiliti, dato che si tratterebbe di limiti dettati per la specifica situazione della zona rossa, che come tali non potrebbero essere estesi al caso di specie, in cui dallo stesso decreto regionale 41/2019 impugnato risulta che non vi sono fenomeni di contaminazione in atto.

18.4 Infine, la parte sostiene che, anche a ritenere la norma del comma 5 ter applicabile, i limiti si sarebbero dovuti stabilire tenendo conto dell’allegato XI alla parte II del decreto 152/2006, ovvero in particolare di “Natura, effetti e volume delle emissioni in questione”.

19. Con il terzo motivo, alle pp. 21-23 dell’atto, deduce violazione dell’art. 29 sexies comma 4 ter del d. lgs. 152/2006, e sostiene che i valori limite di cui si tratta si sarebbero comunque potuti introdurre solo se previsti a monte da uno strumento di pianificazione, in particolare dal PTA, e critica la sentenza impugnata che ha ritenuto il contrario.

20. Con il quarto motivo, alle pp. 23-24 dell’atto, deduce violazione dell’art. 29 octies comma 4 del d. lgs. 152/2006 e, ricollegandosi a quanto sostenuto con il secondo motivo, sostiene che la revisione dell’AIA non si sarebbe potuta compiere senza tener conto delle BAT, che a suo dire non consentirebbero, nel momento in cui prevedono solo il monitoraggio, di prevedere limiti per le PFAS.

21. Con il quinto motivo, alle pp. 24-28 dell’atto, deduce ulteriore violazione dell’art. 29 octies comma citato e sostiene, in sintesi, che la revisione dell’AIA sarebbe stata avviata in mancanza dei presupposti di legge.

21.1 La norma del comma 4, che si cita per chiarezza, prevede che la revisione dell’AIA abbia luogo “comunque quando” ricorrano una serie di presupposti, ovvero: “a) a giudizio dell'autorità competente ovvero, in caso di installazioni di competenza statale, a giudizio dell'amministrazione competente in materia di qualità della specifica matrice ambientale interessata, l'inquinamento provocato dall'installazione è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione fissati nell'autorizzazione o l'inserimento in quest'ultima di nuovi valori limite, in particolare quando è accertato che le prescrizioni stabilite nell'autorizzazione non garantiscono il conseguimento degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di pianificazione e programmazione di settore; b) le migliori tecniche disponibili hanno subito modifiche sostanziali, che consentono una notevole riduzione delle emissioni; c) a giudizio di una amministrazione competente in materia di igiene e sicurezza del lavoro, ovvero in materia di sicurezza o di tutela dal rischio di incidente rilevante, la sicurezza di esercizio del processo o dell'attività richiede l'impiego di altre tecniche; d) sviluppi delle norme di qualità ambientali o nuove disposizioni legislative comunitarie, nazionali o regionali lo esigono; e) una verifica di cui all'articolo 29-sexies, comma 4-bis, lettera b), ha dato esito negativo senza evidenziare violazioni delle prescrizioni autorizzative, indicando conseguentemente la necessità di aggiornare l'autorizzazione per garantire che, in condizioni di esercizio normali, le emissioni corrispondano ai "livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili”.

21.2 Come si è detto sopra al § 6, nel caso di specie il procedimento è stato avviato ritenendo sussistere l’ipotesi di cui alla lettera a), ovvero in sintesi per l’inquinamento che si è assunto essere provocato dall’impianto. Il Giudice di I grado ha poi ritenuto corretta questa prospettazione in base alle definizioni di inquinamento e di sostanza inquinante contenute rispettivamente alla lettera cc) del comma 1 dell’art. 74 del decreto, per cui è inquinamento “l'introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze o di calore nell'aria, nell'acqua o nel terreno che possono nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici o degli ecosistemi terrestri che dipendono direttamente da ecosistemi acquatici, perturbando, deturpando o deteriorando i valori ricreativi o altri legittimi usi dell'ambiente”, e alla lettera gg) del comma 2 dello stesso articolo, per cui è sostanza inquinante “qualsiasi sostanza che possa inquinare, in particolare quelle elencate nell'Allegato 8 alla parte terza del presente decreto”, con rinvio evidentemente indicativo e non esaustivo.

21.3 A dire della parte ricorrente appellante, questa prospettazione sarebbe errata. In primo luogo, le norme citate permetterebbero la revisione dei valori limite delle sostanze inquinanti già previste come tali, ma non l’introduzione di limiti per nuove sostanze in precedenza non contemplate. In secondo luogo poi con riferimento alla situazione specifica, ovvero al bacino del Monticano e Livenza, non si potrebbe nemmeno configurare una situazione di inquinamento in senso proprio. Infine, nessuna delle altre ipotesi di revisione dell’AIA sarebbe qui configurabile.

22. Con il sesto motivo, alle pp. 28-34 dell’atto, deduce mancanza di motivazione e violazione da parte del provvedimento impugnato del principio di proporzionalità, nonché eccesso di potere per carenza di istruttoria.

22.1 Ad avviso della parte ricorrente, l’istruttoria avrebbe omesso di verificare tutta una serie di dati e avrebbe dovuto invece riscontrare che: “prima e dopo il punto di immissione” riconducibile all’impresa “non vi era alcun superamento degli SQA-MA per le sostanze PFAS” e non sarebbero emersi “superamenti neppure a monte del punto di presa delle acque destinate alla potabilizzazione sito in Boccafossa sul Livenza, peraltro distante oltre 60 km dall’installazione della ricorrente”; avrebbe poi dovuto coinvolgere l’impresa “nell’acquisizione di informazioni e valutazione delle possibili misure da adottare” (appello, p. 29 in fine).

22.2 A dire della parte ricorrente, il Giudice di I grado non avrebbe condiviso quest’argomentazione osservando che la ricorrente avrebbe “focalizzato l’attenzione sull’assenza di una contaminazione in atto del corpo idrico” ma nulla avrebbe detto “quanto alla possibilità che, come ha affermato la Regione nel provvedimento possano verificarsi picchi che l’impianto a valle non potrebbe gestire” (sentenza impugnata, p. 22 in fine).

22.3 Sempre secondo la parte ricorrente appellante, ciò sarebbe errato, perché la conferenza di servizi non avrebbe mai parlato della possibilità di picchi di sostanza inquinante, e quindi sarebbe violato il principio di proporzionalità, nel senso che “sarebbe stato più equilibrato ed efficace imporre come misura alternativa ai limiti allo scarico, il monitoraggio periodico delle sostanze PFAS con la possibilità così della Regione di intervenire nell’ipotesi di superamento degli SQA-MA” (p. 34 prime righe), considerata anche la quantità degli scarichi immessa, che sarebbe molto modesta rispetto alla portata del Livenza.

23. Con il settimo motivo, alle pp. 34-36 dell’atto, deduce ancora eccesso di potere per manifesta illogicità e irrazionalità dell’azione amministrativa.

23.1 La parte ricorrente appellante ribadisce quanto ampiamente esposto, ovvero che le PFAS sono di uso comune e largamente diffuse, sì che “l’unico approccio razionale e percorribile per limitarne la diffusione è quello di intervenire sulla filiera produttiva per ridurne ab origine la presenza, cioè nella fase di produzione di beni e rifiuti contenenti sostanze PFAS. La notoria assenza di tecnologie idonee all’abbattimento delle sostanze PFAS a costi sostenibili rende irrazionale imporre dei limiti allo scarico senza imporre preventivamente limitazioni alla commercializzazione di tali sostanze” (appello, p. 34 in fine). Per questo motivo, sarebbe anzitutto illogico “imporre dei limiti se non esistono tecnologie concretamente applicabili a costi sostenibili per ridurre la presenza delle sostanze PFAS” (appello, p. 35 § 7.2 in fine).

23.2 La parte ricorrente appellante sostiene poi che i dati dell’ISS valorizzati dalla Regione non sarebbero applicabili alla sua situazione, perché relativi ad un contesto del tutto diverso, e che le misure prese, indicate come provvisorie, sarebbero ulteriormente illogiche perché in vigore ormai da molti anni senza modifiche.

24. Con l’ottavo motivo, alle pp. 36-39 dell’atto, deduce violazione degli artt. 41 Cost. e 3 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea, sotto il profilo del rispetto dei principi di concorrenza e di libero mercato, che il provvedimento impugnato avrebbe leso, costringendola a lavorare in condizioni non competitive, come sarebbe comprovato dalla documentazione in atti, rispetto a concorrenti non soggetti a questo tipo di limitazione.

25. Con il nono motivo, alle pp. 39-42 dell’atto, deduce ancora eccesso di potere per illogicità dell’azione amministrativa e violazione del principio di uguaglianza. La parte ricorrente appellante, riprendendo quanto in parte già detto, sostiene infatti che gli atti impugnati sarebbero illogici per un equivoco di fondo, consistente nell’avere, in ipotesi, voluto applicare ad una zona ove la contaminazione da PFAS non esiste quanto è stato previsto invece per la zona rossa, che ha problematiche del tutto diverse.

26. Con il decimo motivo, alle pp. 42-43 dell’atto, deduce infine violazione del principio di precauzione di cui all’art. 3 ter del d. lgs. 152/2006 e sostiene in sintesi che non avrebbe “alcun senso invocare il principio di precauzione per giustificare limitazioni ad uno scarico che si è protratto nelle attuali condizioni per un lungo lasso temporale, senza che si siano verificati superamenti degli standard di qualità ambientali” (appello, p. 43 settimo rigo dal basso).

27. Le amministrazioni appellate non hanno ritenuto di costituirsi in questa sede.

28. Con memoria 24 dicembre 2023, la ricorrente appellante ha ribadito le proprie asserite ragioni. Ha in particolare ribadito che i propri scarichi sarebbero irrilevanti rispetto alla portata di acqua del Livenza e che nel corso degli anni non si sarebbe mai verificata alcuna contaminazione, sì che misura idonea sarebbe stata semplicemente quella già indicata, di un semplice monitoraggio.

29. Alla pubblica udienza del giorno 25 gennaio 2024, la Sezione ha trattenuto la causa in decisione.

30. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.

31. Il primo e il terzo motivo di appello sono connessi, in quanto si basano sulla stessa premessa di fatto, di cui subito si dirà; come tali vanno esaminati congiuntamente, e risultano entrambi infondati, perché la premessa in questione è errata.

31.1 La comune premessa della parte appellante nei motivi in questione è infatti quella per cui la Regione, con i provvedimenti impugnati, avrebbe inteso stabilire dei limiti di concentrazione di PFAS negli scarichi validi in via generale ai sensi dell’art. 101 del d. lgs. 152/2006, ovvero in altri termini intenda integrare la tabella di cui al citato Allegato 5 alla parte terza dello stesso decreto.

31.2 Che invece non sia così e che la premessa sia errata si comprende semplicemente leggendo il verbale 8 gennaio 2018 della conferenza di servizi (doc. 1 in I grado ricorrente appellante, cit. p. 3 primo paragrafo del resoconto) che parla in modo espresso di un approccio “sito specifico”. Viceversa, come subito si dirà, la Regione ha inteso esercitare il potere di imporre limiti per situazioni particolari, appunto sito specifici, conferitole dall’art. 29 sexies comma 5 ter del d. lgs. 152/2006, a somiglianza di quanto fatto rispetto alla “zona rossa”, con operazione, si osserva incidentalmente, di cui non è stata messa in dubbio la legittimità complessiva.

31.3 Si osserva poi, anticipando ancora quanto si illustrerà meglio, che la già citata affermazione contenuta nell’appello (p. 16 ultime righe), per cui il pericolo per la salute umana derivante dalle PFAS sarebbe “presunto” e nella sostanza non dimostrato nella sua assolutezza non può dirsi corretta, essendo smentita per tutte dal citato parere 6 aprile 2016 prot. n.9818 (doc. 13 in I grado ricorrente appellante, cit.) dell’Istituto superiore di sanità, ovvero dell’organo istituzionalmente competente in materia.

32. Anche il secondo ed il quarto motivo sono connessi, in quanto deducono entrambi una presunta errata applicazione dell’art. 29 sexies comma 5 ter del d. lgs. 152/2006; come tali, anch’essi vanno esaminati congiuntamente, e risultano anche in questo caso infondati.

32.1 Come si è detto sopra, la parte appellante sostiene anzitutto che dell’art. 29 sexies comma 5 ter mancherebbe il presupposto applicativo, rappresentato dal silenzio sul punto specifico delle BAT approvate in sede europea. Il silenzio andrebbe in particolare ravvisato in base al dato per cui le BAT approvate con la decisione 2018/1147 in materia di PFAS si limitano a prevedere un monitoraggio, e quindi precluderebbero, nell’ordine di idee seguito, qualunque altro intervento.

32.2 In contrario si osserva anzitutto che il comma 5 ter in esame, ad attenta lettura, prevede come presupposto dell’intervento non un generico silenzio assoluto sulle modalità di trattamento di determinate sostanze, ma più precisamente che le norme tecniche non prendano “in considerazione tutti gli effetti potenziali dell'attività o del processo sull'ambiente”, ipotesi senz’altro configurabile nel caso di specie, in cui le BAT si accontentano di un monitoraggio, che ha scopo conoscitivo, ma in nulla incide sugli effetti che il fenomeno monitorato potrebbe avere.

32.3 Che poi le PFAS possano, per lo meno in via potenziale, avere effetti sull’ambiente è assunto che all’evidenza risulta da un apprezzamento tecnico discrezionale, come tale, notoriamente, sindacabile dal Giudice amministrativo di legittimità nei soli casi di risultati abnormi o contraddittori intrinsecamente o rispetto ai fatti accertati. Queste ipotesi nel caso di specie non si ravvisano, dato che la Regione si è richiamata al citato parere dell’ISS e ad un’opinione scientifica notoria nell’ambiente di riferimento, per cui le PFAS stesse possono ragionevolmente essere correlate a patologie importanti, soprattutto in quanto fanno parte dei cd. forever chemicals, ovvero dei composti difficilmente biodegradabili e quindi accumulabili nel tempo nell’organismo.

32.4 Queste conclusioni, si osserva, non sono contraddette neanche dalle difese della stessa parte appellante, che come si è detto ha sostenuto in via generica che il pericolo sarebbe solo presunto, ma non ha ritenuto di citare alcuno studio scientifico a sostegno della propria affermazione.

32.5 Sono poi infondati anche i rilievi ulteriori che la parte muove sulle modalità con cui la fissazione dei limiti è avvenuta. In primo luogo, come risulta anche in questo caso a semplice lettura del verbale della conferenza di servizi 8 gennaio 2018 (doc. 1 in I grado ricorrente appellante, cit.), la Regione non ha affatto applicato meccanicamente i limiti già fissati per la zona rossa, ma ne ha determinati altri rapportati alla situazione concreta, appunto sito specifici.

32.6 In secondo luogo, questi limiti non sono apodittici, ma tengono conto secondo quanto previsto dall’allegato XI alla parte II del decreto 152/2006 citato dalla parte appellante, proprio di “Natura, effetti e volume delle emissioni in questione”, con il processo logico di cui al verbale stesso, che si è descritto sopra e nella sostanza non risulta contestato.

33. È infondato anche il quinto motivo di appello, secondo il quale, in sintesi, la presenza delle PFAS degli scarichi non costituirebbe “inquinamento” ai sensi dell’art. 74 comma 1 lettera cc) e comma 2 lettera gg) del decreto 152/2006 e quindi non potrebbe integrare la fattispecie di revisione dell’AIA qui ravvisata, quella di cui all’art. 29 octies comma 4 dello stesso decreto.

33.1 L’ipotesi di revisione che si richiama è quella per cui “l'inquinamento provocato dall'installazione è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione fissati” e richiede anzitutto, come è chiaro dalla lettera di essa, una situazione di “inquinamento” in atto.

33.2 Ai sensi dell’art. 74 del d. lgs. 152/2006, però, l’inquinamento è ravvisabile non solo quando nell’ambiente siano introdotte sostanze sicuramente nocive, ma anche nel caso di pericolosità solo potenziale, ovvero di sostanze che “possono nuocere” alla salute umana. L’inquinamento poi si verifica, sempre secondo la norma, per il solo fatto che la sostanza con queste proprietà venga introdotta nell’ecosistema, non richiedendosi che essa in concreto abbia già raggiunto concentrazioni superiori ai valori limite; in altre parole, legittima non solo interventi successivi ad un pregiudizio già verificatosi, ma anche interventi di prevenzione. Infine, sempre secondo le norme citate, lettera gg) del comma 2, il concetto di sostanza inquinante comprende “in particolare” le sostanze tabellate, ma non è esaustivo, riflettendo con ciò un dato scientifico scontato, per cui la pericolosità di una sostanza può emergere dopo periodi anche lunghi di uso in cui la si ritiene innocua.

33.3 Applicando i concetti così delineati al caso di specie, il presupposto di revisione dell’AIA di cui all’art. 29 octies comma 4 lettera a) deve ritenersi integrato. Della potenziale pericolosità delle PFAS infatti già si è detto, e il fatto che esse non siano comprese nelle relative tabelle, come pure si è detto non è rilevante, come non è rilevante il fatto che il bacino del Livenza non abbia nell’epoca considerata fatto registrare gli stessi valori riscontrati nella zona rossa, ciò che obiettivamente l’intervento della Regione ha lo scopo di evitare.

34. Quanto sin qui esposto porta ancora a respingere i motivi di appello sesto, settimo e nono, che prospettano tutti, in parte ripetendosi, la presunta illogicità di quanto disposto dalla Regione, ovvero dell’imposizione di limiti agli scarichi.

34.1 In ordine logico, si è già detto più volte che i provvedimenti impugnati sono sito specifici, ovvero non applicano in via automatica gli stessi limiti previsti per la zona rossa, ma semplicemente li prendono in considerazione come uno degli elementi valorizzati per determinare i limiti in concreto imposti.

34.2 Lo scopo dell’intervento poi non è quello sostenuto dalla parte, ovvero quello di evitare possibili “picchi” di PFAS negli scarichi, ma di limitarne comunque la presenza negli scarichi stessi a scopo preventivo ovvero per evitare in quanto possibile che nel bacino del Livenza si venga a determinare la stessa situazione che nella zona rossa ha imposto interventi più estesi ed onerosi, come appare ragionevole anche in base al senso comune, trattandosi come si è detto di sostanze poco biodegradabili e quindi suscettibili di determinare un effetto di accumulo. Sotto questo profilo, il fatto che le misure siano in vigore da un tempo considerevole appare non illogico, dato che si tratta di prevenire effetti che diventano evidenti nel lungo termine, come risulta anche solo considerando il periodo sopra indicato, in cui si è prodotta la contaminazione della zona rossa.

34.3 Della proposta di monitoraggio si dirà oltre, nella trattazione del decimo motivo; qui si osserva invece che il rilievo per cui l’unico intervento efficace sarebbe limitare a monte l’utilizzo delle PFAS si risolve non in una critica alle soluzioni contenute nel provvedimento, ma in una proposta di condotta alternativa a quella scelta dall’amministrazione, e quindi in un rilievo di merito all’evidenza non valorizzabile in questa sede.

35. È ancora infondato l’ottavo motivo, per cui i provvedimenti impugnati avrebbero come effetto quello di rendere antieconomica la gestione dell’impresa interessata.

35.1 Sul punto, è sufficiente ricordare un dato del tutto ovvio, cioè che l’azione amministrativa in tema di tutela ambientale è volta a proteggere l’interesse della comunità a vivere in un ambiente salubre, e non deve preoccuparsi, come presupposto di legittimità, di garantire alle imprese destinatarie il margine di profitto che in un dato momento storico esse ricavano dall’attività in essere. Ciò deriva direttamente dall’art. 41 Cost., secondo il quale l’iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in modo tale da recare danno all’ambiente e può essere assoggettata a “programmi e controlli” appunto per evitare che ciò avvenga.

35.2 Il principio appare accolto anche nel diritto europeo, pure invocato dalla parte appellante, come risulta dall’art. 37 della Carta di Nizza, che garantisce la tutela dell’ambiente nell’ambito di uno sviluppo sostenibile, nonché, come si aggiunge per completezza, dal diritto internazionale, dato che lo sviluppo sostenibile, di per sé antitetico ad una garanzia a priori del profitto economico, è contemplato come principio n.3 dalla Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992 sull’ambiente e lo sviluppo.

36. Infine va respinto il decimo motivo di appello, centrato su una presunta violazione del principio di precauzione, motivo che va esaminato, a fini di chiarezza, dopo aver delineato i caratteri fondamentali del principio stesso, quali risultano dalle norme e dalla relativa elaborazione giurisprudenziale.

36.1 In termini culturali, il principio in questione è di solito definito come una politica di condotta cautelativa riferita alle decisioni politiche ed economiche sulla gestione delle questioni scientificamente controverse, basata sull’assunto, in sé pacifico, ma generico, per cui l’assenza di prova sul danno che potrebbe derivare da un qualche intervento sull’ambiente non è prova di assenza del danno medesimo.

36.2 Nei termini giuridici che qui interessano, il principio stesso, accanto a quello dell’azione preventiva, è poi previsto come principio generale in materia di tutela dell’ambiente anzitutto dall’art 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, riprodotto sul punto dall’art. 3 ter del d. lgs. 152/2006, che però non ne precisano i contenuti, ciò che è invece fondamentale dato che, come evidente, un’applicazione acritica del concetto culturale sopra esposto rischierebbe, se portata alle estreme conseguenze, di paralizzare ogni attività umana.

36.3 In materia, la parte appellante ha citato anche la Comunicazione della Commissione Europea 2 febbraio 2000 in materia, che peraltro il Collegio ritiene non esattamente pertinente al caso in esame.

36.3.1 Come è altrettanto noto, le comunicazioni della Commissione ai fini del diritto dell’Unione sono non fonti del diritto, ma atti atipici, in linea di principio privi di efficacia vincolante, assimilabili in buona sostanza alle circolari, con i quali quell’organo intende esplicitare, con funzione di autolimite, le modalità con le quali intende esercitare i propri poteri: per tutte, Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 8 marzo 2016 C 431/14 P Repubblica Ellenica c. Commissione, §§ 69 e ss.

36.3.2 Nel caso specifico, poi, la comunicazione citata afferma in modo esplicito che “non pretende costituire un punto finale della discussione, ma si propone di contribuire ad alimentare la riflessione attualmente in corso, sia a livello comunitario che a livello internazionale” e che i relativi contenuti “intendono unicamente costituire un punto di riferimento generale e non modificano in alcun modo le disposizioni del Trattato o della legislazione comunitaria derivata” (p. 8 § 2).

36.4 Ciò posto, una prima precisazione della portata del principio in esame viene anzitutto dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione, per tutte, le sentenze 9 settembre 2003 C-236/01 Monsanto e 13 settembre 2017 C-111/16 Fidenato, secondo la quale le misure preventive fondate sul principio stesso non si possono giustificare con l’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici.

36.5 La stessa conclusione è fatta propria anche dalla giurisprudenza di questo Consiglio, secondo la quale il principio non conduce in via automatica a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi soggettiva e non suffragata da alcuna evidenza scientifica, potrebbe comportare eventuali rischi per la salute, privi di ogni riscontro oggettivo e verificabile, ma richiede, piuttosto “una seria e prudenziale valutazione” in base alle conoscenze scientifiche disponibili, dell'attività considerata, valutazione che deve concludersi con un giudizio di “stretta necessità della misura” in concreto adottata: così per tutte C.d.S. sez. VI 15 dicembre 2022 n.10992 e sez. III 3 ottobre 2019 n.6655, questa citata anche dalla difesa della parte appellante.

36.6 Fermo quanto si è detto sul valore giuridico delle comunicazioni in quanto tali, si nota comunque per completezza che affermazioni del tutto similari si ritrovano anche nella citata comunicazione della Commissione 2 febbraio 2000, pp. 13 e ss. dal § 5.1.

36.7 Tutto ciò posto, ad avviso della parte appellante, il Giudice di I grado avrebbe, in sintesi estrema, fatto un’applicazione non corretta del principio così interpretato, in particolare limitandosi “a formulare la mera ipotesi del verificarsi di un picco significativo” e al fatto per cui “l’installazione di filtri specifici presso la centrale di produzione dell’acqua comporterebbe costi sostenuti a tariffa” (memoria 24 dicembre 2023 p. 6 dall’undicesimo rigo). In realtà, sempre secondo la parte appellante, la situazione di pericolo a fronte della quale la Regione ha ritenuto di agire sarebbe “meramente ipotetica” (memoria cit. p. 9 nono rigo), dal momento che, sempre in sintesi, da un lato il monitoraggio delle acque del Monticano e del Livenza non avrebbe riscontrato alcuna contaminazione significativa, dall’altro la portata degli scarichi dell’impianto in questione sarebbe del tutto trascurabile a fronte della portata complessiva dei corsi d’acqua citati. Pertanto, conclude la parte appellante, la misura adottata sarebbe eccessiva e non necessaria, potendo essere ben sostituita da un semplice periodico monitoraggio delle sostanze PFAS scaricate.

36.8 Il Collegio è di contrario avviso, per le ragioni ora esposte.

36.8.1 In primo luogo, come si ripete, non è seriamente dubitabile che in base alle conoscenze scientifiche attualmente disponibili non si possa formulare un giudizio di non pericolosità delle PFAS, ed anzi vi sia la possibilità non meramente ipotetica che esse siano nocive alla salute umana, per lo meno a seguito di un loro accumulo nell’organismo, ipotesi non remota in base al dato certo della loro scarsissima biodegradabilità: in tal senso, si richiama il parere dell’ISS, come si è detto organo istituzionalmente competente in materia, più volte citato. A riprova, nemmeno la parte appellante ha messo in discussione la legittimità e razionalità degli interventi posti in essere nella “zona rossa”. Si deve quindi escludere che la Regione abbia in assoluto agito sulla base di mere ipotesi soggettive.

36.8.2 Le concrete misure adottate non si possono poi dire, in base alla comune logica, eccedenti la stretta necessità. Limitandosi ai profili di coerenza che sono gli unici sindacabili in questa sede di legittimità, si osserva infatti che il confronto con il semplice monitoraggio proposto dalla parte non avviene, in realtà, fra misure omogenee: all’evidenza, un monitoraggio non ha di per sé alcuna efficacia preventiva del danno, ma consente soltanto di riscontrare, a cose fatte, che un danno si è verificato. Le misure imposte dalla Regione invece sono ispirate ad una logica preventiva, che non è quella di evitare picchi di sostanza, ma quella di impedire che, in prospettiva, lo scarico di PFAS in quantità limitate, se prese isolatamente, ma protratto nel tempo vada a causare una situazione analoga a quella determinatasi nella “zona rossa”, che come si è detto è risultato di un processo svoltosi nell’arco di circa mezzo secolo. Nel momento in cui ciò si verificasse, è evidente che le misure da adottare sarebbero molto più onerose, oltre che impattanti sulla vita quotidiana dei cittadini, dato che si dovrebbe provvedere alla purificazione delle acque per il consumo umano, come nella “zona rossa” è avvenuto, con maggiori costi ed oneri. In tali termini, quindi, non rileva che ad oggi nelle acque del Livenza ovvero del Monticano l’inquinamento non sia ancora presente.

37. L’appello, in conclusione, va respinto; nulla per spese, non essendosi la Regione costituita.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n.1430/2023 R.G.), lo respinge.

Nulla per spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere