Quale regime giuridico per le acque di falda emunte ? (esame della giurisprudenza formatasi sull’art. 243 D. Lgs. n. 152/2006)
di Fabio ANILE
di Fabio ANILE
I. Premessa
Il tema che ci apprestiamo ad esaminare attiene al regime giuridico applicabile alle acque di falda emunte nell’ambito degli interventi di bonifica «o di messa in sicurezza», come recentemente sancito dall’art 8-quinquies della L. n. 13/2009[1], ad integrazione dell’art. 243 del D. Lgs. n. 152/2006 e succ. mod. ed int[2].
La recente novella legislativa si è, infatti, limitata ad operare una mera integrazione della precedente disposizione, chiarendo che l’applicabilità della disciplina contenuta nell’art. 243 non è limitata ai soli interventi di bonifica, ma anche alle operazioni di messa in sicurezza.
Nessuna novità, dunque, per quanto attiene alla qualificazione giuridica delle acque di falda emunte quali “acque reflue” od, invece, quali “rifiuti” (cui applicare le disposizioni rispettivamente contenute nella Parte III e IV del D. Lgs. n. 152/2006).
Tanto premesso, non può, tuttavia, affermarsi che l’introduzione dell’art. 243, D. Lgs. n. 152/2006 e succ. mod. ed int., non abbia comportato - in senso lato - alcuna innovazione rispetto al regime previgente (che, invece, non contemplava alcuna disciplina specifica) come attestano le numerose pronunce dei TAR che sono seguite all’entrata in vigore della citata norma e che - salvo qualche voce dissonante - hanno cominciato a delineare l’orientamento giurisprudenziale che ci apprestiamo ad illustrare.
II. Operazioni di “pump and treat”: inquadramento della fattispecie.
Nell’ambito delle operazioni di messa in sicurezza e di bonifica delle falde acquifere sotterranee svolte all’interno dei c.d. Siti di Interesse Nazionale (SIN)[3], è prassi consolidata adottare sistemi di sbarramento idraulico delle falde sotterranee contaminate, costituiti da pozzi di emungimento, la cui funzione è consentire le attività c.d. di “pump and treat”, consistenti nell’emungimento delle acque di falda contaminate e nel successivo trattamento delle stesse, al fine di essere scaricate in altro corpo idrico ricettore o reimmesse, ove possibile, nella stessa falda acquifera da cui sono state prelevate.
Sotto il vigore della previgente disciplina (art. 17 D. Lgs. n. 22/97 e D. M. n. 471/99), in assenza di una chiara indicazione normativa, si era diffusa la tesi (sostenuta , in particolare, dal Ministero dell’Ambiente) che le acque di falda emunte dovessero essere considerate sempre e comunque quali rifiuti liquidi da trattare, con la conseguente inapplicabilità nella fase di scarico dei limiti di emissione previsti in materia di scarichi idrici, in favore, invece, dei più restrittivi limiti indicati dal D.M. n. 471/99.
Tuttavia, tale opzione interpretativa - oltre a rendere più farraginosi i procedimenti di bonifica – induceva a conseguenze paradossali, allorquando, ad esempio, un’impresa coinvolta nella bonifica del proprio sito si trovava costretta a scaricare nello stesso corpo idrico ricettore le acque reflue derivanti dal ciclo produttivo entro i limiti di emissione previsti dalla normativa in materia di scarichi idrici e quelle provenienti dall’emungimento di falde sotterranee entro i diversi e più severi limiti richiamati dal D.M. 471/99.
Da tale impostazione consegue, inoltre, la necessità per gli impianti di asserviti alla depurazione delle acque reflue industriali di munirsi dell’autorizzazione prevista dalle disciplina sui rifiuti, ex art. 210 D. Lgs. n. 152/2006, e di esperire l’eventuale procedura di V.I.A., allorché lo stesso impianto viene asservito al trattamento delle acque di falda emunte (id est: rifiuti), se non progettare ex novo appositi impianti di trattamento delle acque di falda (TAF), idonei ad assicurare il raggiungimento dei valori di cui al DM 471/99[4].
Al fine di eliminare dette incongruenze il Legislatore del 2006 ha, quindi, introdotto il citato art. 243, con il quale (al comma 1) si è disposto che: «Le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto ».
Il secondo comma prosegue prevedente che « in deroga a quanto previsto dal comma 1 dell’art. 104, ai soli fini della bonifica dell’acquifero, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nella stessa unità geologica da cui le stesse sono state estratte, indicando la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione dell’acquifero interessato dal sistema di istrione/reimmissione. Le acque reimmesse devono essere state sottoposte ad un trattamento finalizzato alla bonifica dell’acquifero e non devono contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose e diverse, per qualità e quantità, da quelle presenti nelle acque prelevate ».
Distinguendo tra acque reimmesse in falda e acque emunte avviate allo scarico, la norma contempla in quest’ultimo caso una disciplina speciale dalla quale si evince la chiara intenzione del Legislatore di riferirsi alla normativa sugli scarichi idrici e non già a quella sui rifiuti.
III. L’interpretazione della Giurisprudenza Amministrativa sull’art. 243 D. Lgs. n. 152/2006.
A partire dall’entrata in vigore dell’art. 243 del D. Lgs. n. 152/2006, quasi tutte le pronunce adottate dal Giudice Amministrativo sul cit. art. 243 hanno escluso l’applicabilità della disciplina sui rifiuti alle acque emunte, in favore di quella sugli scarichi idrici, contenuta nella Parte III del d. lgs. n. 152/2006.
Ciò, non in virtù di una aprioristica posizione interpretativa, ma grazie ad un ragionato esame delle disposizioni applicabili nel contesto di fatto esaminato.
III.I. Qualificazione giuridica delle acque emunte: “acque di scarico” o “rifiuti liquidi” ?
Una prima questione riguarda la presuntaqualifica giuridica delle acque emunte quali “rifiuti liquidi”.
A questo riguardo, non sembra che in mancanza di un’esplicita qualifica giuridica da parte del Legislatore le acque emunte possano essere considerate sempre e comunque quali “rifiuti liquidi”.
Non si vede, infatti, come la soluzione del quesito possa prescindere dall’evoluzione legislativa e giurisprudenziale che da circa quindici anni ha interessato le nozioni di “rifiuto liquido” e di “scarico”[5].
Senza ripercorrere funditus tale percorso evolutivo, ci basti dire che, sin dalla nota sentenza Forina [6], costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato, il principio secondo cui il discrimen nel campo di applicazione della disciplina sui rifiuti da quella concernente le acque di scarico, va individuato nell’esistenza di una condotta attraverso cui il refluo viene scaricato in un corpo ricettore. Ovvero: laddove, sin dal momento della loro “produzione”, le acque reflue vengono avviate a depurazione e successivo scarico mediante un’apposita tubatura, troverà applicazione la disciplina sugli scarichi idrici, non essendovi alcuna ulteriore esigenza di tutela ambientale da preservare.
Al contrario, laddove le medesime acque vengono gestite al di fuori di una struttura stabilmente asservita allo scarico in apposito corpo ricettore (ad esempio effettuando operazioni di stoccaggio), non potrà che trovare applicazione la disciplina sui rifiuti, in quanto, in tale (diverso) contesto, la disciplina sugli scarichi idrici non appare più idonea, da sola, a garantire quell’elevato livello di tutela ambientale, cui è ispirata la normativa comunitaria e, a cascata, quella nazionale.
Il “precipitato” di tale opzione interpretativa si rinviene oggi nell’art. 185, comma 1, lett b), punto 1, ove si esclude dal campo di applicazione della disciplina sui rifiuti «in quanto regolate da altre disposizioni normative che assicurano tutela ambientale e sanitaria: le acque di scarico, eccettuati i rifiuti allo stato liquido….(omissis) »[7].
Pertanto, ai fini della qualificazione giuridica delle acque di falda emunte, può assumere rilievo anche la disciplina sulla tutela delle acque.
III.II. Sulla qualificazione giuridica delle acque emunte quali acque di scarico.
Alla luce di quanto sopra, occorre ritenere che in tutti i casi in cui, sin dall’emungimento, le acque di bonifica vengono avviate tramite tubatura alla depurazione ed al successivo scarico (compiendo un “percorso” in tutto e per tutto analogo a quello che compiono le acque di processo) sarà possibile escludere l’applicazione della disciplina sui rifiuti, in favore di quella sulla tutela delle acque, ex art. 185, cit.
D’altronde, lo stesso art. 243 si richiama alla sola disciplina sugli scarichi e non a quella sui rifiuti, mentre l’art. 242, comma 7 del d. Lgs. n. 152/2006, nell’indicare gli effetti sostitutivi derivanti dall’approvazione del progetto operativo di bonifica, include anche “l’autorizzazione allo scarico delle acque emunte dalle falde”[8]
Si aggiunge peraltro, che, se le acque emunte fossero rifiuti liquidi, il loro scarico in rete fognaria non sarebbe ammissibile, stante il divieto contenuto nell’art. 107, comma 3.
Si deve, pertanto, ritenere che a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 243 cit. le acque emunte e trattate possono essere assimilate ad uno scarico [9].
E’ questo l’orientamento espresso in sede cautelare dal Tar Sicilia, Catania nell’ordinanza n. 788 del 07.06.2007, che respingendo la tesi Ministeriale ha affermato che «…la prescrizione inerente la gestione delle acque emunte si basa erroneamente sul presupposto – inammissibile – della qualificazione di queste ultime come rifiuti, dovendosi esse, invece, considerare come acque reflue di provenienza industriale ».
Principio questo successivamente ribadito in sede di merito, con sentenza del 17 giugno 2008, n. 1188.
Successivamente, lo stesso Tar, con la sentenza n. 207, del 29 gennaio 2008, ha ulteriormente ribadito che l’art. 243 del D. Lgs. n. 152/2006 individua «una disciplina che può dirsi speciale rispetto alla nozione di scarico ordinaria e dalla quale si evince l’intenzione del Legislatore di riferirsi alla normativa sugli scarichi idrici e non a quella sui rifiuti. Da ciò consegue la non applicabilità, per le stesse acque, della disciplina sui rifiuti, che è incompatibile con la prima ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. b) del d.lgs n. 152 del 2006……..».
Dello stesso avviso è il Tar Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, 26 maggio 2008, n. 301 che,pronunciandosi in merito ad una fattispecie concernente lo scarico in mare di acque di falda emunte, mediante una conduttura preesistente ed autorizzata, ha ribadito che « l’art. 243 del D.L.vo n. 152/06 cit., (…omissis…) consente che le acque emunte dalle falde sotterranee nell’ambito di interventi di bonifica vengano scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in un ciclo produttivo (come nel caso, a fini di raffreddamento) in acque superficiali, ovviamente nel rispetto dei limiti di emissione delle acque reflue industriali »;
Anche il TAR Calabria è pervenuto alle medesime conclusioni nelle sentenze del 23 maggio 2008, nn. 1068 e 1069, ove si legge che «la pretesa ministeriale, secondo cui tutte le acque di falda prelevate dal sottosuolo devono essere gestite come rifiuti comporterebbe il loro allontanamento dal sito a mezzo di autobotti ed il loro conferimento ad un impianto autorizzato allo smaltimento di rifiuti liquidi speciali. Sennonché una tale prescrizione è contrastante con le previsioni contenute nell’art. 243 del d. Lgs. n. 152/2006, ove invece, è espressa l’opzione secondo cui le acque di falda emunte dalle falde sotterranee nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali, in acque superficiali…..alla luce delle richiamate disposizioni, appare senz’altro illegittima, come censurato in ricorso, l’assimilazione ai rifiuti delle acque reflue emunte dalla falda ».
III.III. La tesi contraria: natura di rifiuti liquidi.
Di diverso avviso sono, invece, le pronunce del Tar Sardegna, sez. II, n. 549 del 21.04.2009 e del Tar Sicilia, Palermo, sez. I, n. 540, del 20.03.2009, secondo cui le acque emunte andrebbero sempre e comunque, considerate quali “rifiuti liquidi”, in quanto:
- non essendo riutilizzabili, costituiscono una sostanza di cui il detentore si disfa, così integrando la nozione di rifiuto (art. 183, comma 1, lett. a), D. Lgs. n. 152/2006);
- esse sono riconducibili al punto Q4 della direttiva comunitaria (v. anche All. A alla parte IV del D. Lgs. n. 152/2006), nonché nell’Allegato D alla parte IV del D. lgs. n. 152/2006, quali rifiuti liquidi acquosi e concentrati acquosi prodotti dalle operazioni di risanamento delle acque di falda, contenenti o meno sostanze pericolose identificati, rispettivamente, con i codici CER 19.13.07* e 19.13.08;
- non derivando dette acque da cicli produttivi, esse sarebbero difficilmente inquadrabili nella nozione di acque reflue industriali, di cui all’art. 74, comma 1, lett. h), D. Lgs. n. 152/2006;
- ai sensi dell’art. 108, comma 5 del D. Lgs. n. 152/2006, «L’Autorità competente può richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostanze della tabella 5 del medesimo Allegato 5 siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come “rifiuti” ».
-
In merito si osserva che non appare affatto convincente l’argomentazione che ravvisa in siffatti casi l’atto del disfarsi, essendo evidente che anche le acque di processo potrebbero essere considerate sostanze di cui il detentore si disfa. L’argomento appare, pertanto, più formale che altro[10].
III.III.I Sulla (ir)rilevanza dell’inclusione delle acque emunte nella voce Q4 dell’Allegato “A” e nell’allegato “D” alla parte IV del D. Lgs. n. 152/2006.
Né appaiono convincenti i richiami al punto Q4 dell’Allegato A (« sostanze accidentalmente versate, perdute o aventi subito qualunque altro incidente, compresi tutti i materiali, le attrezzature, ecc. contaminati in seguito all’incidente in questione» ed al codice CER previsto per i rifiuti liquidi prodotti da operazioni di risanamento (19.13.07* e 19.13.08).
Ed, infatti, da un lato, è agevole osservare che l’Allegato A ha una funzione meramente descrittiva delle categorie di rifiuti, tant’è che – come più volte evidenziato dalla Corte di Giustizia – la voce Q16 («ogni altra sostanza o materiale non menzionate nella voci da Q1 a q15») include tendenzialmente qualunque sostanza, materiale od oggetto. Pertanto, l’analisi volta a definire se un materiale è rifiuto o meno, deve incentrarsi sull’atto, l’obbligo o l’intenzione di disfarsi di un materiale [11], più che sulla sua riconducibilità alle voci Q1-Q16.
Dall’altro è noto - per espressa previsione dello stesso Legislatore Comunitario - che l’inclusione di un determinato materiale nell’Elenco dei Rifiuti non ne comporta automaticamente la qualifica di “rifiuto”[12].
III.III.II. Sulla riconducibilità delle acque emunte alle acque reflue industriali (art. 74, lett. h), d. Lgs. n. 152/2006.
Quanto, infine al rilievo secondo cui le acque emunte non sarebbero inquadrabili nella nozione di acque reflue industriali , ex art. 74, comma 1, lett. h) D. Lgs. n. 152/06, in quanto non derivano da cicli produttivi, è agevole obiettare che un impianto per l’emungimento delle acque sotterranee costituisce a tutti gli effetti un installazione posta all’interno di un area di produzione di beni[13].
Inoltre, non può non evidenziarsi come le predette acque emunte appaiono sussumibili nella nozione di “acque reflue industriali”, anche sotto un profilo formale, atteso che in detta nozione sono incluse in via residuale tutte le altre acque, diverse, sotto il profilo qualitativo, dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento.
A confermare tale impostazione basti osservare poi che l’art. 243 prevede la possibilità di sscaricare dette acque “con o senza riutilizzo” così confermando la loro equiparazione alle acque di processo.
Sul punto, oltre al TAR Sicilia, Catania (sentenze nn. 207/2008 e 1188/2008, cit.). si è espresso anche il TAR Friuli Venezia Giulia nella sentenza n. 90 del 28 gennaio 2008, ove si legge che « le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, sono riconducibili al paradigma delle acque reflue di provenienza industriale, a termini dell’art. 243 c. 1, del D. lgs. n. 152/2006; pertanto i limiti da rispettare allo scarico sono quelli della emissione di acque reflue industriali in acque superficiali, di cui alla tabella 3 dell’allegato 5 della Parte III del D. lgs. n. 152 del 2006, non quelli di cui all’Allegato I – tabella “acque sotterranee” del D.M. 471 del 1999 » e «non è necessaria l’autorizzazione di cui agli artt. 27 e 28 del D. Lgs. n. 22/97 »
III.III.III. Scarico di acque emunte e “scarico parziale”, ex art. 108, comma 5, D. Lgs. n. 152/2006.
Nel caso deciso dal TAR Palermo, sez. I, con la sentenza n. 540, del 20.03.2009 si perviene alla qualificazione delle acque emunte quali “rifiuti liquidi” sulla scorta di motivazioni analoghe a quelle offerte dal TAR Sardegna ma si richiama, inoltre, l’art. 108, comma 5 del D. Lgs. n. 152/2006, a mente del quale «L’Autorità competente può richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostanze della tabella 5 del medesimo Allegato 5 siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come “rifiuti” ».
Sulla scorta di tale disposizione, e rilevando come nella fattispecie concreta nelle acque emunte erano presenti le sostante elencate nella Tab. 5, All. 5, alla parte III D. lgs 152/06 (n. 12 - Oli minerali persistenti ed idrocarburi di origine petrolifera persistente), il TAR è giunto a definire l’attività di depurazione delle acque emunte come “trattamento di rifiuti liquidi” (riconducibile alla voce D9 dell’Allegato “B”, Parte IV del D. Lgs. n. 152/2006) con la conseguente sottoposizione dell’impianto di depurazione (nella fattispecie, preesistente ed autorizzato secondo la disciplina sugli scarichi) all’obbligo autorizzatorio, ex art. 210 D. Lgs. n. 152/2006, ed alla disciplina di V.I.A.
Tuttavia, nel caso di specie, risultava dallo stesso provvedimento impugnato come quell’impianto fosse asservito contemporaneamente alla depurazione delle acque reflue industriali e delle acque di falda emunte, prima di effettuarne lo scarico in mare mediante un\'unica conduttura.
Pertanto, sotto questo profilo, il richiamo all’art. 108, comma 5, appare del tutto inconferente rispetto alla fattispecie concreta, nella quale non era stata prevista la separazione degli scarichi contenenti le acque emunte dallo scarico principale.
Né può ritenersi che la presenza di talune sostanze nelle acque di scarico ne determini sic et simpliciter una specifica qualificazione giuridica.
Ciò, non solo per le ragioni già esposte in merito alla aprioristica qualificazione giuridica delle acque di falda; ma anche in quanto tale disposizione rappresenta evidentemente una deroga alla disciplina sugli scarichi idrici, in favore di quella sui rifiuti (tant’è che l’art. 108 ricade nella parte III e non nella parte IV del D. Lgs. n. 152/2006), la cui applicazione non discende direttamente dalla legge, ma è rimessa alla valutazione discrezionale dell’Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione allo scarico[14].
Pertanto, sotto questo profilo, il TAR Palermo ha evidentemente errato richiamando una disposizione certamente applicabile, ma in concreto …non applicata dall’Amministrazione resistente.
6. Conclusioni.
Le pronunce che abbiamo sinteticamente richiamato mettono in evidenza come a quasi quattro anni dall’entrata in vigore dell’art. 243 D. lgs. n. 152/2006, non si sia ancora delineato un univoco orientamento giurisprudenziale in materia.
Seppure l’opinione prevalente della giurisprudenza amministrativa sia orientata nel senso di escludere qualsiasi automatismo nella qualificazione giuridica delle acque emunte quali “rifiuti liquidi”, si registrano, tuttavia, pronunce di segno diverso, che appaiono ispirate ad un ingiustificato rigore[15], che rischia di produrre effetti paralizzanti o comunque inutilmente onerosi sulle attività di messa in sicurezza e di bonifica in corso[16].
Dette pronunce pongono una domanda che rimane, tuttavia, senza risposta: quali ulteriori esigenze di tutela ambientale potrebbero essere garantite dall’applicazione della disciplina sui rifiuti che non siano già salvaguardate dalla quella sugli scarichi idrici ?
- avv. Fabio Anile
* Avvocato in Roma - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. .
[1] Legge 27 Febbraio 2009, n. 13 del D.L. 30/12/2008 n. 208, in G.U. 31 dicembre 2008 n. 304
[2] Il testo vigente del 1° comma dell’art. 243 risulta essere il seguente : « Art. 243 (Acque di falda). 1. Le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell\'ambito degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto».
[3] V. D. M 18 settembre 2001, n. 468, in Supplemento ordinario n. 10 alla Gazzetta ufficiale 16 gennaio 2002 n. 13
[4] Procedure queste i cui tempi sono evidentemente incompatibili con la nozione di “messa in sicurezza di emergenza”.
[5] In argomento, si rinvia all’esteso e compiuto contributo di Luca Ramacci, in Diritto Penale dell’Ambiente, CEDAM, 2007, pag. 386 e ss.
[6] Cass. Pen. SS.UU. 13 dicembre 1995 n. 12310, ud. 27 settembre 1995, Forina, rv. 202899. per alcune pronunce recenti si veda anche: Cass. Sex. III, 16.01.2008, n. 2246; Cass., Sez III, 9.10.2008, n. 42529; Cass. Pen. Sez. III, 3.09.2007, n. 33787; Cass. Pen., Sez. III, 29.03.2000, n. 5000; Cass. Pen. Sez. III, 17.12.2002, n. 8758; Cass. Pen. Sez. III, 11.03.2004, n. 18347.
[7] Analogamente a quanto previsto precedentemente nel Decreto Ronchi (D. Lgs. n. 22/97), all’art. 8, lett e)
[8] Di tal ché, al contrario, se se le acque emunte fossero state considerate quali rifiuti liquidi, la norma avrebbe invece, contemplato, tra gli effetti sostitutivi, l’autorizzazione al trattamento/smaltimento e non quella allo scarico.
[9] V. L. Musmeci, “Bonifica di siti contaminati”, Ed. ambiente 2008, 37 e ss.; B. Albertazzi e L. Musmeci, La bonifica dei siti contaminati” in “Guida commentata alla normativa ambienetale”, EPC Libri 2008, 605; L. Butti e F. Peres, Commento sub art. 243, in Bottino ed al. “Codice dell’Ambiente”, Giuffré 2008, 1989 e ss..
[10] Vale la pena di notare come il Tar Sardegna, dopo aver precisato che «…secondo l’insegnamento tradizionale della giurisprudenza amministrativa e penale, la presenza di uno iato – materiale e temporale – tra la fase di emungimento e quella di trattamento già di per sé depone per la qualificazione delle acque in termini di “rifiuto liquido” » e che «l’alternativa nozione di scarico ontologicamente implica la sussistenza di una continuità tra la fase di generazione del refluo e quella della sua “immissione” nel corpo ricettore, mentre l’esistenza di una fase intermedia, in cui le acque sono stoccate in attesa della loro destinazione finale, richiama direttamente i noti concetti di “trattamento” e “smaltimento”, tipici della disciplina sui rifiuti », giunge inopinatamente ad affermare che «le acque emunte rientrano a pieno diritto nella nozione comunitaria e nazionale di “rifiuto liquido”, in quanto nozione elastica e comprensiva di qualunque sostanza, non più direttamente utilizzabile».
[11] V. per tutte: Corte di Giustizia Arco, 15.06.2000, in cause C-418/97 e C-419/97, punto 35.
[12] L’Introduzione all’Allegato D del D. lgs. n. 152/2006, recita infatti: « l’Inclusione di un determinato materiale nell’elenco non significa tuttavia che tale materiale sia un rifiuto in ogni circostanza. La classificazione del materiali come rifiuto si applica solo se il materiale risponde alla definizione di cui all’art. 1, lettera a) della direttiva 75/442/CE ».
[13] In argomento, Cass. Pen., sez. III, 99/12189 ha chiarito che “per scarico deve intendersi il liquido proveniente dall’insediamento produttivo nella sua totalità e cioè nell’inscindibili composizione dei suoi elementi confluenti nel corpo ricettore, a nulla rilevando che parte di esso sia composto da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo”.
[14] In relazione alle sostanze di cui alla Tabella 5, deve, peraltro, osservarsi che trattasi proprio delle sostanze per le quali, a certe condizioni, è prevista la possibilità di ammettere valori di concentrazione superiori sino al 50% dei valori limite indicati in Tabella 3 (v. nota 1, tab. 5).
[15] Come nel caso della sentenza del TAR Sicilia, Palermo, n. 540/2009, ove si legge che dalla sovrapposizione delle due disciplina (quella sui rifiuti e quella sulle acque) deriverebbe un “miglioramento della tutela ambientale ulteriore rispetto a quella già garantita con la disciplina ordinaria in materia di scarichi idrici” (sic ! )
[16] Basti pensare ai tempi necessari per il rilascio dell’autorizzazione ex artt. 208-210, agli oneri amministrativi (registrazioni dei rifiuti prodotti e smaltiti, MUD, pagamento di fideiussioni, etc…), e penali derivanti dall’applicazione della disciplina sui rifiuti.