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 Consiglio di Stato sent. 3186 del 6 giugno 2003

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da Gemma Bracco rappresentata e difesa dall’avv. Bartolomeo Della Morte ed elettivamente domiciliato in Roma al Corso Trieste n. 88  presso e nello studio del prof. avv. Giorgio Recchia;

contro

Il Ministero per i beni culturali ed ambientali in persona del Ministro pro tempore rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12 ;

e nei confronti di

Comune di Anacapri non costituito;

per l'annullamento

della sentenza  del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania  Sezione II - n.982 del 1997 resa nel giudizio proposto dal prof. Maurizio Cotrufo, dante causa della ricorrente in appello, contro il Ministero per i beni culturali ed ambientali ed il Comune di Anacapri, di rigetto della domanda di annullamento del decreto del Ministro dei beni culturali ed ambientali del 18/6/1993 notificato il 9/7/1993, con il quale è stata annullata la determinazione del Sindaco del Comune di Anacapri n. 36 del 4 gennaio 1993 con cui è stata rilasciata ai sensi dell’art.7 della legge n. 1497 /1939 ai fini della sanatoria di cui all’art. 32 della legge n. 47/1985 autorizzazione per il completamento di un fabbricato sito in Anacapri alla via Traversa Tuoro n. 16 e di ogni altro atto comunque connesso, preordinato e conseguente, e, in particolare, del D.M. 30/11/1992, la delega al Direttore Generale per i beni ambientali, della circolare ministeriale n. 8 del 31/8/1985, della nota n. 14.703 dell’11/5/1993 della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Napoli e Provincia ; 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza dell’11-3-2003 relatore il Consigliere   Giancarlo Montedoro.

Uditi, altresì, l’avv. Recchia per delega dell’avv. Della Morte e l’avv. dello Stato Fiengo;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con gravame innanzi al Tar Campania, il prof. Maurizio Cotrufo impugnava gli atti in epigrafe indicati, chiedendone l’annullamento.

Il ricorrente in primo grado precisava in punto di fatto di aver acquistato dalla sign.ra Maria Grazia Piras, con atto di compravendita per Notaio cantucci, registrato a Napoli il 7/2/1989 al n. 2744 /V la proprietà di un immobile ubicato nel Comune di Anacapri, alla via Traversa Tuoro n. 16, immobile, in relazione al quale la sig. ra Piras aveva presentato, in data 24/12/1986, istanza di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47/1985 ; di aver presentato domanda al Comune di Anacapri per eseguire opere di completamento necessarie ai cespiti acquistati, consistenti in lavori di impermeabilizzazione, coibentazione e sistemazione interna, il tutto nel rispetto scrupoloso delle planimetrie e delle superfici, come da domanda di condono presentata dalla sua dante causa; di aver ricevuto dal Sindaco del Comune di Anacapri il relativo nulla osta paesistico, con l’osservanza di alcune prescrizioni, in conformità del parere espresso dalla Commissione edilizia integrata ; di aver ricevuto altresì la concessione edilizia, n. 7/1993 avente ad oggetto, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985, la sanatoria delle opere realizzate ; di aver subito  tuttavia con l’atto ministeriale del 18/6/1993 l’annullamento della determinazione sindacale n. 36/1993.

Con il primo motivo di ricorso si deduceva violazione e falsa applicazione dell’art. 82 del d.p.r. n. 616/77 come integrato dall’art. 1, comma 5, della legge n. 431/1985.

Si lamentava il mancato rispetto del termine perentorio per l’esercizio del potere di annullamento in relazione alla comunicazione avvenuta all’interessato solo in data 9/7/1993. Comunque si deduceva il mancato rispetto del termine perentorio, anche a non voler ritenere la natura recettizia del termine, tenuto conto della data di adozione dell’atto annullato (4/1/1993) a fronte della data di adozione dell’atto ministeriale di annullamento (18/6/1993).

Con il secondo motivo di ricorso si deduceva violazione e falsa applicazione della legge 29/6/1939 n. 1497 e segnatamente dell’art. 7 , eccesso di potere per presupposti di fatto e di diritto erronei, difetto di istruttoria, insufficiente motivazione , sviamento.

La legge n. 1497/1939 prevede che le locali soprintendenze esprimano il loro parere in relazione alle opere eseguite nelle località protette.

Nella specie la Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Napoli e Provincia ha espresso con nota 14703 del 11/5/1993 il proprio parere negativo in ordine al nulla osta paesaggistico n. 36/1993 senza aver effettuato alcuna indagine istruttoria, alcuna indagine concreta sui luoghi , alcun sopralluogo.

A fronte della motivazione dell’atto annullato, resa dalla Commissione edilizia integrata , il Ministero avrebbe dovuto motivare il proprio atto di annullamento.

L’atto viene quindi censurato per difetto di motivazione.

Con il terzo motivo si lamenta eccesso di potere per erronei presupposti di fatto e di diritto, difetto di motivazione , incertezza, sviamento.

Si lamenta con questo motivo l’inammissibile commistione di procedimenti operata dal Ministero, confondendo in un’unica valutazione l’intervento operato dalla dante causa del ricorrente e per il quale era stato chiesto il condono ai sensi della legge n. 47/1985 e le opere di completamento richieste dal ricorrente.

Da tale commistione deriva l’impossibilità di trattare diversamente le due diverse situazioni, non omogenee, mentre se il Ministro non avesse inteso autorizzare le opere di completamento avrebbe dovuto indicare espressamente gli specifici motivi di diniego, senza coinvolgere le opere pregresse per le quali era stato chiesto il condono.

Né può rilevare la circostanza della impropria commistione dei procedimenti realizzata dal Comune poiché tanto avrebbe comunque dovuto imporre al Ministro una motivazione specifica tesa a distinguere le opere pregresse da quelle di completamento.

Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della legge n. 431/1985, eccesso di potere per presupposti di fatto e di diritto erronei, sviamento.

Il Ministro censura il Sindaco ed il Comune di Anacapri per avere autorizzato le opere di completamento previste in progetto, senza tener conto del divieto di modifica dello stato dei luoghi vigente sull’area giusta D.M. 28/3/1985 ed art. 1 quinquies della legge n. 431/1985.

Le opere di completamento sono tuttavia consequenziali al condono di cui alla legge n. 47/1985, espressamente intervenuto con riguardo ai vincoli esistenti in data precedente la legge n. 47/1985 e non a vincoli successivi.

I divieti di edificazione della legge n. 431/1985 sono poi venuti meno con il decorso del termine per l’adozione dei piani paesistici regionali.

Le opere di completamento richieste sono poi essenzialmente interne, le poche esterne concretizzandosi in opere ed impianti tecnologici.

La sentenza impugnata ha respinto il ricorso.

La prima censura è stata rigettata, sul presupposto della natura non recettizia dell’atto ministeriale di annullamento, e della individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 82 del d.p.r. n. 616/77 nel momento in cui l’autorizzazione paesistica perviene al Ministro ovvero alla locale soprintendenza.

La seconda censura è stata rigettata con riguardo alla natura del potere esercitato, potere di annullamento d’ufficio per ragioni di legittimità, che non richiede lo svolgimento di un’autonoma istruttoria ministeriale consistente in un sopralluogo funzionale ad un riesame nel merito del nulla osta ambientale.

Il provvedimento ministeriale si è quindi limitato a rilevare il malgoverno del potere di gestione del vincolo posto in essere dall’autorità comunale, nonché il difetto di motivazione dell’atto sindacale.

La terza censura è stata rigettata poiché la commistione procedimentale è stata operata dal Sindaco di Anacapri, che ha valutato con unico atto sia le opere già eseguite senza autorizzazione paesaggistica che quelle ancora da eseguire.

Il quarto motivo è stato rigettato poiché i vincoli paesaggistici sopravvenuti devono essere considerati a fronte della richiesta di autorizzazione di un’opera completamente abusiva; mentre la mancata adozione dei piani paesistici non determina il venir meno dei vincoli preordinati alla tutela di interessi costituzionalmente primari come quelli ambientali, stante anche la possibilità per lo Stato di esercitare poteri sostitutivi.

In ultimo si osserva che le opere di completamento non si risolvono in pura manutenzione ordinaria o straordinaria a fronte della quale i vincoli sarebbero stati inapplicabili, ma consistono in opere apprezzabili, sulle strutture portanti già realizzate dell’intero manufatto.

Ricorre in appello Bracco Gemma, e deduce con unico articolato motivo: error in iudicando, in relazione all’art. 82 del d.p.r. 616/77 come integrato dall’art. 1, comma 5, della legge n. 431/1985 e agli artt. 32 e 35 della legge n. 47/1985. Eccesso di potere per difetto di motivazione e per omesso esame di punti decisivi della controversia, ultrapetizione.

Si censura la sentenza impugnata per non avere considerato la legittimità del comportamento del Comune  che ha valutato la compatibilità ambientale e paesaggistica dell’intervento sottoposto a condono considerando la configurazione definitiva dell’opera quale risultante dal progetto di completamento,inserendo anzi prescrizioni idonee ad assicurarne un migliore inserimento nell’ambiente architettonico della zona.

Si rileva che nella situazione di fatto e di diritto descritta non residuava alcuno spazio per le valutazioni di merito effettuate dal Ministero, con richiamo ad una nota soprintendentizia non depositata in giudizio.

Si lamenta la confusione operata dal Ministero fra il parere di compatibilità urbanistica ai fini del condono e l’autorizzazione paesaggistica, specie ove si censura l’operato del comune quanto alle opere di completamento per la mancata considerazione dei vincoli sopravvenuti,mentre la valutazione comunale ha globalmente tenuto conto della condonabilità dell’opera – rispetto alla quale sono irrilevanti i vincoli sopravvenuti - attese le opere di completamento.  

Sul secondo motivo di ricorso si rileva che il Tar avrebbe da un lato limitato il potere ministeriale ad un mero controllo di legittimità , dall’altro legittimando l’annullamento ministeriale fondato su una propria inammissibile valutazione di merito.

Si insiste sul difetto di istruttoria e di motivazione che affetterebbero il provvedimento statale, notando che l’autorizzazione comunale risulta puntualmente e documentatamene motivata e che la sentenza è viziata da ultrapetizione nella parte in cui non considera il difetto di motivazione rilevato dall’atto ministeriale come limitato alla mancata considerazione del nuovo vincolo ex D.M. 28/3/1985 sulle opere di completamento.

Sulla terza censura si rileva che il Ministro , nell’adottare l’atto di annullamento ha travolto in un’unica decisione caducatoria, erroneamente motivata rispetto ad un vincolo sopravvenuto, le opere eseguite ante 1983, come tali oggetto di condono.

L’annullamento avrebbe dovuto limitarsi al progetto di completamento.

Sulla quarta censura si richiama la specificità della situazione relativa alla completabilità di opera suscettibile di autorizzazione in sanatoria, in quanto eseguita prima dell’imposizione del vincolo.

In ultimo si ripropongono le censure relative al mancato rispetto del termine di sessanta giorni.

Resiste l’amministrazione con articolata memoria difensiva.

DIRITTO

L’appello è in parte inammissibile ed in parte infondato.

In primo luogo va dichiarato inammissibile l’appello nella parte in cui sostanzialmente introduce una censura nuova  non avanzata in primo grado, contestando l’illegittimità dell’atto di annullamento ministeriale, per essere lo stesso fondato su motivi di merito e non di legittimità.

Nel giudizio di appello è consentito all’originario ricorrente, soccombente nel primo grado, un aggiustamento della posizione difensiva svolta innanzi al tribunale amministrativo, ma non la deduzione di nuovi motivi di doglianza, i quali vanno dichiarati inammissibili anche se la difesa dell’amministrazione ha replicato contro di essi mostrando di accettare il contraddittorio ( C. Stato, sez. IV, 03-12-1996, n. 1277 ). Va ricordato inoltre che il divieto di proposizione di motivi nuovi nel processo amministrativo costituisce la logica conseguenza dell’onere di specificità delle censure dedotte in primo grado contro il provvedimento amministrativo, non trova fondamento quindi nell’art. 345 c.p.c. ed è quindi riferibile solo al ricorrente originario, e non anche ai resistenti (autorità emanante e controinteressato), i quali, nell’insorgere contro la decisione ad essi sfavorevole, possono addurre qualunque motivo (salve le preclusioni previste dalla legge ed in particolare dal nuovo art. 345 c.p.c.) che essi ritengono utile per dimostrare al giudice di secondo grado l’infondatezza della domanda del ricorrente accolta dal giudice di primo grado (C. Stato, sez. V, 30-09-1998, n. 1363).

La questione relativa all’illegittimità dell’atto di annullamento ministeriale per sconfinamento nel merito amministrativo (stante la natura di controllo di legittimità ad estrema difesa del vincolo del potere ministeriale  su cui da ultimo si è pronunciato il Consiglio di Stato  Ad. Plen. n. 9/2001) non è stata posta nel giudizio di primo grado ed è quindi inammissibile in appello, anche se proposta nella forma di critica alla sentenza.

La natura sostanziale di novum iudicium dell’appello,  gravame teso a riproporre le condizioni per un nuovo giudizio sul ricorso di primo grado, non esclude infatti, sul piano formale, la possibilità di impostare l’impugnazione in forma di critica alla sentenza impugnata (in conformità alla concezione di appello come revisio prioris instantiae che comporterebbe, a rigore, una limitazione dell’impugnazione al controllo sulla legittimità della sentenza); senza però che a tale forma dell’impugnazione,  di critica alla sentenza – tesa ad evidenziare le aporie logiche del decisum e la possibilità di una diversa argomentazione  nella definizione del caso controverso - sganciata dalla testuale riproposizione dei motivi del ricorso di primo grado,  si connetta la possibilità di introduzione surrettizia di motivi nuovi non tempestivamente dedotti in primo grado avverso l’atto impugnato , con sostanziale elusione e violazione del termine decadenziale di impugnazione.

Nel merito dell’appello va poi rilevato che secondo la giurisprudenza costante del Consiglio di Stato il parere reso dall’autorità competente alla gestione del vincolo non si differenzia dall’autorizzazione o dal nulla osta paesaggistico ai fini della soggezione al potere statale di annullamento.

In tal senso si è pronunciata la Sezione con la recente sentenza  secondo cui il parere richiesto ex art. 32 l. 28 febbraio 1985 n. 47, ai fini della sanatoria di interventi su area paesaggisticamente vincolata non si differenzia, ontologicamente e funzionalmente, dall’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 l. 29 giugno 1939 n. 1497, ai fini della soggezione al potere ministeriale di annullamento(C. Stato, sez. VI, 19-06-2001, n. 3233).

Con un precedente decisum la Sezione aveva concluso in senso analogo rilevando che l’art. 1 l. 13 marzo 1988 n. 68, nel prescrivere che il parere richiesto per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, per opere eseguite in zone con vincolo paesaggistico (nella specie, costruzione di albergo in località Fuenti della costiera amalfitana), è reso dall’autorità preposta alla tutela del vincolo ai sensi dell’art. 82 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, come modificato dall’art. 1 l. 8 agosto 1985 n. 431, non si limita ad individuare il soggetto chiamato ad esprimere il parere ma comprende anche la restante disciplina, ivi compreso il potere di annullamento del ministro dei pareri favorevoli resi dalle regioni o dagli enti subdelegati. (C. Stato, sez. VI, 28-01-1998, n. 114).

Se quindi ontologicamente parere e nulla osta non possono distinguersi ai fini della soggezione al potere ministeriale di controllo, deve concludersi che non vi può essere alcun problema di illegittimità riconducibile solo alla formale circostanza di aver unificato in un unico procedimento, concluso da un unico atto, il parere di compatibilità ambientale reso sull’istanza di condono presentata illo tempore dalla sig.ra Pratis ed il nulla osta paesaggistico sull’istanza di autorizzazione al completamento del manufatto abusivo presentata dal prof. Cotrufo ( avente causa dalla Pratis e dante causa dell’odierna appellante ). 

Nella specie il Comune ha rilasciato con la determinazione n. 36 del 1993 un’autorizzazione a sanatoria tenuto conto altresì delle opere di completamento, valutando complessivamente la fattispecie, e ritenendo le opere compatibili con l’ambiente ed il paesaggio .

E’ stato quindi il Comune ad unificare procedimenti che avrebbero dovuto essere trattati distintamente, come rilevato, formalmente, dall’atto di annullamento impugnato.

Non sussiste poi in alcun modo la confusione lamentata nell’atto del Ministero che anzi  che , per le opere di completamento, ha specificamente rilevato che il Comune avrebbe dovuto tener conto dei vincoli sopravvenuti sull’area, annullando poi l’intero provvedimento per difetto di motivazione e violazione di legge  attesa la nota soprintendentizia 11/5/1993, richiamata nell’atto impugnato ( non tempestivamente impugnata per sconfinamento nel merito amministrativo con ricorso di primo grado) e la violazione dei principi del giusto procedimento determinata dalla commistione di procedimenti diversi.

Quanto al mancato deposito della nota in giudizio esso è irrilevante poiché l’atto preparatorio è testualmente citato venendo a far parte integrante della motivazione senza un vero e proprio uso della  tecnica di rinvio per relationem alla motivazione contenuta in atto diverso; va poi considerato che l’obbligo di mettere a disposizione il provvedimento o l’atto cui si fa riferimento non è fine a se stesso ma è funzionale alla conoscenza o conoscibilità della motivazione sicché quando l’atto al quale si fa riferimento viene citato per esteso nel provvedimento impugnato non può dirsi rilevante o viziante la sua mancata ostensione documentale.

In ultimo va considerato che secondo il costante e pacifico orientamento della giustizia amministrativa il provvedimento autorizzatorio regionale (o sub- regionale) si configura quale atto applicativo e cioè di gestione del vincolo e non di modifica di esso: la sua funzione è di controllare e verificare la compatibilità dell’opera che si propone per l’autorizzazione con le esigenze di conservazione estetico culturale oggetto del vincolo, che ha assunto le caratteristiche ambientali come valori specifici della zona: con la conseguenza che, non potendo l’autorizzazione derogare all’accertamento contenuto nel provvedimento di vincolo, una valutazione di compatibilità che si traduca in un’obiettiva deroga concreta un’autorizzazione illegittima.

Proprio in considerazione di ciò si è ritenuto che l’esercizio del potere ministeriale di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, pur limitandosi alla sola verifica di legittimità del nulla osta rilasciato dalla regione, deve essere adeguatamente motivato sotto il profilo dell’effettiva incidenza dell’opera assentita sui valori paesaggistici ( C. Stato, sez. VI, 22-02-1995, n. 207).

Il giudizio dell’organo statale conducente all’annullamento di un nulla osta per deroga al vincolo si colloca al confine con il controllo avente ad oggetto il riesame di merito della fattispecie, differenziandosene solo perché l’autorità statale, valutando l’atto comunale come obiettivamente derogatorio rispetto al vincolo, assume l’abnormità del contenuto dell’autorizzazione e la radicale incompatibilità delle prescrizioni autorizzatorie con la stessa ratio impositiva del vincolo.

Nel caso in esame l’annullamento dell’autorizzazione sindacale è stato pronunciato , tra l’altro, in base al rilievo che l’intervento – in area dichiarata di notevole interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497/1939 sin dal D.M. 20/3/1951 -  “ha comportato la realizzazione di un manufatto architettonico che ha alterato negativamente lo stato dei luoghi” e che “il progetto in esame prevede opere da realizzarsi ex novo definite di completamento che per tipologia risultano essere non consone all’ambiente e , pertanto, alterative dello stato dei luoghi”. Si è anche censurata, da parte del Direttore Generale che ha firmato l’atto per il Ministro, la carenza di motivazione dell’atto comunale.

In sostanza – al di là delle formule linguistiche utilizzate - il provvedimento ha espresso una  valutazione negativa sulle modalità attraverso le quali l’autorità competente alla gestione del vincolo ha valutato la compatibilità della tipologia delle opere realizzate e da realizzare con le caratteristiche ambientali della zona, ritenendo il nulla osta comunale viziato per difetto di motivazione e risolventesi in obiettiva deroga del vincolo.

In assenza di tempestiva impugnazione dell’atto ministeriale per violazione di legge in relazione allo sconfinamento del controllo statale nel riesame del merito della valutazione di compatibilità operata dall’autorità regionale o subregionale, le motivazioni suddette devono ritenersi legittime e sufficienti a reggere l’atto impugnato .

Quanto poi alla circostanza secondo la quale l’atto comunale sarebbe stato compiutamente motivato mentre l’atto statale sarebbe immotivato occorre considerare – come rilevato anche dal giudice di primo grado - che lo stesso atto comunale menziona la circostanza relativa alla collocazione del fabbricato in zona extraurbana asserendo poi che “l’immobile risulta ben inserito nell’ambiente e le caratteristiche architettoniche si presentano compatibili ed in sintonia con quelle tipiche della zona. L’intervento non ha comportato intercettazioni di particolari visuali o panoramiche” e con ciò da una parte ritenendo apoditticamente la possibilità di “buon inserimento” del manufatto edilizio  in “zona non urbanizzata”, d’altra parte limitando il suo controllo alla tutela di visuali e panorami ( in distonia con le più recenti ed evolute concezioni della tutela paesaggistica).

Non appare esatto inoltre ritenere viziata per ultrapetizione la sentenza di primo grado  che avrebbe considerato il difetto di motivazione dell’atto ministeriale non limitato alla mancata considerazione dell’incidenza del nuovo vincolo ex D.M. 28/3/1985 sulle opere di completamento.

Infatti, prescindendo dal rilievo per cui detta censura di per sé non sarebbe decisiva a fronte della motivazione autosufficiente dell’annullamento ministeriale basata sulla natura derogatoria del nulla osta rispetto al vincolo ed alla riferibilità del difetto motivazionale dell’atto comunale anche alla natura derogatoria di tale atto, deve rilevarsi che l’atto ministeriale riferisce la carenza di motivazione all’unicità della valutazione di istanze che avrebbero richiesto – anche volendo ammettere la loro trattazione unitaria – l’esame specifico dei distinti interessi pubblici distinti coinvolti nei diversi procedimenti, ciò con riguardo non solo alle opere di completamento ma anche all’istanza di condono delle opere già realizzate.

Non può quindi ritenersi viziata da ultrapetizione la sentenza che non considera limitata la deduzione del vizio di motivazione alle opere di completamento in relazione ad un atto che non contiene espressamente tale limitazione.

Quanto poi alla doglianza - contenuta nel quarto motivo del ricorso di primo grado – per cui si sarebbe dovuta considerare l’irrilevanza dei vincoli sopravvenuti sulle opere di completamento da eseguirsi dopo l’imposizione del vincolo , ma per la fruizione di un manufatto costruito prima dell’imposizione del vincolo, ne va rilevata l’infondatezza.

Le opere di completamento sono da effettuarsi comunque in data successiva rispetto a quella di imposizione del vincolo e la loro accessorietà rispetto ad opere realizzate abusivamente in precedenza, oggetto di istanza di condono, non è sufficiente ad escludere la rilevanza del vincolo.

La condonabilità dell’opera al rustico includerebbe anche il potere di completarla per la fruizione ( art. 35 ), ma non nei casi di cui all’art. 33, ossia nei casi di esistenza di vincoli preesistenti l’esecuzione dell’opera di completamento e comprovanti l’inedificabilità dell’area.  

Inoltre va ricordata in via generale la giurisprudenza del Consiglio in merito ai parametri valutativi per l’espressione del parere di cui all’art. 32 della legge n. 47/1985 : di recente la Sezione ha ritenuto che in sede di esame delle domande di condono edilizio si deve tener conto di tutti i vincoli esistenti sull’area, siano essi originari o sopravvenuti: pertanto, ha rilevanza il vincolo paesistico sopravvenuto rispetto all’epoca dell’abuso edilizio e anteriore alla data di presentazione della domanda di condono edilizio (C. Stato, sez. VI, 20-10-1999, n. 1509) e tale indirizzo è stato confermato dalla successiva sentenza secondo la quale l’art. 32 l. n. 47 del 1985, laddove impone una congrua valutazione da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in merito alla compatibilità del mantenimento dell’opus con le ragioni poste a fondamento del regime vincolistico, si applica anche in caso di vincolo sopravvenuto rispetto all’esecuzione ma vigente al momento della domanda ( C. Stato, sez. VI, 22-01-2001, n. 181).

La domanda di condono nella specie è stata presentata il 24/12/1986   (prot. n. 11200) mentre i vincoli sopravvenuti sarebbero quelli del D.M. 28/3/1985 ed art. 1 quinquies della legge n. 431/1985.

In ultimo va esaminato il motivo di appello che ripropone il primo motivo del ricorso di primo grado relativo ai termini per l’adozione dell’atto di annullamento.

E’ ius receptum nella giurisprudenza del Consiglio che il provvedimento con cui il ministero dei beni culturali ed ambientali può annullare, ai sensi dell’art. 82, 9º comma, d.p.r. n. 616 del 1977, come modificato dalla l. 8 agosto 1985 n. 431, l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 7 l. 29 giugno 1939 n. 1497, costituisce atto non recettizio e pertanto la sua efficacia non è subordinata alla successiva notifica all’interessato; ne consegue che il termine perentorio di sessanta giorni entro cui il potere ministeriale può esercitarsi, si riferisce soltanto all’adozione del provvedimento, e non anche alla successiva fase di comunicazione o notificazione, trattandosi questi ultimi di incombenti del tutto esterni rispetto al perfezionamento dell’iter procedimentale relativo al controllo ministeriale. (ex plurimis C. Stato, sez. VI, 27-12-2000, n. 6873; C. Stato, sez. VI, 28-12-2000, n. 7044; C. Stato, sez. VI, 28-01-2000, n. 421; C. Stato, sez. II, 04-06-1997, n. 1249/97 C. Stato, sez. II, 10-09-1997, n. 468/97; C. Stato  VI 17- 04-1997 n. 609 ;C. Stato, sez. VI, 19-07-1996, n. 968 ; C. Stato, sez. VI, 30-12-1996, n. 1825).

Quanto poi alla decorrenza del  termine perentorio di sessanta giorni per l’adozione del provvedimento ministeriale di annullamento di nulla osta paesistico si è ritenuto che esso  inizia a decorrere solo da quando la documentazione perviene all’organo competente a decidere, che è il ministro, e non gli organi periferici dell’amministrazione dei beni culturali e ambientali; ai fini della decorrenza del dies a quo, pertanto, non rileva l’arrivo degli atti alla soprintendenza, occorrendo invece che gli atti pervengano al ministero, inteso come amministrazione centrale (C. Stato, sez. VI, 28-12-2000, n. 7044; C. Stato, sez. VI, 10-08-1999, n. 1025 ). In ogni caso, anche a voler ritenere rilevante il momento di ricezione completa degli atti da parte della locale Soprintendenza, esso è avvenuto in data 20/4/1993 ( prot. n. 012469) mentre il d.m. impugnato è stato adottato in data 18/6/1993 ( ossia nel pieno rispetto del termine di legge ).

Ne consegue il rigetto dell’appello.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio. 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, l’11-3-2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Salvatore GIACCHETTI                         Presidente

Alessandro PAJNO                                               Consigliere

Pietro FALCONE                                         Consigliere

Giuseppe ROMEO                                             Consigliere

Giancarlo MONTEDORO                                 Consigliere Est.