Cos'e' un rifiuto....
di Luca RAMACCI
Pubblicato nella ribrica Ecolex in La Nuova Ecologia settembre 2008
di Luca RAMACCI
Pubblicato nella ribrica Ecolex in La Nuova Ecologia settembre 2008
Siamo proprio uno strano paese. Sommersi dalla spazzatura, additati come esempio negativo dall’Unione Europea, ancora discutiamo di cosa significhi, giuridicamente parlando, il termine “rifiuto”.
Naturalmente non si tratta di una questione di principio ma, come sempre, di soldi.
La celeberrima fantasia italica è stata infatti efficacemente sfruttata dal nostro legislatore per togliere quante più sostanze possibili dal novero dei rifiuti, con grande soddisfazione di quelle industrie che si trovavano, così, a gestire senza alcun problema materiali anche pericolosi che, fino al giorno prima, facevano parte a tutti gli effetti della grande famiglia della mondezza.
L’infaticabile legislatore si è comunque ridimensionato grazie alle norme correttive del “testo unico ambientale”, pasticciate, ambigue ma ugualmente efficaci. E per ora se ne sta buono.
Non mancano però le libere interpretazioni della nozione di rifiuto, nonostante le ripetute indicazioni dell’Unione Europea.
Ad ogni occasione utile, praticamente ad ogni condanna dell’Italia, ci viene infatti ricordato, con diversi toni e sfumature, come sia tutto sommato ben chiaro, in ambito comunitario, cosa debba considerarsi rifiuto.
Si aggiunge, a questo coro, la voce potente della Corte di Cassazione che puntualizza e chiarisce ciò che nel resto dell’Europa sembra chiaro a tutti.
In primo luogo, che l’individuazione del rifiuto si deve basare su criteri oggettivi. In altre parole, non è il produttore che decide se un materiale è rifiuto oppure no.
C’è però sempre qualcuno che, prendendo una frase qui e un concetto là, tenta di scardinare questi principi.
Le tecniche sono sempre le stesse, dalle più raffinate, condite di sottigliezze giuridiche, alle più rozze, che suonano, in pratica, così: “E’ vero, dalla mia azienda esce questa vera schifezza ma non la butto via, la cedo ad altri e quindi non è un rifiuto”.
E qualcuno ci crede pure!
Luca RAMACCI
Naturalmente non si tratta di una questione di principio ma, come sempre, di soldi.
La celeberrima fantasia italica è stata infatti efficacemente sfruttata dal nostro legislatore per togliere quante più sostanze possibili dal novero dei rifiuti, con grande soddisfazione di quelle industrie che si trovavano, così, a gestire senza alcun problema materiali anche pericolosi che, fino al giorno prima, facevano parte a tutti gli effetti della grande famiglia della mondezza.
L’infaticabile legislatore si è comunque ridimensionato grazie alle norme correttive del “testo unico ambientale”, pasticciate, ambigue ma ugualmente efficaci. E per ora se ne sta buono.
Non mancano però le libere interpretazioni della nozione di rifiuto, nonostante le ripetute indicazioni dell’Unione Europea.
Ad ogni occasione utile, praticamente ad ogni condanna dell’Italia, ci viene infatti ricordato, con diversi toni e sfumature, come sia tutto sommato ben chiaro, in ambito comunitario, cosa debba considerarsi rifiuto.
Si aggiunge, a questo coro, la voce potente della Corte di Cassazione che puntualizza e chiarisce ciò che nel resto dell’Europa sembra chiaro a tutti.
In primo luogo, che l’individuazione del rifiuto si deve basare su criteri oggettivi. In altre parole, non è il produttore che decide se un materiale è rifiuto oppure no.
C’è però sempre qualcuno che, prendendo una frase qui e un concetto là, tenta di scardinare questi principi.
Le tecniche sono sempre le stesse, dalle più raffinate, condite di sottigliezze giuridiche, alle più rozze, che suonano, in pratica, così: “E’ vero, dalla mia azienda esce questa vera schifezza ma non la butto via, la cedo ad altri e quindi non è un rifiuto”.
E qualcuno ci crede pure!
Luca RAMACCI