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Come individuare un rifiuto?
Ordinanza della Corte di Giustizia del 19 giugno 2002
Mauro Sanna

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La Corte di Giustizia Europea, con ordinanza 19 giugno 2002 ha dichiarato che il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 911156/CEE.
Tale conclusione è basata, come è logico, sulla esistenza di alcune condizioni pregiudiziali, riportate nei diversi punti dell'Ordinanza. Alcune di queste, rilevabili dagli atti portati all'attenzione della Corte, sono stati dalla Stessa esaminati, altre condizioni, poste anch'esse come presupposto indispensabile, non rilevabili dagli atti, sono state demandat dalla Corte al giudice dal quale era stata sottoposta la controversia.
Condizioni pregiudiziali poste dalla Corte di Giustizia
- La normativa italiana comprende il coke di petrolio tra i combustibili.
La normativa nazionale prevede il decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, modificato dalla legge 6 maggio 2002, n. 82, recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, recante disposizioni urgenti per l'individuazione della disciplina relativa all'utilizzazione del coke da petrolio (pet-coke) negli impianti di combustione (GURI 7 maggio 2002, n. 105). In tale occasione, è stato precisato che il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo era escluso dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 22/97. L'art. 2, secondo comma, del detto decreto legge, citato al punto precedente della presente ordinanza. Tale normativa è stata poi completata come segue:
"[L]'uso del coke da petrolio è consentito nel luogo di produzione anche per procèssi di combustione mirati a produrre energia elettrica o termica con finalità non funzionali ai processi propri della raffineria, purché le emissioni rientrino nei limiti stabiliti dalle disposizioni in materia" (punto 16).
- Il coke di petrolio per il processo da cui deriva non può essere qualificato come un residuo di produzione di cui il detentore si disfa ovvero ha deciso o ha l'obbligo di disfarsi.
Infatti, la produzione di coke appare allora come il risultato di una scelta tecnica (il coke da petrolio non sarebbe necessariamente prodotto nelle operazioni di raffinazione) in vista del ricorso ad un preciso combustibile, il cui costo di produzione è verosimilmente meno elevato del costo di altri combustibili che potrebbero venire usati per la generazione di emissioni di vapore e di elettricità in misura corrispondente al fabbisogno della raffineria. Anche se, - omissis - il coke da petrolio in questione è il risultato automatico di una tecnica che genera in parallelo altre sostanze petrolifere, il cui ottenimento costituirebbe l'obiettivo prioritario della direzione (della Raffineria n.d.r.), occorre tenere conto che, poiché l'utilizzo dell'insieme della produzione di coke è certo ed effettuato essenzialmente per gli stessi tipi di uso di quelli di tali altre sostanze, il detto coke da petrolio è a sua volta un prodotto petrolifero fabbricato in quanto tale e non un residuo di produzione. - omissis - sembra pacifico in base agli atti trasmessi alla Corte, che il coke da petrolio è integralmente utilizzato in maniera certa come combustibile nel processo di produzione, in quanto le eccedenze di energia elettrica che ne risultano vengono esse stesse integralmente vendute (punto 45).
- Se il coke non è un rifiuto non è rilevante che la combustione sia una modalità concreta di trattamento dei rifiuti.
Infatti, il fatto che il coke da petrolio venga utilizzato come combustibile per la produzione di energia, utilizzo che corrisponde ad una modalità corrente di recupero dei rifiuti, non può essere rilevante, poiché lo scopo di una raffineria è precisamente quello di produrre diversi tipi di combustibile a partire dal petrolio grezzo (punto 46).
- L'impiego del pet-coke è previsto dal documento pubblicato dalla Commissione in attuazione della direttiva sulla prevenzione e riduzione integrata dall'inquinamento, denominato BREF che ne ha stabilito le modalità di produzione, i modi di utilizzo e le caratteristiche che deve possedere.
Trattandosi di coke da petrolio prodotto ed utilizzato in una raffineria di petrolio, occorre tenere conto delle indicazioni provenienti dal documento pubblicato dalla Commissione in attuazione dell'art. 16, n. 2, della direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (GU L 257, pago 26), che riguarda lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e le industrie interessate sulle migliori tecniche disponibili di sfruttamento per raggiungere un livello generale elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso, sulle relative prescrizioni in materia di controllo e sui relativi sviluppi nel campo della raffinazione del petrolio e del gas, documento comunemente designato con il nome di BREF (omissis) (punto 41).
Il coke dà petrolio, composto di carbone solido e di quantità variabili di impurità, che costituisce una delle numerose sostanze derivanti dal processo di raffinazione del petrolio, - Omissis - tenuto conto delle caratteristiche del petrolio grezzo che vi è trattato. Il BREF indica, in particolare, che "il coke da petrolio viene ampiamente utilizzato come combustibile nei cementifici ed in siderurgia. Esso può essere anche utilizzato come combustibile nelle centrali elettriche se il suo contenuto di zolfo è sufficientemente basso. Il coke è utilizzabile anche in altri modi, come materia prima per la fabbricazione di prodotti a base di carbone e di grafite" (punto 42).
- Il BREF prevede la possibilità che il pet-coke sia impiegato in una raffineria come combustibile nelle forme e nei modi in esso previsti.
Tale impiego perciò potrà avvenire impiegando le migliori tecniche disponibili di sfruttamento per raggiungere un livello generale elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso, sulle relative prescrizioni in materia di controllo e sui relativi sviluppi nel campo della raffinazione del petrolio e del gas, documento comunemente designato con il nome di BREF, nonché dell'insieme delle condizioni esistenti nella raffineria interessata, la cui verifica spetta eventualmente al giudice al quale è stata sottoposta la controversia (punto 41).
- Quando l'utilizzo del pet-coke avviene con le modalità previste dal BREF non è necessario che avvenga nel rispetto delle condizioni di precauzione per l'ambiente, previste per i rifiuti, perché le misure previste sono di per se stesse tali da non recare pregiudizio all'ambiente.
Infatti, quando le condizioni di produzione e di utilizzo prevista dal BREF, se risultano presenti, permettono di escludere la definizione di rifiuto, ai sensi dell'articolo 1, lett. a), della direttiva 75/442 (punto 44) e quindi non rilevante la circostanza che il suo impiego debba avvenire in particolari condizioni di precauzione per l'ambiente (indizio confermato nella fattispecie), poiché tali indizi si applicano ai residui di produzione e il coke da petrolio prodotto ed utilizzato alle condizioni precedentemente indicate non corrisponde a tale qualificazione (punto 46).

Pertanto, al fine di riscontrare in concreto l'applicabilità dell'Ordinanza della Corte di Giustizia al pet-coke prodotto ed utilizzato in una raffineria, sarà sufficiente riscontrare se effettivamente in essa siano presenti le condizioni previste dal documento BREF, verificando che:
- il processo di produzione adottato è conforme a quanto previsto dal documento BREF;
- le caratteristiche del pet-coke prodotto sono conformi a quelle previste dal BREF;
- il processo di utilizzazione del pet-coke è conforme a quanto previsto dal BREF;
- le emissioni prodotte dalla combustione del pet-coke sono equivalenti a quelle ottenibili utilizzando il processo di flexicoking con gassificazione.
Infatti la Corte considera non rilevante che "l'impiego di coke di petrolio debba avvenire in particolari condizioni di precauzione per l'ambiente" cioè con quelle condizioni che sono previste per l'incenerimento dei rifiuti, perché tale presupposto viene meno, oltre che sulla base delle altre condizioni verificate dalla stessa Corte, quando la produzione, l'utilizzo del pet-coke e le sue caratteristiche siano quelle previste dal BREF.
Pertanto, se le condizioni stabilite dal BREF non sono attuate non solo viene meno uno dei principali presupposti per non considerare il pet-coke come rifiuto, ma il suo impiego è anche tale da recare pregiudizio all'ambiente, infatti la sua combustione avverrebbe:
- senza l'impiego delle migliori tecnologie disponibili a tutela dell'ambiente, poiché le modalità di produzione e di utilizzo del pet-coke e le sue caratteristiche non sono quelle prescritte;
- senza le particolari condizioni di precauzione per l'ambiente previste per la combustione dei rifiuti, poiché il coke non è formalmente classificato come rifiuto secondo quanto previsto dal BREF.
Sulla base di queste considerazioni, perciò, l'Ordinanza della Corte di Giustizia non è direttamente applicabile ad una Raffineria, ma caso per caso si dovrà verificare se sussistono realmente le specifiche condizioni considerate, dalla stessa Ordinanza, pregiudiziali alla sua applicazione.
E' stato perciò rinviato eventualmente al giudice al quale era stata sottoposta la controversia, la verifica che le condizioni esistenti nella raffineria interessata, fossero conformi a quelle previste dal documento comunemente designato con il nome di BREF in materia di controllo e sui relativi sviluppi nel campo della raffinazione del petrolio e del gas sulle migliori tecniche disponibili di sfruttamento per raggiungere un livello generale elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso.
Se queste verifiche sono indispensabili perchè il pet-coke utilizzato in una raffineria non sia considerato come rifiuto, è evidente che, a maggior ragione l'Ordinanza della Corte non può essere estesa in astratto ad altri residui e ad altri cicli produttivi.
Per procedere a tale estensione, oltre a verificare tutte le altre condizioni indispensabili perché un oggetto o una sostanza non sia da qualificare come rifiuto del quale l'impresa ha intenzione di disfarsi ai sensi dell'articolo 1, lett. a), primo comma della direttiva 74/442, ma che essa intende sfruttare o mettere in commercio a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari, si dovrà sempre verificare in concreto che sussistano effettivamente le condizioni assunte come base nell'Ordinanza della Corte:
- il residuo ottenuto è effettivamente un prodotto che è stato ricercato in quanto tale; non vi sia alcuna operazione di trasformazione preliminare tra la produzione del residuo ed il suo recupero;
- il recupero del residuo non è estraneo al ciclo produttivo in cui è stato prodotto;
- il recupero avviene garantendo un livello di protezione dell'ambiente elevato come quelle previste dalla direttiva sulla prevenzione e riduzione integrata all'inquinamento e quindi dal documento BREF.
Sarà estremamente difficile che tali condizioni si possono verificare per i rifiuti più comuni che si formano in un ciclo produttivo, ad esempio i liquami, i fanghi di depurazione dei liquami, e quelli di risulta del processo produttivo e i residui esausti delle lavorazioni, ecc.
Difficilmente infatti potrà accadere che:
· un determinato processo produttivo sia stato attivato per produrre il liquame, il fango o il residuo e non un determinato prodotto;
· il fango, il liquame o il residuo tal quali siano inseriti o reinseriti nel processo tecnologico in cui si sono generati;
· il fango, il liquame o il residuo possa essere direttamente recuperati senza alcuna trasformazione preliminare;
· l'impiego del fango, del liquame o del residuo possa avvenire in sostituzione di una materia prima senza l'adozione di particolari condizioni di precauzione per l'ambiente e senza pregiudizio per lo stesso;
· il trattamento del fango, del liquame o del residuo non costituisca una modalità corrente e concreta di trattamento del rifiuto.
Ad esempio, sulla base di tali presupposti, certamente un liquame o un fango e residui esausti dalla lavorazione, sottoposti ad un processo di digestione anaerobica per produrre del gas combustibile da utilizzare come fonte energetica nel processo produttivo che li ha originati, saranno comunque da qualificare come rifiuti.
Infatti il fango, il liquame e i residui esausti di lavorazione:
- non sono desiderati ma conseguenza ineluttabile del processo produttivo;
- per produrre energia sono assoggettati ad una operazione di trasformazione preliminare, appunto il processo di digestione;
- la digestione anaerobica a cui sono sottoposti tali materiali è una modalità concreta di trattamento del rifiuto;
- la produzione di un combustibile non ha alcuna connessione con il processo produttivo originario da cui essi derivano.
Fermo restando tali condizioni, si dovrà comunque verificare se il loro impiego nel caso specifico avvenga così da avere nel suo complesso un generale livello elevato di protezione dell'ambiente tale da non determinare un pregiudizio per lo stesso.
Analoga situazione si avrà nel caso in cui in un processo chimico finalizzato a produrre attraverso una reazione chimica un determinato prodotto da commercializzare, si ottengano anche altre sostanze che possono denominarsi, a seconda dei punti di vista, residui, sotto prodotti o scarti, che comunque non sono lo scopo del processo, che per essere commercializzati debbano essere poi assoggettate a processi di purificazioni successive quali cristallizzazione e ricristallizzazione, se trattasi di solidi, o di distillazione e ridistillazione nel caso di un residuo liquido, al fine di ottenere anche in questo caso un prodotto puro cioè una materia prima.
E' evidente quindi, che per le numerose variabili che possono intervenire e per le verifiche che caso per caso dovranno essere svolte in concreto per determinare se si è in presenza o meno di un rifiuto, non potrà mai essere possibile un provvedimento generico e generale, da parte di una qualsiasi Autorità, che preveda a priori che un "residuo", un "sotto prodotto" o uno "scarto" non sia da classificare, a priori e senza pregiudiziali, come rifiuto, considerato che anche la Corte di Giustizia ha vincolato l'applicazione della sua ordinanza a successive e specifiche verifiche della reale situazione di recupero della sostanza da qualificare.