Cass. Sez. III n. 6109 del 7 febbraio 2008 (Ud. 8 gen. 2008)
Pres. Grassi Est. Grillo Ric. Berretti
Urbanistica. Pertinenze (rapporti tra TU e Legge 94-82)

E' evidente il maggior rigore del dpr 380-01 (peraltro di portata generale), rispetto alla legge n.94-82 (di portata settoriale), e nulla induce a ritenere che il legislatore del 2001 abbia inteso estendere la categoria delle pertinenze con riferimento, oltre che ad edifici preesistenti, anche a fondi agricoli o aree. L'unico rilievo incontestabile è che ora, a differenza di prima, possono configurarsi pertinenze urbanistiche esenti da p.d.c., anche quelle relative ad edifici non "residenziali" (ad es. agricoli, commerciali, artigianali, ecc.). Non è mutato, invece, il concetto di "pertinenza urbanistica", con gli altri connotati individuati dalla consolidata giurisprudenza che la contraddistinguono da quella "civilistica".

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica

Dott. GRASSI Aldo - Presidente - del 08/01/2008

Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA

Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - N. 12

Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE

Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere - N. 38046/2007

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

BERRETTI UMBERTO, nato a Pistoia il 7/1/1965;

avverso la sentenza n. 1513 del 4/5-29/6/2007, pronunciata dalla Corte di Appello di Firenze;

Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;

udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Carlo M. Grillo;

udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. Passacantando G., con le quali chiede il rigetto del ricorso;

- udito il difensore, avv. Turco C., che insiste per l'accoglimento dello stesso.

La Corte osserva:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Pistoia, con sentenza 11/10/2005, pronunciata a seguito di rito abbreviato, condannava Berretti Umberto alla pena di gg. 16 di arresto e di Euro 14.000,00 di ammenda, con sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente e concessione di entrambi i benefici di legge; ordinava altresì la demolizione dell'opera abusiva e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. Le contravvenzioni di cui era stato riconosciuto colpevole: a) quella prevista dal D.Lgs. n. 380 del 2001, artt. 10 e 44, per aver realizzato senza permesso di costruire, su terreno vincolato paesaggisticamente, un invaso irriguo (a servizio del vivaio da lui gestito) mediante opere di trasformazione del territorio; b) quella di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 134, art. 142, comma 1, lett. g), art. 146 e art. 181, comma 1, così modificata l'originaria imputazione, per aver realizzato sia il detto invaso, che due impianti di "vasetteria" per attività vivaistica (opere edilizie e di trasformazione del territorio) senza autorizzazione paesaggistica.

- Su impugnazione del predetto la Corte di Appello di Firenze, con la decisione menzionata in premessa, pronunziata in camera di consiglio ex art. 599 c.p.p., in parziale riforma della gravata sentenza, dichiarava estinto per prescrizione il reato di cui al capo b), limitatamente alle opere di vasetteria, e riduceva proporzionalmente la pena.

- L'imputato ricorre per Cassazione, deducendo, con un primo motivo, la violazione - in ordine alla contravvenzione di cui al capo a) della rubrica - dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. e.6). Avrebbe, invero, errato il giudice d'appello nel non riconoscere carattere pertinenziale all'invaso de quo sulla considerazione che la pertinenza urbanistica non può accedere ad un fondo, ma esclusivamente ad una costruzione preesistente. Tale assunto, corretto sotto la vigenza della vecchia normativa (D.L. n. 9 del 1982, art. 7, comma 2, lett. a), non ha più valore alla luce della nuova disciplina introdotta dal citato D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. e.6), da cui chiaramente si evince, invece, la possibilità di considerare "pertinenze" anche interventi che non accedono ad un preesistente edificio.

Con una seconda doglianza il ricorrente deduce mancanza di motivazione in ordine al reato di cui al capo b) della rubrica (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in quanto, pur rilevando la Corte distrettuale "una modificazione delle caratteristiche del luogo soggetto a tutela ambientale, incidente in senso fisico ed estetico sul bene protetto", in concreto non da conto di tale assunto, non specificando le ragioni di detto convincimento.

- All'odierno dibattimento il P.G. e la difesa concludono come sopra riportato, eccependo inoltre il difensore anche la prescrizione dei reati in questione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

- Riguardo alla prima doglianza rileva questa Corte che, contrariamente all'assunto defensionale, anche dopo l'entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001 - che ha individuato una categoria di interventi pertinenziali comunque soggetti a "permesso di costruire", modificando quindi la precedente normativa (D.L. n. 9 del 1982, conv. in L. n. 94 del 1982) l'orientamento giurisprudenziale di legittimità è rimasto immutato sullo specifico punto della impossibilità di ammettere una "pertinenza" in relazione ad un fondo o un'area, oltre che - ovviamente - ad un edificio. Affrontano espressamente l'argomento della disciplina della "pertinenza", nell'avvicendarsi delle menzionate normative, diverse decisioni, tra cui spiccano: Cass. Sez. 3, 9 gennaio 2003, n. 239, Cipolla,- Cass. Sez. 3, 13 settembre 2005, n. 33289, Maggiore, alle quali questo Collegio si riporta.

Deve ricordarsi, invero, che, mentre il d.l. n. 9/1982 (art. 7, comma 2, lett. a), riguardante specificamente l'edilizia residenziale, assoggettava a semplice autorizzazione gratuita, purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti e non sottoposte ai vincoli previsti dalle L. n. 1089 del 1939 e L. n. 1497 del 1939, "le opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti", secondo la normativa del 2001, riguardante la materia edilizia in genere, sono considerati "interventi di nuova costruzione", come tali subordinati a "permesso di costruire" (artt. 3 e 10), "gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale". In altri termini, secondo la nuova legge, riguardante - lo si ripete - tutta la materia edilizia e non solo quella residenziale, non ogni pertinenza è esente da p.d.c., ma esclusivamente quelle di scarsa rilevanza, non solo sotto il profilo quantitativo (con volumetria non superiore al quinto di quella dell'edificio principale), ma anche sotto quello qualitativo (e cioè sempre che le norme tecniche degli strumenti urbanistici non li considerino comunque "interventi di nuova costruzione", tenuto conto della zonizzazione e del loro impatto ambientale e paesaggistico). Potrebbe, infatti, verificarsi l'ipotesi di un intervento pertinenziale contenuto nei limiti volumetrici sopra indicati, ma tuttavia considerato "di nuova costruzione" dalle N.T.A. o dal P.R.G. di un Comune, e pertanto egualmente soggetto a permesso di costruire. È evidente allora il maggior rigore della nuova disposizione (peraltro di portata generale), rispetto a quella precedente (di portata settoriale), e nulla induce a ritenere, come propugnato invece dalla difesa, che il legislatore del 2001 abbia inteso estendere la categoria delle pertinenze con riferimento, oltre che ad edifici preesistenti, anche a fondi agricoli o aree. L'unico rilievo incontestabile è che ora, a differenza di prima, possono configurarsi pertinenze urbanistiche esenti da p.d.c., anche quelle relative ad edifici non "residenziali" (ad es. agricoli, commerciali, artigianali, ecc).

Non è mutato, invece, il concetto di "pertinenza urbanistica", con gli altri connotati - individuati dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte - che la contraddistinguono da quella "civilistica":

deve trattarsi di un'opera preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale; sfornita di un autonomo valore di mercato;

dotata di un volume che non consenta, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede; non deve essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, quindi non può considerarsi tale l'ampliamento di un edificio; la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale); deve accedere ad un edificio preesistente costruito legittimamente, poiché il bene accessorio ripete le sue caratteristiche dall'opera principale a cui è intimamente connesso.

Proprio questi pacifici connotati inducono a ritenere, ad avviso del Collegio, che tuttora non possa prescindersi dal collegamento tra la pertinenza ed un edificio, quantunque non necessariamente "residenziale" e, dunque, che non possa configurarsi una pertinenza di un fondo agricolo o di un'area.

- Quanto alla seconda doglianza, in ordine alla violazione paesaggistica, ribadisce il Collegio i principi già enunciati da questa Corte Suprema (ex multis: Cass., Sez. 3, 27.11.1997, Zauli ed altri; 7.5.1998, Vassallo; 13.1.2000, Mazzocco ed altro; 5.10.2000, Lorenzi; 29.11.2001, Zecca ed altro; 15.4.2002, P.G./Negri;

14.5.2002, Migliore; 4.10.2002, Debertol; 13.9.2005, Maggiore) secondo i quali il reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (attualmente D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181) è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, sinanche in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici.

Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita dunque - in assenza dell'autorizzazione già prevista dalla L. n. 1497 del 1939, art. 7, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla L. n. 431 del 1985, e sono attualmente disciplinate dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146 - ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia ma "di qualunque genere" (ad eccezione degli interventi consistenti: nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; nell'esercizio dell'attività agro silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia).

Il legislatore, imponendo la necessità dell'autorizzazione, ha inteso assicurare una immediata informazione e la preventiva valutazione, da parte della pubblica Amministrazione, dell'impatto sul paesaggio nel caso di interventi (consistenti in opere edilizie ovvero in altre attività antropiche) intrinsecamente capaci di comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, al fine di impedire che la stessa P.A. sia posta di fronte al fatto compiuto. La fattispecie incriminatrice è rivolta a tutelare sia l'ambiente, sia, strumentalmente e mediatamente, l'interesse a che la P.A. preposta al controllo venga messa in condizioni di esercitare efficacemente e tempestivamente detta funzione; la salvaguardia del bene ambientale, in tal modo, viene anticipata mediante la previsione di adempimenti formali finalizzati alla protezione finale del bene sostanziale ed anche a tali adempimenti è apprestata tutela penale. Ne consegue che l'offensività del fatto, in una situazione di astratta idoneità lesiva della condotta inosservante rispetto al bene finale, deve essere anzitutto correlata al rispetto del bene intermedio (o "funzione"). La vicenda in esame è caratterizzata dall'esecuzione di opere oggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere l'ambiente, come hanno rilevato i giudici del merito, per cui sussiste un'effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonché una violazione dell'interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all'esercizio di un efficace e sollecito controllo.

Peraltro tale valutazione, effettuata dalla Corte distrettuale con specifico riferimento alla descrizione dell'opera ed alle fotografie dei luoghi, non è sindacabile dal giudice della legittimità ove sia, come nel caso di specie, motivata adeguatamente e con argomentazioni non manifestamente illogiche.

- Le contravvenzioni, calcolando le intervenute sospensioni del termine, non sono ancora prescritte e lo saranno solo il 20 gennaio 2008.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2008.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2008