Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2665, del 16 maggio 2013
Urbanistica.Cambio di destinazione da agricolo ad agrituristica
La Corte Costituzionale ha affermato che i limiti alla utilizzabilità per fini agrituristici dei fabbricati rurali sono posti dalla legge per regolare in modo razionale l’inserimento nei territori agricoli di attività connesse, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, destinate alla ricezione ed all’ospitalità, mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata (art. 2135 Cod. civ.). La ratio del principio fondamentale posto dalla legge statale e recepito dalla legge regionale «è quella di promuovere l’attività agrituristica, senza tuttavia consentire edificazioni nuove ed estranee allo svolgimento delle attività agricole in senso stretto, allo scopo di garantire il mantenimento della natura peculiare del territorio e preservarlo così dalla proliferazione di fabbricati sorti in vista soltanto dell’esercizio di attività ricettive in immobili non facenti parte, ab origine, dell’azienda agricola». Si vuole in sostanza prevenire, si sottolinea nella sentenza costituzionale, «il sorgere ed il moltiplicarsi di attività puramente turistiche, che finiscano con il prevalere su quelle agricole, in violazione della norma codicistica prima citata e con l’effetto pratico di uno snaturamento del territorio, usufruendo peraltro delle agevolazioni fiscali previste per le vere e proprie attività ricettive connesse al prevalente esercizio dell’impresa agricola». (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 02665/2013REG.PROV.COLL.
N. 08929/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8929 del 2012, proposto da
Ciatto Franca e Rampin Elisa, rappresentate e difese dall’avvocato Maria C. Alessandrini, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via Cesare Federici, 2;
contro
Comune di Ponte San Nicolò, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Domenichelli e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Manzi in Roma, via Confalonieri, 5;
Provincia di Padova, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Patrizia Carbone e Massimo Ozzola, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Germanico, 172;
per la riforma
della sentenza 4 luglio 2012, n. 1104 del Tribunale amministrativo regionale del Veneto, Venezia, Sezione II.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ponte San Nicolò e della Provincia di Padova;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 aprile 2013 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Alessandrini, Mazzeo, per delega di Manzi, e Bianco per delega di Ozzola.
FATTO e DIRITTO
1.– Il Comune di Ponte San Nicolò (PD) aveva rilasciato alla signora Ciotto Franca, in data 21 febbraio 2006, un permesso di costruire avente ad oggetto un fabbricato ad uso agricolo.
Tale permesso era stato poi volturato alla figlia, Rampin Elisa, che, ultimati i lavori il 10 novembre 2009, aveva presentato richiesta per il rilascio del certificato di agibilità.
Nel corso del procedimento per il rilascio del predetto certificato, in esito a due sopralluoghi effettuati il 5 agosto e il 2 settembre 2010, l’ufficio tecnico comunale aveva accertato l’avvenuta realizzazione di un insieme di opere che avevano sostanzialmente modificato la destinazione dell’immobile da agricola a residenziale.
A seguito di tale accertamento la signora Rampin, il 4 novembre 2010, aveva presentato istanza di permesso di costruire in sanatoria per sanare il cambio di destinazione da agricolo ad agrituristica.
Il Comune ha rigettato l’istanza, con provvedimento del 4 marzo 2011, rilevando che: a) l’abuso ha comportato un aumento di superficie non consentito dalla legge della Regione Veneto 5 marzo 1985, n. 24 (Tutela ed edificabilità delle zone agricole); b) gli immobili destinati all’agriturismo devono essere già esistenti alla luce di quanto previsto dalla legge della Regione Veneto 18 aprile 1997, n. 9 (Nuova disciplina per l’esercizio dell’attività agrituristica).
Il Comune ha, inoltre, rigettato la richiesta di rilascio del certificato di agibilità con provvedimento del 31 marzo 2011, n. 3495 e ha ordinato la demolizione dell’opera con provvedimento del 20 aprile 2011, n. 42.
1.1.– La ricorrente ha impugnato, con ricorso n. 1052 del 2011, tali provvedimenti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto e con ricorso per motivi aggiunti ha impugnato, altresì, l’atto del 16 giugno 2011, n. 89471, con il quale la Provincia di Padova ha rigettato la richiesta di iscrizione all’albo degli operatori agrituristici.
1.2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 4 luglio 2012, n. 1104, ha rigettato il ricorso principale e ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento alla domanda proposta con il ricorso per motivi aggiunti.
2.– I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello per i motivi indicati nei successivi punti.
2.1.– Si è costituito in giudizio il Comune di Ponte San Nicolò, rilevando, in via preliminare, l’irricevibilità dell’appello per tardività della notifica. In particolare, si è dedotto che l’appello è stato notificato nel termine di sessanta giorni presso la sede del Comune e non presso il domicilio eletto, ove la notifica è poi avvenuta oltre tale termine. Nel merito, la pretesa azionata sarebbe infondata.
2.2.– Si è costituita in giudizio la Provincia di Padova, chiedendo il rigetto dell’appello.
3.– L’appello, anche indipendentemente dalla questione preliminare posta dal Comune, non è fondato.
4.– Con riferimento al diniego di iscrizione nell’elenco degli operatori agrituristici, si è ritenuta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario. In particolare, si è affermato che, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, l’elenco degli operatori agrituristici non costituirebbe un albo professionale, ragion per cui la giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo.
Il motivo, avuto riguardo alla specificità della questione posta, non è fondato.
Gli articoli 4 e 9 della legge della Regione Veneto 18 aprile 1997, n. 9 (Nuova disciplina per l’esercizio dell’attività agrituristica), abrogati dalla legge regionale 10 agosto 2012, n. 28 (Disciplina dell'agriturismo, ittiturismo e pesca turismo), ma applicabili ratione temporis, prevedono che nell’elenco suddetto possono essere iscritti i soggetti che svolgono attività agricola da almeno un biennio mediante l’utilizzazione della propria azienda e che risultino iscritti ad un corso formativo per operatori agrituristici di almeno cento ore organizzato su base provinciale o interprovinciale dalle associazioni agrituristiche riconosciute a livello nazionale o dagli enti formativi riconosciuti a livello regionale o che siano in possesso del titolo specifico di specializzazione conseguito negli istituti professionale.
Nella specie l’Amministrazione provinciale ha motivato il rigetto sul presupposto che manchi il requisito oggettivo costituito dall’esistenza di un fabbricato non abusivo ove realizzare la relativa attività. La Provincia non ha, pertanto, avendo riguardo alla specificità della controversia in esame, esercitato un potere discrezionale in ordine ai requisiti necessari ai fini dell’inserimento nell’elenco. Il primo giudice ha, pertanto, correttamente ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario.
5.– Con riferimento al rigetto della domanda di sanatoria, con un primo motivo si assume la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 sia perché nel preavviso di rigetto non è stata dedotta la violazione della legge della Regione Veneto 5 marzo 1985, n. 24 (Tutela ed edificabilità delle zone agricole), indicata nel provvedimento finale, sia perché i motivi ostativi all’accoglimento sono stati comunicati esclusivamente alla signora Rampin e al suo tecnico di fiducia Rebeccatto e non alla signora Ciatto.
Il motivo non è fondato.
In relazione al primo aspetto, il rigetto della domanda è fondato su due distinte ragioni. Ne consegue che, come correttamente affermato dal primo giudice, è sufficiente che il contraddittorio endoprocedimentale abbia avuto ad oggetto una sola di esse perché l’atto finale risulti ugualmente legittimo.
In relazione al secondo aspetto, è sufficiente rilevare che la questione sopra indicata è stata posta per la prima volta in sede di appello e, in quanto tale, non può essere esaminata (cfr. ora art. 104 cod. proc. amm. e, prima, art. 345 Cod. proc. civ.). In ogni caso, il contraddittorio è stato correttamente assicurato nei soli confronti della titolare del permesso di costruire e autrice della domanda di sanatoria.
5.1.– Con un secondo motivo si assume che, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, esisteva un fabbricato ad uso agricolo ed in relazione ad esso sono stati effettuati interventi di ristrutturazione edilizia ammessi dalla normativa in materia di agriturismo. Inoltre, si sottolinea come non possa ritenersi sufficiente la mancanza del certificato di agibilità al fine di considerare non esistente il fabbricato stesso.
Il motivo non è fondato.
La citata legge della Regione Veneto n. 9 del 1997 prevede che: «1. Possono essere utilizzati per attività agrituristiche i locali siti nell'aggregato abitativo, definito ai sensi dell'articolo 2 della legge regionale 5 marzo 1985, n. 24, nonché gli edifici o parti di essi esistenti nel fondo e non più necessari per la conduzione dello stesso. // 2. Possono altresì essere utilizzati per attività agrituristiche gli edifici destinati a propria abitazione dall'imprenditore agricolo purché svolga la propria attività in un fondo privo di fabbricati, sito nel medesimo comune o in comune limitrofo. // 3. L'utilizzazione agrituristica non comporta cambio di destinazione d'uso degli edifici e dei fondi rustici censiti come rurali. // 4. La sistemazione degli immobili da destinare all'uso agrituristico può avvenire attraverso interventi di ristrutturazione edilizia o di restauro» (art. 6).
La legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo) contempla un’analoga norma disponendo che «possono essere utilizzati per attività agrituristiche gli edifici o parte di essi già esistenti nel fondo».
La disposizione riportata è chiara nel richiedere, quale presupposto indeclinabile, che l’edificio da destinare ad attività agrituristica sia già esistente.
In punto di fatto, nel caso in esame, dalla documentazione depositata in giudizio, non risulta, come correttamente affermato dal primo giudice, che tra il permesso di costruire del 21 febbraio 2006 e i sopralluoghi dell’agosto e settembre 2010 sia stato davvero realizzato un fabbricato ad uso agricolo e che successivamente su di esso sono stati effettuati interventi di ristrutturazione per cambiare la destinazione da agricola ad agrituristica. Dal verbale di accertamento dell’illecito risulta piuttosto che sono state realizzate una serie di opere, analiticamente descritte, compatibili con la destinazione residenziale del fabbricato. Ma ciò che rileva in questa sede non è tanto indagare in ordine alla natura delle opere realizzate in difformità dal progetto e dalla destinazione autorizzata, quanto il fatto che l’appellante non ha dimostrato, pur venendo in rilievo elementi fattuali nella sua disponibilità, che il fabbricato fosse stato già completato e destinato ad uso agricolo. In altri termini, dalla documentazione prodotta agli atti non risulta alcun elemento dal quale possa desumersi con certezza che “esisteva” un tale fabbricato e che su di esso sono state realizzate opere per cambiare la destinazione in agrituristica.
In questa prospettiva, è bene aggiungere, la questione relativa al certificato di abitabilità non assume rilievo in quanto, anche a prescindere da essa, non è stata dimostrata l’esistenza di un manufatto ad uso agricolo.
5.2.– Con un terzo motivo si assume che, anche qualora si volesse ritenere esistente una nuova costruzione, la disposizione regionale, sopra riportata, sarebbe contraria:
a) all’art. 3 Cost., perché l’esclusione dal campo di applicazione della norma degli edifici di nuova costruzione sarebbe priva di adeguata giustificazione e imporrebbe una non semplice distinzione tra interventi di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione;
a.1.) all’art. 3 Cost., in quanto creerebbe una ingiustificata «discriminazione tra i soggetti non proprietari di un edificio da recuperare e coloro che, invece, di tali fabbricati sono titolari, consentendo solo a questi ultimi di esercitare l’attività di agriturismo»;
b) all’art. 41 Cost., comportando una illegittima compromissione della libertà di iniziativa economica;
c) all’art. 42 Cost., in quanto, prevedendo una ingiustificata limitazione del diritto di proprietà, «si limiterebbero gli intereventi di trasformazione dei fondi agricoli, senza tener conto delle concrete caratteristiche degli stessi e, quindi, delle diversità che possono presentarsi nella realtà».
Il motivo non è fondato.
La Corte costituzionale, con sentenza 18 aprile 2012, n. 96, ha già avuto modo di esaminare la questione posta con l’atto di appello.
Con riferimento all’art. 3 della Costituzione, la Corte ha affermato che i limiti alla utilizzabilità per fini agrituristici dei fabbricati rurali sono posti dalla legge per regolare in modo razionale l’inserimento nei territori agricoli di attività connesse, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, destinate alla ricezione ed all’ospitalità, mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata (art. 2135 Cod. civ.). La ratio del principio fondamentale posto dalla legge statale e recepito dalla legge regionale «è quella di promuovere l’attività agrituristica, senza tuttavia consentire edificazioni nuove ed estranee allo svolgimento delle attività agricole in senso stretto, allo scopo di garantire il mantenimento della natura peculiare del territorio e preservarlo così dalla proliferazione di fabbricati sorti in vista soltanto dell’esercizio di attività ricettive in immobili non facenti parte, ab origine, dell’azienda agricola». Si vuole in sostanza prevenire, si sottolinea nella sentenza costituzionale, «il sorgere ed il moltiplicarsi di attività puramente turistiche, che finiscano con il prevalere su quelle agricole, in violazione della norma codicistica prima citata e con l’effetto pratico di uno snaturamento del territorio, usufruendo peraltro delle agevolazioni fiscali previste per le vere e proprie attività ricettive connesse al prevalente esercizio dell’impresa agricola».
L’indicata ragione giustificativa della norma consente anche di ritenere che la differenza di trattamento tra i soggetti proprietari o non proprietari di un edificio è giustificata.
Con riferimento all’art. 41 Cost., la Corte ha affermato che gli stessi motivi che portano ad escludere la manifesta irragionevolezza della disposizione censurata valgono a ritenerla immune da tale ulteriore vizio di legittimità costituzionale. Infatti, «l’iniziativa economica privata in campo agrituristico è libera, in quanto a nessuno è inibito l’accesso a questo settore di attività imprenditoriale, purché segua determinate modalità, uguali per tutti, ritenute dal legislatore nazionale e da quello regionale indispensabili a mantenere le attività agrituristiche nel proprio alveo, senza sovrapposizioni prevaricanti sull’attività agricola o aggiramenti della prescrizione fondamentale contenuta nell’art. 2135 Cod. civ». Non vi è quindi «un limite all’avvio di nuove iniziative, né alla concorrenza tra gli imprenditori del settore, ma solo una restrizione nell’uso di beni immobili, allo scopo di preservare razionalmente il territorio e di valorizzarne le caratteristiche specifiche, in coerenza con le finalità perseguite da tutte le leggi in materia di urbanistica».
Con riferimento, infatti, all’art. 42 Cost. (parametro non esaminato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza), deve qui ritenersi che la normativa (statale e) regionale, richiedendo il requisito dell’esistenza del fabbricato, valorizza, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, la situazione reale del bene introducendo un regime giuridico differenziato in ragione proprio della natura del fondo. Sicché la questione appare manifestamente infondata.
5.2.– In definitiva, per le ragioni sin qui esposte, la domanda di accertamento di conformità non poteva essere accolta, in quanto difettavano i presupposti per il richiesto cambio di destinazione in attività agrituristica.
Il rigetto di questo motivo rende non necessario esaminare il motivo con cui si contesta il diniego anche nella parte in cui ha fatto riferimento all’art. 6 della legge della Regione Veneto n. 24 del 1985.
6.– In relazione al rigetto della domanda volta ad ottenere il certificato di agibilità, si assume, con un primo motivo, che avrebbe errato il primo giudice nel ritenere che, in presenze di opere abusive, non poteva formarsi il silenzio assenso. Dopo la formazione di tale silenzio l’amministrazione perderebbe il potere di provvedere sull’istanza. Si contesta, inoltre, che, con un ragionamento viziato, si assume che la mancanza di agibilità impedirebbe di considerare esistente il manufatto e che al contempo la mancanza di regolarità edilizia impedirebbe il rilascio del certificato di agibilità.
Il motivo non è fondato.
L’art. 25, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) prevede che la domanda di rilascio del certificato di agibilità deve essere corredata, tra l’altro, dalla dichiarazione resa dallo stesso richiedente circa la conformità dell’opera rispetto al progetto approvato. Lo stesso articolo, ai commi 3 e 4, prevede che, decorso il termine di trenta giorni, si forma il silenzio assenso.
La disposizione riportata, in linea con la sua formulazione letterale e con la ratio che sottende la formazione dei titoli abilitativi taciti, presuppone che il silenzio assenso si forma esclusivamente nel caso in cui la richiesta del provvedimento sia corredata dalla documentazione specificamente indicata.
Nella specie, il Comune, con l’atto impugnato, ha ritenuto, che la domanda non poteva essere accolta in quanto mancava la documentazione relativa alla non abusività dell’opera. In questi casi, pertanto, non può ritenersi che si sia formato il silenzio assenso.
Nemmeno appare ravvisabile nel comportamento dell’Amministrazione la contraddittorietà lamentata: l’accertata mancanza di un edificio esistente non si è fondata, come sottolineato, soltanto sulla mancanza del certificato di agibilità; l’abusività dell’opera impedisce per legge la formazione del silenzio assenso.
6.1.– Con un secondo motivo si assume che, anche qualora si ritenesse non formato il silenzio assenso, il provvedimento di diniego sarebbe illegittimo sia perché non sarebbe stato garantito il rispetto del principio del giusto procedimento per la genericità dei motivi indicati nel preavviso di rigetto sia perché non sarebbero state indicate le ragioni per le quali l’abusività delle opere inciderebbe sulla salubrità dei manufatti.
Il motivo non è fondato.
In relazione al primo aspetto, è sufficiente rilevare che il preavviso di rigetto del 1° marzo 2011, n. 3267, nel fare riferimento all’abusività del manufatto, rende chiare le ragioni ostative e, pertanto, assicura, in maniera adeguata, il contraddittorio procedimentale.
In relazione al secondo aspetto, deve ritenersi che presupposto per il rilascio del certificato di agibilità è che si sia in presenza di fabbricati non abusivi. Infatti, sul piano normativo: l’art. 24, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che «il soggetto titolare del permesso di costruire» è tenuto «a chiedere il certificato di agibilità»;l’art. 35, comma 20, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) prevede, con norma la cui statuizione vale anche nel caso in esame, che «a seguito della concessione [... ] in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di […] agibilità». Sul piano della logica giuridica «è d'altronde la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualunque destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata» (Cons. Stato, V, 30 aprile 2009 n. 2760).
7.– In relazione all’ordine di demolizione, gli appellanti lamentano, con un primo motivo, che il Sig. Rampin Grazioso, coniuge della signora Ciatto Franco, «non abbia mai ricevuto alcun provvedimento amministrativo repressivo in materia di edilizia del Comune».
Il motivo, a prescindere dalla sua valenza formale non invalidante del vizio, è inammissibile, essendo stato proposto per la prima volta in appello.
7.1.– Con un secondo motivo, si assume che l’ordine di demolizione sarebbe illegittimo in quanto l’amministrazione avrebbe dovuto applicare l’art. 93 della legge della Regione Veneto 27 giugno 1985, n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso del territorio) , che disciplina le sanzioni per gli interventi in parziale difformità o per le ristrutturazioni abusive, in luogo dell’art. 92 della stessa legge.
Inoltre, l’ordine di demolizione sarebbe illegittimo perché non indicherebbe le ragioni per le quali «l’amministrazione resistente ha inopinatamente ritenuto di non dovere riqualificare in termini diversi la tipologia dell’abuso»; infatti, la sanatoria era stata chiesta per un intervento di cambio di destinazione da agricolo ad agrituristico e non di nuova costruzione.
Il motivo non è fondato.
L’art. 93 prevede che si applica la sanzione della demolizione in presenza di interventi eseguiti con variazioni essenziali dalla concessione, specificando che per variazioni essenziali si intendono anche quelle che comportano, con o senza opere, un mutamento di destinazione in contrasto con quanto stabilito dalla legge per quella determinata zona.
Nel caso in esame, come sottolineato, l’amministrazione ha accertato che l’appellante ha mutato la destinazione da agricola a residenziale in contrasto con le prescrizioni imposte per la zona. Non potendo le opere, per le ragioni indicate, essere sanate, ne consegue che legittimamente il Comune ne ha ordinato la demolizione.
La rimanente parte del motivo, a prescindere dalla sua non chiarezza, non può trovare accoglimento, in quanto il Comune, a fronte di una domanda di sanatoria, ha legittimamente ritenuto che non sussistevano i presupposti contemplati dalla normativa regionale in materia di attività agrituristica.
8.– Per le ragioni sin qui esposte l’appello deve essere rigettato.
9.– La natura delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)