Con la sentenza 13 giugno 2006, n. 29855 la Cassazione torna sull’omessa bonifica
di Vincenzo Paone, Procura della Repubblica di Asti

pubblicato su Ambiente & Sicurezza Febb. 2007 La sentenza è in questo sito qui

Con la sentenza 13 giugno 2006, n. 29855, avente a oggetto, oltre al reato di cui all’art. 51-bis, D.Lgs. n. 22/1997, anche il delitto di cui all’art. 440/452 c.p., la Corte di Cassazione è tornata a occuparsi del reato di reato di omessa bonifica, ponendo al centro della propria riflessione il tema della cessazione del reato e della decorrenza del relativo termine prescrizionale. In particolare, la Suprema Corte ha ribadito la natura “permanente” del reato, contraddicendo alcune sue precedenti posizioni, laddove afferma che «deve escludersi che il sequestro del sito faccia cessare la permanenza del reato». Perplessità anche sul fatto che l'autore dell'inquinamento possa sempre ottenere la non punibilità per il commesso reato (di inquinamento), provvedendo all’integrale, anche se tardiva, bonifica del sito.

Il reato di omessa bonifica previsto dall’art. 51-bis D.Lgs. n. 22/1997, oggi sostituito dall'art. 257, D.Lgs. n. 152/2006 (cosiddetto TU ambientale), ha trovato scarsa risonanza nella giurisprudenza della Cassazione forse perché si tratta di una fattispecie incriminatrice che, presentando non pochi problemi, è stata raramente applicata[1].

Recentemente la Corte suprema (sentenza 13 giugno 2006, n. 29855, avente a oggetto, oltre al reato di cui all’art. 51 bis, anche il delitto di cui all’art. 440/452 cp[2]) è tornata a occuparsi di questa fattispecie, ponendo al centro della propria riflessione il tema della cessazione del reato e della decorrenza del relativo termine prescrizionale.

Il procedimento ha tratto origine dagli accertamenti svolti nel 2000 dalla ASL di Brescia e dall'istituto zooprofilattico della stessa città che avevano evidenziato la presenza nel latte prodotto dalle mucche di alcune aziende agricole di Pisagne e Costa Volpino di poli-cloro-bifenil ( PCB ) in misura superiore alla norma. Attraverso il monitoraggio di diversi insediamenti produttivi della zona si accertava che nel terreno di una di tali ditte, operante nel settore di recupero di rottame destinato alla siderurgia, era presente PCB oltre il limite consentito (80 mg / kg contro il limite di 5 mg / kg ).

I giudici di merito avevano escluso che fosse intervenuta la prescrizione del reato, asserendo che la contravvenzione in esame avesse carattere permanente. In linea di fatto, i giudici avevano fatto notare che non era stata offerta la prova dell’ultimazione della bonifica che gli imputati avrebbero potuto compiere, essendo stato l'impianto dissequestrato a condizione proprio del compimento delle previste operazioni di bonifica.

Nel valutare la fondatezza dell’eccezione riproposta dalla difesa, che asseriva che non poteva essere addebitata agli imputati la mancata bonifica poiché il sito era stato sottoposto a sequestro preventivo e perciò la permanenza del reato era cessata in quel momento stante la indisponibilità dell'azienda da parte degli imputati, la Corte ha sostenuto che è pacifico che il reato sia permanente[3].

La tesi appare condivisibile poiché, anche se nella struttura del reato campeggia la predeterminazione di un termine entro cui adempiere, come insegna la consolidata giurisprudenza in materia di reati omissivi, quando è fissato un termine per il compimento di una data azione, il reato ha natura:

  • istantanea, se, dopo la scadenza del termine, l’azione non può essere utilmente compiuta;
  • permanente, se l’azione può essere utilmente compiuta, seppure tardivamente, dopo la scadenza del termine, il quale, pertanto, assume solo significato ordinamentale, poiché l’interesse protetto dalla norma incriminatrice non è il rispetto del termine in sé, ma il compimento dell’azione la cui omissione determina lo stato d’illiceità.

Perciò, stante la persistenza dell’interesse giuridico sotteso al dovere penalmente sanzionato, la permanenza si protrae fino a quando non venga a cessare la situazione antigiuridica per fatto dell’agente che, anche se tardivamente, adempia[4].

Logico porsi la domanda se il sequestro del sito inquinato faccia cessare la permanenza del reato di cui all’art. 51 bis. Secondo la sentenza in commento «deve escludersi che il sequestro del sito faccia cessare la permanenza del reato la quale persiste fino a quando non vengano fatte venir meno le conseguenze dannose o pericolose ovvero con la sentenza di condanna anche non irrevocabile (…). Sarebbe invero singolare che il sequestro delle aree, diretto ad impedire i danni ulteriori e ad assicurare gli interventi di cui all'art. 17 del decreto Ronchi e 242 del nuovo codice ambientale, possa determinare la cessazione della permanenza e cioè della antigiuridicità di una condotta, che il responsabile della stessa é tenuto a denunciare ed a riparare evitando pure il sequestro se si mette immediatamente a disposizione e predispone gli interventi riparatori».

Questa tesi suscita non pochi dubbi.

Si ricordi, infatti, che la Cassazione da sempre ha affermato che il reato omissivo permanente si esaurisce con la cessazione della condotta omissiva del contravventore, con la pronuncia della sentenza di primo grado (se il comportamento omissivo dell’imputato perdura fino alla data della decisione) oppure per il verificarsi di altri eventi che eliminino il permanere dello stato di danno o di pericolo.

Questa è l’ipotesi tipica del sequestro preventivo finalizzato a impedire la protrazione del reato; infatti, l’agente, perdendo la disponibilità materiale del bene, è giuridicamente impossibilitato a proseguire nel comportamento illecito [5].

Ne deriva che anche la permanenza del reato di omessa bonifica si interrompe, con il consequenziale inizio della prescrizione, allorché il sito sia sottoposto a sequestro da parte dell’autorità giudiziaria.

La Corte, forse, ha confuso due diverse situazioni:

  • da un lato, la cessazione della condotta che costituisce l’elemento oggettivo del reato;
  • dall’altro lato il venir meno delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato.

Invero, il contravventore (titolare del bene sequestrato) ha la possibilità di eliminare le conseguenze del reato commesso mediante il ricorso all’istituto di cui all’art. 85 disp. att. c.p.p.. Si tratta, in particolare, della disposizione che prevede la restituzione della cosa sequestrata a condizione che siano eseguite specifiche prescrizioni finalizzate a regolarizzare la situazione che aveva determinato l’emissione del sequestro preventivo. Il ricorso a questa procedura non fa, tuttavia, “riprendere” corso all’originaria condotta antigiuridica, come sembra adombrare la Corte, ma comporta soltanto che, se le prescrizioni sono state puntualmente eseguite, il sequestro potrà essere definitivamente revocato.

Questo, comunque, non è il solo passaggio della motivazione che presenta profili discutibili.

Infatti, nella sentenza si legge che «La situazione non è comunque mutata neppure a seguita della entrata in vigore del nuovo codice ambientale poiché, sotto tale profilo, la struttura del reato di cui all'art. 257 è del tutto corrispondente a quella del precedente reato di cui all'art. 51 bis poiché continua a prevedere la punibilità del fatto di inquinamento se l'autore "non provvede alla bonifica in conformità" al progetto di cui all'art. 242 che significava e significa che la bonifica, se integralmente eseguita escludeva ed esclude la punibilità del fatto anche secondo la precedente normativa, mentre il comma 4 dell'art. 257 ha specificato non già la non punibilità per gli autori dell'inquinamento in ordine al reato di cui si tratta, bensì la estensione della non punibilità, in caso di accertata bonifica, anche agli altri eventuali reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento. In sostanza il legislatore, proprio per agevolare la bonifica dei siti inquinati e quindi impedire la prescrizione del reato nei tempi estremamente brevi previsti per le contravvenzioni, insufficienti di regola per gli interventi di ripristino ambientale dei siti contaminati, ha strutturato il reato di cui si tratta come reato la cui permanenza persiste fino alla bonifica ovvero fino alla sentenza di condanna, ma la cui punibilità può essere fatta venire meno sempre fino alla sentenza di condanna, attraverso la condotta riparatoria, in tal modo creando un particolare interesse per l'autore dell'inquinamento - che non può invocare la prescrizione se non ha provveduto alla bonifica - ad attuare le condotte riparatorie, onde eliminare la punibilità del reato».

Se la prima parte della riportata motivazione può essere condivisa senza dubbio, qualche riserva si pone in ordine all’ultima riflessione.

Pare, infatti, di capire che, secondo la Corte, l'autore dell'inquinamento possa sempre ottenere la non punibilità per il commesso reato (di inquinamento), provvedendo all’integrale, anche se tardiva, bonifica del sito. Questa conclusione sembra avvalorata dalla considerazione dei giudici che «il reato di omessa bonifica è strutturato come reato la cui permanenza persiste fino alla bonifica, ma la cui punibilità può essere fatta venire meno attraverso la condotta riparatoria».

In questo modo, però, non solo si oblitera che la bonifica deve realizzarsi «in osservanza dei progetti approvati ai sensi degli artt. 242 e seguenti», come testualmente recita il comma 4 dell’art. 257, D.Lgs. n. 152/2006, ma si dimentica che l’art. 51-bis, D.Lgs. n. 22/1997 contempla un reato omissivo che si consuma ove il soggetto non proceda all’adempimento dell’obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dall’art. 17, medesimo decreto (così la Cassazione nel 2000), ragion per cui è evidente che quella proposizione non può essere intesa se non nel senso che il reato non è configurabile se siano state rispettate tutte le cadenze temporali stabilite dalla legge.



[1] Sul tema, si veda la sentenza della Cassazione, 28 aprile 2000, in Foro it., 2002, II, 127; Cass. pen., 2002, 2875.

[2] Per questo motivo la pronuncia è stata emessa dalla I sezione della Cassazione, anziché dalla III, solitamente competente per i reati ambientali.

[3] L’affermazione, a dire il vero, non trova riscontro nella giurisprudenza, che non si è mai pronunciata al riguardo.

[4] Ciò si riflette sulla decorrenza del termine di prescrizione del reato che non inizia dalla scadenza del termine indicato dalla legge, ma da quello in cui si adempie al precetto.

[5] Si veda, in tema, la sentenza della Cassazione, 23 ottobre 1996, , Ced Cass., rv. 207035, in cui si è detto che il reato di cui all'art. 1164 cod. nav. (inosservanza del provvedimento di demolizione e sgombero di opere abusive), è omissivo permanente, la cui permanenza cessa alla data in cui il sequestro preventivo è notificato all'imputato.