Bonifica dei siti contaminati e sistema 231: i rapporti
di Pasquale FIMIANI
Bonifica dei siti contaminati e sistema 231: i rapporti
Pasquale Fimiani, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione
Tratto dal Focus 231 Ambiente: rubrica mensile curata dall’Autore in "Rifiuti-Bollettino di informazione normativa", Edizioni Ambiente, Milano, n. 198 (8-9/2012), pag. 44 e n. 199 (10/2012), pag. 60.
****
Parte I (numero 198)
Bonifica e sistema 231: i rapporti nel caso di omessa comunicazione dell’evento di contaminazione
L’art. 257 T.U., comma 1, prevede in materia di bonifica due fattispecie di reato in riferimento:
-
all’omessa comunicazione del verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, ipotesi che fa riferimento ad una situazione in cui non è ancora dato sapere se la bonifica è obbligatoria (tipica situazione di pericolo);
-
all’omessa esecuzione (nel caso di inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio, cioè a fronte dell’accertamento di una situazione dannosa da eliminare) del progetto di bonifica approvato.
Con il presente intervento si svolgono alcune considerazioni sui rapporti con il sistema 231 relativi alla prima delle due fattispecie (alla seconda sarà dedicato il prossimo intervento).
Il primo comma dell’art. 257 T.U., dopo aver punito (con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro), chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti, aggiunge, in fine: ” In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all'articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro”.
Va ricordato che detta comunicazione è obbligatoria al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito (a prescindere, quindi, dal superamento delle soglie di contaminazione1) e va fatta ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2, T.U.
La norma è dettata in materia di danno ambientale e prevede l’obbligo di comunicazione al comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto della provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi. L’obbligo sussiste a carico dell’operatore interessato e cioè di “ (…) qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività (…)” (art. 302, comma 4, T.U.), intendendosi per “attività professionale” qualsiasi azione, mediante la quale si perseguano o meno fini di lucro, svolta nel corso di un’attività economica, industriale, commerciale, artigianale, agricola e di prestazione di servizi, pubblica o privata. (art. 302, comma 5°, T.U.).
L’art. 304, comma 2, prevede, in caso di omessa comunicazione da parte dell’operatore, una sanzione amministrativa non inferiore a mille Euro e non superiore a tremila Euro per ogni giorno di ritardo.
Si pone allora la questione del rapporto tra le due ipotesi sanzionatorie.
La parte sesta del T.U. (che disciplina, appunto, il danno ambientale), fa riferimento alla bonifica dei siti in due punti:
-
all’art. 303, lett. i), per il quale “ la parte sesta del presente decreto non si applica alle situazioni di inquinamento per le quali sia effettivamente in corso o sia intervenuta bonifica dei siti, nel rispetto delle norme vigenti in materia, salvo che ad esito di tale bonifica non permanga un danno ambientale”;
-
all’art. 313, comma 1, in cui l’emissione dell’ordinanza a contenuto risarcitorio viene subordinata alla mancata attivazione, da parte del responsabile del danno ambientale, delle “procedure di ripristino ai sensi del titolo quinto della parte quarta del presente decreto oppure ai sensi degli articoli 304 e seguenti”.
Dalla lettura di queste disposizioni si evince che il procedimento di bonifica si presenta come alternativo a quello riparatorio e risarcitorio del danno ambientale.
Se l’impostazione tra i due procedimenti va impostata in termini di specialità, non altrettanto può dirsi per la relativa disciplina sanzionatoria.
Ed invero, l’esclusione della disciplina del danno ambientale vale solo dopo che sia iniziato il procedimento di bonifica (così testualmente l’art. 303, lett. i), ma non nella fase iniziale in cui si è verificato l’evento pericoloso.
In questi casi le esigenze di tutela sono duplici: da un lato verificare se sussistano i presupposti perché il responsabile dell’evento potenzialmente contaminante debba procedere alla bonifica; dall’altro mettere gli organi competenti in condizione di conoscere il fatto e di poter adottare i provvedimenti conseguenti (tra cui l’ordinanza ministeriale nei confronti dell’operatore ex art. 304, 3° comma).
Di conseguenza si applicano entrambe le sanzioni2.
Il collegamento con la materia del danno ambientale non comporta, però, che l’omessa comunicazione da sola possa dar luogo ad un danno risarcibile, stante la possibilità che sia comunque attivata la procedura per il progetto di bonifica ai sensi dell’art. 250 T.U.3 (per il quale ove i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti previsti, le procedure e gli interventi di cui all’articolo 242 sono comunque realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente o dagli altri enti indicati dalla stessa disposizione).
Resta fermo che l’obbligo di comunicazione, la cui omissione è punita penalmente, incombe soltanto sul soggetto responsabile dell’evento di contaminazione e non anche su quello interessato alla bonifica (di regola il proprietario), ma non responsabile dell’evento stesso.
Per tale ipotesi l’art. 245 T.U., dopo aver premesso che le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili, prevede l’obbligo per il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) di darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente.
Tuttavia, l’omissione di detta comunicazione da parte del proprietario incolpevole non integra il reato di cui all’art. 257 T.U.
Ed invero, lo stesso art. 245 fa “salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242” e prevede che “ la provincia, una volta ricevute le comunicazioni, si attiva, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica”, con ciò rendendo chiaro lo scopo della norma, che è quello di indurre il responsabile dell’inquinamento ad attivare il procedimento di bonifica e, al tempo stesso, di consentire al proprietario incolpevole di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi dì bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità (evidentemente al fine di evitare le conseguenze patrimoniali di cui all’art. 253).
Inoltre l’art. 257 T.U. punisce la sola mancata effettuazione della comunicazione di cui all’art. 242, escludendo, quindi, la penale responsabilità del proprietario incolpevole che ometta la comunicazione di cui all’art. 245 (sembra invece applicabile la sanzione di cui all’art. 304 in materia di danno ambientale, che individua il soggetto obbligato alla comunicazione nell’operatore interessato, così coinvolgendo anche il proprietario incolpevole non responsabile dell’evento potenzialmente dannoso, ma che ne sia venuto a conoscenza4).
Il reato di omessa comunicazione è permanente.
Vero è che la comunicazione ex art. 304, comma 2, va fatta entro 24 ore dall’evento (ed anzi, prima di detta scadenza, poiché entro detto termine il responsabile dell’inquinamento mette in opera le misure necessarie di prevenzione e la comunicazione deve precedere gli interventi di urgenza), per cui il reato si consuma decorso inutilmente detto termine, ma per aversi reato omissivo istantaneo non basta che sia prefissato un termine per l'adempimento del dovere sanzionato penalmente, essendo piuttosto necessario che si tratti di un termine oltre il quale l'azione prescritta non può essere utilmente compiuta, dato che l’inosservanza del dovere ha prodotto in modo definitivo la lesione dell'interesse protetto della norma incriminatrice5. Nel caso di specie l'azione, ancorché tardivamente, può essere utilmente compiuta, anche in tempo successivo alla scadenza del termine, in quanto comunque idonea ad attivare il procedimento di bonifica di cui all’art. 242 T.U.
Il reato, poi, “ è configurabile anche nel caso in cui intervengano sul luogo dell'inquinamento gli operatori di vigilanza preposti alla tutela ambientale, in quanto tale circostanza non esime l'operatore interessato dall'obbligo di comunicare agli organi preposti le misure di prevenzione e messa in sicurezza che intende adottare, entro 24 ore ed a proprie spese, per impedire che il danno ambientale si verifichi. La comunicazione non costituisce, infatti, un mero adempimento burocratico, ma serve per consentire agli organi preposti alla tutela ambientale del Comune, della Provincia e della Regione del territorio in cui si prospetta l’evento lesivo di prenderne compiutamente cognizione con riferimento ad ogni possibile implicazione e di verificare lo sviluppo delle iniziative ripristinatorie intraprese””6.
Sembra possibile il concorso tra il reato di omessa comunicazione e quello di omessa bonifica (un soggetto potrebbe attivare in ritardo il procedimento di bonifica, ottenere l’autorizzazione e poi non eseguire il progetto approvato), in quanto il primo è reato di pericolo e la comunicazione va effettuata a prescindere dal superamento delle soglie di contaminazione, mentre il secondo è un reato di danno, che presuppone il superamento delle soglie stesse e la mancata attuazione degli interventi di bonifica.
I beni giuridici protetti sembrano, quindi, essere diversi: in un caso l’interesse protetto dalla norma è rappresentato dall’esigenza di pronta informativa della P.A. a seguito del verificarsi di eventi potenzialmente lesivi dell’ambiente, allo scopo di consentire l’attivazione del circuito informativo e di controllo previsto dalla normativa speciale; nell’altro il bene tutelato è l’integrità dell’ambiente stesso nelle varie componenti coinvolte dal superamento delle soglie di contaminazione.
Così ricostruito il reato di omessa comunicazione del verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, occorre chiedersi se lo stesso rientri tra i reati presupposto della responsabilità 231.
Il nuovo art. 25-undecies, comma 2, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 prevede che “in relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie: c) per i reati di cui all'articolo 257: 1) per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; 2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote”.
I primi due commi dell’art. 257 T.U. recitano:
“1. Chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all'articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro.
2. Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l'inquinamento è provocato da sostanze pericolose”.
In dottrina 7, rilevato che “ la norma parla di violazione, al singolare, del comma 1, sembrando dunque ricomprendere solo il reato di omessa bonifica provocato da sostanze non pericolose, e non anche quello di omessa segnalazione dell’evento potenzialmente contaminante”, si osserva:
“ A sostegno di questa tesi può invocarsi anche il riferimento ad un’unica cornice edittale (sanzione pecuniaria fino a centocinquanta quote), che ove si ritenesse riguardare anche il reato di omessa segnalazione finirebbe con l’accorpare irragionevolmente sotto un’unica sanzione fatti di disvalore diverso, come del resto dimostrato dalle diverse sanzioni previste per le persone fisiche. Per contro va sottolineato che il legislatore, all’art. 2 D.Lgs. n. 121/2011, ha in altri casi espressamente fatto riferimento alle fattispecie contenute in determinati periodi di determinati commi8; sicché a contrario, potrebbe sostenersi che ove non ha distinto i vari periodi di determinati commi il legislatore ha inteso riferirsi a tutte le violazioni indistintamente. Complessivamente l’interpretazione più conforme al principio di stretta legalità, in presenza di possibili interpretazioni di segno diverso, dovrebbe spingere per la lettura più restrittiva e garantista: il reato di omessa segnalazione non è tra quelli inseriti nel catalogo dei reati presupposto”.
Queste considerazioni, pur condivisibili nella parte in cui denunciano la scarsa chiarezze del testo normativo (ma non è una novità), non convincono per due ragioni:
-
l’art. 25-undecies, comma 2, cit., fa riferimento ai “ reati di cui all'articolo 257” e solo ai fini della pena distingue tra la violazione del comma 1 e quella del comma 2;
-
il comma 1 dell’art. 257 T.U. prevede come reato anche la mancata effettuazione della comunicazione di cui all'articolo 242.
Deve, quindi, ritenersi che anche il reato di omessa comunicazione rientri tra quelli presupposto della responsabilità degli enti.
Ne deriva che, ai fini della responsabilità 231, è sufficiente che l’omissione sia riferibile a soggetto in posizione qualificata (come dirigente o sottoposto) all’interno dell’azienda e che il fatto potenzialmente inquinante sia stato commesso nell’esercizio dell’attività d’impresa. Pertanto, il modello organizzativo deve farsi carico anche dell’attivazione di meccanismi di controllo e di pronta segnalazione di eventi potenzialmente inquinanti, individuando i contesti dell’attività aziendale più a rischio e le procedure di informativa alla pubblica autorità.
Va, tuttavia, precisato che, se l’azienda “eredita” una contaminazione pregressa, od il fatto viene commesso da terzi estranei (non riconducibili alle categorie dei dirigenti e del sottoposti di cui agli artt. 6 e 7 d.lgs. n. 231), così come non è possibile (retro) configurare il reato di omessa comunicazione da parte del proprietario non responsabile dell’evento potenzialmente dannoso, allo stesso modo non sussiste la responsabilità dell’ente.
Parte II (numero 199)
L’ente è responsabile ai sensi del d.lgs 231 nel caso di esecuzione del progetto di bonifica del sito contaminato?.
L’art. 257 T.U., comma 1, prevede in materia di bonifica due fattispecie di reato in riferimento:
-
all’omessa comunicazione del verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, ipotesi che fa riferimento ad una situazione in cui non è ancora dato sapere se la bonifica è obbligatoria (tipica situazione di pericolo);
-
all’omessa esecuzione (nel caso di inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio, cioè a fronte dell’accertamento di una situazione dannosa da eliminare) del progetto di bonifica approvato.
Con il precedente intervento sono state svolte alcune considerazioni sui rapporti con il sistema 231 relativi alla prima delle due fattispecie, per concludere che anche il reato di omessa comunicazione rientra tra quelli presupposto della responsabilità degli enti e che, quindi, il modello organizzativo deve farsi carico anche dell’attivazione di meccanismi di controllo e di pronta segnalazione di eventi potenzialmente inquinanti, individuando i contesti dell’attività aziendale più a rischio e le procedure di informativa alla pubblica autorità.
Tale esigenza, ovviamente, riguarda anche il reato di omessa esecuzione del progetto di bonifica approvato, in quanto l’evento primario da prevenire è quello della contaminazione, in quanto precondizione dei reati-presupposto di omessa comunicazione ed omessa bonifica che il modello organizzativo deve prevenire.
Tuttavia, per il reato di omessa bonifica, in relazione alla responsabilità 231, si pone l’ulteriore questione se l’esecuzione del progetto approvato giovi o meno anche all’ente (oltre che alla persona fisica responsabile dell’illecito).
Il dubbio sorge in quanto l’art. 8, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 231 del 2001 prevede che la responsabilità dell'ente sussiste anche quando il reato “si estingue per una causa diversa dall'amnistia”.
Occorre, quindi, esaminare la natura del reato.
La formulazione della norma sanzionatoria (“Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti”) rende evidente la volontà del legislatore di collegare in modo chiaro la pena non al momento in cui viene cagionato l'inquinamento, ma soltanto alla mancata realizzazione della bonifica.
Non costituisce reato la realizzazione, una volta che si manifesti una situazione di pericolo di contaminazione, degli interventi di messa in sicurezza di emergenza senza autorizzazione, trattandosi di provvedimento non necessario, in considerazione dell’immediatezza con cui tali interventi vanno posti in essere 9 e della previsione dell’art. 242 cit. secondo cui essi vanno comunicati alle Amministrazioni competenti.
Che sia l’omessa realizzazione della bonifica l’evento che integra il reato, si evince anche dalla previsione che con la sentenza di condanna (o di patteggiamento) il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale (in tal caso la verifica dell’adempimento dell’obbligo cui è subordinata la sospensione della pena, attiene alla fase esecutiva10).
La natura del reato dipende da come viene inquadrato il rapporto tra il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), che costituisce in ogni caso il presupposto per la sua configurabilità11, e l'omissione della bonifica.
Al riguardo può partirsi dal dibattito dottrinale relativo al reato previsto dall’art. 51-bis del d.lgs. n. 22/1997.
Un primo orientamento riteneva che l'aver cagionato l'inquinamento fosse parte integrante della condotta.
In tale alveo si collocavano diverse soluzioni:
1) ipotesi contravvenzionale di danno o di pericolo in cui è punito chiunque, con azione od omissione, cagiona l'evento di inquinamento, con speciale causa di non punibilità consistente nella bonifica 12;
2) ipotesi contravvenzionale di danno o di pericolo in cui è punito chiunque, con azione od omissione, cagiona l'evento di inquinamento, e la mancata bonifica costituisce una condizione obbiettiva di punibilità 13;
3) il reato è a condotta mista, commissiva - omissiva 14 (si tratterebbe di illecito complesso a formazione progressiva).
Secondo un altro orientamento, l'avere cagionato l'inquinamento restava al di fuori della condotta criminosa, operando da presupposto della stessa che, quindi, consisteva nell'aver omesso di osservare il procedimento di cui all'art. 17. Si era, quindi, in presenza di un tipico reato omissivo 15, di danno o di pericolo a seconda dei casi 16.
Questa seconda opzione risolveva il problema del coordinamento con l'art. 17, il quale rendeva cogenti gli obblighi di bonifica in caso di superamento anche accidentale dei limiti di contaminazione. L'omessa ripetizione nell'art. 51-bis dell'inciso " anche in maniera accidentale" era quindi irrilevante, essendo il superamento un prius della condotta ed operando la sanzione penale sempre e comunque a prescindere dalla colpevolezza.
Diversamente, il primo orientamento aveva il problema di coordinare le due norme e, prevedendo l'art. 17 una forma di responsabilità civile oggettiva di difficile trasposizione in sede penale17, faceva leva sulla mancata riproposizione dell'inciso " anche in maniera accidentale" per arrivare ad affermare che il superamento dei limiti di contaminazione rilevava penalmente solo quando poteva essere imputato a titolo di dolo o di colpa e non a titolo di responsabilità oggettiva ( concetto rilevante ai fini della sola responsabilità civile) 18.
La Cassazione 19 aveva configurato la contravvenzione prevista dall'art. 51-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 come reato omissivo di pericolo presunto, che si consuma ove il soggetto non proceda all'adempimento dell'obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dell' art. 17.
In tale prospettiva, l'inquinamento o il pericolo di inquinamento venivano inquadrati nei presupposti di fatto e non negli elementi essenziali del reato. Tale ricostruzione appariva “ più coerente con il sistema complessivo, delineato dall'art. 17 e soprattutto dal secondo comma. con principi comunitari e nazionali in tema di danno ambientale e di centralità, in materia di rifiuti, della bonifica e messa in sicurezza dei siti, con la pregressa disposizione contemplata all'art. 50 secondo comma, di cui costituisce esplicita specificazione di una delle due tesi sostenute in dottrina nel vigore della predetta, e con analoga disposizione (art. 58 quarto comma d.lgs. n. 152/1999) contenuta nella normativa di un settore affine (quello dell'inquinamento idrico) in una successiva disciplina, che ricalca quella dell'art. 51-bis in esame, dovendosi escludere dalla condotta cioè dall'elemento oggettivo del reato l'attività che ha cagionato l'inquinamento, che potrà anche essere accidentale senza violare l'art. 27 Cost., in quanto la stessa integra soltanto il fatto originante gli obblighi di bonifica e non il precetto citato”. Inoltre “l’'interpretazione seguita si presenta (…) più rispondente ai principi di offensività e di proporzionalità della pena, perché, attraverso il rafforzamento penalistico dell'effettività delle misure reintegratorie del bene offeso, si fa assumere all'interesse pubblico alla riparazione una connotazione particolare, che permea di sé il precetto e diviene esso stesso bene giuridico protetto. L'esegesi avanzata è, infine, più consona alla limitatezza delle risorse ambientali ed all'irreversibilità di alcuni danni, a volte incommensurabili, ed ai connotati propri del diritto penale ambientale, nel quale l'apprestamento di una serie di reati di pericolo presunto di scopo e di un modello di tutela c.d. ingiunzionale risponde in via immediata alla tutela dell'ambiente "20.
Tale impostazione è stata superata con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 257 T.U.
Se nelle prime decisioni sembra essere stata accolta la tesi del reato di danno (inquinamento), con speciale causa di non punibilità consistente nella bonifica 21, successivamente la S.C. ha mutato indirizzo, affermando che l’interpretazione preferibile, sotto il profilo letterale e sistematico, è quella di reato di evento a condotta libera o reato causale puro, sottoposto a condizione obiettiva di punibilità negativa. L’evento incriminato è l’inquinamento, cagionato da una condotta colposa o dolosa, la cui punizione è però subordinata all’omessa bonifica22.
Due sono i pilastri su cui si fonda questa impostazione.
Da un lato si afferma23 che, pur essendo la struttura del reato contravvenzionale di cui all'art. 257 cit., riproduttiva di quella dell’art. 51-bis d.lgs. n. 22/1997, l'evento è tuttavia diversamente configurato nelle due fattispecie, poiché in quella previgente, consisteva nell'inquinamento, definito come superamento dei limiti di accettabilità previsti dal d.m. 471/1999 o nel pericolo concreto e attuale di inquinamento, mentre in quella attuale l'evento è esclusivamente di danno, in quanto consiste solo nell'inquinamento (non nel pericolo di inquinamento) ed è definito come superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Dall’altro 24 si evidenziano le differenze tra i profili procedimentali della vecchia e nuova disciplina: “ Nonostante il secondo comma dell'art. 17 d.lgs. 22/1997 obblighi agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale chiunque cagioni un inquinamento anche in maniera accidentale, tale obbligo ha contenuto civile e amministrativo (secondo il decimo comma dello stesso art. 17 è un onere reale del sito inquinato, che - come tale - grava su tutti coloro che si succedono nella titolarità del diritto reale sul sito), ma non è sanzionato penalmente dall'art. 51-bis se non nei casi in cui l'inquinamento è cagionato con dolo o colpa, non potendosi prescindere nelle fattispecie contravvenzionali dall'essenziale profilo psicologico imposto dall'art. 42, comma 4, c.p. Ora, invece, l'art. 242 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che ha sostituito l'art. 17, rinnova gli obblighi di comunicazione e di bonifica solo a carico del responsabile, senza menzionare più l'inquinamento accidentale, anche se estende gli stessi obblighi a carico di chi individua contaminazioni storiche (quindi anche a lui non imputabili) che possano comportare rischi di aggravamento”.
Alla base di questa diversa impostazione è una “lettura costituzionalmente orientata” delle norme, che “impone che sia l'inquinamento nel senso anzidetto, sia l'omessa bonifica siano coperti dal principio di colpevolezza penale desumibile dall'art. 27, comma, 1 della Carta fondamentale”. Ciò significa che risponde del reato di omessa bonifica, solo il responsabile dell’evento.
Così ricostruito il dibattito sulla natura del reato di omessa bonifica, è evidente che solo qualora si ritenga che si è in presenza di una speciale causa di non punibilità sopravvenuta, si porrebbe la questione se la bonifica possa giovare anche all’ente, in relazione all’art. 8, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 231 del 2001 nella parte in cui prevede che la responsabilità dell'ente sussiste anche quando il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.
La più recente giurisprudenza, invece, consente di superare la questione, in quanto ritiene essersi in presenza di una causa di non punibilità (la bonifica) esterna alla fattispecie, ma di un elemento (l’omessa bonifica) interno alla stessa.
Ciò in quanto la condizione obiettiva di punibilità negativa della mancata bonifica è intrinseca e non estrinseca, “giacché il mancato raggiungimento dell’obbiettivo della bonifica non fa che aggravare quella offesa al bene tutelato dalla norma incriminatrice che era stata già perpetrata dalla condotta di inquinamento. A differenza delle condizioni di punibilità c.d. estrinseche o proprie, che – proprio perchè estranee al divieto penale – sono sottratte alla regola della rimproverabilità desumibile dall’art. 27, comma 1, Cost. e, a norma dell’art. 44 c.p., rendono punibile la condotta incriminata anche se non sono volute dall’agente, le condizioni intrinseche (o improprie) - proprio perché incidono sul bene tutelato -, devono essere coperte dal principio di colpevolezza, sicché finiscono per mascherare veri e propri elementi costitutivi del reato, imputabili all’agente almeno a titolo di colpa“25.
1 Cass. pen., Sez. III, n. 40191/2007 (conforme Sez. III, n. 16702/2011).
2 Conforme PARODI, La responsabilità dell’operatore per bonifica e danno ambientale, in Ambiente e Sicurezza, 2007, VI, 94.
3 Cass. Pen, Sez. III, n. 22006/2010.
4 Conforme Cass. pen., Sez. III n. 18503/2011.
5 Cass. pen., Sez. III, n. 27259/2007.
6 Cass. pen., Sez. III, n. 40856/2010.
7 RUGA RIVA, Reato di omessa bonifica e D.Lgs. n. 231/2001: la bonifica giova (anche) all’ente?, in Ambiente & Sviluppo, 2012, V, 412.
8 L’Autore si riferisce all’art. 2, lett. a) che recita: “per i reato di cui all’articolo 137: 1)per la violazione dei commi 3, 5, primo periodo e 13, la sanzione (…).
9 In tal senso, TAR Campania (NA), Sez. VIII, n. 1398/2012.
10 Come confermato da Cass. pen., Sez. III, n. 12343/2005: “ La verifica dell'attuazione della bonifica alla quale è stata subordinata la concessione del beneficio della sospensione della pena, costituisce un’indagine rimessa alla fase esecutiva del giudizio: divenuta definitiva la decisione si stabilirà di non dare corso all'esecuzione della pena, se il prevenuto avrà provveduto a riportare i parametri delle sostanze inquinanti scaricate nei limiti della norma come assume di avere già fatto; eventuali problemi che dovessero sorgere in proposito saranno risolti dal giudice dell'esecuzione”.
11 Come precisato da Cass. pen., Sez. III, n. 9492/2009.
12 In tal senso GIAMPIETRO F., Bonifica dei siti inquinati: dal d.lgs. “Ronchi” al “Ronchi bis”, in Ambiente, 1998, 67 e Bonifica dei siti contaminati: la prima decisione della Suprema Corte, in Ambiente, 2000, 805, nota a Cass. pen., Sez. III, n. 1783/2000; SEVERINO DI BENEDETTO, I profili penali connessi alla bonifica dei siti contaminati, in Ambiente, 2000, 417, che osservava: " Nell'ipotesi in esame, il disvalore del fatto sembrerebbe essere interamente incentrato sull'omessa attivazione del procedimento di bonifica che deve conseguire all'inquinamento provocato. Tali considerazioni porterebbero dunque a ritenere che il reato in esame abbia natura mista in quanto sanziona la condotta (commissiva) di chi cagiona il superamento dei limiti di accettabilità o il pericolo concreto e attuale di detto superamento e la successiva omessa attivazione della procedura di bonifica: ipotesi di reato, dunque, che seguirebbe il ben noto schema penalistico di norma a carattere esclusivamente sanzionatorio, in cui si attribuisce rilievo alla mera inottemperanza di precetti amministrativi. Benché, quindi numerosi indici testuali avvalorino tale ricostruzione, la stessa finalità della legge, che mira ad assicurare una elevata protezione dell'ambiente, induce ad attribuire rilievo di autonoma offensività all'aver cagionato l'inquinamento o un pericolo concreto e attuale di inquinamento. In base a tale lettura la condotta del reato, in cui si incentra il disvalore penale, sarà integrata dall'aver cagionato l'inquinamento o il pericolo d'inquinamento. In quest'ottica, l'eventuale attuazione del procedimento di bonifica costituirà, dunque, una causa speciale di non punibilità: con questa disposizione, cioè, il legislatore ha inteso sollecitare l'autore del reato a ripristinare l'integrità ambientale, rinunciando, in tal caso, alla pretesa punitiva. La positiva novità che si segnalava in premessa consiste nell'aver introdotto una condotta posteriore al fatto (la bonifica) che si pone sullo stesso piano degli interessi protetti: la condotta cioè richiesta al soggetto è omogenea al piano dell'offesa e opera al fine di eliminarla. Nel senso di tale ricostruzione depone, tra l'altro, la seconda parte dell'art. 51-bis, laddove si prevede un aggravamento della pena per l'ipotesi in cui l'inquinamento è provocato da rifiuti pericolosi, senza ulteriori riferimenti agli obblighi di bonifica. Parimenti significativo è, poi, lo stesso art. 17 che, al comma 9, stabilisce che qualora i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili, gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale sono realizzati d'ufficio dal Comune o dalla Regione: è evidente che in tale disposizione la responsabilità cui si fa riferimento attiene all'aver cagionato l'inquinamento ".
13 ALIOTTA, Art. 51-bis "Bonifica dei siti": tutto da rifare, in Ambiente, 1998, 75.
14 Sul punto, in senso conforme, Pagliara, Bonifica dei siti inquinati: dibattito ancora aperto, Parte 1, in Ambiente, 1998,, 663; Parte 2, in Ambiente, 1998, 743.
15 Così ANILE, Bonifica dei siti contaminati: obblighi di ripristino e tutela penale, in Ambiente, 1999, 119, per il quale "il solo evento di aver cagionato l'inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento ai sensi dell'art. 17, comma 2, non possa ritenersi sufficiente ad integrare la condotta di reato, ma che ne costituisca solo un prius, un presupposto ( che deve essere conosciuto dall'agente), ossia una situazione di fatto, richiesta dalla legge perché nasca l'obbligo di agire".
16 In tal senso anche Russo, Bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati: osservazioni sull’art. 17 del d.lgs. 5-02-1997, n. 22, in Riv. giur. ambiente, 1998, 429.
17 Osservava SEVERINO DI BENEDETTO, I profili penali connessi alla bonifica dei siti contaminati, cit.: " Sulla scorta di quanto previsto dall'art. 17 comma 2, norma che riempie di contenuto precettivo l'art 51-bis, si è ipotizzato che possa essere chiamato a rispondere del reato in esame anche chi abbia cagionato "in maniera accidentale" l'inquinamento o il pericolo del medesimo. Malgrado le difficoltà connesse all'accertamento dell'elemento soggettivo di questo reato, si tratta pur sempre di un illecito penale, come tale governato dal principio di colpevolezza, ai sensi dell'art. 27 della Costituzione: la contravvenzione di cui all'art. 51-bis si configurerà solo nell'ipotesi in cui sia ravvisabile, quanto meno, la colpa del soggetto attivo ".
18 Secondo ALIOTTA, Art. 51-bis "Bonifica dei siti": tutto da rifare, in Ambiente, cit., 75, la mancata riproposizione dell'inciso " anche in modo accidentale è significativa". " Se un soggetto, senza colpa, supera i limiti di contaminazione oppure determina pericolo concreto di superamento degli stessi, egli non può essere punito, ai sensi dell'art. 51-bis, anche qualora non abbia provveduto alla bonifica. Se si ammettesse il contrario, sarebbe riconosciuto un caso di responsabilità penale che prescinde dall'elemento psicologico ( dolo o colpa) e si fonda solo sul rapporto di causalità materiale tra soggetto ed evento". Il tutto in contrasto con il principio di cui all'art. 27 Cost. Lo stesso A. (in Bonifica dei siti contaminati…, cit., 125), arriva ad una conclusione diversa per effetto dello sganciamento del superamento dei limiti di contaminazione dalla condotta e proprio sul presupposto che è necessario avere, il più possibile, una disciplina omogenea con l'art. 17. Diversamente si dovrebbero "escludere dall'ambito di applicazione dell'art. 51-bis tutti quei soggetti i quali, pur avendo cagionato l'inquinamento in modo del tutto accidentale, volontariamente e coscientemente omettono di adoperarsi per la bonifica".
19 Cass. pen., Sez. III, n. 1783/2000.
20 Non prende posizione Cass. pen., Sez. III, n. 35501/2003, in cui, pur riconoscendosi che “ si discute se si tratti di reato commissivo di danno (inquinamento) con causa di non punibilità (se si provvede alla bonifica) ovvero con condizione obiettiva di punibilità (se non si provvede alla bonifica), oppure di reato a condotta mista (cagionare l'inquinamento e non provvedere alla bonifica), oppure di reato omissivo (non provvedere alla bonifica) con un presupposto esterno alla struttura del reato (inquinamento), si afferma: “quale che sia l'inquadramento dommatico corretto (…), il reato sussiste solo se l'inquinamento del sito ha superato i limiti di accettabilità definiti dall'apposito decreto ministeriale previsto dall'articolo 17 d.lgs. 22/1977 ovvero se esiste un pericolo concreto e attuale di superamento di tali limiti, e se la bonifica del sito non è avvenuta secondo le sequenze procedimentali prescritte dal citato articolo 17”.
21 In tale senso Cass. pen., Sez. I, n. 29855/2006, nella parte in cui, dopo aver affermato che “ la bonifica, se integralmente eseguita, escludeva ed esclude la punibilità del fatto anche secondo la precedente normativa “, parla di “reato la cui permanenza persiste fino alla bonifica ovvero fino alla sentenza di condanna, ma la cui punibilità può essere fatta venire meno, sempre fino alla sentenza di condanna, attraverso la condotta riparatoria, in tal modo creando un particolare interesse per l'autore dell'inquinamento - che non può invocare la prescrizione se non ha provveduto alla bonifica - ad attuare le condotte riparatorie, onde eliminare la punibilità del reato”.
22 Orientamento inaugurato da Cass. pen., Sez. III n. 9794/2007, poi confermato da Sez. III, n. 26479/2007 e Sez. III, n. 22006/2010.
23 Cass. pen., Sez. III n. 9794 /2007, cit.
24 Cass. pen., Sez. III, n. 26479/2007, cit.
25 Cass. pen., Sez. III, n. 26479/2007, cit.