Come deve essere sanzionato chi utilizza per il trasporto dei rifiuti un veicolo diverso da quello autorizzato?

di Vincenzo PAONE

Recentemente la Cassazione, con la sentenza 14 dicembre 2022, n. 13310, Longo [1], è ritornata sulla questione dell’impiego di un veicolo diverso da quello autorizzato per il trasporto di rifiuti concludendo che è configurabile il reato di cui all’art. 256, 4° comma, D.Lgs. n. 152/2006, in quanto il soggetto effettua un’attività in carenza dei requisiti e delle condizioni richieste per le iscrizioni o comunicazioni.

La decisione è allineata alla pregressa giurisprudenza relativa alla stessa fattispecie [2], ma, ciò nonostante, la tesi non convince del tutto.

Infatti, non è coerente con l'orientamento della stessa Suprema Corte maturato con riferimento a situazioni analoghe, a cominciare dal trasporto di rifiuti diversi da quelli autorizzati: infatti, secondo Cass. 15 gennaio 2019, n. 5817, Burrini, Foro it., 2019, II, 201, si configura una illecita gestione quando oggetto dell'attività sono rifiuti diversi da quelli indicati nelle comunicazioni ed iscrizioni (in senso conforme, v. Cass. 13 maggio 2014, n. 25716, Ced Cass. pen., rv. 259636; 6 novembre 2007, De Pascalis, Ced Cass. pen., rv. 238074; 15 giugno 2006, Riva, Impresa, 2007, 284 (sul trasporto di rifiuti da parte di chi, iscritto all’albo con procedura semplificata, trasporti rifiuti non avviati al riutilizzo).

Sotto il profilo della presenza degli elementi «essenziali» per il regolare esercizio dell'attività, è difficile riscontrare una rilevante differenza tra il fatto di gestire rifiuti diversi da quelli autorizzati e il fatto di utilizzare mezzi di trasporto diversi da quelli menzionati nell'iscrizione all'albo gestori ambientali. Si tratta, infatti, di requisiti che caratterizzano in modo sostanziale l'attività svolta.

Inoltre, ricordiamo altre fattispecie in cui la Suprema Corte ha ravvisato il reato previsto dal 1° comma dell’art. 256:

- in tema di gestione di rifiuti in un’area diversa da quella autorizzata, v. Cass. 9 ottobre 2007, Pagnotta, Ced Cass. pen., rv. 238012 (tra le tante conformi);

- in tema di modifica del ciclo produttivo di recupero e trattamento , gestito in regime di procedura semplificata, v. Cass. 25 novembre 2009, n. 773, Ced Cass. pen. rv 245901;

- in tema di prosecuzione dell'attività di gestione dei rifiuti in forma semplificata , in difformità dal titolo e dalle condizioni indicate nella richiesta di rilascio iniziale o di rinnovo, v. Cass. 5 ottobre 2017, n. 2401, Ced Cass. pen., rv. 272041;

- in tema di gestione dei rifiuti in eccedenza rispetto ai quantitativi annui autorizzati : v. Cass. 30 novembre 2018, n. 6717, Parsani, Foro it., 2019, II, 201.

Per vero, è stato evidenziato da Cass. n. 5817/2019, cit., che si è rifatta alla più risalente Cass. 18 febbraio 2010, n. 13232 [3], che, nell'ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni, il reato di cui all'art. 256, 4° comma, è configurabile nei soli casi in cui tale carenza sia attinente alle modalità di esercizio dell'attività, mentre, nella diversa ipotesi in cui essa si risolva nella sostanziale inesistenza del titolo abilitativo, si configura una illecita gestione di rifiuti.

Il suggerimento, perciò, è nella direzione di distinguere tra quei requisiti e condizioni suscettibili di incidere sull’an del titolo legittimante, da quelli afferenti, invece, solo al quomodo dell’esercizio dell’attività autorizzata (ad esempio: le indicazioni concernenti la tempistica nell’esecuzione di determinate operazioni tecniche o le caratteristiche quantitative dei contenitori utilizzati e via dicendo).

Ma come si è già visto, non è sempre agevole qualificare il fatto come violazione delle prescrizioni o come (radicale) illecita gestione. Inoltre, quella che viene descritta come ipotesi attenuata, stante l’accertata carenza dei requisiti richiesti per svolgere una fase autorizzata di gestione dei rifiuti, potrebbe assumere connotati offensivi identici all’attività di gestione svolta senza alcuna autorizzazione.

Una diversa linea di confine tra le due ipotesi criminose potrebbe essere tracciata considerando se l'inosservanza dei requisiti sia un evento del tutto isolato e occasionale o sia invece sistematica. In altre parole, si deve tener conto se la violazione delle modalità operative (che integrano le componenti essenziali dell’abilitazione ad effettuare la gestione dei rifiuti) sia espressione di momentanee e/o contingenti deviazioni dall’ordinario svolgimento dell’attività, oppure costituisca una modalità stabile e costante di effettuare l’attività che, perciò, è oggettivamente diversa rispetto a quella autorizzata [4].

Insomma, sono ancora aperte le questioni suscitate dal 4° comma dell'art. 256 D.Lgs. n. 152/2006.



[2] V. Cass. 6 aprile 2000, Pantano, Ced Cass. pen., rv. 217180; 12 dicembre 2003, Luise, RivistAmbiente, 2004, 436; 9 marzo 2005, Rosafio, Ced Cass. pen., rv. 231078; 19 dicembre 2007, Tanzarella, Ced Cass. pen., rv. 238799; 28 novembre 2017, n. 6739, Arruzzo, Foro it., 2018, II, 330.

[3] Ambiente, 2010, 715 e Foro it., 2011, II, 167.

[4] Cfr., Paone, Il reato di inosservanza delle prescrizioni autorizzative: problemi ancora aperti (nota a Cass. pen. nn. 6364 e 6717/2019) , in Ambiente e sviluppo, 2019, 446.